a favore delle politiche del Welfare sfiora l'1,2% del Pil, contro una media
europea del 2,4%. Viviamo in un Paese che non ha vere risorse strutturali a
sostegno di maternità, nascite e nuove famiglie. A livello nazionale c'è solo
il "Fondo nuovi nati", una sorta di prestito con garanzia statale, pari a 5000
euro che lo Stato eroga alle famiglie con tasso agevolato. Soldi che devono
chiaramente essere restituiti.
«Ridicolo» sbotta una delle giovani donne incinte con impiego precario che
incontriamo durante la lavorazione del reportage Vanguard realizzato per
Current TV. «Preferisco chiedere un prestito a mia madre che almeno non vuole
gli interessi» conclude la futura mamma col pancione. A lei si unisce il
commento di un'altra giovane ricercatrice precaria in gravidanza che dice: «In
questo Paese il welfare sono i nonni, gli amici, i parenti».
Effettivamente ciascuna delle ragazze che abbiamo seguito con le telecamere di
Current non avrebbe potuto decidere di diventare mamma senza il contributo dei
nonni. Si tratta di donne di età compresa tra i 25 e i 38 anni, felici per
l'arrivo di un bimbo ma estremamente fragili dal punto di vista lavorativo. La
situazione è la stessa per tutte: contratti a progetto e mal pagati, lavori
retribuiti in nero, licenziamenti senza preavviso.
Mettere al mondo un figlio è un evento di straordinaria importanza per la vita
di una donna ma se non si hanno certezze lavorative ed economiche, questa
scelta può trasformarsi in una odissea. Abbiamo voluto verificare seguendo i
passi burocratici che una giovane mamma deve compiere. La via crucis inizia
dall'Inps, passa dalla richiesta di un assegno di maternità per lavoratrici
atipiche e arriva alle spese sanitarie che non sempre sono coperte dallo Stato.
Abbiamo seguito le giovani mamme nelle loro case, nella loro intimità, nel
loro lavoro: molte sono laureate, altre hanno specializzazioni importanti,
altre ancora svolgono lavori nel sociale molto delicati. Impieghi precari che
portano tutte quante a scontrarsi con una realtà difficile da accettare, perchè
i contratti atipici che sono costrette a stipulare non danno diritto alla
maternità. Per la società infatti una donna in gravidanza è un peso e la
maternità viene considerata alla stregua di una malattia. Ecco perché molte
delle intervistate ci hanno raccontato che durante i colloqui di lavoro o al
momento del rinnovo si sono viste costrette a dissimulare la gravidanza, a
nascondere il pancione.
Un'altra donna invece alla scadenza di un contratto a progetto per
l'assistenza nella scuola a bambini con problemi si è sentita dare il
benservito perché «troppo incinta»! Per non parlare dell'escamotage di
dichiararsi ragazza madre per ottenere punteggio per l'asilo nido. Così anche i
bimbi nati dall'amore di una coppia, per necessità si troveranno a non essere
riconosciuti dai padri.
Da nord a sud le cose non cambiano: la flessibilità del lavoro continua a
condizionare le scelte personali. Anzi. Nonostante esista una legge che tutela
la donna in gravidanza dall'essere licenziata almeno per il primo anno di vita
del bambino, esistono altrettanti modi per aggirarla e non pagare le
conseguenze. E spesso non si arriva neanche al licenziamento: i datori di
lavoro semplicemente non rinnovano i contratti quando vengono a sapere della
gravidanza, lasciando le mamme in attesa senza alcuna tutela.
Quelle di Maternità Precaria, titolo del reportage Vanguard, sono storie di
giovani donne, giovani mamme che nel periodo più felice della loro vita
scoprono che il vivere di lavoro precario si paga a caro prezzo. Scoprono il
licenziamento, il blocco della carriera, la solitudine, la mortificazione di
non essere autonome. Una volta nato, le cose non migliorano affatto e dopo tre
mesi si torna a lavoro. Lo vedremo la prossima settimana, nella seconda puntata
del Vanguard, Maternità Precaria.
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