l'uomo ombra indicato dall'ambasciatore Spogli come internediario d'afferi del
presidente del Consiglio in Russia. Le altre figure dei "fedelissimi" del
premier e il loro ruolo nel grande affare
Berlusconi, Putin e quel biglietto la vera storia del gas di Mosca Silvio
Berlusconi e Vladimir Putin
"VALENTINO Valentini, fino a qualche anno fa, non parlava il russo: diciamo
che lo balbettava...", ricorda chi glielo ha sentito parlare a Villa Abamelek,
la residenza dell'ambasciata russa a Roma. "Era il russo di un bambino ai primi
anni della scuola elementare". Eppure, nelle rivelazioni di WikiLeaks, sarebbe
lui la shadowy figure, l'uomo ombra indicato dall'ambasciatore Spogli come
intermediario d'affari di Silvio Berlusconi in Russia. Allevato da Publitalia,
assistente del Cavaliere al parlamento europeo, deputato dal 2001, oggi
segretario particolare del premier, Valentini si autodefinisce "consigliere
speciale per le relazioni estere e tutor delle imprese italiane in Russia". Ci
hanno detto, appunto: "Per la conoscenza di quella lingua". Che però - almeno
fino al 2005 - non conosce.
Infatti, a palazzo Chigi ha lavorato in pianta stabile (in attesa che le
performance di Valentini migliorassero) un interprete, l'armeno Ivan Melkumian,
sempre presente negli incontri pubblici e privati del Cavaliere. C'è un primo
arcano da sbrogliare, allora: perché, con una noiosa cerimonia a Villa
Abamelek, Valentini è stato insignito proprio nel 2005 del prestigiosissimo
ordine di Lomonosov con motivazioni che non sono mai state rese note? Quali
sono i meriti che egli ha raccolto per la Russia di Putin? La domanda è
intrigante anche perché è difficile trovare un capitano d'impresa attivo in
Russia che abbia incontrato per motivi concretamente professionali Valentini o
abbia soltanto avuto
eco delle sue attività a vantaggio delle imprese italiane. Alcuni italiani a
Mosca - per dimostrare l'assoluta estraneità del segretario particolare del
premier agli interessi della comunità italiana - raccontano come si svolgono le
sue visite nella città degli zar. "Valentini sbarca in uno degli aeroporti di
Mosca. Lo attende un'auto messa a disposizione da Antonio Fallico. E' il
presidente di Zao Banca Intesa (sussidiaria del gruppo Intesa San Paolo) e
cugino di Marcello Dell'Utri o almeno così va dicendo da decenni. Valentini
raggiunge l'albergo - il Metropol di fronte al Bolshoi in Teatralny Proiezd -
o, in alternativa, direttamente il Cremlino da dove riemerge qualche ora o
qualche giorno dopo per ripartire verso l'Italia. Nessuno lo vede. Nessuno lo
incontra. Nessuno sa che cosa sia venuto a fare". Tra quanti non lo sanno, ci
sono anche gli americani. L'ambasciatore a Roma, Ronald Spogli, il 26 gennaio
2009, si chiede chi fosse davvero "l'uomo chiave di Berlusconi in Russia, che
viaggia senza staff né segreteria diverse volte al mese. Non è chiaro cosa vada
a fare a Mosca, ma ci sono pesanti indiscrezioni sul fatto che presidi gli
interessi di Berlusconi in Russia". Bisogna dunque seguire il filo dei
soggiorni moscoviti di Valentini per saperne di più. E' utile perché s'incontra
un altro personaggio chiave degli imperscrutabili rapporti tra l'Italia di
Berlusconi e la Russia di Putin: Antonio Fallico, una volta comunista, dal 1974
a Mosca dove lo chiamano "il professore" (titolo non usurpato, ha insegnato
Letteratura barocca all'Università di Verona), anch'egli onorato il 21 aprile
del 2008 da Putin con l'"Ordine dell'Amicizia dei Popoli", la più alta
decorazione statale russa riservata ai cittadini stranieri.
Fallico può essere raccontato in modo speculare a Valentini. Se Valentini è
l'uomo di Berlusconi a Mosca, Fallico è l'uomo di Putin in Italia. Cura gli
interessi economici della Russia e quindi soprattutto gli affari energetici che
rappresentano il 70% delle esportazioni verso l'Italia. La Zao Banca Intesa,
che presiede, ha il mandato di advisory della Gazprom, il colosso energetico
controllato direttamente dallo Stato, per tutta l'attività italiana, dalla
vendita di gas al progetto di metanodotto South Stream. "Il professore" ha
rapporti diretti con il Cremlino, con il premierato di Putin, con la presidenza
di Dmitri Medvedev. E' console onorario della Russia a Verona (gli è stata
concessa anche la possibilità di rilasciare visti). A Verona ha voluto che
fosse inaugurata presto la sede della rappresentanza italiana della Gazprom. E'
l'italiano più potente di Mosca.
