venerdì 16 aprile 2010

[ZI100416] Il mondo visto da Roma

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Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 16 aprile 2010

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Il Papa alla "Papal Foundation": la carità, testimonianza della resurrezione
I membri della Fondazione sono in pellegrinaggio a Roma
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 16 aprile 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha ricevuto questo venerdì in udienza, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, i membri della "Papal Foundation", in questi giorni in pellegrinaggio a Roma.

L'istituzione, creata negli Stati Uniti nel 1990 dal defunto Cardinale John Krol, Arcivescovo di Philadelphia, si dedica a fornire i fondi necessari per le opere concrete di carità del Papa.

Il suo attuale presidente è il Cardinale Anthony Bevilacqua, Arcivescovo emerito di Philadelphia.

Davanti ai presenti, il Papa ha voluto ricordare la sua visita di un anno fa al Santo Sepolcro di Gerusalemme durante il suo viaggio ufficiale in Terra Santa.

"Allí proclamé que Cristo, resucitando a una nueva vida, nos ha enseñado que el mal nunca tiene la última palabra, que el amor es más fuerte que la muerte, y que nuestro futuro y el futuro de toda la humanidad, está en las manos fieles y providentes de Dios", ha sottolineato.

La testimonianza della resurrezione di Cristo, ad ogni modo, non deve essere solo annunciata, ma anche confermata con la "testimonio práctico de la santidad y la caridad".

"La Fundación Papal ha llevado adelante esta misión de una manera particular, mediante el apoyo a un amplio espectro de organizaciones de caridad, cerca del corazón del Sucesor de Pedro", ha riconosciuto il Pontefice.

In questo senso, ha lodato i suoi "generosos esfuerzos" in favore de "los países en desarrollo, para proveer a la educación de los futuros líderes de la Iglesia, y para avanzar en los esfuerzos misioneros de tantas diócesis y congregaciones religiosas de todo el mundo".

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Quotidiano vaticano: gli attacchi danno libertà al Papa
"La tempesta farà pulizia nei ranghi della Chiesa"

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 16 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il quotidiano vaticano sostiene che gli attacchi contro Benedetto XVI stanno suscitando l'effetto contrario, poiché mostrano la sua fermezza nel tenere il timone della barca di Pietro.

In un articolo dal titolo “La libertà del Papa” apparso nell'edizione italiana de “L'Osservatore Romano” del 17 aprile, Lucetta Scaraffia scrive: “a differenza di quanto si legge su molti giornali che, nell'imminenza del quinto anniversario di pontificato di Benedetto XVI, lo raffigurano come debole e attaccato da ogni parte, oppure come un anziano teologo che non sa comprendere il mondo di oggi, a differenza di chi ne chiede, con scritte sui muri o sui manifesti, delle impensabili dimissioni, sono convinta che per Papa Ratzinger questa ricorrenza coincida con un momento di forza”.

“Perché – spiega – le denunce e le polemiche danno ragione alla severità da lui sempre manifestata nei confronti dei preti colpevoli di abusi sessuali su minori, al suo atteggiamento intransigente nei confronti dei mali che affliggono la Chiesa e che egli stesso ha denunciato, prima di diventare successore di Pietro, con chiare e pubbliche parole”.

“Questo momento di crisi, infatti, segna l'indubbia sconfitta di chi ha sempre sostenuto che il silenzio serviva a proteggere l'istituzione, di chi pensava che accettare il male fosse inevitabile in una realtà di deboli esseri umani, di chi ha preferito far finta di non vedere e non sapere”.

“La tempesta farà pulizia nei ranghi della Chiesa – sottolinea –, spezzerà connivenze e aiuterà il Papa a costruire quella comunità di 'angeli' che si augurava qualche giorno fa, sapendo certo che si tratta di una speranza umanamente impossibile da realizzare, ma ben consapevole che bisogna proporsi un modello alto a cui aspirare per potere andare avanti e migliorare”.

“La bufera permetterà soprattutto a Benedetto XVI di proseguire libero da un pesante fardello di colpe e silenzi per quella strada che ha indicato fin dal primo giorno del suo pontificato: una strada difficile e in salita verso un miglioramento continuo, del clero e dei fedeli”.

“Nel suo apostolato – prosegue – il Papa chiede sempre di più e sembra spostare sempre più  in alto l'asticella, senza accontentarsi di contare la folla dei fedeli che lo applaudono in piazza San Pietro o di constatare la ripresa delle sue parole da parte degli organi di informazione”.

“Anzi, sembra che di ciò non si curi — e forse è anche per questo che i media si irritano — mentre è chiaro che gli importa soprattutto di guidare la Chiesa in avanti, verso una purificazione spirituale continua. È esclusivamente su tale piano che si muovono le sue parole e le sue spiegazioni dei testi sacri, è solo a questo livello che diventa eloquente il suo sguardo dolce, profondo e sempre attento”.

“In sostanza – continua la Scaraffia –, a Benedetto XVI interessa solo fare bene il Papa, cioè la guida spirituale dei cattolici. Ed è questo che disturba tanto il mondo e i potenti padroni dell'informazione e della politica: il fatto che così evidentemente li consideri irrilevanti davanti all'esigenza di meditare e spiegare le parole di Gesù”.

“'Non ci risponde, non parla di noi' continuano a protestare, e intanto non sanno ascoltare quello che dice, non sanno capire che nelle sue parole c'è sempre una risposta a quello che accade, ma spostata su un piano più alto. In una società dove vince sempre la volgarizzazione, la spiegazione più facile e quindi anche più grossolana, il Papa si propone come una frattura, una diversità per molti insostenibile”.

