l'ho vista è sulla foto che mi hanno mostrato i carabinieri". "Per noi chi
tocca una bambina merita la morte". "Ora andrò in Marocco, come avevo in
programma. Poi tornerò, da voi lavoro e mi trovo bene"
"Mi hanno trattato come un mostro Ma resto qui, l'Italia è il mio paese"
L'ingresso del carcere di Bergamo
BERGAMO - All'inferno e ritorno, l'operaio edile Mohamed El Fikri la sua prima
rivincita - puntuale - la consuma diciassette minuti dopo le 13: "Sono io il
mostro brutto e cattivo, vero? - chiede caustico agli agenti di custodia che
gli restituiscono gli effetti personali, una collanina e un braccialetto di
cuoio, nell'atrio del carcere di via Gleno - Allora è meglio che quei
giornalisti là fuori la mia faccia non la vedano proprio..." Detto e fatto.
Almeno questo, a Mohamed, dopo tre notti in isolamento, glielo dovevano. "Ha
voluto così lui, per evitare di essere assalito dai flash e dalle telecamere",
allarga le braccia, quasi sollevato, Tonino Porcino, il direttore della Casa
circondariale bergamasca.
Descrivono Fikri come un tipo pacato, uno che di solito sta nel suo, mai sopra
le righe. L'unico colpo d'ala è questo, scivolare fuori dai suoi incubi e da
quelli dell'Italia con la più classica delle uscite di scena: quella che non fa
distinzione tra furbi, malvagi e giusti. A bordo di un furgone della polizia
penitenziaria, vetri oscurati, lampeggianti spenti. Senza auto staffetta, senza
la scorta mediatica degli avvocati. "Mi hanno fatto passare per un orco, per un
animale - si è sfogato Mohamed con i suoi legali e con il cugino-ombra
Abderrazzaq, le persone che, assieme agli amici Younesse e Abdel, per prime gli
hanno parlato dopo la scarcerazione e che lo hanno atteso in un autogrill sulla
A4 dove era parcheggiata l'auto che lo ha poi riportato a Montebelluna - Chi
tocca
una bambina è un animale, per noi arabi è una colpa infame, atroce, che merita
la condanna a morte".
Il furgone che rimette Fikri nel mondo dei liberi è uno dei tanti che fanno la
spola tra il Tribunale e il passo carraio del carcere. Le troupe televisive li
zoomano tutti, e fa niente se il mancato "mostro di Brembate", atteso sul
soglio del casermone blindato che in altri lustri ospitò Tortora e Tassan Din,
la modella Terry Broome e una mezza generazione di brigatisti rossi, riesce a
rimanere un fantasma. Sono le due e mezza del pomeriggio. Dopo avere restituito
la beffa (complice anche la trattativa per un'esclusiva con Porta a Porta) a
chi lo ha tirato in mezzo a questa storia, Mohamed è già in autostrada. Con lui
il cugino Abderrazzaq, che in questi giorni aveva sempre giurato sulla sua
innocenza, sicuro che la traduzione della frase di Mohamed si sarebbe rivelata
una bufala.
Più che Allah, poterono sette traduttori e un biglietto navale. Quello per
Tangeri che Fikri aveva in tasca dal 29 novembre (tre giorni dopo la scomparsa
di Yara, è vero, ma avvalorato dalla testimonianza del suo datore di lavoro con
il quale il muratore aveva concordato il viaggio-vacanza già da un mese). La
rabbia che ha addosso è una di quelle croste che vanno levate subito: durante
il breve transito sul cellulare lungo la circonvallazione che porta in valle
Seriana, e poi in autostrada, in mezzo alla nebbia. "Non ho mai pronunciato la
parola "ucciso", non so come hanno fatto a tradurla in questo modo", ha
spiegato Fikri ai suoi legali Roberta Barbieri e Giovanni Fedeli. "Prima di
imbarcarmi per il Marocco avevo chiamato una persona che mi doveva 2mila euro:
il telefono è suonato a vuoto, poi è scattata la segreteria telefonica ed è
rimasta registrata la mia frase "Mio Dio, mio Dio, fà che risponda"".
Yara, la sua scomparsa, il suo presunto omicidio, il mistero. "Non l'ho mai né
vista né conosciuta questa povera ragazzina - ha raccontato Mohamed - L'ho
vista per la prima volta sulla fotografia che mi hanno mostrato i carabinieri".
Eppure doveva essere lui, questo muratore di 22 anni dagli occhi scuri e
mobili, il corpo asciutto, l'incarnato olivastro ma luminoso, a dare un nome e
un indirizzo all'orrore. Molto e malissimo si era detto di lui: troppo gli
avevano appiccicato addosso l'etichetta di assassino. E così alla fine l'uomo
accusato di avere sequestrato, ucciso e occultato Yara Gambirasio, attraverso i
suoi difensori chiederà i danni per ingiusta detenzione. "Ho già pagato
abbastanza. A mio cugino in un bar a Montebelluna gli hanno detto che era il
cugino di un assassino - ha confidato ai suoi amici nel pomeriggio - Razzismo
contro di me? Non so, non sta a me dirlo... Ora voglio solo che l'Italia - non
tutta, solo quella che ha voluto vedere in me un mostro - mi dimentichi".
Voglia di mollare tutto e andarsene? Ma no, questo no. A chi gli ha chiesto
cosa farà adesso, Friki ha risposto così: "Continuerò a stare in questo paese,
perché qui lavoro e qui mi sono sempre trovato bene. Adesso però vado in
Marocco a trovare i miei genitori. Riprenderò quel viaggio interrotto dalla
polizia poco dopo la partenza. Ci vado ogni anno, d'inverno. Per due mesi". Non
gli hanno ancora ridato il cellulare né il portafoglio né la macchina. Gli
avvocati ieri hanno presentato un'istanza per chiederne la restituzione. La
prossima partita è tenerlo lontano dalle pressioni dei media. In attesa che si
trovi traccia di Yara e di chi l'ha sottratta alla sua famiglia. Uno degli
ultimi pensieri della giornata Friki lo dedica a lei: "Spero che la trovino
viva. E che trovino i colpevoli. Alla fine di tutta questa storia, se
possibile, mi farebbe piacere incontrare la sua famiglia".
con repubblica.it
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