Se si riuscisse a rendere trasparenti - di Fallico - le attività e - di
Valentini - le missioni al Cremlino si potrebbe comprendere presto quanto siano
legittimi o scorretti i sospetti di Hillary Clinton sulla natura affaristica
delle convergenze politiche tra Berlusconi e Putin. Non è l'unico enigma di
questa storia, protetta quasi in ogni angolo e increspatura dal segreto.
Segreto di Stato sono in Russia gli affari energetici (per chi sgarra c'è la
pena di morte). Misteriosi sono gli effettivi proprietari della Centrex Group,
società che vende in Europa occidentale il gas russo, la cui catena azionaria
finisce in una palazzina di tre piani al 199 di via Arcivescovo Makarios III a
Limassol, Cipro, senza una targa né una buca delle lettere. Commercial secret è
il prezzo del metano che Eni corrisponde a Gazprom. Segreti i documenti dei
giacimenti di Karachaganakh e Kashagan che Eni si rifiuta di esibire anche
quando è chiamata a risponderne in tribunale. Impenetrabile è il segreto che
protegge gli incontri di Berlusconi e Putin lungo il lago tra le colline di
Valdai in Novgorod Oblast o a Punta Lada a Porto Rotondo, in Sardegna.
Se si vuole quindi verificare quanto "le scelte economiche e politiche dei due
premier siano il frutto di comuni investimenti personali", come chiede il
segretario di Stato americano ai suoi ambasciatori, bisogna esaminare se le
decisioni politiche siano state deformate da privatissimi interessi economici.
C'è troppa gente in giro - nelle cancellerie, nei quartieri generali della
finanza, nella comunità economica - che avverte nelle scelte di politica
energetica dell'Italia un'alterazione equivoca. Eni era autonoma dal governo
nazionale quasi fino all'arroganza. Oggi appare sottomessa al presidente del
Consiglio. Agiva con aggressività e libertà sui mercati internazionali. Oggi
mostra di subire vincoli a favore di Putin. E' la prima deformazione. Ce n'è
una seconda: Berlusconi trascura le relazioni europee e la tradizionale
alleanza con Washington per rinchiudersi nell'eccentrica associazione con la
Mosca di Vladimir Putin e la Tripoli di Mu'ammar Gheddafi. I "cable" del
dipartimento di Stato sostengono che questo riposizionamento non abbia nulla di
politico, ma sia soltanto business. "L'ambasciatore della Georgia a Roma -
scrive Spogli - ci ha riferito che il suo governo ritiene che Putin abbia
promesso a Berlusconi una percentuale su ogni pipeline sviluppata da Gazprom in
coordinamento con l'Eni". E ancora: "In Italia i partiti di opposizione e
alcuni esponenti dello stesso Pdl credono che Berlusconi e i suoi intimi stiano
approfittando personalmente e a mani basse dei molti accordi sull'energia con
la Russia".
Dunque Washington non crede a un'alternativa trasparente che innova la
tradizionale politica estera del nostro paese. Dubita che, al fondo della
storia, ci siano soltanto gli affari personali di Silvio Berlusconi. L'accusa è
gravissima e non è stata provata. E' un fatto che lo stato delle cose è
custodito in un labirinto di segreti. Con l'aiuto di qualche persona informata
dei fatti e alcuni testimoni diretti degli eventi, si può documentare però
qualche coincidenza e più di un'incoerenza che dovrebbero convincere Berlusconi
ed Eni a rompere il silenzio e a dare luce alle zone d'ombra. Ci sono perlomeno
tre "casi" in cui si intravede, tra le opacità, una metamorfosi degli interessi
nazionali.
1. Il biglietto del Cavaliere, dove si capisce a vantaggio di chi Berlusconi
chiede un favore a Putin.
2. La "spartizione della refurtiva", dove questa volta è Putin a chiedere un
"aiutino" a Berlusconi che non rimarrà a mani vuote.
3. I misteri di Karachaganakh, dove si scopre che Eni rinuncia a una parte dei
suoi profitti, non si sa a vantaggio di chi.
Sono "casi" che anticipano, come vedremo, un sorprendente finale e non
riescono a nascondere una contraddizione: tutti gli affari che rendono
sospettosa l'amministrazione di Washington sono stati approvati dal secondo
governo Prodi. Tra il maggio 2006 e il maggio 2008, il governo di
centrosinistra sottoscrive l'accordo che disciplina la fornitura di gas e le
future collaborazioni nei giacimenti in Russia (14 novembre 2006); l'impegno
per il gasdotto South Stream (23 giugno 2007); la disponibilità a "spogliare"
la Yukos dei suoi asset (4 aprile 2007); i contratti per lo sfruttamento del
giacimento di Karachaganakh (1 giugno 2007). Una stupefacente inabilità che
oggi, col senno del poi, solleva qualche mugugno tra gli uomini del
centrosinistra e la sensazione che alcuni risvolti si sarebbero dovuti curare
in modo diverso. Meglio. Dice Pier Luigi Bersani, segretario del Pd e allora
ministro dello Sviluppo Economico: "Premesso che dall'approvvigionamento del
gas russo l'Italia non può prescindere, il governo Prodi adottò la strategia di
spostare il quadro degli accordi energetici con la Russia in una dimensione
europea. La differenza fondamentale tra il nostro approccio e quello di
Berlusconi nei rapporti con Mosca è che noi operavamo sulla base di meccanismi
trasparenti, non dei personalismi, delle relazioni particolari o della
filosofia tipo ghe pensi mi".
