lunedì 10 gennaio 2011

Musica: Nel tempo di Mario Biondi "Il mio viaggio nel soul"

ROMA - Parlare con Mario Biondi al telefono mentre è in treno verso la casa a Firenze e le gallerie interrompono ogni frase, è come sentire un remix di 40 minuti di una sua canzone. Significa abituarsi alla sua voce bassa, sentirla affievolirsi per poi tornare potente, rimbalzare. Ed è come se un deejay giocando coi piatti, facesse ripetere a quella voce un inciso, ne smembrasse il timbro, ricucisse ritornello e strofe. La voce di Biondi al gioco delle gallerie e della console ci sa giocare benissimo. Si ripete senza sforzo, si alza e si piega, si sovrappone senza eco. E giocando acquista potenza, entra dentro le orecchie di chi ascolta. E sembra ridere.

E' grazie al gioco di un deejay, l'inglese Norman Jay, che la sua è diventata una delle voci più conosciute e tra le più riconoscibili. Certo una delle voci più imitate. E' stato Jay il primo a innamorarsi di This is what you are,  brano uscito nel 2004 e che discografici con poca voglia di giocare avevano rifiutato. "Mi dicevano: Mario questa canzone per radio non passerà mai in Italia", racconta Biondi. Poi aggiunge: "No peggio, mi dissero proprio: 'questa la donna che stira cantando non l'ascolta'. Il pezzo di Tozzi, capisci..".

La canzone, che era stata pensata per il Giappone, venne inserita nella scaletta del programma alla BBC1 del deejay e la voce di Mario Biondi iniziò a risuonare in Inghilterra. L'accento inglese rifiutato in Italia, nel Regno funzionò e così anche l'unione fra soul, jazz e suoni moderni. Quell'anno Mario Biondi fu premiato dal Consolato britannico secondo il quale la sua voce era la rappresentazione perfetta dell'UK-Italy Business. Nel 2006 uscì il suo primo album, Handful of Soul.

Nonostante sia stato paragonato a Barry White, Isaac Hayes o Lou Rawls, c'è una differenza tra la voce di Biondi e quelle di altri. La sua ride. E' ironica, sorniona. Nasconde un sorriso in sottofondo guadagnato col tempo, sopravvissuto. Nel suo timbro non c'è dramma, non ci sono pozzanghere, le ombre non sono buie. E' la voce dei gattacci vagabondi. Quelli che guardano la luna dai tetti. E non a caso nel 2008 Biondi fu chiamato dalla Walt Disney per il progetto del remake de Gli Aristogatti dove reinterpreta Everybody Wants to be a Cat (Tutti quanti voglion fare il jazz nella versione italiana) e Thomas O'Malley (Romeo il gatto del Colosseo).

Quando This is what you are tornò a casa, ripassando dal via dopo aver perso un giro, molti pensarono che Biondi non fosse italiano. "Si fanno giri enormi per tornare al punto di partenza a volte " continua a raccontare il cantante catanese. La voce è improvvisamente ferma, il treno è arrivato a destinazione e il racconto scorre veloce. Passa da ricordi ancora vicini, come quando in poco tempo anche in Italia la canzone diventò un tormentone. Il tormentone assoluto. E tutti di nuovo contenti che Mario Biondi fosse dei nostri. 

"Ci sono stati anni durissimi", spiega veloce. "Ho fatto molta fatica a restare a galla. Gavetta, cori, turnista. E ho incassato molti 'no'. Per farcela bisogna riuscire ad arrivare al pubblico. Ognuno deve trovare il modo per toccare la gente. Non importa se con una major o con un'etichetta indipendente. Non importa se cominciando da angoli di nicchia o dalle piazze. E' il pubblico che decide, ed è una lotta continua. Io non mi sono mai arreso e sempre quando trovo un ostacolo, di base lo aggiro".

Dopo l'album I Love You More (2007), nel 2009 è uscito If, secondo disco di inediti registrato tra Roma e Rio de Janeiro con collaborazioni importanti come quella con Burt Bacharach. If (distribuito da Tattica/ Kiver) ha conquistato 3 dischi di platino per le copie fisiche vendute ed è stato per oltre 2 mesi tra i dieci album più venduti dal primo canale digitale italiano. Per questo iTunes l'ha eletto miglior album di quest'anno scegliendolo tra una rosa di 25 album, con una terza posizione degli album più venduti in download nel 2010.

