Non sbaglia nulla, ma fino a un anno fa cadeva di continuo. Ha la moto più forte, ma non ha ancora rinnovato per il 2011 (dettagli legati agli sponsor). Soprattutto: è il prossimo campione del mondo 2010 della MotoGp. L'unico che non ha smarrito le certezze a contatto con Valentino Rossi: il contrario, casomai. Jorge Lorenzo, 23 anni, pondera le parole e ha una certezza:
«Valentino non mi ha insegnato niente».
A inizio carriera era un pilota pazzo, ora è un abile calcolatore. Come ha fatto?
«Ho una storia simile a Federer: prima spaccava racchette, poi si è calmato. L'uomo è fatto di abiti che non vuole togliere, cambiare se stessi è una violenza. È una ricerca continua e faticosa. L'essere umano è come il mio numero, il 99: angelo e diavolo. Non puoi avere solo pregi o solo difetti».
Forse però adesso è diventato un po' robot.
«Non puoi piacere a tutti. C'è chi dice che sono supersimpatico e chi mi detesta. Come per le esultanze. L'importante è che la mia vita piaccia a me».
Cosa ha pensato quando a febbraio si è rotto il polso?
«Che avevo rischiato troppo. L'infortunio era la risultanza di una mia colpa. Freddamente l'ho capito e dall'errore ho imparato. Quasi tutti tendono a fare gli stessi sbagli, io provo a non farlo».
Due anni fa ammise: «Ho paura di morire». Adesso?
«È impossibile andare veloci se pensi alla morte. È qualcosa che si retroalimenta a ogni curva. Dissi quella frase dopo l'incidente a Montmelò. Battei la testa, dopo tre giorni non ricordavo nulla. Ebbi troppo tempo per pensare: la moto mi terrorizzava. Poi, lentamente, pensi: "Okay, è pericoloso, ma non quanto credi"».
Per Peter Lenz è stato molto pericoloso: è morto sei giorni fa a Indianapolis. Aveva 13 anni.
«Come sempre, le regole si cambiano dopo una tragedia. Quel ragazzo è la vittima che serviva per aumentare il limite di età nella 125 da 15 a 18 anni. Sono d'accordo, ma non sono un esempio da seguire: guidavo moto simili già a 11 anni».
Rossi dice che, grazie a lui, lei ha imparato molto.
«Non so perché dica questo. Valentino non mi ha lasciato imparare nulla: fin dall'inizio ha voluto il muro ai box, uno pneumatico diverso da me... Però la moto era la stessa e sfidandolo ho potuto migliorarmi. Fino a quando ho cominciato a vincere io. Valentino non mi ha mai detto: "Jorge, questo si fa così". Non solo non mi ha insegnato niente, ma ha fatto di tutto perché non imparassi nulla».
È andato via dalla Yamaha per colpa sua?
«Non sono nella sua testa. Di sicuro la mia crescita non lo ha spinto a restare».
Rossi ha sopraffatto i rivali anche a livello mentale: Biaggi, Gibernau, Stoner. Lorenzo no. Perché?
«Perché non dipendo dagli altri. Non mi interessa cosa fa Valentino. Sono ossessionato solo da me stesso. È me che devo sconfiggere, non Rossi».
Ha mai pensato che l'infortunio al Mugello abbia paradossalmente danneggiato lei e non Rossi? Valentino avrà sempre quell'alibi per spiegare la sconfitta.
(sorride) «Ci ho pensato. La gente mi ripete: "Sei stato fortunato". "Certo", rispondo io, "si è fatto male apposta per aiutarmi". Rossi è caduto al Mugello perché andava al limite, e andava al limite perché lo avevo appena battuto a Jerez e Le Mans. Ero più forte di lui e l'ho costretto all'errore, come era capitato a me nel 2008 e 2009, quando era superiore a me. In moto funziona così».
Nel 2011 sarà una lotta a due?
«Ci saranno anche Pedrosa e Stoner».
Per Capirossi lei è un talento costruito, non puro come Rossi.
«Non sono d'accordo. Non è che il talento puoi estrarlo dal sangue e quantificarlo. Il talento più istintivo tra noi è Stoner. Io e Valentino lavoriamo entrambi molto, non lo ritengo più "puro" di me».
Ha mai avuto un idolo?
«No, ma mi piaceva Biaggi. Lo so che per voi italiani è strano, lui non è molto simpatico, però lo vidi duellare nel '95 con Harada e apprezzai il suo stile di guida pulito».
Le spiace sapere che Pedrosa in Spagna sia più amato di lei?
«In ogni paese la gente va con chi vince. Pedrosa è arrivato prima, in ogni classe. Adesso che vinco io, la dinamica sta cambiando».
«Per essere felici non basta una coppa»: sono parole sue.
«Non sei mai felice fino in fondo. Puoi esserlo dieci minuti, non di più. Per apprezzare la felicità, devi attraversare momenti complicati. È una montagna russa. E non è detto che il punto più alto coincida con una vittoria».
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