mercoledì 14 aprile 2010

[ZI100414] Il mondo visto da Roma

ZENIT

Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 14 aprile 2010

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Il Papa: il sacerdote non annuncia se stesso ma Cristo
Catechesi all'Udienza generale del mercoledì

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il sacerdote è chiamato ad annunciare la Verità del Vangelo, non se stesso. E' quanto ha detto questo mercoledì Benedetto XVI in occasione dell’Udienza generale in Piazza San Pietro.

Nella sua meditazione incentrata sul ministero sacerdotale e in particolare sull’insegnamento delle verità della fede, il Papa parlando a braccio ha detto: “Viviamo in una grande confusione circa le scelte fondamentali della nostra vita e gli interrogativi su che cosa sia il mondo, da dove viene, dove andiamo, che cosa dobbiamo fare per compiere il bene, come dobbiamo vivere, quali sono i valori realmente pertinenti”.

“In relazione a tutto questo - ha aggiunto - esistono tante filosofie contrastanti, che nascono e scompaiono, creando una confusione circa le decisioni fondamentali, come vivere, perché non sappiamo più, comunemente, da che cosa e per che cosa siamo fatti e dove andiamo”.

Ecco, quindi, che compito del sacerdote diventa quello di “rendere presente, nella confusione e nel disorientamento dei nostri tempi, la luce della parola di Dio, la luce che è Cristo stesso in questo nostro mondo”.

“Quindi – ha spiegato il Santo Padre – il sacerdote non insegna proprie idee, una filosofia che lui stesso ha inventato, ha trovato o che gli piace; il sacerdote non parla da sé, non parla per sé, per crearsi forse ammiratori o un proprio partito; non dice cose proprie, proprie invenzioni, ma, nella confusione di tutte le filosofie, il sacerdote insegna in nome di Cristo presente, propone la verità che è Cristo stesso, la sua parola, il suo modo di vivere e di andare avanti”.

“Quella del sacerdote, di conseguenza, non di rado, potrebbe sembrare 'voce di uno che grida nel deserto' (Mc 1,3), ma proprio in questo consiste la sua forza profetica – ha proseguito –: nel non essere mai omologato, né omologabile, ad alcuna cultura o mentalità dominante, ma nel mostrare l’unica novità capace di operare un autentico e profondo rinnovamento dell’uomo, cioè che Cristo è il Vivente, è il Dio vicino, il Dio che opera nella vita e per la vita del mondo e ci dona la Verità, il modo di vivere”.

Al momento dei saluti finali ai fedeli di lingua italiana, il Papa ha rivolto un pensiero speciale ai sacerdoti amici della Comunità di Sant’Egidio e ai Cappellani dell’Aviazione civile provenienti da varie parti del mondo, e agli ufficiali e ai militari provenienti da Caserta, incoraggiandoli “a perseverare nel generoso impegno di testimonianza cristiana anche nel mondo militare”.

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Appello del Papa a favore delle vittime del terremoto in Cina
Durante l'Udienza generale di questo mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- Papa Benedetto XVI ha rivolto un appello alla comunità internazionale perché accorra in soccorso delle vittime del terremoto che ha colpito la provincia cinese di Qinghai.

Il sisma, di 7.1 gradi della scala Richter, ha sconvolto il nord-est della Cina poco prima delle 8.00 di questo mercoledì. Il bilancio provvisorio parla di circa 400 morti e più di 10.000 feriti.

"Il mio pensiero va alla Cina e alle popolazioni colpite da un forte terremoto, che ha causato numerose perdite in vite umane, feriti e ingenti danni", ha affermato il Papa nel suo intervento, dopo i saluti ai pellegrini riuniti in Piazza San Pietro per l'Udienza generale.

"Prego per le vittime e sono spiritualmente vicino alle persone provate da così grave calamità; per esse imploro da Dio sollievo nella sofferenza e coraggio in queste avversità", ha aggiunto.

Il Pontefice ha quindi concluso auspicando che "non verrà a mancare la comune solidarietà" al momento di aiutare le vittime della catastrofe.

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Omosessualità e pedofilia dei sacerdoti: il Cardinal Bertone cita degli esperti
La Santa Sede spiega le interpretazioni delle dichiarazioni del porporato in Cile
di Jesús Colina

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- Nelle sue dichiarazioni su pedofilia e omosessualità, il Cardinale Tarcisio Bertone SDB si è limitato a far riferimento agli studi scientifici realizzati sui sacerdoti, ha spiegato questo mercoledì la Sala Stampa della Santa Sede, chiarendo le inesatte interpretazioni compiute dai mezzi di comunicazione.

Un elevato numero di organizzazioni omosessuali, così come alcuni rappresentanti politici, tra cui il Ministro degli Esteri francese, hanno attaccato le dichiarazioni che il Segretario di Stato di Benedetto XVI ha rilasciato questo lunedì in una conferenza stampa concessa al Seminario Pontificio di Santiago del Cile, dopo che i mezzi di comunicazione gli hanno attribuito erroneamente una relazione di analogia tra omosessualità e pedofilia.

Dopo il rientro del porporato a Roma, una dichiarazione emessa da padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, contestualizza la dichiarazione: "le autorità ecclesiastiche non ritengono di loro competenza fare affermazioni generali di carattere specificamente psicologico o medico, per le quali rimandano naturalmente agli studi degli specialisti e alle ricerche in corso sulla materia".

Al giornalista che ha chiesto se esiste una relazione tra il celibato e i casi di pedofilia dei sacerdoti, il Cardinal Bertone ha risposto: "Molti psicologi, molti psichiatri hanno dimostrato che non c'è un rapporto tra celibato e pedofilia, ma molti altri hanno dimostrato, e me l'hanno riferito recentemente, che esiste una relazione tra omosessualità e pedofilia".

Il portavoce vaticano ha spiegato che "per quanto di competenza delle autorità ecclesiastiche, nel campo delle cause di abusi su minori da parte di sacerdoti affrontate negli anni recenti dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, risulta semplicemente il dato statistico riferito nella intervista di Mons. Charles J. Scicluna (cfr. ZENIT, 14 marzo 2010), in cui si parlava di un 10% di casi di pedofilia in senso stretto, e di un 90% di casi da definire piuttosto di efebofilia (cioè nei confronti di adolescenti), dei quali circa il 60% riferito a individui dello stesso sesso e il 30% di carattere eterosessuale".

Padre Lombardi conclude dichiarando che "ci si riferisce qui evidentemente alla problematica degli abusi da parte di sacerdoti e non nella popolazione in generale".

Queste dichiarazioni sono sostenute dal rapporto pubblicato nel 2004 dal John Jay College of Criminal Justice della City University di New York, considerato il più completo al mondo sull'argomento.

Analizzando le denunce di abusi sessuali presentate contro chierici tra il 1950 e il 2002 nelle varie Diocesi degli Stati Uniti, il rapporto constatava che la stragrande maggioranza delle vittime, l'81%, era costituita da maschi.

Lo studio del John Jay ha affermato che la pedofilia, un'attrazione per ragazzi in età prepuberale diagnosticata come malattia psichiatrica, era una piccola parte del problema degli abusi sessuali. Le vittime erano per la maggior parte adolescenti che avevano superato la pubertà.

Philip Jenkins, Edwin Erle Sparks Professor of Humanities alla Pennsylvania State University (PSU), Senior Fellow all'Istituto della Baylor University per gli Studi sulla Religione, che ha studiato per quasi trent'anni il fenomeno diventandone, con i suoi articoli e i suoi libri, uno dei maggiori esperti, conferma nelle sue opere queste spiegazioni.

A conclusioni analoghe sono giunti anche gli studi di Massimo Introvigne, direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni (http://www.cesnur.org).





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Arcivescovo Ravasi: il Papa vuole dialogare con i pensatori atei
Afferma che la Santa Sede sta trattando "con molto rigore" i casi di pederastia

VALENCIA, mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- Papa Benedetto XVI sta promuovendo il dialogo tra fede e ragione, e in esso sono inclusi pensatori e artisti atei. Lo ha affermato questo martedì il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, l'Arcivescovo Gianfranco Ravasi, durante una conferenza stampa a Valencia (Spagna), secondo quanto rende noto l'agenzia diocesana Avan.

Monsignor Ravasi, che si trova nella città spagnola per l'inaugurazione della cattedra Fides et Ratio dell'Università Cattolica di Valencia (UCV), ha spiegato che il suo dicastero sta portando avanti molte iniziative in questo senso.

Ad esempio, ha reso noto che durante la sua visita in Portogallo a maggio Papa Benedetto XVI incontrerà gli artisti portoghesi, tra cui il regista Manuel de Oliveira.

Un'altra iniziativa è la preparazione di un incontro con gli architetti, al quale parteciperà il valenciano Santiago Calatrava, che ha preso parte insieme ad altri 300 artisti di tutto il mondo all'incontro presieduto da Benedetto XVI a novembre nella Cappella Sistina.

Si sta anche preparando per quest'anno una serie di incontri a Parigi, nella sede dell'UNESCO, all'Università della Sorbona e all'Accademia Francese, attraverso il Cortile dei Gentili, istituzione creata dal dicastero per la Cultura per promuovere il dialogo con l'ambito dell'ateismo.

Lo stesso monsignor Ravasi ha rivelato che prevede di incontrare, probabilmente a novembre (mese in cui il Papa ha previsto un breve viaggio in Spagna, a Santiago de Compostela e Barcellona), un intellettuale spagnolo non credente per riflettere sul dialogo tra fede e cultura.

Il presule ha aggiunto che il cristianesimo “ha sempre una funzione all'interno della cultura”, anche se in alcune delle sue espressioni questa “può essere completamente secolare o laica”. La religione “favorisce le risposte fondamentali alle domande che ogni uomo si pone sulla vita, la morte, il dolore, la giustizia o la verità”.

Pedofilia

Interpellato dai giornalisti locali sui casi di abuso di minori da parte dei sacerdoti, monsignor Ravasi ha riconosciuto che si tratta di questioni “gravi” e ha affermato che la Santa Sede “sta trattando la questione con molto rigore”.

Dopo aver spiegato le misure adottate in questi casi, il presule ha anche lamentato alcune delle reazioni pubbliche riprodotte dai mezzi di comunicazione contro il Papa, che a suo avviso sono state “eccessive” e “quasi aggressive”.

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La Chiesa proclamerà sette nuovi beati tra aprile e giugno
Riti approvati dal Papa
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- La Chiesa proclamerà sette nuovi beati tra aprile e giugno, ha reso noto questo mercoledì un comunicato dell'Ufficio pontificio delle Celebrazioni Liturgiche.

Il Papa ha approvato i riti di beatificazione dei sacerdoti Bernardo Francisco de Hoyos, Angelo Paoli, Josep Tous i Soler e Jerzy Popiełuszko, delle vergini Teresa Manganiello e Maria Pierina De Micheli e del laico Manuel Lozano Garrido.

