martedì 21 dicembre 2010

Soldi: La rivincita degli scravattati

Dalla politica alla finanza, sono sempre più numerosi: è la fine di un simbolo
dell'ufficialità?

E così ci siamo arrivati. Nell'era liquida, la cravatta è diventata l'ultimo
fragile steccato, il simbolo della forma che è anche sostanza, codice di
comportamento. Un po' come quei preti che hanno vietato in chiesa pantaloncini,
scollature e ciabatte, torna il richiamo all'ordine.

E' successo in Germania. Il cristiano-democratico Jens Koeppen ha scritto una
lettera ai segretari del Bundestag, invitandoli a mettere una cravatta quando
esercitano le loro funzioni, per rispettare «la dignità» della Camera. Se non
lo faranno, non verranno più chiamati. Andrej Hunko, un deputato della Linke
che non possiede neanche una cravatta ha protestato contro l'obbligo di
indossare «un accessorio di moda del XIX secolo» e il dibattito si annuncia
infuocato. Forse perché il limite è stato superato. Anche da noi, con mix
casuali che spesso sconfinano nella sciatteria. «Sono molto più eleganti i
commessi nei loro completi blu», lamentava già qualche anno fa l'ex senatore
Mario D'Urso, che avrebbe voluto rendere obbligatorio il cambio d'abito per il
pomeriggio, in segno di rispetto per le istituzioni. E dire che in Italia le
regole ci sono: giacca, anche senza cravatta alla Camera, giacca con cravatta
obbligatoria al Senato, chiunque tu sia, politico, giornalista o cameraman. Se
non ce l'hai, te ne danno una, e pazienza non si intona all'abito.

Non è la prima volta che qualcuno cerca di rivalutare la tradizione. Nel 2007
il sovrintendente Stephane Lissner ha fatto stampare sul retro dei biglietti
della Scala un regolamento: per gli uomini, abito scuro alle «prime», giacca e
cravatta a tutte le rappresentazioni; per le donne, abbigliamento consono al
decoro dell'istituzione (questo è più difficile: ci sono stati scandalosi oblò
con piume le cui proprietarie avrebbero dovuto essere rispedite a casa). Ma
l'esercito degli Scravattati avanza. Non solo Sergio Marchionne, il
supermanager che ha stupito i cinesi, colpiti dal suo maglione casual: da
quando hanno adottato lo stile occidentale, caravattizzandosi, sono diventati
più formali che mai. Barack Obama è entrato nella classifica degli uomini più
eleganti di «Esquire» con abito scuro e camicia immacolata aperta su collo
nudo. Tony Blair, perfetto con la cravatta rossa e perfetto senza, l'ha tolta,
scatenando un terremoto dentro e fuori il partito laburista. Il successore,
Gordon Brown, ci ha rinunciato e ha perso dei punti. David Cameron adesso rifà
Blair anche nel nodo senza perdere la snobissima aria oxfordiana. Nicolas
Sarkozy, oltre alla moglie, ha anche la cravatta italiana. Gli piacciono quelle
di Maurizio Marinella, ma quando si è sposato ne portava una di Luca Roda, che
rifornisce destra e sinistra, da Junichiro Koizumi, per tre volte primo
ministro del Giappone, a Joaquín Navarro Valls, portavoce di due Pontefici, e
poi Giulio Tremonti, Luca Cordero di Montezemolo, Marcello Pera, Ennio Doris,
Luigi Abete, Diego Della Valle. E, a sostegno del cristiano-democratico Jens
Koeppen, arriva una tendenza segnalata da Future Concept Lab di Milano. «Si
chiama extra rules - spiega il sociologo Paolo Ferrarini - ed è l'adesione
spontanea a un sistema di regole, decisa perché a un certo punto ne sentiamo il
bisogno. La ritualità è importante: significa mettere ordine nel caos,
rispettare un ruolo. Parafrasando Nanni Moretti, chi veste senza cura, male,
vive male e pensa male».

C'è anche un'altra ragione che fa puntare gli occhi sulla cravatta. Da qualche
anno è diventata un segno di identità politica. Ha cominciato la Lega Nord con
il verde. Cravatta pastello rosa o beige e sei finiano. Cravatta blu a pois e
sei berlusconiano. Con la cravatta rossa sei ovviamente di sinistra, con la
cravatta viola (Popolo Viola) o fucsia e sei vicino a Di Pietro. Gli altri si
organizzerranno. I colori disponibili sono rimasti pochi.

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