di una tedesca: disorganizzazione e ritardi nel vietare i bagni
Davanti all'hotel Hyatt Regency, sono rimasti un bel po' a guardare il mare, anche adesso che viene la sera, come se si guardasse il cielo aspettando l'attacco del nemico.
Ogni tanto arriva qualche bambino correndo, con le parole che escono nel fiatone, «sono tornati, sono tornati gli squali...».
Paul Simmons, 36 anni, da Newcastle, dà appuntamento al Bar Taverna, un posto pieno di fumo e birra, con la musica che ti spacca le orecchie e le partite di calcio sugli schermi. Dice: «Tanto i bagni non si possono fare». Allarga le mani nell'aria: «Lo sa come si chiama questa baia? Si chiama Sharks Bay, la baia degli squali. Ci sarà un motivo se non l'hanno chiamato il golfo d'oro, no?».
Andando là, Na'ama Bay ha un'aria strana, con le sirene che suonano e la gente che guarda le pantofole alle vetrine. Giù al pontile, beccheggia l'ultima vedetta delle guardie, e c'è una sfilata di barche all'attracco, gozzi, golette, motoscafi, e un mucchio di marinai che scrutano il mare come noi, senza sapere cosa fare. Yussef Eissa è uno di quelli che è tornato dalla caccia e brontola di star tranquilli, che adesso si risolve tutto: «È arrivata una task force, ci sono americani, svedesi, italiani...». Sulla strada, piena di rumori, vendono giornali inglesi. Lui si siede su un muretto di calce, e cerca di spiegare che è stata una cosa rarissima, che è già finita. Paul, però, riparte lo stesso oggi, perché lui c'era l'altro giorno, quando Ellen Barnes è tornata sulla spiaggia che piangeva, mentre lo squalo sbranava una signora tedesca di 70 anni sotto i suoi occhi, lui c'era e non ne può più. «Eravamo accanto», ha detto Ellen. «E lei urlava help me!, help me!, in inglese. Io la sentivo, ma faticavo a tenere la testa fuori dall'acqua: era diventata tutta rossa. Nuotavo in mezzo al sangue. E vedevo lo squalo che le tornava addosso. L'acqua frullava come se fosse una lavatrice. Mai avuto un terrore così».
Lo squalo ha strappato con un morso solo la gamba e il braccio della poveretta. L'hanno detto i medici: è morta perché ha perso sangue «in maniera catastrofica», l'hanno spiegato così ai cronisti. Ellen Barnes, 31 anni, di Horsham, West Sussex, madre di due figli, ha visto tutto questo: «Era grande il doppio di noi. Sarà stato di tre metri. L'ha azzannata davanti a me, andava indietro e ritornava. E quando si muoveva mi buttava contro l'acqua e tutto quel sangue». Suo marito, Gary Luce, era anche lui lì, a pochi passi: «Ho gridato ai bagnini di intervenire, ma non c'è stato niente da fare. Non riuscivano a reagire. Erano paralizzati. Vedevo lo squalo strappare a morsi la donna e tornare all'attacco. Stavo cercando di portare Ellen e gli altri fuori dal mare. Loro non facevano niente».
Vedi, dice Paul, il problema è tutto qui: «La disorganizzazione, la superficialità. Gli squali ci sono sempre stati, ma non sono mai arrivati così vicini a riva. Qualche giorno prima un altro pescecane aveva già ferito quattro turisti. E loro cos'hanno fatto? Hanno riaperto i bagni e i bagnini ci ripetevano di star tranquilli. Penso sia una vergogna quello che è successo». È la stessa cosa che racconta Roberto Rambaldi: «Non sono preparati. Loro usano un fischietto e ti richiamano. È tutto quello che fanno». Per la verità, hanno fatto qualcos'altro. Ma forse non è stato un bene. Perché l'incubo degli squali a Sharm el Sheik era cominciato una settimana fa, l'1 dicembre, quando Viktor Kolly era stato attaccato sempre nella stessa baia, riportando diverse ferite. Adesso ha una camicia azzurra, un'aria sudaticcia, e l'aria del sopravvissuto: «Ricordo d'aver visto un enorme corpo grigio che si muoveva verso di me. Ho cercato di colpirlo e di scappare». A Olga Martsenko va peggio perché perde una mano, divorata dallo squalo. Il giorno dopo tocca a Ludmila Stolyarovoy: via la mano destra e il piede sinistro. E a Evgeny Trishkin, che se la cava con qualche ferita alla gamba destra.
Da questo momento comincia il pasticcio. All'inizio i bagni vengono vietati, ma quasi sommessamente, senza farlo sapere troppo in giro. Poi parte una squadra di 12 cacciatori di squali, che tornano a riva con la preda, mostrandola alle telecamere, a muso spalancato. Il ministro dell'Ambiente Maged George annuncia che è stato preso lo squalo killer: «Verrà imbalsamato ed esposto», ripete tronfio, dichiarando riaperti i bagni. Solo che il vero pescecane era stato ripreso da un sub e non è lo stesso, perché quello assassino ha una ferita sulla pinna caudale. Come se non bastasse, pochi giorni dopo, viene uccisa la turista tedesca davanti all'hotel Hyatt Regency. Questa volta è una tragedia: il turismo rappresenta da solo un terzo dell'economia egiziana, un crollo per Natale sarebbe un disastro. Però, le disdette cominciano a fioccare, e la gente inizia ad andarsene. Allora l'Egitto chiama a raccolta tre esperti - George Borgess, Marie Levine e Ralph Collier - e Hisham Gabro, presidente dell'ente attività subacquea di Sharm, ce ne aggiunge pure degli altri. Ahmed Saleh, portavoce del governo del Sud Sinai, proclama il loro arrivo. Si mette al lavoro anche una nave oceanografica svedese. George Borgess dice che in effetti sono molto strani questi episodi, che gli squali siano arrivati così vicini alla riva. «Dev'essere successo qualcosa che li ha attirati». Che cosa? «Lo studieremo». Forse il cibo buttato dalle barche. Gli assassini sarebbero due: «Il primo dovrebbe essere uno squalo oceanico di pinna bianca», un Longimano. «E il secondo un mako».
Yussef giura che li stanno prendendo. Dice che forse li hanno già presi. Seduto sul muretto guarda la strada che si svuota. Il Buddha Bar è ancora mezzo vuoto. E Paul ora ha una gran fretta. Scappa via.
con lastampa.it
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