Il gesuita Bernardo Francisco de Hoyos sarà proclamato beato questa domenica, 18 aprile, alle 10.30 nella Cattedrale di Valladolid, in Spagna.

Nato a Torrelobatón nel 1711, è il grande apostolo della devozione al Sacro Cuore di Gesù in Spagna. Morì a Valladolid nel 1735.

Il sacerdote professo dell'Ordine dei Carmelitani dell'Antica Osservanza Angelo Paoli sarà beatificato la domenica successiva, 25 aprile, alle 10.00 nella Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma.

Nato nel 1642 ad Artigliano, quest'umile frate, conosciuto come il "padre dei poveri" e l'"apostolo di Roma", è considerato il fondatore delle opere benefiche della zona Monti della città ed è stato il primo a collocare la croce al Colosseo, ispirando l'iniziativa della Via Crucis. Morì a Roma nel 1720.

Nello stesso giorno, la Basilica di Santa María del Mar di Barcellona (Spagna) accoglierà, alle 10.30, la beatificazione del cappuccino Josep Tous, fondatore dell'Istituto delle Suore Cappuccine della Madre del Divino Pastore.

Nato il 31 marzo 1811 a Igualada, padre Tous aveva come motto "Fede e fiducia in Dio". Morì a Barcellona mentre celebrava la Messa il 27 febbraio 1871.

Sabato 22 maggio, solennità di Pentecoste, nella Basilica di Santa Maria delle Grazie di Benevento, alle 16.00, verrà proclamata beata Teresa Manganiello, vergine, terziaria francescana.

Questa laica nata il 1° gennaio 1849 a Montefusco fu ispiratrice della Congregazione delle Suore Francescane dell'Immacolata. Morì nella sua località natale il 4 novembre 1876.

Otto giorni dopo, il 30 maggio, alle 10.00, nella Basilica di Santa Maria Maggiore di Roma la Chiesa proclamerà beata Maria Pierina De Micheli, vergine dell'Istituto delle Figlie dell'Immacolata Concezione di Buenos Aires.

Nacque a Milano l'11 settembre 1890 e si mantenne fedele al suo proposito di "sempre dare, mai negare a Gesù" fino alla morte, avvenuta a Centonara d'Artò (Novara) il 26 luglio 1945. Fu apostola della devozione al Santo Volto di Gesù.

Il sacerdote e martire Jerzy Popieluszko verrà beatificato il 6 giugno alle 11.00 nella Piazza Maresciallo Pilsudski di Varsavia (Polonia).

Questo carismatico sacerdote diocesano, nato il 14 settembre 1947 a Okopy Suchowola (Polonia), venne assassinato per odio alla fede il 20 ottobre 1984 nei dintorni della città polacca di Wloclawek dallo spionaggio interno comunista.

La beatificazione del laico Manuel Lozano Garrido, più conosciuto come Lolo, si svolgerà invece il 12 giugno alle 19.30 nel Recinto ferial dell'Eriazos de la Virgen nella località di Linares, nella provincia spagnola di Jaén.

Questo giornalista, che trascorse buona parte della sua vita paralizzato e alla fine divenne cieco a causa di una malattia, nacque a Linares il 9 agosto 1920 e morì nella stessa città il 3 novembre 1971.



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Il Portogallo vive un "tempo di attesa della visita del Papa"
Sottolinea il presidente della Conferenza Episcopale

LISBONA, mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il Portogallo vive “il tempo di attesa della visita del Papa”, e in questo momento di accuse contro di lui “siamo con il Santo Padre”, ha affermato questo lunedì il presidente della Conferenza Episcopale Portoghese (CEP), monsignor Jorge Ortiga.

Nel discorso di apertura dell'assemblea dell'episcopato, nella Casa Nossa Senhora das Dores, nel Santuario di Fatima, monsignor Ortiga ha riconosciuto che “questa Assemblea Plenaria della CEP si svolge in un momento delicato, in cui si incrociano perplessità e speculazioni su fatti o denunce a cui i media hanno dato ampia copertura”.

“Fatti e denunce che richiedono, da parte di tutti, coraggio nell'analisi, nella giustizia, nella verità e nella carità in parole e fatti”, ha aggiunto.

Secondo il presule, di fronte “alla grave lesione della dignità personale delle vittime dei casi di pedofilia, è necessario ristabilire la giustizia, purificare la memoria e ribadire umilmente l'impegno della Chiesa di fedeltà a Dio e servizio agli uomini”.

Al di là di questa problematica, osserva il presidente della CEP, “questo è un momento di grande gioia, di entusiasmo e speranza, il tempo di attesa della visita del Papa, successore di Pietro. Siamo con il Santo Padre”.

Per monsignor Ortiga, il contributo della Chiesa alla società, “attraverso un'azione pastorale ripensata e dominata da una reinterpretazione della coscienza missionaria, può e deve essere speranza per il popolo portoghese, a cui il Santo Padre verrà a portare motivazioni e orizzonti rafforzati”.

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Il Cardinale Terence Cooke, Arcivescovo di New York, e santo?
Il suo ultimo successore presenta la positio della causa di canonizzazione
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha ricevuto questo mercoledì la "positio" della causa di canonizzazione del Cardinale Terence Cooke, Arcivescovo di New York, morto nel 1983, dal suo ultimo successore, l'Arcivescovo Timothy Dolan.

Per il presule, il Cardinale Cooke "resta attualissimo come modello per Vescovi e sacerdoti".

"Cooke ha mantenuto la serenità pur nella tempesta, sempre accanto alla sua gente nonostante una grave malattia. La sua testimonianza di fortezza e verità incoraggia soprattutto noi Vescovi di oggi", ha riconosciuto in una dichiarazione pubblicata da "L'Osservatore Romano".

La "positio" sarà sottoposta dalla Congregazione per le Cause dei Santi in primo luogo a una Commissione di teologi, poi a una di Cardinali e Vescovi. Se la "positio" supererà favorevolmente questi due esami, il Papa potrà ordinare la promulgazione del decreto sulle virtù in grado eroico del Cardinale, proclamandolo "venerabile". Per proclamare la sua beatificazione dovrà essere riconosciuto un miracolo compiuto da Dio e attribuito all'intercessione del Cardinale.

Terence Cooke (1921-1983), decimo Vescovo (settimo Arcivescovo) dell'Arcidiocesi cattolica di New York, originario di quella città, è sepolto in una cripta sotto l'altare della Cattedrale di San Patrizio.



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Il Vatican Information Service (VIS) ha un blog
Su www.visnews.org
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il Vatican Information Service (VIS), servizio di informazione della Santa Sede, inaugura un blog in italiano, spagnolo, inglese e francese su www.visnews.org in cui presenta le sue notizie degli ultimi anni e altri temi di attualità religiosa.

Permette anche di accedere all'account twitter e al portale YouTube del Vaticano. In totale, il nuovo blog del VIS contiene più di 35.000 notizie sul Papa e la Santa Sede.

Il VIS è nato nel 1990 trasmettendo notizie sull'attività magisteriale e pastorale del Papa e della Santa Sede alle rappresentanze pontificie, a Vescovi di tutto il mondo e ad altre istituzioni, e con il passare del tempo il suo servizio si è esteso a tutto il pianeta.

Questo bollettino di notizie della Sala Stampa della Santa Sede viene trasmesso agli abbonati per posta elettronica alle 15.00 ora di Roma, dal lunedì al venerdì, e ha iniziato la sua attività in inglese e spagnolo nel 1991. Dal 1998 esiste un servizio in italiano e in francese.

Le notizie del VIS includono le nomine e gli atti pontifici e una sintesi delle omelie, dei discorsi e dei documenti del Santo Padre. Informa anche sull'attività degli uffici della Sede Apostolica, dei Sinodi, dei Concistori, ecc. Raccoglie poi i comunicati ufficiali della Sala Stampa vaticana.

"Il nuovo blog del VIS ha avuto un'inaugurazione di successo. Ieri abbiamo avuto 9532 visite: 6216 al blog in inglese, 1562 in italiano, 1017 in spagnolo e 737 in francese", ha commentato a ZENIT il direttore del VIS, il giornalista spagnolo Miguel Castellvi.

"Abbiamo avuto molti commenti alla notizia principale, 'Guida nei casi di abuso sessuale': 17 in inglese, 6 in italiano e 6 in spagnolo, mentre i lettori francesi non hanno espresso commenti".

Il moderatore della pagina, José Miguel Chavarría, sottolinea che "erano praticamente tutti positivi, per cui non ne abbiamo pubblicati solo due o tre".

Molti visitatori hanno considerato la notizia principale "molto interessante" (81 in inglese, 23 in spagnolo, 18 in italiano, 8 in francese).

"Per la prima volta, inoltre - ha commentato Miguel Castellvi -, questo lunedì abbiamo 'twittato', dando sulla pagina di twitter del Vaticano le notizie principali del bollettino del VIS di ieri".



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Notizie dal mondo


L'Arcivescovo di Malta incontra un gruppo di vittime di abusi sessuali

ROMA, mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- L’Arcivescovo di Malta, monsignor Paolo Cremona, ha incontrato martedì sera un gruppo di vittime di abusi sessuali commessi da religiosi negli anni Ottanta.

“Ieri sera – ha riferito a ZENIT il portavoce della Curia della Valletta, Kevin Papagiorcopulo – l’Arcivescovo ha incontrato in forma privata un piccolo gruppo di vittime. L’incontro è avvenuto nella sede dell’arcivescovo, ad Attard, ed è durato circa 2 ore. L’incontro è rimasto privato e riservato proprio come avevano chiesto le vittime”.

A quanto si apprende il gruppo delle vittime avrebbe presentato una lettera all’Arcivescovo chiedendo un incontro privato con Papa Benedetto XVI durante la sua visita a Malta sabato e domenica prossimi. Ma al momento sembra alquanto difficile inserire un incontro considerato il fitto programma della due giorni.

Proprio questo martedì il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ha detto di non poter escludere l'ipotesi di un incontro del Papa con alcune vittime di abusi sessuali a Malta, chiarendo anche che, se ciò dovesse accadere, avverrà “in un clima di raccoglimento e di riflessione, non sotto una pressione di carattere mediatico”.

Secondo quanto riferito da TimesofMalta.com, l'Arcivescovo Paul Cremona, parlando al programma televisivo “Bongu” di TVM, ha detto che le vittime hanno fatto bene a raccontare ai mezzi di comunicazione ciò che era loro accaduto.

Il presule ha tuttavia espresso rammarico per la campagna ai danni della Chiesa portata avanti da alcuni organi d'informazione internazionali, che hanno trascurato il contributo positivo alla società della maggior parte dei preti.

I media, ha continuato, invece di "informare" le persone, hanno tentato di "formare" le persone contro la Chiesa.

Monsignor Cremona ha sottolineato infine che è importante fare giustizia, senza dimenticare le vittime, e che vanno approntate adeguate modalità di prevenzione.

