domenica 19 dicembre 2010

Con questa equazione solleveremo il mondo

TORINO
La geografia globale della povertà sta cambiando e con essa cambiano gli aiuti
allo sviluppo, nella convinzione che la cooperazione possa «risolvere molti dei
conflitti nel mondo». Ne è convinta Nemat Shafik, segretario permanente dell'
agenzia per gli aiuti allo sviluppo del governo britannico, che offre ben 15
miliardi di dollari l'anno a 100 Paesi in via di sviluppo, tra organizzazioni
internazionali, programmi accademici e progetti della società civile. La
signora Shafik, egiziana cresciuta negli Usa, laureata a Oxford, è stata a
lungo vice presidente della Banca Mondiale. Le abbiamo parlato ieri in
occasione della sua visita a Torino dopo la lezione alla Fondazione Einaudi, l'
ottava della serie Luca d'Agliano finanziata dalla Compagnia di San Paolo (www.
dagliano.unimi.it).

Secondo Obama le società più povere forniscono terreno fertile non solo per le
malattie, ma anche per il terrorismo e le guerre. Invece proprio questa
settimana The Economist sostiene che ridurre la povertà non riduce il terrore
nel mondo. Chi ha ragione?
«È vero che i terroristi non provengono necessariamente dai ceti più poveri,
anzi spesso sono addirittura istruiti, ma se si alleviano i problemi economici
che affliggono la società civile di un Paese povero, è indubbio che diventa un
terreno meno fertile per i conflitti, lo ammette pure l'Economist. E mi sembra
azzeccata la formula di Paul Collier, l'economista di Oxford esperto di Africa:
natura meno tecnologia più regolamentazione (nel senso di «buona governance»)
uguale fame; natura meno tecnologia meno regolamentazione uguale ingiustizia;
ma natura più tecnologia più regolamentazione uguale prosperità».

Come sta cambiando la mappa degli aiuti allo sviluppo? E di quanti soldi
stiamo parlando?
«L'industria globale dei aiuti vale 170 miliardi di dollari. Tanto per avere
un termine di paragone, una guerra, una sola, in media costa 60 miliardi di
dollari. Man mano che l'Asia emerge dalla povertà, questi fondi si concentrano
in Africa. E una fetta sempre più importante degli aiuti sarà diretta alla
tutela dei beni pubblici globali, dalla salvaguardia contro i cambiamenti
climatici alla prevenzione dei conflitti, alla salute pubblica. In futuro, le
sfide globali saranno sempre più affrontate attraverso coalizioni
internazionali che comprendono anche il settore privato e la società civile».

Nell'era di Internet, la richiesta di trasparenza e la partecipazione della
società civile alla cosa pubblica sono ormai all'ordine del giorno. Anche nella
cooperazione?
«Sì, senza via di ritorno. E grazie a Internet l'Africa non è esclusa dal
mondo: con i telefonini a basso costo connessi in Rete si può ottenere il
microcredito, accedere alle scuole a distanza, avere la propria cartella medica
sempre a portata di mano, informarsi sui prezzi agricoli per partecipare alle
aste online. Ma siamo ancora in alto mare: oggi nell'Africa subsahariana il 51%
vive con meno di 1,25 dollari al giorno. Eppure, in numeri assoluti, la
maggioranza dei poveri vive in paesi a reddito medio: solo in India ce ne sono
456 milioni, più dei 387 milioni in Africa. I paesi emergenti continueranno a
crescere ai tassi attuali, solo gli africani continueranno a essere in gran
parte poveri».

Le organizzazioni non governative (Ong) sono utili? Sono diventate un'
infinità...
«Sì. E c'è un insieme crescente di nuovi organismi multilaterali: come per
esempio il Fondo globale contro l'Aids, tbc e malaria, che unisce le forze di
molti Paesi per un obiettivo specifico».

Non c'è il rischio di una duplicazione inefficiente degli sforzi e di una
dissipazione delle risorse?
«Per evitarlo serve più competizione, con test rigorosi di nuove idee e
proposte, la possibilità di sperimentare, imparare e anche fallire: per
esempio, lo fa l'iniziativa www.aidtransparency.net».

Sono cambiati i donatori?
«Rispetto agli Anni Settanta, quando i tre quarti degli aiuti globali erano
stanziati in modo bilaterale da Usa, Gran Bretagna e Francia, oggi i Paesi
donatori sono oltre cinquanta. Grande assente l'Italia».

Il governo italiano dice che non ha fondi per via della crisi economica.
«Quella c'è per tutti, eppure le donazioni complessive sono cresciute del 35%
dal 2004, nonostante la recessione. In compenso crescono gli aiuti dai Paesi
emergenti, soprattutto dalla Cina, che mescola obiettivi commerciali con l'idea
di beneficio reciproco».

Per esempio?
«In Africa, molti sono attratti dal modello cinese di capitalismo statale. L'
Etiopia dà più importanza alla crescita che alla democrazia».

Questo non fa ben sperare...
«Io sono ottimista. Intanto, in Africa bisogna raggiungere gli obiettivi di
sviluppo del millennio. Poi, anche la Cina cambierà».

www.lastampa.it/masera

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