squadra in tre campionati del mondo
MILANO - E' morto a Milano Enzo Bearzot, ct campione del mondo dell'Italia nel
1982. Il "vecio", allenatore amatissimo, se n'è andato in silenzio: era
gravemente malato, ma non voleva dirlo a nessuno. Era nato nel settembre del
'27, aveva dunque 83 anni. La sua foto con Pertini, e in mezzo la Coppa del
Mondo, è sui libri di storia. E' stato un esempio di stile e compostezza, sia
da calciatore che da allenatore. Lascia la moglie Luisa, i figli Glauco e
Cinzia, e un immenso rimpianto dentro e fuori il suo mondo.
E' stato alla guida della Nazionale, dal '75 al 1986. Esordì con un Italia-
Finlandia 0-0. Fu ct in tre Mondiali, ottenendo un insperato quarto posto in
Argentina. Un Mondiale in cui sbocciarono giovani come Gentile, Cabrini,
Scirea, Tardelli e Paolo Rossi. Un gruppo fantastico che poi Bearzot avrebbe
portato alla vittoria nel Mondiale del 1982. E fu per le ragioni del cuore che
confermò un gruppo ormai sfiorito nel 1986, quando la Nazionale fu eliminata in
Messico agli ottavi di finale dalla Francia di Platini. Fu la sua ultima
partita alla guida della
squadra azzurra.
Ora è forse ovvio dire che Bearzot non c'entrava nulla con il calcio di oggi.
Non avrebbe mai elencato i tredici errori arbitrali come ha fatto Mourinho
l'altro giorno. Si può parlare di uno stile Bearzot, certo. Uno abituato a
combattere con la stampa ogni mattina, ad affrontare -come successe davanti a
un albergo di Roma - un giovane tifoso che lo chiamò scimmione perché non aveva
convocato Beccalossi. Alla fine - la storia insegna - ha avuto ragione lui.
Il suo capolavoro fu la preparazione del Mondiale 1982. Una squadra assediata,
un mondo allo sfascio che usciva dal calcioscommesse, un centravanti -Paolo
Rossi- reduce da una lunga squalifica. Bearzot creò un gruppo perfetto, con un
allenatore in panchina, e uno in campo che si chiamava Zoff. Fu un Mondiale a
nervi tesi quello in Spagna, nacque il famoso fenomeno del silenzio stampa, poi
replicato infinite volte.
Fu la vittoria del "noi soli contro tutti", con una stampa e un paese
totalmente ostili, con un giovanissimo Antonio Matarrese presidente di Lega che
"voleva prenderli tutti a calci del sedere" dopo la deludente amichevole pre-
mondiale. Ma in Spagna fu un crescendo. Un girone eliminatorio deludente,
condite da feroci polemiche sul pareggio con il Camerun (1-1) che diede la
qualificazione all'Italia. Bearzot ha sempre respinto con sdegno le
insinuazioni sul risultato, e ne rimase ferito.
La seconda fase fu un trionfo: Gianni Brera, che era appena arrivato a
Repubblica, la raccontò magistralmente. L'Italia mise in fila Argentina e
Brasile cancellando la loro supponenza, fece risbocciare quello che da quel
momento diventò Pablito, e cioè Paolo Rossi. Ma quel Mondiale segnò la scoperta
di una delle ultime ali vere, Bruno Conti, il ragazzo di Nettuno, che in
Nazionale ci era arrivato perfino tardi.
Arrivati alla semifinale con la Polonia, l'Italia di Bearzot sembrò non avere
più rivali, spinta da un paese intero. Bearzot si permise perfino il lusso di
lanciare un diciottenne di nome Bergomi, uno che si fece crescere i baffi per
sembrare più adulto. Da allora fu detto "lo zio". L'Italia superò i polacchi,
poi sbaragliò la Germania in finale, con quelle scene che vanno e rivanno sui
siti e sui tg di tutto il mondo in queste ore: Pertini in piedi con Juan
Carlos, l'urlo di Tardelli, la Coppa alzata al cielo da Zoff, ma poi anche da
lui: elegantissimo, in giacca bianca.
Poi il viaggio di ritorno sull'aereo del presidente Pertini, con quella
partita a scopone con Zoff, Causio e il presidente, quasi più combattuta della
finale con la Germania, fra rimproveri e sorrisi. Il ritorno all'aeroporto di
Ciampino, con la gente fuori e gli azzurri stremati dai festeggiamenti.
Forse a quel punto Bearzot avrebbe dovuto lasciare la Nazionale, ma non era
nel suo stile e nella sua natura. Insistette sul gruppo dei vincitori, andando
incontro a problemi simili a quelli della Nazionale post-Germania. Fallì la
qualificazione agli Europei. Puntò tutto sui Mondiali in Messico, ma si portò
fino alla fine una incredibile indecisione sui portieri, Galli e Tancredi.
Scontava un momento di magra del calcio italiano, puntò su un Antonio Di
Gennaro come cuore del gioco italiano, ma l'esperimento fallì. Un po' per
stanchezza, un po' per consunzione, l'Italia uscì quasi subito, nel Mondiale
che incoronò il genio di Maradona.
Dopo l'addio alla Nazionale, si ricorda poco di Bearzot. Se non la certezza
per il calcio di avere un padre della patria, un garante di onestà, un vecchio
saggio che ogni tanto ricordava, anche solo con una smorfia, che si stava
esagerando.
con repubblica.it
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