A questo proposito, il presule ha fatto notare che la Chiesa di Malta dal 1999, per trattare i casi di abuso su minori, si affida a due équipe di esperti, guidate da giudici ormai in pensione e indipendenti dalla Chiesa, e che tutti i casi sono stati sempre riferiti a Roma.

 

[Con il contributo di Serena Sartini]

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Ed Koch: nei mezzi di comunicazione c'è un evidente anticattolicesimo
Nega che le critiche provengano da gruppi ebraici
GERUSALEMME, mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- L'ex sindaco ebreo di New York (Stati Uniti) afferma che i "continui attacchi" dei mezzi di comunicazione alla Chiesa e a Benedetto XVI sono diventati "manifestazioni di anticattolicesimo".

Edward "Ed" Koch, membro del Congresso dal 1969 al 1977, lo dichiara in un blog pubblicato on-line giovedì dal quotidiano "The Jerusalem Post".

"A mio avviso, la successione di articoli sugli stessi eventi non ha più l'intenzione di informare, ma semplicemente di punire", dichiara Koch.

Riconoscendo che l'abuso sessuale di minori è "orrendo", segnala che è un punto su cui sono concordi "i cattolici, la stessa Chiesa, i non cattolici e i mezzi di comunicazione".

A questo proposito, il politico e commentatore afferma che il Papa ha proclamato apertamente la sua esecrazione di questo crimine e la compassione per le vittime.

Koch segnala che "molti di coloro che nei media si stanno scagliando contro la Chiesa e il Papa lo fanno chiaramente con piacere, e alcuni con malizia".

"Credo che la ragione dei costanti attacchi sia il fatto che nei media, come tra il pubblico, ci sono molte persone, e anche alcuni cattolici, che si oppongono e sono scontente dell'atteggiamento della Chiesa, ad esempio per l'opposizione a tutti gli aborti e ai matrimoni omosessuali, il mantenimento della norma del celibato per i sacerdoti, l'esclusione delle donne dal clero, l'opposizione alle misure di controllo della natalità, compresi i preservativi, e la prescrizione delle droghe, o l'opposizione al divorzio", ha aggiunto.

"Un mio buon amico, il Cardinale John O'Connor, ha detto una volta: 'La Chiesa non è un buffet libero, in cui si può prendere e scegliere quello che ti piace".

"La Chiesa ha il diritto di chiedere il rispetto da parte dei fedeli di tutte le sue regole religiose, e ovviamente ha il diritto di difendere ciò in cui crede".

Il politico ebreo spiega che personalmente non è d'accordo con l'atteggiamento cattolico su questi temi, ma aggiunge che la Chiesa "ha il diritto di mantenere questi punti di vista in base alle sue convinzioni religiose".

"Gli ebrei ortodossi, come la Chiesa cattolica, possono richiedere obbedienza assoluta alle norme religiose. Chi non vuole aderirvi è libero di andarsene".

Koch esprime anche la sua convinzione che "la Chiesa cattolica è una forza positiva nel mondo, non un male".

Allo stesso modo, sostiene che "l'esistenza di 1.130 milioni di cattolici nel mondo è importante per la pace e la prosperità del pianeta".

"E' ovvio che i mezzi di comunicazione debbano informare il pubblico dei nuovi eventi relativi agli abusi di minori - afferma Koch -, ma la loro obiettività e credibilità ne risente quando il New York Times rifiuta di pubblicare una op-ed [pagina di opinione opposta all'editoriale] offerta dall'Arcivescovo di New York Timothy Dolan sul tema dell'anticattolicesimo e propone invece di pubblicare una lettera all'editore, che è molto più breve e meno approfondita di una op-ed".

"Sono allarmato perché, secondo il Times del 6 aprile, 'la scorsa settimana il quotidiano di centro-sinistra 'la Repubblica' ha scritto senza attribuzione che certi circoli cattolici credono che le critiche alla Chiesa provengano da una lobby ebraica di New York'", ha aggiunto Koch.

Se questi "circoli cattolici si stavano riferendo al Times, si dovrebbe spiegare che l'editore, Arthur Sulzberger, Jr., non è ebreo ma episcopaliano, e il suo direttore esecutivo, Bill Keller, è anch'egli cristiano".

"Ora basta", dice Koch.

E aggiunge: "Sì, alcuni membri del clero cattolico hanno commesso atti terribili".

"La Chiesa ha pagato centinaia di milioni alle vittime negli Stati Uniti e pagherà milioni, forse centinaia di milioni, alle altre vittime nel mondo".

"Sta cercando disperatamente di emendare il suo passato con il riconoscimento e il cambiamento delle procedure per trattare la questione dei sacerdoti pedofili".

Koch conclude citando le parole di Gesù ricordate in Gv 8,7: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei".

Per accedere al blog: http://cgis.jpost.com/Blogs/koch/entry/he_that_is_without_sin.



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Spirito della Liturgia


Il sacerdote nei Riti di Conclusione della Santa Messa
Rubrica di teologia liturgica a cura di don Mauro Gagliardi
ROMA, mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- Per la rubrica "Spirito della liturgia" pubblichiamo l'articolo di don Mauro Gagliardi, Ordinario della Facoltà di Teologia dell'Ateneo Pontificio "Regina Apostolorum" di Roma e Consultore dell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice.

 



* * *

1. I Riti di Conclusione nelle due forme della Messa di Rito Romano

1.1 I Riti di Conclusione della Santa Messa si svolgono, in entrambe le forme del Rito Romano - l'ordinaria e la straordinaria - una volta terminata l'orazione dopo la Comunione. Per la forma ordinaria (o di Paolo VI), l'Institutio Generalis Missalis Romani (IGMR) al n. 90 si esprime in questi termini:

«I Riti di Conclusione comprendono:

a) Brevi avvisi, se necessari;

b) Il saluto e la benedizione del sacerdote, che in alcuni giorni e in certe circostanze si può arricchire e sviluppare con l'orazione sul popolo o con un'altra formula più solenne.

c) Il congedo del popolo da parte del diacono o del sacerdote, perché ognuno ritorni alle sue opere di bene lodando e benedicendo Dio;

d) Il bacio dell'altare da parte del sacerdote e del diacono e poi l'inchino profondo all'altare da parte del sacerdote, del diacono e degli altri ministri»i.

Il ruolo del sacerdote, dunque, consiste nel dare brevi avvisi ai fedeli, nel salutarli con la formula liturgica «Dominus vobiscum» e nel benedirli con formula semplice o solenne. Il sacerdote, se manca il diacono, pronuncia anche la formula di congedo «Ite, missa est»ii. I Riti terminano con il bacio dell'altare e con un inchino profondo ad esso, come all'inizio della Messa.

1.2 Possiamo confrontare questa struttura con quella stabilita dalle rubriche del Messale di forma straordinaria (o di san Pio V, nella revisione operata dal beato Giovanni XXIII). Gli elementi fondamentali sono comuni alle due forme del rito, ma si notano anche delle differenze. Il congedo «Ite, Missa est» qui è anteposto alla benedizioneiii. Ricevuta la risposta «Deo gratias», il sacerdote si volge di nuovo verso l'altare e, profondamente inclinato, con le mani giunte e appoggiate su di esso, dice la preghiera Placeat, che san Pio V fece aggiungere nel suo Messale (1570). Si tratta di una bella preghiera con la quale il ministro ordinato chiede alla Trinità di accettare il sacrificio eucaristico in favore suo e di tutti coloro per i quali il sacerdote lo ha offerto. Ecco il testo:

Placeat tibi, sancta Trinitas, obsequium servitutis meæ: et præsta, ut sacrificium quod oculis tuæ maiestatis indignus obtuli, tibi sit acceptabile; mihique et omnibus pro quibus illud obtuli, sit, te miserante, propitiabile. Per Christum Dominum nostrum. Ameniv.

Recitata con devozione questa preghiera, il sacerdote bacia l'altare, eleva gli occhi al cielo mentre apre e chiude le braccia elevandole e riabbassandole davanti al petto, inclina il capo verso la croce e dice: «Benedicat vos omnipotens Deus»; poi si volta verso il popolo e lo benedice con il segno di croce semplice nel nome della Trinità (lo stesso gesto che si compie nella forma ordinaria)v.

I Riti di Conclusione della forma straordinaria prevedono ancora una lettura biblica: il sacerdote, infatti, benedetto il popolo, si volge di nuovo all'altare, al lato del Vangelo, e proclama il Prologo del Vangelo di Giovanni, introducendo la lettura con le stesse formule e i medesimi gesti che si usano per la proclamazione del Vangelo all'interno della Liturgia della Parola. Nel leggere «Et Verbum caro factum est», egli genuflette. L'ultimo Vangelo è sempre Gv 1,1-14, che si omette in alcune celebrazionivi. Il Prologo del Vangelo di Giovanni veniva apprezzato già dal sec. XIII come formula di benedizione, in particolare per ottenere il bel tempo, e perciò fu inserito da san Pio V nel suo Messalevii. Questa lettura, pertanto, va intesa come parte della benedizione.

1.3 Notiamo che la continuità nei Riti di Conclusione tra la forma straordinaria e la forma ordinaria del Rito Romano sta in questi elementi: la benedizione del popolo, la formula di congedo, il bacio e la venerazione dell'altare. Le differenze tra le due forme si riscontrano per alcune soppressioni nel passaggio dal Vetus al Novus Ordo e in un'aggiunta operata da quest'ultimo. Il Novus Ordo ha cambiato la struttura di svolgimento dei Riti di Conclusione, sia invertendo l'ordine tra congedo e benedizione, sia eliminando la preghiera Placeat e l'ultimo Vangelo. L'aggiunta che esso fa consiste invece nell'indicazione dell'IGMR, n. 90/a, che prevede la possibilità di dare brevi avvisi all'inizio dei Riti di Conclusioneviii. Altra aggiunta (ripresa dalla prassi antica) è la possibilità di utilizzare formule di benedizione più solenni.

2. Le due colonne portanti dei Riti di Conclusione: benedizione e congedo

2.1 Da quanto detto, risulta che le due colonne portanti dei Riti di Conclusione della Messa sono la benedizione ed il congedo. Nella Sacra Scritturaix, la parola «benedire/benedizione» ha un significato molto ampio. Nell'ebraico dell'Antico Testamento, la radice brk indica la fortuna di quegli uomini a cui tutto riesce, ma indica anche la fecondità, l'abbondanza, la ricchezza e persino l'umidità delle nuvole (vera e propria ricchezza e benedizione nel deserto!). Oltre a questi significati, brk viene usata nel senso verbale di «rendere omaggio», «lodare», «glorificare», «esprimere riconoscenza» e anche «parlare bene di qualcuno». Infine, siccome in Israele qualsiasi saluto era un augurio di benedizione, brk significa anche semplicemente «salutare». Il significato più vicino al nostro modo di intendere la «benedizione», si trova espressa nei testi che trattano di auguri di benedizione dei padri ai figli, o dei sacerdoti ai partecipanti del culto, o ancora riguardo a promesse fatte da Dio in favore degli uomini. Si trovano anche formule liturgiche fisse, ad esempio Nm 6,23-26.

