di particelle del mondo. Siamo andati a visitare quest'opera straordinaria
Nella Macchina del Tempo
All'origine dell'universo
di FABRIZIO RAVELLI
GINEVRA - A cavallo della frontiera franco-svizzera, fra il lago Lemano e il paese di Voltaire, la storia del mondo si prepara a una svolta. In mezzo a paesini ordinati coi loro campanili, i prati ben rasati, i vigneti e le mucche che brucano, l'umanità intera sta per fare un passo avanti, un salto forse, nella conoscenza dell'universo, della materia e delle forze sconosciute che lo tengono insieme. "Sappiamo che qualcosa succederà - dice Fabiola Gianotti, milanese -. È un momento storico per la scienza, e quel che scopriremo potrebbe cambiare i libri di testo. Fra un anno o due, c'è la possibilità che si scopra l'origine della materia oscura che costituisce il venticinque per cento dell'universo".Quando sente parole del genere, un povero profano ha due scelte. O si arrende, volta le spalle e torna alla sua esistenza semi-animale, alle prese con forme di materia rozza (carta, benzina, asfalto, pastasciutta). Oppure passa i cancelli del Cern, si affida a una serie di gentili scienziati compatrioti che qui lavorano, e prova - se non a capire - a immaginare almeno, a percepire le vibrazioni del momento storico. Mancano poche settimane. Poi il più grande acceleratore di particelle del mondo, l'Lhc (Large Hadron Collider), verrà avviato.
Due fasci di protoni cominceranno a viaggiare, nei due sensi, lungo il tunnel di ventisette chilometri a cento metri sotto terra. Si scontreranno in quattro rivelatori, sorta di colossali macchine fotografiche che fisseranno le immagini dell'impatto.
Vedremo l'origine dell'universo, che cosa è successo un decimo di miliardesimo di secondo dopo il Big Bang, perché quelle sono le condizioni che verranno ricreate. Un progetto simile non è mai stato tentato, ed è il più ambizioso al mondo. Non poteva succedere che qui al Cern, il più importante laboratorio planetario per la fisica delle particelle, l'impresa che (dal 1954) tiene insieme venti stati membri europei, e circa sessanta di tutto il mondo, impegnando ogni giorno ottomila scienziati. Da luglio in avanti, e per i prossimi anni, ci si aspetta di scoprire qualcosa che non è mai stato visto, ma solo immaginato coi modelli teorici. Oggetti misteriosi come la materia oscura, l'antimateria, le supersimmetrie "Susy", o il bosone di Higgs, ipotetica particella elementare che il Nobel Leon Max Lederman ha chiamato (facendo storcere la bocca a molti colleghi) "la particella di Dio".
L'attenzione (non eccessiva) della gente normale verso questo progetto è stata risvegliata poco tempo fa dall'iniziativa di due personaggi che hanno tentato di bloccarlo. Con un appello al tribunale delle Hawaii (uno dei due abita lì, e vi ha fondato l'orto botanico), Walter Wagner e Luis Sancho hanno sostenuto che l'Lhc è una sorta di "arma fine di mondo" come quella del Dottor Stranamore, che può produrre "buchi neri" in grado di inghiottire Ginevra e poi l'intero pianeta.
Tesi bizzarra, che gli scienziati considerano un'autentica fesseria. Già in passato esperimenti simili (ma più limitati) avevano fatto gridare al pericolo di fine del mondo, e poi non era successo niente. Ma, paradossalmente, la boutade di Wagner-Sancho ha avuto il merito di ricordare che qui al Cern qualcosa di sensazionale sta per avvenire. Non "fine di mondo" ma, casomai, la messa in scena del suo inizio.
Nella sala controllo del Cern un fisico italiano, Roberto Saban, tiene d'occhio sui monitor l'anello sotterraneo che si avvia verso il momento dello start. È il responsabile del collaudo. "Il fascio di protoni viaggia all'interno di una conduttura sotto vuoto, e viene guidato da magneti che gli danno la curvatura necessaria lungo l'anello. Sono 1232 magneti superconduttori, ognuno un bestione lungo 15 metri e pesante 32 tonnellate, alimentati a 12mila ampére. Specie di thermos, che all'interno hanno una massa raffreddata a 1,9 kelvin, cioè meno 271 gradi". A quella temperatura, le bobine di niobio-titanio non presentano resistenza. Se si usassero magneti "caldi", per raggiungere la stessa energia l'anello dovrebbe essere lungo 120 chilometri, e consumerebbe 40 volte tanta elettricità. "Sono magneti "di frontiera", che lavorano al limite della loro progettazione - spiega Saban - Così come la criogenia, cioè il sistema di raffreddamento".
