Quando gli inquirenti spiegano che «s'indaga a 360 gradi» sul fallito agguato al direttore di Libero Maurizio Belpietro, bisogna capire bene cosa intendono. Se da una parte l'inchiesta considera l'episodio prodromico a un attentato e prende in considerazione la pista indicata dal Viminale di un possibile "giustiziere solitario", dall'altra fa pesare una montagna di dubbi sullo stesso attentato. Non si vuole insomma precludere alcuna strada.
Così, la moviola delle indagini in queste ore passa e ripassa sulle stesse immagini della serata di giovedì nel palazzo di via Monte di Pietà, senza riuscire però a fissare un fotogramma certo che faccia decollare una pista anzichè l'altra. Ufficialmente è in atto la caccia all'uomo che verso le 22,45 di giovedì sera si sarebbe trovato sulle scale a pochi metri dal pianerottolo dell'abitazione di Belpietro, armato di pistola e vestito con camicia grigio verde, dei pantaloni da tuta e scarpe da ginnastica. Un abbigliamento più da ladro che da terrorista, non fosse per quel particolare riferito dal caposcorta, l'agente Alessandro N., di «due mostrine» da finanziere appuntate sul colletto della camicia. Un camuffamento approssimativo per far pensare a un "piano". Ma nel racconto fatto dal caposcorta, finora unico testimone oculare dell'agguato, il "piano" dell'attentatore sembra assai sgangherato e gli stessi investigatori vi trovano delle incongruenze che solo lui potrà chiarire. Vediamo quali.
Primo: la dinamica. Il misterioso attentatore decide di entrare in azione, di trovarsi cioè sulle scale vicine al pianerottolo dell'abitazione di Belpietro, accettando il rischio elevatissimo di venire scoperto dalla scorta. Che, solitamente, procede alla "bonifica" dell'ambiente in cui opera, controllando prima e dopo aver messo al sicuro "la personalità". Ci si chiede: perché un terrorista, che si suppone abbia per lo meno studiato l'ambiente e le abitudini del soggetto che intende colpire, decide di correre un rischio così alto e soprattutto di non agire, come quasi sempre avviene, con un complice vicino? In fondo, all'uomo, sarebbe bastato aspettare altri 10 minuti prima di entrare in azione, scongiurando così la possibilità di essere scoperto.
Secondo: la fuga. Appena si trova davanti l'agente, l'uomo punta la pistola. L'arma s'inceppa. Il poliziotto si ritrae dietro un angolo e spara due colpi ad altezza d'uomo. Le scale sono abbastanza strette, l'agente è un tiratore esperto, ma nessuno dei colpi va a segno. Inizia l'inseguimento. Al terzo piano il caposcorta spara ancora, e questa volta va in frantumi una finestra. L'attentatore continua a scappare. Invece l'agente rallenta la corsa, si ferma. Decide di tornare indietro. Strano ma non del tutto illogico: e se in fondo alle scale ci fosse stato un complice pronto a sparare? Non si potrà mai sapere, perché nonostante i colpi e il trambusto che tutti gli inquilini del palazzo sentono distintamente, nessuno scorge alcunchè.
Nell'androne al pian terreno ci sono due porte. Una sbuca sul cortile principale, dove è in sosta l'auto di scorta a bordo della quale c'è un altro poliziotto che incredibilmente non si accorge nemmeno degli spari. L'altra invece si apre su un cortile più interno, circondato da un muro alto circa tre metri e che degrada sulla destra diventando un po' più basso. E' la via di fuga, racconta il caposcorta, scelta dall'attentatore che però, per quanto agile, deve scavalcare un ostacolo comunque notevole. Per quanto a metà metà muro scorrano dei tubi che si possono usare come appoggio. Di fatto, anche in questo caso nessuno vede nulla e sul muro non si trovano impronte tranne forse, ma va ancora stabilito con certezza, di un anfibio. Nei fatti l'attentatore scompare nel nulla.
Se avesse scavalcato il muro, unica via di fuga, si sarebbe trovato nel cortile di un palazzo nobiliare che si affaccia su via Borgonuovo, laterale rispetto a via Monte di Pietà. Ma, scendendo da questa parte, avrebbe dovuto atterrare su dei cespugli. Eppure l'altra mattina non si sono trovate tracce né foglie spezzate. Infine, a rendere perplessi gli inquirenti, c'è il precedente dell'attentato all'ex procuratore Gerardo D'Ambrosio. Anche in questo caso un agguato fallito, sventato sempre dallo stesso caposcorta che ora si occupa di Belpietro e su cui vi furono forti dubbi. Nemmeno allora si trovò un testimone che confermasse la versione dell'agente. Poi promosso e trasferito ad altro incarico.
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