Campionato, coppe. Si gioca tanto, tutti i giorni. Il lunedì c'è il Monday night, il martedì e il mercoldì la Champions League, il giovedì l'Europa League e il venerdì comincia il weekend lungo del campionato, con match anche all'ora di pranzo della domenica. Senza contare la Coppa Italia, i tornei esteri e la Nazionale, con le qualificazioni per gli Europei 2012.
Indigestione di calcio? Da ragazzino ero di quelli che non potevano certo permettersi un posto a San Siro. La domenica pomeriggio supplivano le partite fra dilettanti nei «campetti» di Città Studi e, per quanto riguarda la Serie A, c'era «Tutto il calcio minuto per minuto», che ascoltavamo con le radioline dei più fortunati. Dovevo allora avere una certa confusione in testa, perché con troppa facilità inventavo partite tutte mie in cui una squadra finiva a giocare pressoché con tutte le altre, in una serie di vittorie immaginate - soprattutto se era la quadra del cuore - o di altrettanto fantasiosi pareggi o sconfitte (specie se si trattava dell'Inter). Chissà che pasticcio combinerei adesso tra campionato, coppe nazionali ed europee, «amichevoli» internazionali, nonché copiose dosi di calcio iberico o britannico ecc. Si dirà, ovviamente, che la televisione cattura la «realtà» della partita molto più della voce di un cronista radiofonico. Ma mettetevi nei panni di uno che, come me, ha smesso ormai da decenni di essere un tifoso, si è cimentato assai poco di persona con la palla, e come se non bastasse dotato di scarso spirito agonistico. Aggiungete che non amo i reality e mi sono un po' stancato delle attuali versioni della ormai mitica «Tribuna politica» (che per la foga di partecipanti e conduttori assomigliano piuttosto a dei tribunali). Cosa mi resta allora? Forse, solo «Protestantesimo» in tarda serata!
E tuttavia, non condivido il parere di chi pensa che tanto calcio in tv equivalga a un'overdose di qualche droga. Il punto è che l'eccitazione che il calcio produce anche in chi tifoso non è non deriva da una meccanica associazione di stimoli sensoriali, ma da una sofisticata struttura di simboli. In questo senso, guardare una partita è come guardare un quadro. Certo, un conto sono le riproduzioni che ci offrono i media, un altro è la «presa in diretta».
Comunque, quello che conta è il coinvolgimento in una trama di significati che vanno al di là di semplici linee o macchie di colore, oppure di movimenti di esseri umani in corsa e rincorsa dietro a un pallone. Il calcio è gioco nel senso più pieno della parola. Divertimento, competizione e conflitto. Per di più è un lavoro di squadra e le due formazioni contrapposte sul campo simulano (si spera, sempre in maniera pacifica!) quello che è il gioco più crudele e inquietante: la guerra. Di qui, com'è noto, il piacere che ne traggono non pochi teorici da salotto, che ora avranno praticamente ogni giorno della settimana per esemplificare le loro predilette nozioni di tattica e di strategia.
Ma da parte mia, ho un moto di simpatia per coloro che si lasceranno invece sorprendere dall'imprevisto della partita o dal colpo di genio di questo o di quell'allenatore (Mourinho insegna). In un libro di prossima uscita («Bevo dunque sono», presso Raffaello Cortina), il filosofo britannico Roger Scruton traccia uno spregiudicato parallelo tra il piacere del vino e quello del calcio. Gli innegabili meccanismi di mercato e l'accanimento dei maniaci del genere sono presenti in entrambi i casi, ma non bastano a spiegare quel senso di «ebbrezza» che accomuna chi sa gustare una bella partita con chi sa penetrare il significato di un buon bicchiere. Certo, la televisione confina nell'ambito domestico quello che nel caso sportivo era, almeno all'origine, un grande rito di riconoscimento collettivo. E adesso è un po' come bere da solitari invece che nell'atmosfera un tempo fumosa ma accogliente del pub o dell'osteria. Il fascino però rimane, e talvolta è anzi potenziato dagli strumenti della tecnica.
Scruton lo mostra anche in altri sport. E ci mette pure la caccia alla volpe, manifestazione che io trovo, invece, assai poco sportiva e per nulla amabile (credo che anche la volpe sia del mio parere). Ma questa è un'altra storia.
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