Nell'Antico Testamento, la benedizione, al pari della maledizione, ha una forza che realizza quanto le parole esprimono. Ad esempio, «benedizione» è una forza che si trasmette a qualcuno mediante l'imposizione delle mani (cf. Gen 48,14.17) o pronunciando una parola su qualcuno (cf. Gen 27,27-29; 49,1-28). Una volta ricevuta mediante la benedizione, la forza non può essere tolta da un uomo (cf. Gen 27,33.35; Nm 22,6). Anche quando Dio non viene esplicitamente menzionato, è sempre sottinteso che la forza della benedizione viene da lui. Oltre che sul popolo eletto e sui singoli, l'Antico Testamento conosce una benedizione divina anche su oggetti (cf. Es 23,25; Dt 7,13; 28,4-5; Ger 31,23; Pro 3,33), sebbene non venga presentato un rito liturgico corrispondente.

Tra i vari personaggi che nell'Antico Testamento benedicono, vi sono anche i sacerdoti che benedicono le singole persone che si recano al tempio (cf. 1Sam 2,20), i pellegrini (cf. Sal 118,26) nonché il popolo radunato (cf. Lev 9,22). Anzi si dice che, strettamente parlando, JHWH ha designato solo i sacerdoti e i leviti per benedire nel suo nome (cf. Dt 21,5; 10,8).

Al tempo di Gesù, nel tempio di Gerusalemme i sacerdoti, nel compiere la liturgia mattutina, pronunciavano la «benedizione di Aronne», ossia il già citato Nm 6,23-26. Il Nuovo Testamento fa propri gli usi e le concezioni della benedizione anticostestamentaria e giudaicax. La Lettera agli Ebrei ricorda la benedizione di Melchisedec ad Abramo e quella di Isacco a Giacobbe (cf. Eb 7,1; 11,20). Secondo san Paolo, la benedizione divina ad Abramo giunge anche a coloro che non sono sua discendenza per via carnale: necessaria, però, è la fede (cf. Gal 3,8-9). Interessante è ancora un'altra annotazione di Ebrei che, prendendo spunto dalla benedizione di Melchisedec, nota che «senza dubbio è l'inferiore che è benedetto dal superiore» (Eb 7,7): quindi, chi benedice è stato costituito da Dio in una posizione superiore rispetto a colui che è benedettoxi. Gesù stesso benedice mediante imposizione delle mani: i bambini (cf. Mc 10,16) e i discepoli (cf. Lc 24,50). Rileggendo la vita di Gesù dopo la risurrezione, san Pietro dirà che Dio ha mandato il Figlio a benedirci (cf. At 3,26) e san Paolo preciserà che si tratta di una eulogía pneumatiké, una benedizione spirituale (Ef 1,3). Il cristiano è chiamato a imitare Cristo e a benedire sempre: «Benedite (anche) coloro che vi maledicono» (Lc 6,28; cf. Rm 12,14).

2.2 Da questi elementi biblici discende l'uso liturgico cristiano di benedire, che ha il significato di «chiedere a Dio i suoi doni sulle sue creature, e rendergli grazie per i doni già ricevuti»xii. Prosper Guéranger ha sostenuto che la benedizione deve risalire in qualche modo alle istituzioni liturgiche dettate dagli stessi apostolixiii. A livello rituale, essa si compie con l'imposizione delle mani sui singoli oppure, per le assemblee, allargando le braccia e rivolgendo le palme delle mani sui presenti. Il segno cristiano di benedizione per eccellenza è però il segno della croce e perciò giustamente il Rito Romano fa iniziare e concludere l'Eucaristia con questo segno.

«"Diventerai una benedizione", aveva detto Dio ad Abramo al principio della storia della salvezza (Gen 12,2). In Cristo, figlio di Abramo, questa parola è pienamente compiuta. Egli è benedizione per l'intera creazione e per tutti gli uomini. La croce, che è il suo segno nel cielo e sulla terra, doveva dunque diventare il vero gesto di benedizione dei cristiani»xiv.

Al termine della Messa, la benedizione può svolgersi in diversi modi: come benedizione semplice, come tripla benedizione solenne, o come preghiera di benedizione sul popoloxv.

Il sacerdote celebrante deve tener presente il ruolo di mediatore che egli svolge anche nell'impartire ai fedeli la benedizione finale della Messa, che non è solo un atto dovuto, o un modo come un altro per concludere la celebrazione. Nella benedizione finale (come in tutta la Messa) si incrociano due dinamiche: quella dal basso, per la quale l'uomo rende grazie a Dio, «bene-dice» Dio per i doni già ricevuti; e quella dall'alto, per cui Dio stesso effonde i suoi beni sui fedeli. Il sacerdote è proprio al centro di questo flusso di preghiera e di grazia.

2.3 Dalla natura teologica della benedizione conclusiva, deriva anche il carattere proprio del congedo. Anche qui non si tratta semplicemente di un saluto di cortesia ai presenti, ma dell'esplicitazione di un mistero di grazia. Benedetto XVI ci ricorda che nel saluto «Ite, missa est»,

«ci è dato di cogliere il rapporto tra la Messa celebrata e la missione cristiana nel mondo. Nell'antichità "missa" significava semplicemente "dimissione". Tuttavia essa ha trovato nell'uso cristiano un significato sempre più profondo. L'espressione "dimissione", in realtà, si trasforma in "missione". Questo saluto esprime sinteticamente la natura missionaria della Chiesa. Pertanto, è bene aiutare il popolo di Dio ad approfondire questa dimensione costitutiva della vita ecclesiale, traendone spunto dalla liturgia»xvi.

Il congedo da parte del sacerdote costituisce, pertanto, un ultimo ammonimento a vivere ciò che si è celebrato. Si tratta di custodire la grazia ricevuta nel sacramento, affinché porti frutti nella vita cristiana di ogni giorno. Perciò con il tema del congedo è collegato il grande tema del rapporto tra liturgia ed etica, intendendo quest'ultima nel senso più ampio possibile (vita morale nella carità, testimonianza, annuncio, missione, martirio). Il fatto che il congedo non sia a sé stante, ma che sia collegato e derivi dalla benedizione, ci dice che in questo impegno non siamo soli: il Signore ci accompagna ed «opera con noi» (cf. Mc 16,20) e perciò la nostra vita può essere il «culto logico» gradito a Dio (cf. Rm 12,1-2; 1Pt 2,5). «Il congedo, atto presidenziale, dichiara sciolta l'assemblea. Come ci si raduna su convocazione divina (Rm 8,30), così il presidente, che agisce "in persona Christi", invia i fedeli alle azioni usuali della vita, per compierle in modo nuovo, trasformandole in materiale di salvezza; perciò l'assemblea risponde: "Rendiamo grazie a Dio"»xvii.

Lo storico cattolico Henri Daniel-Rops, in un libretto in cui medita sul significato della Santa Messa nel rito di san Pio V, così riassume il senso della benedizione finale e del congedo:

«Proprio quando la Messa sta per finire, e noi stiamo per riprendere il lavoro di ogni giorno tra affanni e pericoli, la Chiesa ci ricorda che dobbiamo vivere sotto la mano di Dio e che è sotto la sua mano che saremo guidati e protetti. In questo modo tutta l'essenza della Messa sarà, in un certo senso, incorporata al nostro essere e continuata nella nostra vita d'ogni giorno. [...] L'Ite Missa est, o formula di congedo, può essere spiegata come un annuncio solenne della conclusione della funzione, ma ci avvisa anche che il nostro personale servizio di Dio non è che all'inizio. Con il Placeat [...] siamo guidati a contemplare l'onnipresenza del Dio Uno e Trino, nel cui Nome è invocata su di noi la Benedizione finale. Con un bellissimo gesto liturgico, il celebrante alza le mani in alto come per tirar giù dal Cielo la grazia che ci accompagnerà per proteggerci e guidarci»xviii.

Da sponda ortodossa, gli fa eco lo ieromonaco Gregorio del Monte Athos, che in un libro in cui commenta la divina liturgia di san Giovanni Crisostomo, così interpreta il congedo:

«La divina liturgia è un cammino. Un cammino il cui scopo, il cui fine è l'incontro con Dio, l'unione dell'uomo con lui. Tale meta è già stata attinta. Siamo giunti al termine del nostro percorso. Abbiamo visto la luce vera. Abbiamo visto il Signore trasfigurato sul Tabor. Ci siamo accostati al suo santo corpo e al suo sangue immacolato. E mentre osiamo balbettare al nostro illustre visitatore: "È bello per noi restare qui" (Mt 17,4), la madre Chiesa ci ricorda che il termine del nostro cammino liturgico deve diventare l'inizio del nostro cammino di testimonianza: Procediamo in pace! Dobbiamo lasciare il monte della trasfigurazione per ritornare nel mondo e percorrere la via del martirio della nostra vita. Questo cammino diviene la testimonianza del credente in ordine alla Via e alla Vita che egli ospita in sé. Nella divina liturgia abbiamo ricevuto in noi Cristo. Ora siamo chiamati a portarlo al mondo. A diventare i testimoni della vita di lui nel mondo: i testimoni della nuova vita. [...] Dopo esserci accostati all'Eucaristia dobbiamo uscire nel mondo quali "cristofori" - portatori di Cristo - e "pneumatofori" - portatori dello Spirito -. In seguito dobbiamo lottare per far sì che non si estingua la luce ricevuta»xix.

3. Conclusioni e prospettive

3.1 Il sacerdote nei Riti di Conclusione della Santa Messa sta ancora svolgendo un compito sacerdotale, ossia di mediazione tra Dio e il popolo fedele. Non si tratta solo di salutarsi e di darsi appuntamento alla volta successiva, ricordando magari gli impegni infrasettimanali. Il sacerdote qui invoca sul popolo la benedizione divina, mentre a nome del popolo ringrazia Dio per i doni già ricevuti dalla sua bontà. Anche qui egli agisce in persona Christi. Perciò egli non dice, al plurale, «ci benedica Dio onnipotente...», né «la Messa è finita, andiamo in pace». Egli parla a nome e nella Persona di Cristo e come ministro della Chiesa, perciò imparte la benedizione, mentre la invoca, e invia i fedeli alla missione quotidiana della vita: «vi benedica Dio...», «andate in pace». Attraverso di lui, Cristo e la Chiesa incaricano i battezzati di questa testimonianza quotidiana da rendere al Vangelo.

3.2 La revisione dei Riti di Conclusione operata dal Messale di Paolo VI segna alcuni elementi di progresso: a) Le distinte modalità di benedizione esprimono con più completezza il messaggio della Scrittura e della Tradizione liturgica; b) La soppressione dell'ultimo Vangelo non rappresenta un danno grave, dato il carattere di benedizione che esso aveva nel Vetus Ordo; c) L'inversione di congedo e benedizione manifesta che solo con la grazia di Dio noi possiamo essere fedeli al Signore ogni giorno.