“La sua forza si rivela in questa capacità di seguire altri tempi, di muoversi su strade diverse da quelle del mondo – aggiunge –. Per farlo bisogna essere veramente forti, bisogna saper vedere con molta chiarezza quello che accade, bisogna soprattutto saper reggere la solitudine”.

“Benedetto XVI ne ha la capacità intellettuale e la forza spirituale e psicologica. Solo così può farci luce, può tracciare il cammino a una Chiesa purificata e libera, come sta facendo e farà”.

“Si legge che oggi ci sono fedeli i quali, delusi dopo gli scandali degli abusi sessuali, lasciano la Chiesa – conclude –. Questo, al contrario, è proprio il momento di entrare, di scommettere sul fatto evidente che Gesù non abbandona la sua sposa e che i mali non prevarranno. Grazie anche al nostro Papa Benedetto”.

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Polonia: il Cardinal Sodano rappresenterà il Papa ai funerali
Presiederà una Messa per tutte le vittime e un'altra per la coppia presidenziale
CRACOVIA, venerdì, 16 aprile 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha nominato il decano del Collegio cardinalizio, il Cardinale Angelo Sodano, suo rappresentante ai funerali del Presidente della Repubblica di Polonia, Lech Kaczyński, ha confermato questo venerdì la Sala Stampa della Santa Sede.

I funerali di Kaczyński e della moglie Maria, morti sabato scorso in un incidente aereo insieme ad altre 95 persone, saranno celebrati questa domenica nella Basilica di Santa Maria a Cracovia, secondo quanto ha reso noto la Conferenza Episcopale della Polonia.

Concelebreranno numerosi Cardinali e Vescovi polacchi e stranieri, alla presenza di molte personalità e Capi di Stato e di Governo, tra cui il re di Spagna, Juan Carlos I, il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama e il Primo Ministro Silvio Berlusconi.

Le spoglie della coppia presidenziale saranno sepolte in una cripta della Cattedrale del Castello di Wavel, dove riposano i resti di re e grandi personalità storiche della Polonia.

Per l'episcopato, "è un luogo degno per preservare sia la memoria delle vittime di Katyn di 70 anni fa che quella del Presidente polacco e di tutte le persone morte con lui nel servizio alla Polonia".

Il Cardinal Sodano presiederà anche la Messa che verrà celebrata sabato nella Piazza Pilsudski di Varsavia per tutte le vittime dell'incidente dell'aereo, che si dirigeva a Smolensk per i 70 anni del massacro del bosco di Katyn, nel quale 20.000 polacchi vennero uccisi dai sovietici.

Dopo quell'Eucaristia, alle 18.00 inizieranno le celebrazioni per salutare la coppia presidenziale nella Cattedrale di San Giovanni della capitale polacca.

Vi si celebrerà una Messa di corpore insepulto presieduta dall'Arcivescovo metropolita di Varsavia, monsignor Kazimierz Nycz.

Dopo l'Eucaristia, si celebrerà una veglia di preghiera fino alle sette di domenica mattina, quando i resti del Presidente Kaczynski e della moglie verranno trasferiti a Cracovia.

Lì, dopo la Messa nella Basilica di Santa Maria, il corteo funebre si dirigerà alla Cattedrale del Wavel, la Basilica della Cattedrale di San Stanislao e San Venceslao.

I feretri verranno posti nella cripta di questo importante santuario della Polonia dopo una liturgia funebre presieduta dall'Arcivescovo di Cracovia, il Cardinale Stanislaw Dziwisz.

"La catastrofe aerea di Smolensk, nelle vicinanze del bosco di Katyn, che ha commosso il nostro Paese, ha suscitato a Varsavia, in tutta la Polonia e fuori dalle frontiere nazionali emozioni profonde, sentimenti di solidarietà e amicizia", indica un comunicato dei Vescovi polacchi.

"Questa solidarietà aiuta tutti noi, e soprattutto le famiglie delle vittime, a sopravvivere", aggiunge il testo.

"E' un'esperienza estremamente dolorosa e speriamo che i frutti di questa tragedia nazionale servano alla lunga al bene del nostro Paese".

Tra le vittime dell'incidente aereo ci sono anche il Vescovo cattolico Tadeusz Ploski, l'Arcivescovo ortodosso Miron Chodakowski e il pastore militare evangelico Adam Pilsch, così come altri sette sacerdoti i cui funerali verranno celebrati nei prossimi giorni.

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Anno Sacerdotale


San Francesco scrive ai chierici
ROMA, venerdì, 16 aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un paragrafo tratto da Dio nelle nostre mani. Lettera di Francesco sul sacerdozio e l’Eucarestia (Edizioni Porziuncola, Assisi 2010), un volume uscito di recente con commento e note del prof. Marco Guida.

 


 

* * *

Tra le lettere che Francesco raccomanda di consegnare e diffondere, un posto particolare occupa la Lettera ai chierici che ci è pervenuta in due distinte redazioni. La prima è trasmessa da un solo manoscritto vergato prima del 1238 nell’Abbazia benedettina di Subiaco; della seconda redazione, invece, i testimoni manoscritti sono 26, a conferma della prassi attuata da Francesco di far copiare le sue lettere e della centralità che la riforma del culto eucaristico aveva assunto nella Chiesa con il Concilio Lateranense IV del 1215[1]. Entrambe le redazioni di questo scritto sono successive alla lettera Sane cum olim di Onorio III (1219)[2] sul culto eucaristico, e al ritorno di Francesco dall’Oriente nel 1220.

