MILANO
Sbarcato a Milano sotto il peso di un passato da cui affrancarsi, Rafa Benitez si trova questa sera a calpestare un lembo di quello che è stato il suo giardino fino alla scorsa stagione: a San Siro arriva il Tottenham, terza giornata di Champions League, il bivio che se imboccato nel modo giusto può portare l'Inter sul rettilineo della qualificazione. Tottenham significa Premier League, mai finita nella custodia dello spagnolo ma anche il club che arpionando il quarto posto ha contribuito a estromettere il «suo» Liverpool dalla Champions, inedito scenario dal 2005. Per non dire di Peter Crouch, il centravanti dinoccolato che Rafa portò nei Reds prima di sbolognarlo 3 anni dopo al Portsmouth.
Insomma, di carne al fuoco ce n'è, il club di North London si presenta qui sull'abbrivio di una vittoria in campionato appena convincente (2-1 sul campo del Fulham) e, come l'Inter, con quattro punti in classifica Champions: nobile in Inghilterra, rincalzo in Europa (una coppa delle coppe, due coppa Uefa nella sala dei trofei, ma a zero dall'84), gli inglesi non dovrebbero sciogliersi come fece il Werder tre settimane fa. Questo nonostante manchi Rafael van der Vaart: il principino olandese è squalificato, niente sfida fratricida con Sneijder. Meglio per l'Inter, peggio per lo spettacolo.
Alle assenze, ovviamente, Rafa Benitez non dà poi troppa importanza. Gli basta aver recuperato tutti i suoi pezzi: superato il collaudo, Pandev e Cambiasso sono fuori dall'officina. Stasera il primo sarà in campo, il secondo forse no a meno che in mattinata faccia capire a Benitez di essere non pronto, ma prontissimo. Sarà anche per questo che al tecnico spagnolo la vigilia scivola via più facilmente del solito, Rafa addirittura fa un'eccezione alle norme del contratto collettivo («non contano i singoli, ma la squadra» il suo dogma) quando viene sfruculiato sulla dipendenza da Eto'o. «L'anno scorso l'Inter ha vinto tutto grazie a Milito, se quest'anno ci ripetiamo con Eto'o sono più che contento». Insomma, Benitez disinnesca il petardo senza nemmeno indossare i guanti, ha altro cui pensare.
Per esempio a come minare il fortino messo su da Redknapp. Il rubizzo Harry, tra l'altro zio di Lampard, agli Spurs ci è arrivato nel 2008 dopo aver frequentato panchine più o meno nobili della Premier (West Ham, Southampton e Portsmouth) e un procedimento penale per una storia di corruzione che lo portò anche in carcere: fa calcio lineare e della traccia lasciata da Benitez nella Premier ricorda una sola cosa: «La finale vinta a Istanbul contro il Milan. Iniziò bene con il Liverpool, ora ha fatto un passo in avanti». Non si spreca in elogi e lo stesso avrebbe fatto Crouch nei giorni scorsi. «Non mi ha mai dato troppa fiducia: per questo a San Siro sarà più bello fargli gol». Qui Rafa un po' si scioglie, lo spilungone al Liverpool lo portò lui nel 2005: «Non segnò per 14 partite, però gli rimasi comunque molto vicino. L'avrei anche tenuto, ma Gerrard e Torres avevano fatto 55 gol... Non credo abbia detto davvero quelle cose, Peter è un bravo ragazzo».
Per Benitez assomiglia a Toni, ma è più mobile: stasera vedremo quanto. Gira e rigira sempre di attaccanti si parla. Qui e altrove: da Barcellona Messi ha spedito una cartolina a Moratti che in settimana l'aveva blandito con messaggi di passione. «Forse scherzava e comunque lo ringrazio, ma per me è sempre lo stesso, qui sto bene, questa è la mia casa». Toccherà aspettare per godersi la Pulce a San Siro. Meglio per l'Inter dare un occhio al Tottenham: i nerazzurri non perdono in casa dal 26 novembre 2008 (Inter-Panathinaikos 0-1). Quella sconfitta non lasciò il segno. Dovesse accadere stasera, potrebbe lasciare un'altra cicatrice.
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