condividi facebook twitter
La commedia di Guerrieri nella "sua" città. In platea il portiere e i tifosi commossi
Il teatro municipale, irto di capitelli, verzure paradisiache e cariatidi popputissime, insieme brutto e delizioso, è, con il faro e il campanile, l'unico edificio alto della città. Perché Calais è una città a un piano, bassa, come se le case avessero anch'esse paura del vento, delle tempeste, cimmeria, disposta a angosce kierkegardiane. Mercoledì sera la gente che entrava in sala non era quella solita della saison: erano facce abbronzate, da gradinate e non da palco, facce di tifosi gagliardi, abituati ai desideri di immediato rigoglio. Quelli per cui la continuità è tutto indipendentemente dal campionato in cui gioca la sua squadra; e così la lealtà nelle avversità, e le piccole soddisfazioni che bastano a regalar loro grandi ricompense emotive. Era, infatti, una serata molto molto speciale, un'occasione di singolare incandescenza. Un autore, Osvaldo Guerrieri, e una compagnia teatrale italiana raccontavano l'unica, la vera, la recente chanson de geste di Calais.
E' dai tempi in cui gli inglesi sbarcavano per guastare la Francia che non succede niente. Perfino la redenzione, nel 1944, ha scelto bisbeticamente altre spiagge benché qui lo sbarco fosse più comodo. Poi la greppia del carbone è finita, il porto è stato isteccolito dal tunnel sotto la Manica: Calais è diventata una tangenziale e una città dove si fermano solo i sans papiers, prima di fuggire nascosti in qualche camion in Inghilterra. Calais è davvero gremita di delusioni come la stiva di una nave corsara. Guerrieri non è mai stato a Calais, anche lui l'ha sfiorata da lontano andando in Inghilterra. Eppure ne ha capito il tarlo segreto. Guerrieri non è neppure uomo di calcio, non è contagiato da questo amore monogamo, da questo amore finchè-morte-non-ci-separi, forse perché ha sempre amato il teatro che non sopporta rivali. Eppure ha scritto Alè Calais che racconta appunto un'epopea calcistica. E in controluce ci dice cose della Storia e della vita. Correva l'anno 2000 quando la squadra locale, tutti amatori, è arrivata alla finale della coppa di Francia. La commedia rappresentata con successo in Italia, ora è venuta a far la prova di sé dove quella fiaba sportiva è sbocciata. Prima di andare il prossimo anno all'assalto della smorfiosa Parigi. Ma è a Calais che deve passare l'esame più severo, che è quello dei testimoni, dei protagonisti, della vita.
La luce si spegne: Marianella Bargilli attraversa il teatro e raggiunge sul palcoscenico i tre musicisti che le danno il controcanto, e comincia a raccontare. Pochi minuti, il tempo di cogliere il ritmo, i personaggi evocati in rapide pennellate, i tifosi il sindaco l'allenatore, più vivi dei vivi, che incalzano a mitragliatrice. Sul palcoscenico e in sala prende un fuoco, un riso, una festa che ricordano Goldoni. Non succede spesso ormai a teatro, ma stasera la polvere non è bagnata, il salutare incendio dello spettacolo allestito da Emanuela Giordano divampa.
Gli spettatori erano là, il 7 maggio 2000, impiastricciati di giallo e d'oro, i colori della squadra, 2500 sperduti sulle gradinate assiro-babilonesi dello Stade de France. Il potente telescopio di Guerrieri li riavvicina a quel giorno, racconta come un tempo si narravano nelle piazze le imprese dei paladini ariosteschi, che adesso son diventati portieri e centravanti. Sul palcoscenico si materializzano l'allenatore-impiegato; e il goleador che lavora al centro commerciale e nessuna squadra di professionisti ha mai voluto; il presidente–parrucchiere… Si ride si ricorda si riassapora. Non c'è il tempo di tirare il fiato, questo spettacolo è una camera senza serratura come i ricordi, si apre la porta, si avanza a occhi chiusi. Quando l'attrice-narratrice (brava e impavida anche nell'affrontare le parti in francese) arriva alla finale, i fischi seppelliscono l'arbitro maledetto, monsieur Colombò, che all'ultimo minuto si inventò un rigore assassino.
Così teatro e vita si danno la mano, si scambiano le parti e sul palcoscenico salgono loro, sì, gli Aiace di quel giorno, che erano in platea, a guardare e a guardarsi. Il razzo finale di questo teatrale fuoco di artificio. C'è lui, Cédric Schille, il portiere «dai guanti di ferro», che parlava alla sua porta prima del fischio di inizio, la blandiva, perché, racconta, «quella è la mia casa». Gioca ancora, l'ultimo, nel Calais, sempre in quinta divisione, perché i miracoli son tali in quanto non si ripetono, per non smarrire lo smalto e il segno. Gli altri sono tornati all'ufficio e al centro commerciale, custodendo con pudore il ricordo del giorno in cui Calais, finalmente!, fece di nuovo sognare la Francia. E che adesso è immortale come il teatro.
Nessun commento:
Posta un commento