Mario Biondi è l'unione perfetta tra passato e presente. Il protagonista di un film di fantascienza dove il passato è lo stesso di sempre ma vestito di futuro. Soul e jazz su un vinile intangibile. Come le lampade al plasma che nel passato rappresentavano il futuro ma nel presente sono vintage e nel futuro antiquariato. Biondi non ha  confini di tempo e di spazio. Per questo aggira gli ostacoli. E con lo "Spaziotempo tour 2010" ha ricalcato il modello dei grandi contest dell'epoca d'oro delle big band jazz americane degli anni Trenta e Quaranta, affiancando sul palco due orchestre, una jazz, acustica, e una funky-soul, elettrica. Le ha separate da un tappeto rosso. Era il confine che ha scavalcato durante tutti i concerti, mentre le due band si alternavano, scambiando generi e suoni. Da questo è nato il doppio live Yes you, adesso in classifica insieme a If.

"Una soddisfazione assoluta. Per me la cosa più importante resta cantare, fare concerti. Io di quello vivo", racconta proprio dopo essere tornato dal concerto a piazza Duomo a Milano. Dove la folla, il 20 dicembre, è arrivata nonostante la temperatura sotto zero dei quei giorni. Di fermarsi non ha proprio voglia. Ha una voce potente, si deve appoggiare su suoni in grado di sostenerne il peso. "Sono andato a registrare If a Rio perché volevo che ci fosse un certo tipo di atmosfera. E in Brasile ho suonato con musicisti brasiliani. Volevo che nell'album ci fosse la loro forza, la gioia, il caldo, e anche quella malinconia particolare", spiega Biondi, all'anagrafe Mario Ranno, che ha preso il cognome d'arte del padre Stefano, anche lui cantante.

Nella sua vita ha aperto i concerti di grandi interpreti internazionali, tra i quali Ray Charles. Nell'ultimo album ha collaborato con Burt Bacharach. "Mette soggezione incontrarlo. Lavorarci. E' la moglie che ama l'Italia, così lui a forza di venirci si è appassionato a cantanti italiani. Gli piacciono le nostre voci. Oppure gli servono scuse per venire qui. Fatto sta.." Fatto sta che Bacharach, dopo il duetto tra Biondi e Karima al Festival di Sanremo del 2009, ha scritto per lui il brano Something that was beautiful, poi inserito tra le tracce di If

Oltre ad aver partecipato a "Mai dire Martedì" con la Gialappa's band, per anni Mario Biondi è stato imitato da Fabrizio Casalino tanto da fondersi con la sua stessa imitazione: "E' un genio Casalino, e un ottimo musicista. Mi imita talmente bene che quando ci chiamiamo al telefono facciamo a scambio di posto", dice Biondi. "La visibilità che mi ha dato la televisione mi è servita. Tutto è servito, basta saperci giocare con le cose che abbiamo a disposizione, non cristallizzarsi. La radio per esempio nonostante mi abbia chiuso la porta in faccia diverse volte io la amo molto, vorrei fare un programma prima o poi. Scegliere la musica, parlare". L'importante per lui è non stare fermo. "Non ci sono scorciatoie", continua, "mi diranno ancora no, e allora io mi allontanerò dai no e farò il giro lungo. Tornerò in Inghilterra, passando per il Giappone o dagli Stati Uniti e aggirerò l'ostacolo". L'incognita.

Mario Biondi è stato notato anche da Bluey, leader degli Incognito, che ha remixato No' Mo' trouble, un brano estratto da If, in vetta all'air play radiofonico italiano per tutta l'estate. Bluey ha chiesto a Biondi di partecipare al disco col quale festeggia i suoi trent'anni di carriera interpretando un duetto insieme a Chaka Kahn e un brano da solista (Can't get enough), osannato dalle radio londinesi. "Tornerò a Londra in questo mese. Dice che l'ho ispirato", conclude. Non è più in treno, è passato in macchina. Parla e torna indietro nel tempo. "Ascoltavo di tutto, e tutti i generi, mi piacevano perfino gli Whitesnake. Con quegli spolverini, così rock.. Con tutti quei capelli. E la voce cavernosa di Coverdale". 

E se dovesse fare un duetto in qualsiasi momento spazio temporale? "Con Luther Vandross, senza dubbio. Ma canterei anche A House Is Not a Home di Bacharac, nella versione di Dionne Warwick", dice. Poi si allontana, qualcuno lo ha fermato a uno sportello d'autostrada. Biondi sorride, poi ride più forte. E' contagioso, perché ridono anche al casello. "Ma sì.. Non mi posso lamentare io. Ora proprio no".


con repubblica.it

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