Su questi punti, non c'è da lamentarsi dei cambiamenti operati. Si potrebbe riflettere sull'opportunità di reintrodurre il Placeat. Bisogna però soprattutto riconoscere l'impoverimento teologico e celebrativo dovuto all'inserimento, nel Novus Ordo, degli avvisi ai fedeli come parte propria, ufficialmente normata, dei Riti di Conclusione. Sebbene la più recente IGMR sottolinei che tali avvisi devono essere brevi e che bisogna darli solo se sono necessari, ciò non toglie che si è introdotto ufficialmente un elemento di per sé estraneo alla liturgia, che poi di fatto è diventato molto spesso il vero elemento centrale dei Riti di Conclusione della Messa. Mentre, pertanto, va suggerito ai sacerdoti di ridurre al minimo, anzi possibilmente di eliminare del tutto questa pratica, si deve sperare che in una futura riforma dell'IGMR l'attuale concessione venga ritirata. Non c'è dubbio che la prassi degli avvisi finali abbia preceduto la normativa; nondimeno non appare opportuno riconoscere de iure quanto prima si era operato de facto, allo scopo di non favorire ulteriormente tanto l'abitudine in sé quanto l'estensione della sua pratica. È chiaro che una comunità cristiana, soprattutto parrocchiale, ha bisogno di forme di comunicazione interna, ma particolarmente ai nostri giorni esse non mancano, ragion per cui non appare necessario inserirle nella liturgia.



Note

i Citiamo l'IGMR nella editio typica tertia emendata (2008).

ii Nell'ultima edizione del Messale di forma ordinaria sono state inserite alcune formule alternative: «Ite, ad Evangelium Domini annuntiandum»; «Ite in pace, glorificando vita vestra Dominum»; «Ite in pace» (cf. Missale Romanum, Reimpressio emendata dell'Editio typica tertia [2008], n. 144, p. 605).

iii Nella Messa «in Cena Domini» e in ogni Messa cui segue una processione, l'«Ite» è sostituito con la formula «Benedicamus Domino»; nelle Messe per i defunti si sostituisce l'«Ite» con «Requiescant in pace». Infine, come è anche nella forma ordinaria, durante l'ottava di Pasqua alla formula ordinaria «Ite, missa est», come pure alla risposta «Deo gratias», si aggiunge due volte l'alleluja.

iv «Ti sia gradito, o santa Trinità, l'ossequio del mio servizio: e concedi che il sacrificio che io - sebbene indegno agli occhi della tua divina maestà - ho offerto, sia a te accetto; e, per la tua misericordia, sia propizio per me e per tutti coloro per i quali l'ho offerto. Per Cristo Nostro Signore. Amen».

v Si benedice in questo modo anche nelle Messe solenni. Nelle Messe in cui «Ite, missa est» si sostituisce con altre formule (cf. supra, nota 3), non si dà la benedizione. Se si è detto «Requiescant in pace», si passa direttamente dalla preghiera Placeat alla lettura dell'ultimo Vangelo. Se si è detto «Benedicamus Domino», si omette anche l'ultimo Vangelo.

vi L'ultimo Vangelo si omette: a) nelle Messe in cui l'«Ite» è sostituito da «Benedicamus Domino»; b) nella terza Messa di Natale; c) nella Dominica II Passionis seu in Palmis; d) nella Messa della Veglia Pasquale; e) nelle Messe dei defunti cui segue l'assoluzione al feretro, al tumulo o al drappo; f) in alcune Messe celebrate in occasione di consacrazioni o di benedizioni. La Domenica in Palmis si omette l'ultimo Vangelo se si è tenuta la benedizione dei rami di palma. Altrimenti, l'ultimo Vangelo si legge, ma la pericope giovannea è sostituita con Mt 21,1-9.

vii Cf. M. Kunzler, La liturgia della Chiesa, Jaca Book, Milano 20032, p. 347.

viii Cf. anche IGMR (2008), n. 166. L'IGMR (1969-1970) e l'IGMR (1975), ossia l'editio typica prima e l'editio typica altera del Messale post-conciliare, non parlavano della possibilità di dare avvisi al n. 57 (corrispondente al n. 90 dell'attuale editio typica tertia), però ne parlavano al n. 123 (corrispondente all'attuale n. 166).

ix Per quanto segue, cf. J. Guillet, «Bénédiction», in X. Léon-Dufour (ed.), Vocabulaire de Théologie Biblique, Cerf, Paris 1962, coll. 91-98; J. Scharbert, «Benedizione», in J. Bauer (ed.), Dizionario di Teologia Biblica, Morcelliana, Brescia 1969, pp. 178-189.

x Si può ricordare che anche a Qumran la benedizione aveva una funzione importante, ad esempio al momento di essere ammessi nella comunità (cf. 1QS II,1-4).

xi È ovvio che ciò si applica alla benedizione che Dio riversa su un uomo attraverso un altro uomo, scelto ed elevato da Dio ad una condizione superiore. Non si applica ai casi in cui l'uomo biblico «benedice Dio», dove il termine benedire viene usato nella sfumatura di dire-bene, lodare, onorare, ringraziare, ecc.

xii R. Berger, Kleines liturgisches Lexikon, Herder, Freiburg im Br. 1987: qui nell'edizione italiana Liturgia, Piemme, Casale Monferrato (AL) 19973, p. 25.

xiii «La Liturgia stabilita dagli Apostoli deve aver contenuto necessariamente tutto ciò che era essenziale alla celebrazione del Sacrificio cristiano, all'amministrazione dei Sacramenti (sia dal punto di vista delle forme essenziali, che da quello dei riti richiesti per la dignità dei misteri), all'esercizio del potere di Santificazione e di Benedizione che la Chiesa ottiene da Cristo per mezzo degli stessi Apostoli...»: P. Guéranger, Institutions liturgiques, Société Générale de Librairie Catholique, Paris 18782, I, 38 (traduzione nostra).

xiv J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2001, p. 180.

xv Questa triplice opportunità si manifesta più chiaramente nel nuovo Messale, anche se il Vetus Ordo già prevedeva la triplice benedizione per le Messe pontificali e, almeno in Quaresima, presentava un'orazione sul popolo introdotta con la formula humiliate capita vestra Deo.

xvi Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, 22.02.2007, n. 51. A. Nocent in passato ha contestato lo slittamento semantico di missa da «congedo» a «missione» e perciò ha lamentato le cattive traduzioni in lingua nazionale dell'«Ite, missa est»: cf. il suo «Storia della celebrazione dell'Eucaristia», in S. Marsili (ed.), Anàmnesis, 3/2: La Liturgia, eucaristia: teologia e storia della celebrazione, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1983, pp. 189-190; 269-270.

xvii A. Sorrentino, L'Eucaristia: rito e vita, Dottrinari, Pellezzano (SA) 2008, p. 138.

xviii H. Daniel-Rops, Questa è la Messa. Riflessioni e meditazioni sulla Messa di san Pio V, Casa Mariana Editrice, Frigento (AV) 2009, pp. 150-151.

xix G. Chatziemmanouil, La Divina Liturgia. "Ecco, io sono con voi... sino alla fine del mondo" (A. Ranzolin, ed.), LEV, Città del Vaticano 2002, pp. 247-248.

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Italia


All'origine di tutto c'è la confusione tra pedofilia ed efebofilia
Parla il prof. Tonino Cantelmi, psicoterapeuta e specialista in psichiatria

di Mirko Testa

ROMA, mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- All'origine della bufera mediatica che ha investito il Segretario di Stato del Papa, il Cardinale Tarcisio Bertone, c'è una semplificazione, spesso alimentata dai giornali, che porta a confondere la pedofilia con l'efebofilia.

Ne è convinto il prof. Tonino Cantelmi, che è Presidente dell'Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici (AIPPC), e insegna Psicopatologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma.

In alcune dichiarazioni a ZENIT lo psicoterapeuta ha puntato il dito, in particolare, contro gli operatori dell'informazione: “La confusione che si è fatta nell'equiparare la pedofilia all'omosessualità, secondo me, è stata un po' tirata da voi giornalisti”.

“Spesso si legge: prete accusato di pedofilia per aver molestato un ragazzino di 13 anni. Ma questa non è pedofilia!”, ha fatto notare.

“Sicuramente – ha aggiunto Cantelmi – il Cardinal Bertone si riferiva all'efebofilia, cioè all'attrazione sessuale verso adolescenti, di età quindi compresa tra gli 11 e i 17 anni”.

“E gli abusi commessi da membri del clero riguardano soprattutto minori post-puberali ed hanno come protagonisti persone omosessuali”, ha spiegato ancora.

“Per onestà dobbiamo dire che la pedofilia non c'entra nulla con l'omosessualità – ha proseguito –. La pedofilia è una malattia, una perversione grave che non è legata all'orientameno sessuale”.

Inoltre, ha continuato, “la causa della pedofilia non è il celibato. A scatenare la pedofilia è un disturbo della personalità che solitamente è di tipo narcisistico, maligno, legato a persone molto manipolatrici, dal profilo antisociale e sadico”.

Il prof. Tonino Cantelmi ha inoltre affermato che la comunità scientifica internazionale è unanime su questo punto: “non c'è nessuna prova che possa dimostrare che il celibato sia alla base della pedofilia. Il celibato non c'entra nulla”.

“Tant'è vero che, dei 10.000 pedofili attivi in Italia, la maggior parte è formata da eterosessuali e da persone che hanno famiglia”, ha poi osservato.

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Interviste


Arcivescovo di Malta: "Santità, la aspettiamo con grande gioia"
Intervista a monsignor Paul Cremona

di Serena Sartini

LA VALLETTA, mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- Mancano pochi giorni alla visita del Papa a Malta, il 17 e 18 aprile, e l’entusiasmo e l’attesa cominciano a farsi sentire. Si mettono a punto gli ultimi dettagli, la macchina organizzativa gira a pieno ritmo.

Al comitato organizzatore della visita apostolica, quartier generale del governo maltese e della Chiesa dell’Isola, c’è un gran via vai per sistemare gli ultimi preparativi. E far sì che la visita resti nella storia. Come quella di Giovanni Paolo II nel 1990 e nel 2001.

Monsignor Paul Cremona, Arcivescovo di Malta, corre da una parrocchia all’altra per evangelizzare e invitare i fedeli all’appuntamento con Benedetto XVI. Il 9 aprile scorso ha presieduto, insieme al Vescovo di Gozo, il pellegrinaggio nazionale in preparazione alla visita, da Mount St. Joseph fino a St. Paul, alla piccola chiesa di Saint Paul, il punto esatto in cui la tradizione vuole che l’apostolo delle genti naufragò.

Nonostante i mille impegni, monsignor Cremona ci riceve nella sua residenza ad Attard, piccola località a una decina di chilometri da Valletta. E risponde alle domande di ZENIT.

Tra pochi giorni il Papa sarà a Malta. Con quali sentimenti la Chiesa dell’Isola si appresa ad accogliere il Successore di Pietro?