Il biglietto del Cavaliere
(dove si apprende come e a vantaggio di chi Berlusconi chiede un favore a
Putin)
Prima che questo signore, Bruno Mentasti Granelli, settantenne finanziere
lombardo, apparisse in scena soltanto uomini vicini a Silvio Berlusconi si
erano messi in testa di lucrare larghi utili dalla commercializzazione in
Italia del metano russo. Se si esclude il tentativo del figlio di un mafioso
(Ciancimino), un primo progetto era stato preparato da Ubaldo Livolsi,
consulente del premier, nel 1991 direttore finanziario e nel 1996
amministratore delegato di Fininvest Spa, consigliere d'amministrazione di
Mediaset, Mondadori, Medusa.... Per farla corta, un berlusconiano di stretta
osservanza. Inutile dire quanto berlusconiano sia Marcello Dell'Utri l'uomo che
gli commissiona il piano e trova il tempo per scaldare l'attesa presentando,
alla Casa dell'Amicizia di Mosca, Effetto Berlusconi, un libro confezionato in
esclusiva per il mercato russo.
Con l'Eni di Mincato ancora autonoma dal governo, l'iniziativa di Livolsi e
Dell'Utri va per aria. Dopo il fallimento del primo approccio berlusconiano al
problema, compare dal nulla Bruno Mentasti già socio di Berlusconi nella pay-tv
Telepiù e in quell'anno, 2003, un rentier dopo aver venduto alla Nestlé la San
Pellegrino per trecento miliardi di vecchie lire.
Il nome di Mentasti salta fuori nella sera del 30 ottobre del 2003. Al Westin
Palace di Milano c'è una cena di lavoro. E' quasi un appuntamento di routine.
Quattro persone intorno al tavolo: tre uomini di Eni e un alto dirigente di
Gazprom. Si confrontano due ambizioni: Eni vuole prolungare di 25/30 anni i
suoi contratti gas che scadono nel 2012; Gazprom aspira a fare utili non solo
"a monte" producendo metano, ma anche "a valle" vendendolo e chiede di avere
l'opportunità di commercializzarne in Italia attraverso una propria joint
venture. L'Eni dovrebbe cedere 2-3 miliardi di metri cubi di metano all'anno
dalle sue importazioni. "Abbiamo già un socio italiano, ecco il suo nome...",
dice il russo. Dalla tasca, l'alto dirigente di Gazprom estrae un fogliettino
come se fosse una santa icona che da sola avrebbe spazzato via ogni dubbio
profano. Sopra c'è scritto: "Mentasti". Gli italiani cadono dalle nuvole. Quel
nome non l'hanno mai sentito. Chi è? Il russo spiega: "Ma come non conoscete il
patron della San Pellegrino?". Gli italiani sorridono: "Anche se gassata,
l'acqua ha poco a che fare con il gas, bisogna che qualcuno glielo spieghi a
questo Mentasti...". Il russo non ride, agita ancora il foglietto e dice:
"Druzia, amici, ma davvero non riconoscete la grafia del vostro capo di
governo?". Quelli di Eni fingono di non capire e chiedono: "... ma questo
biglietto con questa grafia chi te l'ha dato?". Risposta: "Da dove volete che
venga, dal Cremlino!". A conferma che la faccenda è molto seria perché molto
voluta da Putin, gli uomini di Eni vengono invitati a stringere le sedie
intorno al tavolo per far posto a un altro convitato che attende un cenno
nell'albergo dall'altra parte di piazza della Repubblica, il Principe di
Savoia. L'uomo si chiama Alexander Ivanovic Medvedev, è un amico d'affari del
professor Fallico, è stato come Vladimir Putin un colonnello del Kgb, oggi è il
numero due di Gazprom. Che bisogno c'è di un intermediario se non per creare
comode rendite finanziarie a oscuri fortunati? Dietro questa volontà di lucrare
gli utili di un'intermediazione superflua e molto favorevole (la Centrex di
Mentasti e soci misteriosi avrebbe guadagnato una somma stimata in 280-320
milioni di dollari l'anno per 15-20 anni) si scorgono nell'ordine: un comando
di Putin; la volontà di Berlusconi; l'obbedienza "militare" dei gasisti russi;
gli amici di Berlusconi in sospetto di essere soltanto prestanomi come Bruno
Mentasti o addirittura di essere la testa d'ariete di Berlusconi, se è vero che
quel foglietto (che potrebbe essere attualmente nelle mani di un uomo dell'Eni)
è stato scritto di suo pugno dal Cavaliere.
Questo caso sollecita qualche domanda: Berlusconi ha discusso con Putin - e
concesso a Mosca - l'ingresso di Gazprom nel mercato italiano? In cambio di che
cosa? Perché Berlusconi individua Mentasti come uomo adatto per la nascente
partnership? Qual era l'interesse nazionale che, in questo caso, il capo del
governo ha rappresentato al Cremlino?
con repubblica.it
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