Francesco nella lettera riconosce il valore sacramentale non solo della eucaristia ma anche dei nomi e delle parole di Dio e vuole mettere in guardia i chierici, tra i quali anch’egli si annovera, dall’ignoranza verso questi misteri[3]. A questa attenzione “teologica” verso i santi misteri, segue l’ammonimento “pratico” di Francesco a non amministrarli senza discrezione, cioè privi di fede, e illecitamente, violando le norme della Chiesa. Il decoro, la pulizia e la dignità delle chiese e degli oggetti destinati al culto costituiscono un impegno per Francesco già nei primi anni successivi alla sua conversione: «Un tempo, quando dimorava presso Santa Maria della Porziuncola, e i frati erano ancora pochi, il beato Francesco andava talora per i villaggi e nelle chiese dei dintorni di Assisi, annunziando e predicando al popolo di fare penitenza. E portava una scopa per pulire le chiese. Molto soffriva, infatti, il beato Francesco nell’entrare in una chiesa e vederla sporca. Così, dopo aver predicato al popolo, faceva riunire in un posto fuori mano tutti i sacerdoti che si trovavano presenti, per non essere udito dai secolari. E predicava loro della salvezza delle anime, e specialmente inculcava loro di avere la massima cura nel mantenere pulite le chiese, gli altari e tutta la suppellettile che serve per la celebrazione dei divini misteri»[4]. La Lettera ai chierici a distanza di anni conferma questa antica prassi, e si fa eco della sensibilità di Francesco che non esita a denunciare in modo esplicito l’incuria dei chierici nei confronti del corpo e del sangue del Signore. Una denuncia ed un ammonimento che Francesco, nondimeno, rivolge anche a se stesso quando afferma «di tutte queste cose e delle altre, subito e con fermezza emendiamoci»[5]. Quale chierico tra i chierici, egli si impegna in prima persona e si pone come esempio per una rinnovata venerazione e cura per le cose del Signore, consapevole che la dignità e la santità dei chierici sono dono ed impegno che scaturiscono dall’offerta di sé che il Signore fa nell’eucaristia attraverso le loro mani: «Guardate la vostra dignità, fratelli (cfr. 1Cor 1, 26) sacerdoti, e siate santi perché egli è santo (cfr. Lv 19, 2). E come il Signore Iddio vi ha onorato sopra tutti gli uomini, con l’affidarvi questo ministero, così anche voi più di tutti amatelo, riveritelo e onoratelo. È una grande miseria e una miseranda debolezza, che avendo lui così presente, voi vi prendiate cura di qualche altra cosa in tutto il mondo. Tutta l’umanità trepidi, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nelle mani del sacerdote, è presente Cristo, il Figlio del Dio vivo (Gv 11, 27). O ammirabile altezza e stupenda degnazione! O umiltà sublime! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, si umili a tal punto da nascondersi, per la nostra salvezza, sotto poca apparenza di pane! Guardate, fratelli, l’umiltà di Dio, ed aprite davanti a lui i vostri cuori (Sal 61,9); umiliatevi anche voi, perché siate da lui esaltati (cfr. 1Pt 5, 6; Gc 4, 10). Nulla, dunque, di voi trattenete per voi, affinché tutti e per intero vi accolga Colui che tutto a voi si offre»[6].





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1) Sebbene i ritocchi redazionali tra la prima e la seconda redazione della Lettera ai chierici siano minimi, tuttavia sono sufficienti a distiguere i due testi.

2) Il riferimento nello scritto alle «costituzioni della santa Madre Chiesa» (Lettera ai chierici II, 13) è la spia dell’utilizzo del documento papale, di cui l’analisi delle due redazioni della lettera ai chierici ne evidenzia la presenza attraverso citazioni implicite.

3) Rivolgendosi a tutti i fedeli Francesco affermava che «Dobbiamo anche confessare al sacerdote tutti i nostri peccati. E riceviamo da lui il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, perché chi non mangia la sua carne e non beve il suo sangue, non può entrare nel regno di Dio (cfr. Gv 6, 55.57 e Gv 3, 5). Lo mangi, tuttavia, e lo beva degnamente, poiché chi lo riceve indegnamente mangia e beve la sua condanna, non discernendo il corpo del Signore (1Cor 11, 29), cioè non distinguendolo [dagli altri cibi]» (Lettera ai fedeli II, 22-24).

4) Compilazione di Assisi, 60.

5) Lettera ai chierici II, 10. L’esplicita denuncia ed esortazione di Francesco scaturiscono dal grande amore che egli ha per il sacramento dell’eucaristia; la sua grande fede nei sacerdoti ai quali manifesta la sua venerazione, non gli fanno tacere quelli che sono gli impegni e i doveri a cui gli stessi sono chiamati. Nella lettera indirizzata ai frati riuniti in Capitolo troviamo un’altra affermazione particolarmente forte di Francesco: «Ricordatevi, fratelli miei sacerdoti, ciò che è scritto riguardo alla legge di Mosè: colui che la trasgrediva, anche solo nelle prescrizioni materiali, per sentenza del Signore era messo a morte senza nessuna misericordia (cfr. Ebr 10, 28)» (Lettera a tutto l’Ordine ,17).

6) Lettera a tutto l’Ordine, 23-29.