Mons. Cremona: Le aspettative della Chiesa di Malta sono molteplici. Prima di tutto sarà un’esperienza di fede. In questi due giorni i fedeli incontreranno il Sommo Pastore e per tutti noi sarà un’esperienza fortissima della Chiesa locale. Sarà un’occasione per tutti noi di essere più vicini alla Chiesa universale e al Papa. Non è un caso che il primo incontro pastorale del Papa a Malta sarà a Rabat, dopo l’incontro con il presidente a Valletta. Proprio a Rabat nascono le radici cristiane legate all’apostolo San Paolo. In questo senso la Chiesa di Malta ha dato il proprio contributo alla Chiesa universale, grazie al messaggio di San Paolo.

Un secondo aspetto della visita riguarda l’attesa del messaggio di Benedetto XVI. Aspettiamo con grande entusiasmo i tre discorsi che il Pontefice terrà. Sarà per noi una occasione per sentire attentamente la voce del Papa. Infine, un terzo aspetto che vorrei sottolineare è quello dell’impegno della Chiesa di Malta nell’ascoltare il messaggio del Papa e nel portarlo nella nostra realtà, per costruire il futuro della Chiesa, specialmente ora che siamo nella fase di tradurre maggiormente i frutti della Chiesa nella società moderna.

Ritiene che la visita del Papa in occasione dell’anniversario del naufragio di San Paolo possa risvegliare la fede dei maltesi e portare frutti concreti?

Mons. Cremona: L’Anno Paolino che si è celebrato lo scorso anno ha prodotto molti frutti. Ci sono state mostre, celebrazioni, pellegrinaggi, iniziative, sulle orme di San Paolo. Quest’anno celebriamo il 1950° anniversario del naufragio di San Paolo a Malta. Per noi è un’occasione importante di riflessione perché possiamo porre la domanda: perché la Provvidenza ha portato San Paolo a Malta? Non era previsto. San Paolo doveva andare a Corinto, a Efeso, a Roma, ma non a Malta. La domanda è dunque: ci sarà una vocazione cristiana che viene direttamente dalla provvidenza? In secondo luogo, l’attitudine dei maltesi, che negli Atti degli Apostoli sono descritti come barbari, non è certamente questa. L’accoglienza dei maltesi è ben evidente in ogni epoca, e anche San Paolo è rimasto stupefatto dal senso di accoglienza e di ospitalità di questi isolani.

La preparazione della visita del Papa a Malta ha mostrato una importante collaborazione tra Stato e Chiesa. Come valuta questi rapporti?

Mons. Cremona: I rapporti sono ottimi. Anche nella indipendenza di ciascuno, c’è una grande collaborazione. La Chiesa riconosce il ruolo dello Stato e lo Stato non interferisce nelle questioni propriamente della Chiesa e riconosce il ruolo della Chiesa nella cristianità. Il nostro presidente ha fatto molto per la visita del Papa a Malta e anche il governo si sta adoperando molto. Stiamo lavorando insieme, in collaborazione, ciascuno nelle proprie competenze. Questa visita non è solamente per la Chiesa maltese, ma per tutto il popolo e i frutti saranno per l’intero Paese.

Come valuta le radici cristiane di Malta all’interno di un continente che invece non vuole riconoscere tali radici?

Mons. Cremona: E’ una questione storica. La cristianità è fin dai tempi di San Paolo. Ci sono recenti studi che attestano che anche nel periodo degli arabi la comunità cristiana è sempre stata presente. Non si è mai interrotta. Malta è profondamente cattolica: oltre il 90% dei maltesi si professa cattolico, anche se occorre distinguere con chi è realmente praticante. In questo caso la percentuale si abbassa. E’ questa la sfida che dobbiamo portare avanti: trasformare questo senso religioso in una fede più concreta. La nostra società ha bisogno di questi valori cristiani che la Chiesa deve trasmettere. Ma ritengo le radici cristiane profondamente solide qui a Malta e nessuno può sostenere il contrario.

Il fenomeno dell’immigrazione colpisce anche il vostro Paese. Cosa si sente di dire su questo delicato problema?

Mons. Cremona: Negli ultimi mesi il numero di richiedenti asilo è diminuito. Circa 240 sono in luoghi di detenzione, ma la Chiesa ha espresso le proprie perplessità sulla durata del periodo di detenzione. La Chiesa è per l’accoglienza di ciascun individuo e anzi porta avanti con coraggio un impegno concreto, affinché tutte le persone create a immagine di Dio, siano trattate con umanità, indipendentemente dalla razza, dal colore della pelle, della religione. Non c’è posto per il razzismo e in pratica la Chiesa maltese accoglie 400 famiglie, dando loro alloggio, offrendo sostegno e un importante servizio di appoggio.

Ritorniamo alla visita del Papa. Eccellenza, quale messaggio vuole lanciare a pochi giorni dall’arrivo del Pontefice?

Mons. Cremona: Aspettiamo con grande gioia il Papa. C’è stata una forte preparazione su diversi aspetti, non solo spirituale. Ci stiamo dando da fare su tutti i fronti. Vogliamo dare a Benedetto XVI la massima accoglienza e ospitalità. Anche i giovani si stanno preparando da mesi con alcuni incontri, hanno realizzato un pellegrinaggio con la Croce della Gmg e l’Icona di Maria in tutte le parrocchie maltesi. Vorrei dire a Benedetto XVI: Santità, la aspettiamo con grande gioia e ansia.

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Deformate le parole del Cardinal Bertone su omosessualità e pedofilia
Intervista a Massimo Introvigne, Direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni

di Jesús Colina

PAMPLONA, mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il prof. Massimo Introvigne, Direttore del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), afferma che il Cardinale Tarcisio Bertone è stato vittima di una aggressione basata sulla disinformazione circa quanto da lui realmente dichiarato in merito al legame tra casi di abuso sessuale da parte di sacerdoti e omosessualità.

Da Pamplona, dove partecipa in questi giorni al XXXI Simposio di Teologia dell'Univesità di Navarra, il sociologo ha risposto alle domande di ZENIT, nel mezzo della tempesta di attacchi che si è abbattuta sul Segretario di Stato di Benedetto XVI, in seguito ad alcuni lanci d'agenzia che riprendevano una conferenza stampa da lui concessa questo lunedì a Santiago del Cile.

Rispondendo a un giornalista, il Cardinal Bertone ha fatto semplicemente riferimento agli studi realizzati sui casi di quei sacerdoti che hanno commesso abusi sessuali e dai quali emerge che per lo più sono stati commessi su ragazzi che hanno passato la pubertà. Quali sono le cifre?

Massimo Introvigne: Credo che sia doveroso esprimere solidarietà al Cardinale Bertone, vittima di un'aggressione indegna e anche francamente maleducata. Nel quadro di un'intervista, che non è un saggio scientifico, il Cardinale ha semplicemente fatto allusione a un dato ovvio, che tutti gli addetti ai lavori conoscono. Secondo il rapporto del 2004 del John Jay College di New York, lo studio più autorevole che esista sul tema, negli Stati Uniti l'81% delle accuse di abusi su minori rivolte a sacerdoti riguardano i ragazzini e non le ragazzine. Parliamo di maschi che abusano di altri maschi. Anche in Irlanda gli abusi di sacerdoti su ragazzi sono circa il doppio di quelli su ragazze. Questi sono numeri, che come tali non dovrebbero offendere nessuno e a cui non va fatto dire più - ma neanche meno - di quanto dicono.

Ma non si può dire che gli omosessuali siano pedofili!

Massimo Introvigne: Certamente nessuno ha mai sostenuto che tutti i preti con tendenze omosessuali abusano di minori. Questa sarebbe un'accusa del tutto ingiusta. Che la maggior parte dei preti che abusano di minori, però, abusino di minori dello stesso sesso invece è un fatto.


Come sono state deformate le parole del Cardinal Bertone?

Massimo Introvigne: Certamente il Cardinal Bertone non voleva intervenire sulla qualificazione medica di questi comportamenti: efebofilia, omofilia, pedofilia... Coloro che lo criticano qualche volta però scambiano un'intervista per un trattato di medicina, e semplicemente vorrebbero vietare di citare dati statistici che considerano non politicamente corretti. E questa è una forma di censura inaccettabile, talora travestita da scienza.

Benedetto XVI ha stabilito invece un rapporto chiaro nella sua Lettera Pastorale ai Cattolici d'Irlanda, (19 marzo 2010) tra questi casi e la perdita del rispetto per la Chiesa e per i suoi insegnamenti che si è sviluppato all'interno della Chiesa stessa successivamente al Concilio Vaticano II. Vede qui un rapporto diretto?

Massimo Introvigne: Come opinione personale ritengo anche che una certa tolleranza in alcuni seminari cattolici - sia chiaro: non in tutti - di una subcultura omosessuale negli anni 1970 sia stata una parte non secondaria di quella confusione morale e contestazione teorica e pratica del magistero morale della Chiesa che il Papa denuncia nella lettera sull'Irlanda. Questa confusione dottrinale e pratica ha creato il terreno su cui talora è potuta  crescere  anche la mala pianta della tolleranza per gli abusi. Certo, questa non è stata l'unica causa della crisi ma è parte di un problema più generale. Giustamente quindi la Chiesa ha preso misure che affrontano questo problema. Non dovrebbe essere una novità per nessuno il fatto che la Chiesa - fermo il rispetto delle persone omosessuali in quanto persone - considera gli atti omosessuali come sempre oggettivamente disordinati. E se li considera tali nella società in genere, tanto più non li può tollerare nei noviziati e nei seminari.

Qual è la ragione di attacchi così duri ma anche ingiusti contro il Cardinale Bertone, il Papa e la Chiesa?

Massimo Introvigne: Ormai è sotto gli occhi di tutti l'azione di una lobby gay che vuole trarre pretesto dalla questione dei preti pedofili per imbavagliare la Chiesa, impedirle di riproporre la sua dottrina sul carattere oggettivamente disordinato dell'atto omosessuale e soprattutto ostacolare l'azione molto efficace che i cattolici hanno dispiegato, per esempio in Italia con il Family Day, per bloccare ogni ipotesi di riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali da parte degli Stati. Il modo giusto di rispondere alla prepotenza delle lobby è non arretrare mai. Anzi, la dottrina della Chiesa sull'omosessualità va riproposta e spiegata con pacatezza in ogni sede, “opportune et importune”. Questa dottrina va pure mostrata nel suo fondamento di ragione e non solo di fede, così che s'impone nella sua ragionevolezza anche ai non credenti e chiedere agli Stati di tenerne conto non costituisce un'ingerenza della Chiesa ma un servizio al bene comune. E i laici cattolici, specie quelli impegnati in politica, devono alzare la voce contro ogni ipotesi di riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali. E contro gesti provocatori come il matrimonio simbolico fra due lesbiche "celebrato" il mese scorso dal sindaco di Torino.