Tutto qui è di frontiera, innovativo, avanti: l'ingegneria, i materiali, i progetti. In ogni campo, la sperimentazione produce ricadute che fanno fare passi avanti alla vita di tutti i giorni. La tecnologia degli acceleratori trova applicazione in campo tumorale e nella diagnostica medica, così come nello studio dei superconduttori, o nei sistemi di screening delle merci negli aeroporti. Il Cern è, insomma, anche un buon affare per gli Stati che lo finanziano, Italia compresa.
Ma vediamo l'anello che Saban sta collaudando. I fasci di protoni (cento miliardi di protoni, in 2800 "pacchetti") viaggeranno all'interno di un condotto (dieci cm di diametro interno) dove viene creato l'"ultravuoto", più vuoto che nello spazio, un decimillesimo di miliardesimo della pressione al livello del mare. I protoni andranno alla velocità della luce, e faranno il giro dei 27 chilometri undicimila volte al secondo. Alla massima potenza dell'Lhc, ogni fascio avrà un'energia pari a quella di un auto lanciata a 1600 chilometri orari. Ogni protone 7 tev (tera elettrovolt), quindi ogni collisione raggiungerà i 14 tev: una soglia mai raggiunta, e considerata necessaria per liberare e riconoscere particelle mai viste. Saban si prepara a controllare l'anello, i magneti che guidano, ripuliscono e concentrano il fascio, le temperature di esercizio: "All'inizio, succederà che non sapremo pilotare la macchina, ma ci aggiusteremo presto".
Lungo il percorso, dentro enormi caverne sotterranee, ci sono i rivelatori, quattro in tutto. Due (Atlas e Cms) sono "general purpose", hanno cioè compiti di osservazione più larghi, seppure con tecnologie diverse. Gli altri due (Alice e Lhcb) sono indirizzati a obiettivi più specifici. Paolo Giubellino, fisico torinese dell'Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare), è uno dei responsabili di Alice (A Large Ion Collider Experiment): "Alice studia la materia nucleare ad alta densità, e cioè il momento in cui si è passati dalla pappa di quark-gluoni alla formazione di protoni e neutroni. Circa venti milionesimi di secondo dopo il Big Bang".
Sarà la prima fase dopo l'avviamento del grande acceleratore, quando per creare Qgp (il plasma di quark-gluoni) si faranno scontrare nuclei di piombo: "Alice è progettata per lavorare a intensità più bassa, quindi per il primo anno lavorerà bene. A bassa intensità, gli eventi sono più rarefatti. Poi gli altri si metteranno a correre. Ma tutti e quattro continueranno a prendere dati insieme. Qui è come se si lavorasse in grandi esplorazioni geografiche, con un gran numero di persone: per ogni rivelatore c'è il contributo di cento istituti di una trentina di paesi diversi".
I rivelatori sono macchine enormi, costruite intorno alla condotta centrale dove passerà il fascio. Fabiola Gianotti lavora ad Atlas, un arnese lungo 46 metri con un diametro di 25 e pesante circa settemila tonnellate: "Qualunque sia la fisica nuova che si rivelerà, Atlas e Cms la vedranno. Oggi conosciamo bene il mondo delle particelle elementari, descritte dalla teoria del Modello Standard. Il modello spiega bene, ma non risponde a tutte le domande. Sappiamo che nell'universo c'è un venticinque per cento di materia oscura, e un settanta di energia oscura. Nessuna delle particelle che conosciamo può spiegare la materia oscura". Il Modello Standard è una teoria che disegna la situazione delle nostre conoscenze. Ma la cosa che sembra sensazionale (a un profano) è che tutto quello che si conosce, la cosiddetta materia ordinaria di cui noi e ogni oggetto sulla Terra sono costituiti, non rappresenta che il sei per cento della materia ed energia dell'universo.