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Notizie dal mondo


Visitando la Grotta di San Paolo a Malta
Incontro con padre Louis Suban, arciprete della Chiesa di San Paolo

di Serena Sartini

LA VALLETTA, venerdì, 16 aprile 2010 (ZENIT.org).- La prima tappa che compirà il Papa a Malta, se si esclude la visita al presidente della Repubblica, sarà l’omaggio alla Grotta di San Paolo a Rabat, piccola cittadina di 14mila abitanti a una decina di chilometri da Valletta, dove la tradizione vuole che l’Apostolo delle Genti fu imprigionato.

Una piccola celletta di pochi metri quadrati, con la statua di San Paolo e la targa della visita di Giovanni Paolo II nel 1990. Qui, nella Grotta, Benedetto XVI si fermerà in preghiera silenziosa per qualche istante. Ed eccezionalmente potrà venerare anche la reliquia del braccio di San Paolo, custodita in una teca che viene esposta solamente una volta all’anno.

L’arciprete della Chiesa di San Paolo, padre Louis Suban, ci mostra il tragitto che compirà il Papa durante la sua visita che durerà circa un’ora. “Benedetto XVI arriverà sabato pomeriggio, intorno alle 19.45. Dopo il saluto del sindaco della città – dice a ZENIT - bacerà la croce simbolo della missionarietà della chiesa. Poi entrerà nella Chiesa di San Paolo e davanti all’altare sosterà qualche momento per la preghiera silenziosa”.

“Successivamente – spiega – si recherà alla grotta di San Paolo. Insieme all’arcivescovo di Malta, al vescovo di Gozo, e al cardinale Tarcisio Bertone reciterà una preghiera”.

“A seguire – prosegue poi – il Papa incontrerà il capitolo, composto da 11 sacerdoti e un seminarista, nel cimitero della collegiata e firmerà il libro d’oro dei visitatori. Riceverà in dono una piccola scultura in argento raffigurante San Paolo e una papalina. Infine, Benedetto XVI saluterà i fedeli radunati nella piazza della chiesa”.

“Siamo fieri e felici di poter accogliere il Papa – prosegue padre Louis – lo dico non solamente per ciò che provo personalmente ma a nome di tutta la Chiesa di San Paolo a Rabat. La parrocchia è molto felice di avere la visita del Successore di Pietro. La sua visita conferma la devozione e la radice cristiana di Malta”.

La Chiesa di San Paolo, di stile barocco con mattoni romani, può contenere circa 400 persone. Fu costruita nell’antica città di Melita, nel 1675 da Cosmana Navarra.

L’arciprete, da sette anni a Rabat, è stato ordinato il 29 giugno 1984, festa del martirio di San Paolo e Pietro.

“Sono nato e vissuto nel sud di Malta, a Marsaskala – racconta –. Ho frequentato il collegio dei frati di San Giovanni La Salle e poi ho insegnato geografia, religione e storia nel seminario di Rabat. Sono stato viceparroco nella collegiata della Cottoniera, nel sud di Malta e poi nominato cappellano di una parrocchia a Msida. E da 7 anni sono arciprete a Rabat”.

Come mai il Papa visita proprio Rabat? “Perché la Grotta di San Paolo è considerato il più importante Santuario di San Paolo nell’Isola. Ogni giorno viene visitato da centinaia di pellegrini, possiamo dire circa 300, specialmente dall’estero. E sabato pomeriggio, di pellegrino, ne arriverà uno davvero speciale”.

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Sviluppo duraturo: bisogna facilitare l'accesso alle tecniche
Intervento di monsignor Follo, osservatore vaticano all'UNESCO
di Anita S. Bourdin

PARIGI, venerdì, 16 aprile 2010 (ZENIT.org).- "I nostri problemi globali richiedono risposte globali, e l'accesso alle tecniche e ai metodi deve essere facilitato a tutti gli uomini", ha dichiarato monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO).

Il presule lo ha affermato nel suo intervento del 9 aprile all'Assemblea Plenaria del Consiglio Esecutivo dell'organismo, sul tema "Educazione e Sviluppo duraturo", a Parigi.

Il rappresentante vaticano ha sottolineato che la Santa Sede "desidera dare il suo apporto alla riflessione sulle forme di educazione e di formazione che rispondano alle sfide del tempo presente e futuro".

Per monsignor Follo, "i problemi più evidenti risiedono nelle sfide tecniche che ci attendono in un contesto di crisi dell'ambiente globale".

Il presule ha sottolineato due serie di problemi: da un lato, l'eccessivo sfruttamento "delle risorse naturali, consumandole per interessi economici a breve termine, e senza essere capaci di valutare le conseguenze di questo sfruttamento per le generazioni future".

Dall'altro lato, c'è "la distruzione sempre più estesa dell'ambiente, che diventa materia di preoccupazione per tutti i Paesi. Alcuni interventi nell'equilibrio ecologico si ritorceranno contro l'umanità, e a volte in modo crudele. Di conseguenza, è necessario sviluppare sempre più strategie per controllare meglio le ripercussioni della nostra gestione dell'economia".

In questo contesto, "il ruolo dell'istruzione e della formazione è immenso". Monsignor Follo ha citato le parole di Benedetto XVI a Mary Ann Glendon, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, a proposito della XIII sessione plenaria, il 28 aprile 2007: "Tutto ciò che la terra produce e tutto ciò che l'uomo trasforma, tutte le sue conoscenze e tutte le tecnologie che può sviluppare sono destinate a servire lo sviluppo materiale e spirituale della famiglia umana e dei suoi membri".

