sabato 23 ottobre 2010

Tech: La regola dei clienti schedati L'Italia imprigiona il Wi-fi I bar obbligati a identificare chi naviga sulla Rete

Internet Perché ancora non decolla la liberalizzazione degli accessi al Web


MILANO - Rischia di rimanere «imprigionato» il Wi-fi in Italia. I più stretti
collaboratori del ministro degli Interni, Roberto Maroni, stanno lavorando al
dossier per capire quali sono le possibili mosse sul tema anche se Palazzo
Chigi ieri, dopo il Consiglio dei ministri, ha preferito non comunicare nulla
sulle nuove regole richieste da parlamentari di ambedue gli schieramenti per
permettere la diffusione di servizi di navigazione pubblica senza fili. Il
decreto Pisanu che, per finalità antiterroristiche, aveva introdotto nel 2006
forme ritenute ormai indigeste di schedatura degli utenti - per navigare da un
Internet Point, un bar o una biblioteca bisogna mostrare un documento
d'identità che deve essere fotocopiato - scade il prossimo 31 dicembre.

Il tempo stringe ma nulla sarebbe stato deciso. Ad oggi la posizione del
ministero degli Interni sarebbe quella di mantenerne intatta l'ossatura del
decreto attuale, fatta salva la sostenibilità politica della proroga che ogni
anno scatena polemiche. La lista dei sostenitori del «Wi-fi libero» si allunga
di ora in ora. E non solo, com'è naturale tra blogger e guru del web. Ma anche
tra i politici: l'abrogazione dell'articolo 7 del decreto è stata richiesta da
Paolo Gentiloni (Pd), Linda Lanzilotta (Api), Luca Barbareschi (Fli) e Roberto
Rao (Udc). Antonio Di Pietro (Idv): ora il governo rimuova i blocchi sull'wi-
fi. Anche il blog di Pier Ferdinando Casini ha dato spazio al tema. E il
ministro Renato Brunetta aveva detto giorni fa di non vedere motivi per non
«liberare la rete», lasciando sperare che fosse la volta buona.

Ora il compromesso al quale gli esperti del governo starebbero lavorando
potrebbe prevedere l'identificazione tramite sim telefonica, ma non è escluso
che alla fine si decida di mantenere il rubinetto chiuso così com'è. Lo stesso
ministro Maroni, in passato, aveva mostrato di prediligere il tema della
sicurezza a ogni costo sul web. Nel 2009 alcuni parlamentari in una seduta a
porte chiuse avevano anche dibattuto sulla possibilità di chiudere l'accesso a
Facebook dopo gli odiosi episodi di sciacallaggio digitale da parte di alcuni
internauti. Ma erano stati proprio i collaboratori del Viminale in quel caso a
portare la politica a più miti consigli facendo notare la portata sociale di un
intervento di questo genere (attualmente Facebook è censurato in Cina).

È il più classico dei problemi di Bauman: più sicurezza o più libertà? Il
sostenitori del Wi-fi libero fanno notare che siamo l'unico Paese che prevede
forme così strette di controllo: l'esercente che vuole offrire un servizio di
questo genere deve anche farne richiesta in questura. Né Stati Uniti, né
Israele hanno una tale burocrazia. Anche se gli esperti fanno notare che
diversi casi di criminalità informatica e pedopornografia sono stati risolti
grazie ai paletti imposti dal decreto Pisanu. Il risultato, in ogni caso, si
vede: l'Italia ha poco più di 4 mila hot-spot pubblici, la Francia oltre 30
mila. La Gran Bretagna circa 28 mila, la Svezia 7.700 e rotti nonostante una
popolazione ben più ridotta. È per questo che da noi è così anomalo vedere
studenti o ragazzi con il computer nei caffè, come invece è ormai usuale in
molte città europee. Certo rispetto alle promesse degli esordi il panorama è
deludente: anni fa il comune di Milano aveva anche vagliato la possibilità di
usare gli orologi pubblici stradali, quelli di Ora Elettrica, per diffondere
degli hotspot sul suolo cittadino e permettere l'accesso al web quasi ovunque.
La realtà è ben diversa. Nel 2010, come si scherza sul web, solo i gatti amano
ancora i fili, è le connessioni wireless sono ormai lo standard anche per la
sempre maggiore diffusione di tablet, iPad, eBook e smartphone.

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