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Dentro la macchina organizzativa del viaggio papale a Malta
Intervista all'incaricato governativo, Charles Bonello
di Serena Sartini


LA VALLETTA, mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- Tutto è pronto a Valletta per l’arrivo del Papa, sabato e domenica prossimi. O quasi. Al quartier generale del Comitato organizzatore della visita, a Floriana, vicinissima a Valletta, si mettono a punto gli ultimi dettagli. C’è un gran corri corri, il telefono squilla in continuazione e i numerosi volontari forniscono tutte le informazioni possibili per le celebrazioni che Benedetto XVI terrà nell’Isola.

Charles Bonello, incaricato dal governo del Comitato organizzatore della visita, è chiuso nel suo ufficio ininterrottamente fino a notte fonda, sommerso dalle carte e con il telefono che squilla in continuazione. Riesce però a fermarsi qualche minuto per fare il punto con ZENIT sull’organizzazione, arrivata alla fase finale.

“Siamo molto soddisfatti della partecipazione dei mass media – ha commentato –. C’è stata un’ottima risposta. Abbiamo circa 180 giornalisti stranieri, e gli accrediti arrivano a 320 con la stampa locale. Arriveranno giornalisti da tutto il mondo”.

“Le celebrazioni – ha fatto poi sapere Bonello – verranno seguite da numerose televisioni. La messa del Papa a Floriana, l’attività principale organizzata dalla Chiesa maltese, in programma domenica mattina, verrà trasmessa in diretta dalla Rai, mentre Rai24 trasmetterà in diretta il tragitto che il Pontefice compirà da Kalkara a Valletta a bordo del catamarano. Inoltre circa 60 televisioni di tutto il mondo trasmetteranno, in differita, le celebrazioni del Papa a Malta”.

“Malta – ha aggiunto – vede la visita di Benedetto XVI come una buona occasione non solo per l’immagine del paese, ma anche per rilanciare il turismo. Il governo farà il massimo per questa visita”.

Ci può dare qualche dettaglio sulla sicurezza, sui trasporti, sulla logistica?

Charles Bonello: Stiamo concludendo la fase finale della logistica, siamo a buon punto, dobbiamo solo verificare gli ultimi dettagli. Per quanto riguarda la sicurezza, ci sarà un livello alto. Abbiamo accreditato circa 5mila persone, tra invitati, staff, uomini delle forze dell’ordine, volontari, protezione civile, medici.

Il trasporto pubblico verrà potenziato. Saranno predisposte corse speciali per i luoghi delle celebrazioni del Papa. Aspettiamo tantissime persone provenienti da tutta l’Isola. Alla messa di Floriana, domenica mattina, si attendono 35-40mila persone. Per il Papa, invece, ci saranno due papa-mobili e una macchina di sicurezza.

Il governo e il presidente della Repubblica, parteciperanno alle cerimonie?

Charles Bonello: Il presidente della Repubblica e il premier, insieme alle loro mogli, saranno presenti all’aeroporto per la cerimonia di accoglienza, durante la visita al Palazzo presidenziale, dove ci sarà una buona rappresentanza del governo, e alla messa a Floriana.

Il governo ha posto grande attenzione alla visita. Abbiamo iniziato i lavori di preparazione e di coordinamento da ottobre 2009, quando c’è stata la conferma ufficiale del viaggio. Siamo molto soddisfatti per il livello di organizzazione raggiunto. Speriamo che la visita sia un successo per il Paese, ma lasci anche i frutti attesi per quanto riguarda gli aspetti spirituali.

Quanto costerà la visita del Papa a Malta?

Charles Bonello: Il governo ha stanziato 250mila euro per sostenere le spese dell’intera organizzazione. Mi preme inoltre dire che il governo ha cercato di portare Benedetto XVI anche a Gozo ma, considerati i tempi ristretti della sua visita, non potrà recarsi all’Isola. Per questo il governo ha fatto di tutto per far sì che i gozitani abbiano la possibilità di partecipare alle celebrazioni. E ha messo a disposizione un intero traghetto gratuitamente per loro.

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Forum


I giovani e il relativismo morale
Le difficoltà e le opportunità della futura generazione

di Carl Anderson*


NEW HAVEN (Connecticut), mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- Venticinque anni fa, Papa Giovanni Paolo II inaugurava la Giornata mondiale della gioventù, da svolgersi nella Domenica delle Palme di ogni anno. Il Papa aveva compreso – come lo ha compreso Benedetto XVI – che il futuro della Chiesa dipende dai giovani, dalla futura generazione di cattolici siano essi genitori, sacerdoti oppure religiosi.

Ma entrare in contatto con la nuova generazione non è sempre facile, soprattutto quando i giovani sono inondati di messaggi che li spingono verso una visione “relativistica” della morale, verso un sistema di valori in cui i valori fondanti sono scelti in modo soggettivo e non sono considerati universalmente validi.

È proprio questa interpretazione relativistica della vita di cui Papa Benedetto XVI aveva parlato nei giorni immediatamente precedenti la sua elezione, mettendo in guardia dalla “dittatura del relativismo”.

Certamente il problema del relativismo esiste tra i giovani di oggi. Secondo un recente sondaggio, svolto dai Cavalieri di Colombo in collaborazione con il Marist Institute for Public Opinion, l’82% dei cattolici tra i 18 e i 29 anni considerano la morale come “relativa”.

Si tratta di un numero sconcertante, ma fortunatamente è più un dato statistico che una realtà effettiva. Anzitutto, la maggioranza dei cattolici “praticanti” non è d’accordo. In secondo luogo, l’82% che si considera relativista, in realtà non applica in modo sistematico il relativismo alle questioni morali.

Quando sono stati messi di fronte a una serie di questioni morali, gli stessi giovani cattolici sedicenti relativisti hanno considerato questioni come l’aborto o l’eutanasia come “moralmente sbagliate”, mentre avrebbero potuto classificarle come “questioni non morali”, come avrebbe logicamente fatto un vero relativista.

Incongruenze

Il relativismo, diversamente dalla verità, conduce proprio verso questo tipo di pensiero incongruente e dunque non può rappresentare in definitiva una filosofia di vita esaustiva.

Papa Benedetto XVI ha continuamente cercato di offrire un messaggio di verità, in grado di superare il fascino del relativismo. In occasione della XXV Giornata mondiale della gioventù, il Pontefice si è rivolto ai giovani radunati in Piazza San Pietro per la Messa della Domenica delle Palme incoraggiandoli ad una vita fondata sulla verità.

Durante l’Angelus successivo alla Messa, egli ha fatto appello “alla nuova generazione, a dare testimonianza con la forza mite e luminosa della verità, perché agli uomini e alle donne del terzo millennio non manchi il modello più autentico: Gesù Cristo”.

La verità, nella persona di Gesù Cristo, è il fondamento per una testimonianza di fede. È un’affermazione semplice ma allo stesso tempo profonda.

Per dare testimonianza alla verità che è Cristo, occorre avere un rapporto personale con lui. Come aveva sottolineato dieci anni fa l’allora cardinale Joseph Ratzinger, rivolgendosi ai catechisti e agli insegnanti di religione, l’arte di vivere “la può comunicare solo chi ha la vita - colui che è il Vangelo in persona”.

Non possiamo pensare di cambiare la cultura o di influenzare le persone se noi stessi non diamo autentica testimonianza a Cristo, conoscendolo personalmente. E non possiamo pretendere dai giovani di dare testimonianza ai propri coetanei, senza avere prima sviluppato un rapporto con Cristo che possa essere presentato in modo autentico.

La Domenica delle Palme, il Papa ha anche ribadito “a tutti i giovani e le giovani [...] che l’essere cristiani è un cammino, o meglio: un pellegrinaggio, un andare insieme con Gesù Cristo. Un andare in quella direzione che Egli ci ha indicato e ci indica”.

Questo non significa che sia facile per i giovani essere cristiani di fronte ai propri coetanei.

Non abbiate paura

Il Papa riconosce questa difficoltà quando dice: “non temete quando il seguire Cristo comporta incomprensioni e offese. Servitelo nelle persone più fragili e svantaggiate, in particolare nei vostri coetanei in difficoltà”. Un messaggio che per molti versi può essere condiviso dai giovani.

Chi – persino tra i più relativisti – potrebbe rifiutare o non essere toccato dalla testimonianza di un proprio coetaneo che cerca di aiutare chi è in difficoltà? È la predicazione con le opere, più che con le parole, che spesso può dare i maggiori frutti.

Il messaggio cristiano di amore a Dio e al prossimo è, invece, coerente e appagante. Tuttavia, ciò di cui il messaggio ha bisogno, per essere accolto da coloro che cercano risposte alla loro vita, è la concreta testimonianza dei propri coetanei e delle generazioni precedenti.

Solo alla luce della verità, la Passione di Cristo può avere un senso. Dal punto di vista relativistico, la morte di Cristo per gli altri è priva di senso – a meno che non sia morto per se stesso – poiché il resto dell’umanità non avrebbe bisogno né di lui, né della sua salvezza.

Il compito nostro è di portare la verità a quei giovani cattolici che la cercano, a quei due terzi degli intervistati nel citato sondaggio, che si sono dimostrati desiderosi di approfondire la propria fede.

Nel dare testimonianza alla passione, morte e resurrezione di Cristo, accogliamo quell’amore a Dio e al prossimo per poterlo effettivamente condividere con i nostri coetanei e con le future generazioni.

Facciamo nostre le parole di San Francesco: “Predicate il Vangelo, e se è proprio necessario usate anche le parole”.


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Carl Anderson è il Cavaliere supremo dei Cavalieri di Colombo e autore di bestseller secondo la classifica del New York Times.


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Udienza del mercoledì


Meditazione di Benedetto XVI sul ministero del sacerdote
In occasione dell'Udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 14 aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale in piazza San Pietro, dove ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana, avvicinandosi la conclusione dell’Anno Sacerdotale, il Papa ha incentrato la sua meditazione sul ministero del sacerdote.





* * *

Cari amici,

in questo periodo pasquale, che ci conduce alla Pentecoste e ci avvia anche alle celebrazioni di chiusura dell’Anno Sacerdotale, in programma il 9, 10 e 11 giugno prossimo, mi è caro dedicare ancora alcune riflessioni al tema del Ministero ordinato, soffermandomi sulla realtà feconda della configurazione del sacerdote a Cristo Capo, nell’esercizio dei tria munera che riceve, cioè dei tre uffici di insegnare, santificare e governare.

Per capire che cosa significhi agire in persona Christi Capitis - in persona di Cristo Capo - da parte del sacerdote, e per capire anche quali conseguenze derivino dal compito di rappresentare il Signore, specialmente nell’esercizio di questi tre uffici, bisogna chiarire anzitutto che cosa si intenda per "rappresentanza". Il sacerdote rappresenta Cristo. Cosa vuol dire, cosa significa "rappresentare" qualcuno? Nel linguaggio comune, vuol dire – generalmente - ricevere una delega da una persona per essere presente al suo posto, parlare e agire al suo posto, perché colui che viene rappresentato è assente dall’azione concreta. Ci domandiamo: il sacerdote rappresenta il Signore nello stesso modo? La risposta è no, perché nella Chiesa Cristo non è mai assente, la Chiesa è il suo corpo vivo e il Capo della Chiesa è lui, presente ed operante in essa. Cristo non è mai assente, anzi è presente in un modo totalmente libero dai limiti dello spazio e del tempo, grazie all’evento della Risurrezione, che contempliamo in modo speciale in questo tempo di Pasqua.