"I nostri problemi globali - ha sottolineato monsignor Follo - richiedono risposte globali, e l'accesso alle tecniche e ai metodi deve essere facilitato a tutti gli uomini. In questo modo le immense potenzialità intellettuali degli uomini che finora non hanno potuto avere accesso alla formazione e alla conoscenza potrebbero svilupparsi a beneficio di tutta l'umanità".

Il presule ha anche denunciato i "problemi sociali" soggiacenti: "l'ingiusta distribuzione delle terre e del capitale perpetua una disfunzione tecnica che si ripercuote allo stesso tempo sui Paesi ricchi, il che continua ad essere il più grande scandalo del nostro tempo".

Monsignor Follo ha quindi segnalato una priorità, affermando che "è importante che i bambini, gli adolescenti e gli adulti riscoprano la solidarietà", e si è congratulato per le iniziative dell'UNESCO in questo senso. Ad ogni modo, ha sottolineato anche le "questioni morali" e "religiose".

Si è poi concentrato sulla nozione di "durabilità", che implica la "razionalità". In questo campo ha inoltre indicato il sostegno della Santa Sede all'"azione del Settore di Scienze Naturali dell'UNESCO e a tutti i suoi programmi", come quelli di geologia, il MAB (uomo e biosfera), la COI (oceani), il PHI (acqua), "che lavorano alla formazione degli studenti" e "contribuiscono allo sviluppo dei Paesi, nelle dimensioni ecologiche, sociali ed economiche".

La Santa Sede, ha aggiunto il presule, promuove "i programmi educativi volti alla coerenza dei saperi: ad esempio, propone che gli scienziati e gli ingegneri ricevano corsi di filosofia per imparare anche a ragionare in astratto" e "che le formazioni filosofiche e letterarie integrino nel loro programma il ragionamento analitico degli scienziati".

Al riguardo, ha citato il "Progetto STOQ" (Scienza, Tecnologia e Questione Ontologica), che ha l'obiettivo di "promuovere il dialogo tra scienze, filosofia e teologia e di dar conto della visione cristiana della persona e della società in funzione delle sfide teoriche, etiche e culturali".

"Nel momento in cui gli uomini comprendono che il mondo è molto più della terra che lavorano con i suoi concetti tecnici ed economici, i loro orizzonti ristretti si estendono alle questioni che li preoccupano. Dovremo renderci conto che il vero realismo non può apparire se non quando l'uomo è preparato per vedersi dal futuro, un futuro che lo trascende", ha concluso monsignor Follo.

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I Vescovi europei: la crisi può essere un "cambiamento salutare"
Termina l'Assemblea Plenaria di primavera della COMECE
di Roberta Sciamplicotti

BRUXELLES, venerdì, 16 aprile 2010 (ZENIT.org).- La crisi che il mondo sta attraversando può diventare anche fonte di un "cambiamento salutare", ma perché ciò avvenga è necessario affrontare le sue cause più profonde, a cominciare dalla povertà dilagante.

Lo affermano i Vescovi della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (COMECE), che al tema della povertà hanno dedicato buona parte delle discussioni della loro Assemblea Plenaria di primavera, svoltasi dal 14 al 16 aprile a Bruxelles (Belgio).

L'Unione Europea ha scelto di dichiarare il 2010 "Anno Europeo contro la povertà e l'esclusione sociale". La Chiesa, attraverso le sue numerose organizzazioni, è uno dei più importanti attori nella lotta alla povertà in Europa.

I Vescovi, sottolinea il comunicato finale diffuso al termine dell'Assemblea, "hanno suggerito ai decision-makers dell'UE di ampliare gli strumenti attuali per misurare la povertà per includere non solo criteri materiali, ma anche la dimensione relazionale".

La povertà, già sperimentata e subita da "troppi cittadini europei", è "ulteriormente aggravata dalla crisi economica mondiale", spiega la COMECE nel testo finale.

"I politici non sono ancora riusciti ad affrontare il problema alla radice di modo che non sorgano crisi future", denuncia.

La crisi attuale è sostanzialmente una "crisi morale", "caratterizzata da eccessi e da una confusione di valori".

"La chiave è quindi ripristinare un equilibrio tra gli interessi individuali e quelli di tutti", "così come una migliore conciliazione tra ciò che è legale e permesso, da un lato, e la giustizia dall'altro".

E' infatti "solo attraverso questo equilibrio fondamentale che la crisi attuale diventerà un 'cambiamento salutare'".

Libertà religiosa e questione nucleare

Le proposte elaborate dalla Chiesa, sottolinea la COMECE, saranno più efficienti e collegate alle richieste dei decision-makers europei nel contesto del dialogo "aperto, trasparente e regolare" tra l'UE e le Chiese promosso dall'articolo 17 del Trattato di Lisbona.

Riflettendo durante l'Assemblea Plenaria sull'implementazione pratica di questo dialogo, i Vescovi hanno ricordato che la libertà religiosa nel mondo è uno degli aspetti fondamentali da affrontare a questo proposito.

I presuli hanno ricevuto un rapporto del Segretariato della COMECE intitolato "Libertà religiosa, pilastro della politica dei diritti umani nelle relazioni esterne dell'Unione Europea", che "ricorda le origini del diritto alla libertà religiosa, menziona le violazioni di questo diritto nel mondo e propone una serie di raccomandazioni per promuovere questo diritto essenziale".

Allo stesso modo, i presuli hanno ricevuto il rapporto del gruppo di esperti istituito dalla COMECE in vista della Conferenza sulla revisione del Trattato di Non Proliferazione Nucleare, in programma per maggio.