La nostra ignoranza è sconfinata: "Al di là del Modello Standard ci sono molte teorie, e fenomeni che oggi non conosciamo, anche se abbiamo qualche idea. La soglia in cui il Modello Standard comincia a dare segni di cedimento è proprio a quella scala del tev, di energia, che l'acceleratore Lhc per la prima volta raggiungerà. Il termine materia oscura indica anche la nostra ignoranza. Siamo di fronte a un muro, e abbiamo moltissime domande. In questo senso, ci si può aprire un nuovo mondo, e la posta in gioco è bellissima".
Tutti i libri di testo potrebbero finire in archivio. Dietro quel muro si potrebbe scoprire l'esistenza del bosone di Higgs, finora solo ipotizzata: un campo di energia che determina le diverse masse delle particelle. O delle particelle supersimmetriche dette "Susy", che potrebbe spiegare la materia oscura, e di massa abbastanza elevata da non poter essere state prodotte finora artificialmente. Non con il Lep, l'acceleratore del Cern che ha preceduto l'Lhc.
Guido Tonelli, fisico pisano, è uno degli scienziati responsabili del Cms, l'altro grande rivelatore. Ha gli stessi obiettivi, grosso modo, di Atlas, ma con tecnologie diverse. E ciascuno dei due, in pratica, verifica i risultati dell'altro. "Osserveremo un miliardo di collisioni al secondo. Fra queste ne sceglieremo centomila che potrebbero essere interessanti, e alla fine solo cento da immagazzinare su disco. E un flusso di informazioni paragonabile, in quell'istante, all'intero flusso di informazioni del mondo". Ecco quindi che, in un caverna adiacente a quella di Atlas, c'è una grandissima "farm" di computer per selezionare i dati prima di inviarli al centro di calcolo.
Il tunnel sta per essere chiuso, in preparazione dello start. L'ultimo segmento aperto è quello che ci mostra Francesco Bertinelli, ingegnere milanese, che per andare avanti e indietro sotto terra usa la sua mountain-bike: "Questa che vediamo al Punto 4 è la cavità di radiofrequenza, in pratica il pedale dell'acceleratore. Ad ogni passaggio il flusso di protoni aumenta la sua energia". Moltissima tecnologia è di produzione italiana: un terzo degli enormi magneti, per esempio, o i tubi senza saldature della Dmv di Costa Volpino. Infine l'ultimo rivelatore, l'Lhcb: "Questo è diverso dagli altri - spiega Carlo Forti, romano - perché non è circolare ma asimmetrico. Osserverà i mesoni B, che dopo la collisione vanno da una parte sola. E studieremo l'asimmetria materia-antimateria, un miliardesimo di miliardesimo di secondo dopo il Big Bang. A una temperatura di dieci milioni di miliardi di gradi".
Tutti i dati degli esperimenti finiscono al Computer centre: "L'analisi è la parte finale - spiega Massimo Lamanna, udinese - Ma qui è anche il punto di ingresso nella struttura del Grid". Qui, nel 1990, Tim Berners-Lee inventò il web, quel www che tutti ora conoscono: c'è ancora, in vetrina, il pc marca Next che venne usato. E qui si è creato adesso il Grid: "La necessità di calcolo era enorme, e si è pensato a una "griglia" che funzionasse come la rete elettrica. L'Lhc produrrà 15 milioni di gigabytes di dati ogni anno, qualcosa come tre milioni di dvd". Questa capacità di calcolo, e di stoccaggio dati, è stata distribuita in circa duecento centri sparsi per il mondo, e interconnessi. In Italia il nodo è Bologna, a sua volta collegato con altri nove istituti.
Bene, qualche settimana e l'Lhc comincerà a funzionare. Ma c'è qualcos'altro, al di là delle probabili rivelazioni in grado di sconvolgere la conoscenza, che impressiona qui al Cern. Si sono fatte tesi di sociologia e di antropologia per capire come può funzionare tanto bene: "Qui lavora gente di culture diverse, senza avere una struttura coercitiva - dice Paolo Giubellino -. E si cerca, quindi, ogni volta il consenso". "C'è competizione, ma in assoluta trasparenza e totale condivisione dei dati - dice Guido Tonelli -. È qualcosa che in una struttura privata non esiste". Uscendo dal Cern, dopo questa sbornia di eccitazione per il futuro in arrivo, c'è solo da chiedersi: perché non esiste un Cern per la cura del cancro o dell'aids?
(25 maggio 2008)
Repubblica
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