Pertanto, il sacerdote che agisce in persona Christi Capitis e in rappresentanza del Signore, non agisce mai in nome di un assente, ma nella Persona stessa di Cristo Risorto, che si rende presente con la sua azione realmente efficace. Agisce realmente e realizza ciò che il sacerdote non potrebbe fare: la consacrazione del vino e del pane perché siano realmente presenza del Signore, l’assoluzione dei peccati. Il Signore rende presente la sua propria azione nella persona che compie tali gesti. Questi tre compiti del sacerdote - che la Tradizione ha identificato nelle diverse parole di missione del Signore: insegnare, santificare e governare - nella loro distinzione e nella loro profonda unità sono una specificazione di questa rappresentazione efficace. Essi sono in realtà le tre azioni del Cristo risorto, lo stesso che oggi nella Chiesa e nel mondo insegna e così crea fede, riunisce il suo popolo, crea presenza della verità e costruisce realmente la comunione della Chiesa universale; e santifica e guida.

Il primo compito del quale vorrei parlare oggi è il munus docendi, cioè quello di insegnare. Oggi, in piena emergenza educativa, il munus docendi della Chiesa, esercitato concretamente attraverso il ministero di ciascun sacerdote, risulta particolarmente importante. Viviamo in una grande confusione circa le scelte fondamentali della nostra vita e gli interrogativi su che cosa sia il mondo, da dove viene, dove andiamo, che cosa dobbiamo fare per compiere il bene, come dobbiamo vivere, quali sono i valori realmente pertinenti. In relazione a tutto questo esistono tante filosofie contrastanti, che nascono e scompaiono, creando una confusione circa le decisioni fondamentali, come vivere, perché non sappiamo più, comunemente, da che cosa e per che cosa siamo fatti e dove andiamo. In questa situazione si realizza la parola del Signore, che ebbe compassione della folla perché erano come pecore senza pastore. (cfr Mc 6, 34). Il Signore aveva fatto questa costatazione quando aveva visto le migliaia di persone che lo seguivano nel deserto perché, nella diversità delle correnti di quel tempo, non sapevano più quale fosse il vero senso della Scrittura, che cosa diceva Dio. Il Signore, mosso da compassione, ha interpretato la parola di Dio, egli stesso è la parola di Dio, e ha dato così un orientamento. Questa è la funzione in persona Christi del sacerdote: rendere presente, nella confusione e nel disorientamento dei nostri tempi, la luce della parola di Dio, la luce che è Cristo stesso in questo nostro mondo. Quindi il sacerdote non insegna proprie idee, una filosofia che lui stesso ha inventato, ha trovato o che gli piace; il sacerdote non parla da sé, non parla per sé, per crearsi forse ammiratori o un proprio partito; non dice cose proprie, proprie invenzioni, ma, nella confusione di tutte le filosofie, il sacerdote insegna in nome di Cristo presente, propone la verità che è Cristo stesso, la sua parola, il suo modo di vivere e di andare avanti. Per il sacerdote vale quanto Cristo ha detto di se stesso: "La mia dottrina non è mia" (Gv, 7, 16); Cristo, cioè, non propone se stesso, ma, da Figlio, è la voce, la parola del Padre. Anche il sacerdote deve sempre dire e agire così: "la mia dottrina non è mia, non propago le mie idee o quanto mi piace, ma sono bocca e cuore di Cristo e rendo presente questa unica e comune dottrina, che ha creato la Chiesa universale e che crea vita eterna".

Questo fatto, che il sacerdote cioè non inventa, non crea e non proclama proprie idee in quanto la dottrina che annuncia non è sua, ma di Cristo, non significa, d’altra parte, che egli sia neutro, quasi come un portavoce che legge un testo di cui, forse, non si appropria. Anche in questo caso vale il modello di Cristo, il quale ha detto: Io non sono da me e non vivo per me, ma vengo dal Padre e vivo per il Padre. Perciò, in questa profonda identificazione, la dottrina di Cristo è quella del Padre e lui stesso è uno col Padre. Il sacerdote che annuncia la parola di Cristo, la fede della Chiesa e non le proprie idee, deve anche dire: Io non vivo da me e per me, ma vivo con Cristo e da Cristo e perciò quanto Cristo ci ha detto diventa mia parola anche se non è mia. La vita del sacerdote deve identificarsi con Cristo e, in questo modo, la parola non propria diventa, tuttavia, una parola profondamente personale. Sant’Agostino, su questo tema, parlando dei sacerdoti, ha detto: "E noi che cosa siamo? Ministri (di Cristo), suoi servitori; perché quanto distribuiamo a voi non è cosa nostra, ma lo tiriamo fuori dalla sua dispensa. E anche noi viviamo di essa, perché siamo servi come voi" (Discorso 229/E, 4).

L’insegnamento che il sacerdote è chiamato ad offrire, le verità della fede, devono essere interiorizzate e vissute in un intenso cammino spirituale personale, così che realmente il sacerdote entri in una profonda, interiore comunione con Cristo stesso. Il sacerdote crede, accoglie e cerca di vivere, prima di tutto come proprio, quanto il Signore ha insegnato e la Chiesa ha trasmesso, in quel percorso di immedesimazione con il proprio ministero di cui san Giovanni Maria Vianney è testimone esemplare (cfr Lettera per l’indizione dell’Anno Sacerdotale). "Uniti nella medesima carità – afferma ancora sant’Agostino - siamo tutti uditori di colui che è per noi nel cielo l’unico Maestro" (Enarr. in Ps. 131, 1, 7).

Quella del sacerdote, di conseguenza, non di rado potrebbe sembrare "voce di uno che grida nel deserto" (Mc 1,3), ma proprio in questo consiste la sua forza profetica: nel non essere mai omologato, né omologabile, ad alcuna cultura o mentalità dominante, ma nel mostrare l’unica novità capace di operare un autentico e profondo rinnovamento dell’uomo, cioè che Cristo è il Vivente, è il Dio vicino, il Dio che opera nella vita e per la vita del mondo e ci dona la verità, il modo di vivere.

Nella preparazione attenta della predicazione festiva, senza escludere quella feriale, nello sforzo di formazione catechetica, nelle scuole, nelle istituzioni accademiche e, in modo speciale, attraverso quel libro non scritto che è la sua stessa vita, il sacerdote è sempre "docente", insegna. Ma non con la presunzione di chi impone proprie verità, bensì con l’umile e lieta certezza di chi ha incontrato la Verità, ne è stato afferrato e trasformato, e perciò non può fare a meno di annunciarla. Il sacerdozio, infatti, nessuno lo può scegliere da sé, non è un modo per raggiungere una sicurezza nella vita, per conquistare una posizione sociale: nessuno può darselo, né cercarlo da sé. Il sacerdozio è risposta alla chiamata del Signore, alla sua volontà, per diventare annunciatori non di una verità personale, ma della sua verità.

Cari confratelli sacerdoti, il Popolo cristiano domanda di ascoltare dai nostri insegnamenti la genuina dottrina ecclesiale, attraverso la quale poter rinnovare l’incontro con Cristo che dona la gioia, la pace, la salvezza. La Sacra Scrittura, gli scritti dei Padri e dei Dottori della Chiesa, il Catechismo della Chiesa Cattolica costituiscono, a tale riguardo, dei punti di riferimento imprescindibili nell’esercizio del munus docendi, così essenziale per la conversione, il cammino di fede e la salvezza degli uomini. "Ordinazione sacerdotale significa: essere immersi [...] nella Verità" (Omelia per la Messa Crismale, 9 aprile 2009), quella Verità che non è semplicemente un concetto o un insieme di idee da trasmettere e assimilare, ma che è la Persona di Cristo, con la quale, per la quale e nella quale vivere e così, necessariamente, nasce anche l’attualità e la comprensibilità dell’annuncio. Solo questa consapevolezza di una Verità fatta Persona nell’Incarnazione del Figlio giustifica il mandato missionario: "Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15). Solo se è la Verità è destinato ad ogni creatura, non è una imposizione di qualcosa, ma l’apertura del cuore a ciò per cui è creato.

Cari fratelli e sorelle, il Signore ha affidato ai Sacerdoti un grande compito: essere annunciatori della Sua Parola, della Verità che salva; essere sua voce nel mondo per portare ciò che giova al vero bene delle anime e all’autentico cammino di fede (cfr 1Cor 6,12). San Giovanni Maria Vianney sia di esempio per tutti i Sacerdoti. Egli era uomo di grande sapienza ed eroica forza nel resistere alle pressioni culturali e sociali del suo tempo per poter condurre le anime a Dio: semplicità, fedeltà ed immediatezza erano le caratteristiche essenziali della sua predicazione, trasparenza della sua fede e della sua santità. Il Popolo cristiano ne era edificato e, come accade per gli autentici maestri di ogni tempo, vi riconosceva la luce della Verità. Vi riconosceva, in definitiva, ciò che si dovrebbe sempre riconoscere in un sacerdote: la voce del Buon Pastore.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Saluto cordialmente i pellegrini di lingua italiana, in particolare, sono lieto di accogliere il gruppo di Sacerdoti amici della Comunità di Sant’Egidio e i Cappellani dell’Aviazione civile provenienti da varie parti del mondo. Cari Fratelli nel Sacerdozio, invoco su ciascuno di voi i doni dello Spirito Santo, affinché possiate essere sempre gioiosi testimoni dell’amore di Cristo. Saluto i partecipanti al raduno internazionale del Movimento Eucaristico, legato alla spiritualità delle Suore Dorotee Figlie dei Sacri Cuori, e li esorto ad intensificare la dimensione orante, affinché dall’incontro con Cristo nella preghiera siano incoraggiati all’impegno ecclesiale e sociale. Saluto i fedeli della diocesi di Sessa Aurunca, accompagnati dal loro Pastore Mons. Antonio Napoletano. Cari amici, proseguite con slancio apostolico il vostro cammino di evangelizzatori della speranza cristiana in famiglia, nella Chiesa e nella comunità civile. Saluto gli ufficiali e i militari provenienti da Caserta, che incoraggio a perseverare nel generoso impegno di testimonianza cristiana anche nel mondo militare.

Mi rivolgo infine ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. La gioia del Signore Risorto ispiri rinnovato ardore alla vostra vita, cari giovani, perché siate suoi fedeli discepoli; sia d'incoraggiamento per voi, cari malati, perché possiate affrontare con coraggio ogni prova e sofferenza; sostenga il vostro mutuo amore, cari sposi novelli, affinché nella vostra casa regni sempre la pace di Cristo.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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