Il documento espone una serie di proposte ai negoziatori dell'UE, nella fattispecie "per promuovere il disarmo nucleare sulla base dei principi della trasparenza, della verifica e dell'irreversibilità, ma anche per includere una parte più ampia della società civile in questo dibattito fondamentale per il futuro dell'umanità".

Il rapporto, ricorda il comunicato finale, verrà trasmesso alle istituzioni dell'UE.

I Vescovi si sono infine riferiti alla catastrofe aerea in cui sono morti il Presidente della Polonia Lech Kaczynski e altre 95 persone e hanno celebrato una Messa in memoria delle vittime. Una celebrazione ha anche ricordato l'ex presidente della COMECE, monsignor Josef Homeyer, Vescovo emerito di Hildesheim, morto il 30 marzo scorso.

Nel corso della Plenaria, è stato inoltre dato il benvenuto al nuovo membro per Cipro, l'Arcivescovo Youssef Soueif.

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Costa d'Avorio: evangelizzare a suon di musica
Un Vescovo insegna uno strumento tipico per attirare i giovani
ROMA, venerdì, 16 aprile 2010 (ZENIT.org).- Uno strumento musicale poco diffuso e alcuni buoi sono gli insoliti strumenti per l'iniziativa di un presule che vuole attirare i giovani africani.

Quando il Vescovo Antoine Koné di Odienné (Costa d'Avorio) ha ricevuto in donazione un appezzamento di terra di 150 acri, ha pensato che fosse un'ottima opportunità per favorire l'evangelizzazione - soprattutto tra i giovani - in un'ampia Diocesi che ha appena 2.500 cattolici.

Il presule sapeva di aver già toccato il cuore dei giovani quando ha iniziato a suonare musica liturgica sul balafon, uno strumento simile allo xilofono e tipico di questa regione dell'Africa occidentale.

Parlando allo staff dell'associazione caritativa cattolica "Aiuto alla Chiesa che Soffre" (ACS), ha affermato che nella sua chiesa insegna ai giovani il balafon e la partecipazione alla Messa è aumentata facendo passare i fedeli da una manciata di persone a quasi 700.

Ora il Vescovo Koné vuole capitalizzare il successo della sua iniziativa di evangelizzazione creando opportunità di lavoro per i giovani scoraggiati che lottano per avere un futuro in una regione caratterizzata da un alto tasso di disoccupazione e da una povertà sempre maggiore.

Il presule progetta di usare il terreno che gli è stato donato per svilupparvi una piantagione di cocco e vuole comprare dei buoi per aiutare a lavorare la terra.

Per questa ragione, ha chiesto un aiuto economico ad ACS, i cui coordinatori hanno compiuto il mese scorso il primo viaggio mai realizzato dall'organizzazione in Costa d'Avorio, dove hanno verificato le necessità pastorali del Paese.

Al ritorno dalla visita, la coordinatrice dei progetti per l'Africa di ACS, Christine du Coudray Wiehe, ha detto di aver apprezzato molto l'iniziativa del Vescovo Koné.

"ACS non sostiene progetti che forniscono lavoro per i laici tranne in casi decisamente estremi come questo", ha affermato.

La coordinatrice ha sottolineato le difficili condizioni economiche e sociali della Costa d'Avorio dal 2000, quando è scoppiata la violenza che ha diviso il Paese tra le aree ribelli del nord e il sud controllato dal Governo.

"Ho scoperto una Chiesa che soffre un profondo senso di abbandono, una sorta di frustrazione che deriva dall'isolamento dal mondo esterno", ha detto la du Coudray Wiehe.

"I Vescovi e i fedeli affrontano una situazione d'emergenza e non sanno a chi rivolgersi", ha aggiunto.

Durante il viaggio di ACS in nove delle 15 Diocesi del Paese, i Vescovi hanno sottolineato la necessità di programmi catechetici. Sono stati avviati progetti di sostegno da parte del movimento "Youth Alive", con base in Uganda, su questioni come la prevenzione dell'Aids, i club giovanili e iniziative volte ad affrontare l'abuso di droghe e alcool, così come la prostituzione.

ACS è impegnata anche nella ricostruzione dei seminari del Paese, situati in edifici descritti dalla du Coudray Wiehe come "profondamente danneggiati e dove in molti anni sono stati realizzati pochissimi lavori". Gli studenti, ha dichiarato, non hanno libri e mancano anche acqua potabile ed elettricità.

In Costa d'Avorio, su una popolazione di circa 20 milioni di persone i cattolici rappresentano il 25%.

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Nuovi cocktail genetici, embrioni con il DNA di un uomo e due donne
Per prevenire malattie ereditarie provocate da disordini nei mitocondri

di Carmen Elena Villa

LONDRA, venerdì, 16 aprile 2010 (ZENIT.org).- Alcuni scienziati britannici dell'Università di Newcastle hanno sviluppato una tecnica senza precedenti che permette di creare embrioni con il DNA di un uomo e due donne. Lo ha rivelato la recente pubblicazione scientifica "Nature".

L'obiettivo di questa procedura è la prevenzione delle malattie ereditarie prodotte da problemi mitocondriali.

In un comunicato inviato a ZENIT, il Centro dell'Ateneo di Bioetica dell'Università Cattolica di Roma ha espresso il proprio rifiuto di fronte a questi esperimenti, affermando che "stiamo tornando alla selezione della razza umana".

"In nome della presunta salute delle nuove generazioni, si fabbricano e si distruggono embrioni sperimentando nuovi cocktails genetici", dichiara il comunicato.

