siano meglio. Meglio di chi, se il GF è la sentina di ogni nefandezza
televisiva? Meglio di quei salotti che da giorni, con cadenza quasi quotidiana,
si sono buttati sul caso della povera Sarah, come la fiera che sente l'odore
del sangue. Il peggio sono quei programmi che fingendo di mettere sotto
processo la «tv del dolore», di esecrare la morbosità dei loro colleghi,
giocano due parti in commedia: sfruttatori e, insieme, moralisti. Ma non
impantaniamoci in questioni morali, da sepolcri imbiancati, affrontiamo
piuttosto il problema dal punto di vista linguistico. Fra i ragazzi del GF e le
varie compagnie di giro (sempre le stesse persone, inutile fare nomi, ognuno
scelga la squadra che più lo disgusta) ci sono molte affinità e pochissime
differenze drammaturgiche.
Gli uni e gli altri vivono da «reclusi», prigionieri di una casa che spesso al
suo interno contiene il plastico di un'altra casa; sono vittime della coazione
a ripetere (tutti recitano una parte); si adeguano al conformismo dell'
abiezione, che una volta si risolve in una parolaccia e un'altra in una presa
di posizione; sono pedine di un format, cioè di una realtà costruita secondo
alcune regole del gioco. Rispetto ai talk sul delitto di Avetrana, il GF pone
di più l'accento sullo show perché riesce a trasformare un'apparizione
ordinaria in serialità: gli ospiti diventano così protagonisti di una specie di
fiction. Nei salotti d'approfondimento, conduttore e ospiti sono solo
protagonisti dell'opinionismo.
Questa triste storia registra anche il momento più amaramente ironico e quello
più truce. Il primo spetta a Enrico Lucci che per le «Iene» ha confezionato uno
straordinario servizio ambientato davanti alla casa dello «zio orco» in cui
vengono messi a nudo i meccanismi dell'informazione. Il secondo a Barbara
Palombelli, per la famosa lettera aperta a Sarah. Mai sentito una cosa scritta
così male, stilisticamente disdicevole.
Aldo Grasso
Nessun commento:
Posta un commento