Ascoltando ancora oggi il dialetto siciliano si capisce come la provenienza
della "frastuca", ovvero del frutto della pianta di pistacchio, nell'isola, sia
dovuta principalmente all'opera degli Arabi, che iniziarono nel territorio una
coltivazione che ancor oggi fa sì che i pistacchi della cittadina etnea di
Bronte (che si sono visti riconoscere la DOP, dopo un lungo iter, all'inizio
del 2010) siano apprezzati in tutto il mondo per il loro gusto e aroma
inconfondibili. Proprio gli Arabi, attorno al 900 dopo Cristo, fecero del
territorio di Bronte una zona di produzione capace di sfornare un prodotto di
altissima qualità, che nasce dal felice connubio con il terreno lavico sul
quale le coltivazioni di pistacchio hanno trovato il loro Eden.
Gli alberi di pistacchio, una pianta che può raggiungere anche i 12 metri di
altezza e i 300 anni di età, hanno la particolarità di non necessitare di
trattamenti particolari: non si concimano, non si irrigano e vengono potati
solamente per eliminare rami secchi e gemme, negli anni in cui non c'è
produzione. La pianta, che inizia a produrre frutti dopo dieci anni di vita, ha
una produzione a ciclo biennale, e i contadini della zona si preoccupano solo
del fatto che essa possa disporre di tutte le energie necessarie per l'annata
(la raccolta avviene negli anni dispari) in cui si procede alla raccolta dei
frutti. Una raccolta che, a causa della conformazione del terreno, avviene
senza ausili meccanici, in modo manuale con l'uso di teli o reti stese ai piedi
delle piante oppure di ceste portate a spalla.
Una volta raccolte, le drupe del pistacchio vengono "sgrollate"
meccanicamente, per eliminare il mallo coriaceo, rivelando il pistacchio in
guscio, la "tignosella", che nella zona di Bronte chiamano "babbalucella", da
conservare in luogo buio e asciutto. Dopo la sgusciatura e la pelatura, che
elimina la pelle di colore violaceo che ricopre il frutto, e il passaggio in un
circuito di essiccazione, il pistacchio Verde di Bronte pelato è pronto per
sbarcare sul mercato, con l'80% della produzione (la produzione biennale media
siciliana è di circa 32.000 quintali di prodotto sgusciato) destinata a finire
nei mercati esteri, con Francia e Germania in testa.
L'industria nazionale lo utilizza soprattutto per le carni insaccate, un terzo
della produzione interna finisce nel settore dolciario e un sesto circa in
quello gelatiero, mentre gli utilizzi in cucina spaziano dal salato al dolce,
dal "pesto di pistacchio" (solo pistacchio ed olio di semi) alle "paste di
pistacchio", con i frutti del pistacchio che in alcune situazioni si
sostituiscono alle mandorle.
Per chiudere, oltre al gusto, le sue proprietà. Una recente ricerca
californiana della Loma Linda University, pubblicata su Archives of Internal
Medicine, conferma la sua validità nell'abbassare il colesterolo "cattivo" nel
sangue, mentre secondo un'altra ricerca dell'American Association for Cancer
Research, il pistacchio aiuta anche nella prevenzione delle malattie polmonari
e presenta proprietà anti-tumorali.
Proprietà benefiche per l'organismo che nel corso della storia erano state già
più volte teorizzate, come ad esempio nel "Trattato della natura dei cibi e del
bere" di Baldassarre Pisanelli, che nel 1611 così scriveva dei pistacchi:
"Levano meravigliosamente le opilationi del fegato, purgano il petto, e le
reni, fortificano lo stomaco, cacciano la nausea, rimediano al morso de'
serpenti". Per quanto con l'ultima delle affermazioni si sconfini decisamente
nel campo della magia…
con lastampa.it
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