Problemi mitocondriali

I mitocondri delle cellule si incaricano di trasmettere l'energia per far funzionare l'organismo.

Circa un bambino su 200 nasce con mutazioni del DNA mitocondriale, anche se nella maggior parte dei casi queste provocano mali lievi, anche asintomatici. In un bambino su 6.500, tuttavia, il problema può essere grave, perfino letale.

I bambini che soffrono di disordine mitocondriale nella sua fase più grave presentano sintomi come debolezza muscolare, cecità, insufficienza cardiaca ed epatica, difficoltà di apprendimento e diabete.

Il DNA dei mitocondri è indipendente da quello che si trova nel nucleo della cellula e contiene meno geni. Si trasmette solo da madre a figlio.

Fino a questo momento non è stata scoperta alcuna cura adeguata per il disordine mitocondriale, e le madri con una storia familiare di questa malattia devono decidere se non avere figli o correre il rischio di avere un bambino affetto da questo problema genetico.

Come funziona?

La procedura consiste nell'unire un ovulo e uno spermatozoo mediante la fecondazione in vitro. Il giorno dopo, il DNA nucleare viene rimosso dall'embrione e impiantato nell'ovulo di una donatrice, il cui nucleo è stato tolto ed eliminato.

L'embrione risultante eredita DNA nucleare o geni dei due genitori e il DNA mitocondriale della donna che dona l'ovulo sano. Sarà quindi un bambino con il patrimonio genetico di un padre e due madri.

Tra gli umani, nei mitocondri si trovano circa 37 geni, il resto degli oltre 23.000 geni conosciuti è nel DNA del nucleo.

In alcune dichiarazioni alla rivista "Nature", il direttore di questa ricerca, il professor Doug Turnbull, ha paragonato la procedura al cambiamento della batteria di un computer. La somministrazione di energia, spiega, permette un corretto funzionamento, senza che le informazioni che si trovavano sul disco vengano alterate.

Ad ogni modo, il cambiamento del materiale dei mitocondri presuppone sempre la distruzione di almeno un embrione dal quale si estrae il DNA mitocondriale sano.

Alcuni membri del Centro dell'Ateneo di Bioetica della Cattolica di Roma hanno dichiarato che questa procedura "sconvolge la miopia etica sia di chi autorizza queste ricerche sia di chi le pratica".

"Ormai, sotto il velo della salute si può compiere qualsiasi azione", dicono i medici e gli scienziati del Centro. "L'eugenetica di mercato si afferma tranquillamente nell'opinione pubblica".

La struttura esprime anche preoccupazione per gli eufemismi utilizzati in questo tipo di procedura. "Nessuna sottile distinzione teorica e nessun raffinato linguaggio scientifico può impedirci di vedere che stiamo di fatto minando le fondamenta, faticosamente guadagnate, dell'idea di un uomo come soggetto che non può essere né prodotto né fabbricato".

ZENIT ha consultato il ginecologo colombiano Carlos Alberto Gómez Fajardo, che ha dichiarato che l'applicazione di tecniche di fecondazione in vitro e trasferimento embrionale per ottenere embrioni privi della patologia mitocondriale fa parte della stessa dinamica di morte selettiva degli embrioni.

"Si tratta di un altro capitolo dell'imposizione di una dinamica del 'Baby to carry home', in cui il figlio è il prodotto del potere della tecnocrazia e della dinamica di mercato", ha aggiunto.

Secondo quanto rende noto "Nature", 80 embrioni sono stati creati e sviluppati in laboratorio in un periodo da sei a otto giorni per raggiungere la tappa della blastocisti, che comprende una massa di circa 100 cellule. In seguito sono stati distrutti.

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Brasile: condannato a 30 anni il mandante dell'omicidio di suor Dorothy
La religiosa aiutava i contadini che si battevano per salvare l'Amazzonia

BRASILIA, venerdì, 16 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il fazendeiro Vitalmiro Bastos de Moura, conosciuto come Bida, è stato condannato questo lunedì a Belém (Pará, nord del Brasile), a 30 anni di reclusione per aver fatto uccidere cinque anni fa suor Dorothy Stang, una missionaria nordamericana naturalizzata brasiliana.

Secondo quanto reso noto dalla Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile, dopo più di 14 ore di giudizio, Bida è stato considerato dalla maggioranza dei giurati autore dell'omicidio, con l'aggravante dell'età avanzata di suor Dorothy (allora aveva 73 anni).

Il giudice Raimundo Moisés Flexa ha affermato nella sentenza che la personalità di Bida è “perversa e codarda” e che la religiosa era “un'anziana indifesa”.

Le azioni del fazendeiro “negano la stessa razionalità umana”, ha affermato il magistrato a un pubblico di sostenitori di suor Dorothy, che pregavano dandosi la mano.

Bida è attualmente l'unico mandante del delitto ad essere in carcere nel Pará.

“Giustizia è stata fatta. Mia sorella sarebbe molto felice. Credeva nel sistema giudiziario brasiliano”, ha detto David Stang, fratello di suor Dorothy che vive negli Stati Uniti e si era recato a Belém per il processo.

Alla fine del mese, Regivaldo Pereira Galvão, l'altro accusato di essere il mandante dell'omicidio della religiosa in collaborazione con Bida, dovrà presentarsi davanti al giudice per la prima volta.

Morta nel febbraio 2005, Dorothy Stang era una delle principali leader dei piccoli produttori rurali dell'Amazzonia. Lottava per la riforma agraria e denunciava i crimini commessi contro l'ambiente e contro i lavoratori.

