lunedì 17 gennaio 2011

Milan Ibrahimovic non basta più

Il pareggio di Lecce ha dimostrato che la squadra di Allegri ha molti problemi da risolvere: gioco lento, la formula dei tre mediani inutile senza pressing, Pato diventa un caso

Ibrahimovic non basta più
    LECCE - C'è un ritornello minimizzatore, in tutte le dichiarazioni dei milanisti a chiosa del pareggio di Lecce, il secondo consecutivo dopo il faticato 4-4 del Meazza con l'Udinese, il secondo accompagnato da un gioco improvvisamente pieno di lacune, il secondo che rallenta parecchio la corsa della capolista: "Comunque siamo sempre primi in classifica". Lo hanno ripetuto Galliani, Allegri, Seedorf e Nesta, quasi che il totem del primato fosse di per sé sufficiente a scacciare i cattivi pensieri e le avversarie che si avvicinano, la temuta Inter di Leonardo in particolare. Ma dalle parole degli stessi protagonisti - Allegri e Seedorf sono quelli che si impegnano nell'autocritica più convinta - affiora anche la consapevolezza che l'1-1 in casa di una squadra in zona retrocessione, costruita con un budget trenta volte inferiore, non può essere catalogato alla voce "incidente di percorso". La frenata è stata brusca e l'andamento della serata rende legittime le preoccupazioni. Il Lecce era stato schierato da De Canio per difendere lo 0-0 il più a lungo possibile e il gol inventato da Ibrahimovic all'inizio del secondo tempo creava dunque le migliori condizioni per portare in porto senza molta fatica una vittoria magari non luccicante, ma utile alla causa dello scudetto: la storia del campionato italiano è ricca di episodi del genere. Invece il cinico Milan di Allegri, quello degli 1-0 fondati sulla priorità della fase difensiva, è improvvisamente sparito da questi schermi. E' bastato
    l'ingresso di uno straniero di lungo corso e di seconda schiera - il trentaquattrenne uruguaiano Giacomazzi - per confondere una difesa diventata di colpo vulnerabile: gli errori a catena sul corner del gol di Olivera, altro uruguaiano non di primo pelo né di prima scelta, non sono isolati, visto che sull'azione precedente Amelia era stato salvato dal palo.

    IBRADIPENDENZA - Stavolta è molto parziale la consolazione per il fatto che Ibrahimovic abbia ancora una volta confermato la propria implacabilità. Vedendolo segnare l'undicesimo gol del campionato con un sinistro da più di trenta metri, che ha punito in una frazione di secondo il torpore di due improvvidi avversari fin troppo cauti nel contrastarlo, Galliani ha ostentatamente strabuzzato gli occhi, come si fa di fronte a un capolavoro: lo svedese non finisce di sorprendere e resta il vero colpo del mercato estivo. Ma si può dipendere tanto dall'estro di un solo giocatore, soprattutto in Champions dove il livello tecnico si alza e sarà impossibile trovare marcatori compiacenti come quelli del Lecce? "Cerchiamo di sfruttare Ibra per le sue qualità, che sono immense". La frase di Allegri si presta a una lettura tra le righe, nemmeno troppo freudiana: sì, il Milan si aggrappa sempre più a Ibrahimovic, Mister Scudetto. La formula dei tre mediani, a lungo vincente, risulta efficace soltanto se la accompagna un feroce pressing complessivo, che garantisca il recupero del pallone alle soglie dell'area avversaria: la corsa di Boateng e Robinho appare indispensabile. Altrimenti, se il ritmo è lento come a Lecce, l'unico sbocco alla manovra sono le discese del volonteroso Abate: troppo poco, in assenza di Pirlo, per evitare la dipendenza dalle invenzioni di Ibra. "Eravamo poco mobili davanti", ha commentato ancora Allegri. La critica vale da censura per Pato, la cui difesa d'ufficio non può nascondere l'insofferenza dei compagni.

    IL CASO PATO -
    Anche senza l'attacco di febbre che lo ha tolto di mezzo, Robinho sarebbe andato in panchina, per fare spazio al connazionale guarito dal lungo infortunio muscolare. Ma adesso la questione si fa scabrosa. Pato ha una percentuale realizzativa superiore a un gol a partita, il che lo rende potenzialmente devastante, in coppia con Ibra. Però è un solista, estraneo al gioco della squadra. Lo stesso Ibra non ha mancato di sottolinearlo, con gesti eloquenti, smorfie e battutacce smascherate dalle telecamere, ogni volta che Pato ritardava fatalmente un passaggio oppure non lo dettava oppure s'infilava nell'imbuto di un tentativo di fuga in mezzo a tre o quattro avversari. Del nervosismo trasmesso dal solipsimo del dribblatore è specchio il suo battibecco di fine primo tempo con Gattuso. Pato è una risorsa preziosa, ma alla quarta stagione nel Milan la sua integrazione tattica rimane complicata. Se il gioco d'attacco poggia su Ibrahimovic, come appare evidente, vanno assecondate le caratteristiche dello svedese, che cerca continui duetti col compagno di reparto, per esserne imbeccato o per smarcarlo a sua volta con triangolazioni in verticale. In questo senso l'intesa col corridore Robinho è naturale, quella con Cassano addirittura spontanea. In pochi minuti, anche a Lecce come contro l'Udinese, Cassano e Ibra si sono cercati e trovati istintivamente, alimentando il dubbio che, visto anche il ritmo basso della partita, l'allenatore avrebbe potuto varare prima il tandem. Manca la controprova, però le tre occasioni finali fabbricate dai due accentuano il rammarico dei milanisti. E soprattutto rendono chiara la vera sfida di Allegri: lo scudetto passa attraverso il migliore impiego possibile di Pato, Robinho e Cassano, attorno all'insostituibile Ibrahimovic.

    con repubblica.it

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