sabato 13 novembre 2010

Aung Suu Kyi libera dopo sette anni "Avanti uniti per il nostro obiettivo"

La dissidente birmana Aung San Suu Kyi


Suu Kyi: le tappe di un calvario iniziato nel 1989


«Dobbiamo lavorare insieme, all'unisono, per raggiungere il nostro obiettivo». Sono per le migliaia di sostenitori che hanno pazientemente atteso davanti alla sua abitazione le prime parole pronunciate da una Aung Suu Kyi raggiante e commossa. L'icona della lotta per la democrazia in Birmania, è stata liberata oggi dopo oltre sette anni consecutivi agli arresti domiciliari: affacciata all'ingresso della sua casa di Rangoon è ha salutato la folla che da ore cantava messaggi di di sostegno al Premio Nobel per la Pace. «Lunga vita e tanta salute». Gente comune, giornalisti, esponenti di partito e osservatori diplomatici, tutti frementi in attesa del verdetto. «È un momento emozionante», ha dichiarato una delle persone presenti, con indosso la maglietta con lo slogan «Stiamo con Aung Suu Kyi», sventolando un poster con il ritratto della leader democratica. Domani la dissidente terrà il primo discorso ufficiale, per ora la festa del «suo» popolo. «C'è un tempo per il silenzio e un tempo per parlare».

Verso le 17 locali (cirla 11.30 in Italia) funzionari del regime birmano sono arrivati per leggerle l'ordine di liberazione della giunta militare. Oggi scadevano i termini della sua ultima condanna a 18 mesi di arresti domiciliari, prolungata dopo che John Yettaw, un americano di 53 anni, si era introdotto nella sua villa a nuoto, dicendo di volerle portare solidarietà.

Giunge così alla fine l'odissea della dissidente dall'apparenza fragile e delicata, che nasconde una tenacia di ferro: Aung Suu Kyi ha svolto un ruolo cruciale nel mantenere l'attenzione del mondo sulla giunta militare e i diritti negati in Birmania. Conosciuta semplicemente come «la Signora» da milioni di suoi connazionali, si è sempre rifiutata di abbandonare il suo Paese, per timore di non poter rientrare. Tenuta in un ferreo isolamento, le è stato negato anche il visto per dare l'ultimo saluto al marito, morente di cancro.

Un enorme costo personale è quello pagato dalla più famosa detenuta al mondo, paragonata a Nelson Mandela e al Mahatma Gandhi, combattenti per la libertà da cui ha tratto ispirazione nel corso degli anni. Tempo dedicato allo studio di francese e giapponese e alla meditazione buddista, con silenzio e costanza, ma tenendo sempre viva l'attenzione sul suo messaggio alla giunta: la ricerca di un dialogo aperto nel tentativo di superare lo stallo politico in cui versa il Paese.

Accusandola di essere uno strumento in mano a Gran Bretagna e Stati Uniti e al servizio delle loro mire neo-coloniali, i generali hanno sempre rifiutato di riconoscerla come interlocutore politico, mettendo in dubbio il suo patriottismo. Simbolo vivente della pacifica aspirazione dei birmani alla democrazia, la sua liberazione di oggi a Yangon rappresenta una segno di speranza per un Paese dilaniato dalla lotta interna. Soltanto domenica scorsa si sono svolte le controverse elezioni volute dalla giunta militare, cui Aung non ha potuto partecipare ed aveva invitato a boicottare.

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