Il suo omicidio, uno dei principali nel contesto del conflitto agrario amazzonico, ha provocato ripercussioni internazionali e ha dato origine a un documentario, “Hanno ucciso suor Dorothy”, del nordamericano Daniel Junge, pre-selezionato per gli Oscar dello scorso anno.

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Giovane sacerdote gesuita sarà beatificato domenica a Valladolid
Grande diffusore del Sacro Cuore di Gesù in Spagna

di Carmen Elena Villa

VALLADOLID, venerdì, 16 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il sacerdote spagnolo Bernardo Francisco de Hoyos (1711-1735) ha trovato nel Cuore di Gesù quel "tesoro nascosto" al quale si riferisce la parabola del Vangelo di San Matteo (13, 44).

I 24 anni scarsi della sua vita e i pochi mezzi di comunicazione di quell'epoca furono sufficienti perché il giovane sacerdote potesse lavorare per la diffusione di questa devozione nel suo Paese.

Padre Bernardo, che ricevette il suo nome di battesimo in onore di San Bernardo di Chiaravalle, sarà beatificato questa domenica, 18 aprile, in un atto senza precedenti a Valladolid.

La Messa verrà celebrata alle 10.30 nella Plaza de Colón e nel Paseo de Recoletos della città, e sarà presieduta da monsignor Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, come rappresentante di Papa Benedetto XVI.

Per questo, nella Facoltà di Giurisprudenza dell'università cattolica di Valladolid si sta svolgendo questa settimana il congresso del Cuore di Gesù dal titolo "Mi ha mostrato il suo cuore. Bernardo Hoyos, testimone di una promessa per il nostro mondo", che culminerà questo sabato.

Spiritualità ignaziana

Bernardo aveva appena 10 anni quando entrò nel collegio Imperial di Madrid, dei padri gesuiti, dove conobbe meglio l'ordine, al quale aderì. "Perché non essere un giorno come loro?", si chiedeva guardando i novizi.

Pur desiderandolo dal profondo del cuore, Bernardo non venne ammesso immediatamente, perché era molto giovane e per il suo delicato stato di salute. Dopo una lunga battaglia, il giovane entrò nel noviziato. Al termine di questa tappa, si trasferì con i suoi compagni a Villa del Campo, nella provincia spagnola di Cáceres.

Lì sopportò molte tentazioni e scoraggiamenti, a livello sia interno che esterno. Nello stesso anno, un'epidemia di peste sconvolse la città. Morirono uno dei suoi compagni e uno dei padri formatori del seminario, ma nulla di tutto ciò lo fece indietreggiare dal cammino di fede che aveva intrapreso.

Nel 1731 andò a studiare Teologia a Valladolid. Adorava leggere i Padri della Chiesa. Diceva sempre che più che "studiare" Teologia la "pregava".

Sacro Cuore

Nel collegio di Sant'Ambrogio, quando aveva 21 anni, trovò un libro in latino che avrebbe cambiato la sua vita: si intitolava "De cultu sacratissimi Cordis Dei Iesu", di padre José de Gallifet, sul Corpus Domini e la devozione al Cuore di Gesù.

"Sentii nel mio spirito uno straordinario movimento, forte, dolce e non impetuoso, per cui andai subito davanti al Signore Sacramentato per offrirmi al suo Cuore, per cooperare per quanto potevo, almeno con le preghiere, alla diffusione del suo culto", scrisse Bernardo sul suo diario.

Il giovane capì che avrebbe dovuto far conoscere l'opera di Santa Margherita Maria Alacoque, una religiosa di clausura francese a cui Dio chiese di lavorare per l'istituzione della festa del Sacro Cuore di Gesù.

Nel 1733, mentre pregava, sentì che Gesù gli mostrava il mistero del suo Cuore: "Regnerò in Spagna e con più venerazione che in molti altri luoghi". Per questo, scrisse il libro "Il tesoro nascosto", il primo ad essere pubblicato in Spagna dedicato a questa devozione.

"Il grande elemento che il Signore vuole comunicare a padre Hoyos è che Dio ha un cuore, e che a questo Dio che ha un cuore interessa la vita di ogni uomo", ha affermato padre Ricardo Vargas, direttore del centro diocesano di spiritualità del cuore di Gesù, nel documentario dal titolo "La grande promessa", promosso da HM Televisión e dalla fondazione Euk Marie, che narra la vita di padre Hoyos.

Per diffondere questa devozione, Bernardo cercò il sostegno dei gesuiti, pubblicò santini, diffuse una novena, cercò l'appoggio dei Vescovi spagnoli e anche dei Reali.

Ministero sacerdotale

Nel dicembre 1734 ricevette il suddiaconato e il diaconato, e il 2 gennaio dell'anno successivo fu ordinato sacerdote con altri due suoi compagni. Celebrò la prima Messa il giorno dell'Epifania del 1735 nella chiesa del Collegio di Sant'Ignazio, oggi parrocchia di San Miguel.

Dovette poi lasciare il collegio Sant'Ambrogio per la cosiddetta "Terza probazione", una sorta di secondo noviziato per ravvivare il fervore e la dedizione a Dio.

Il suo sacerdozio non durò neanche un anno. Un'altissima febbre si trasformò in tifo. Dopo 15 giorni di malattia, morì il 15 novembre 1735. Le sue ultime parole furono: "Oh, che bello abitare nel sacro Cuore di Gesù!".

Oggi, a 275 anni dalla sua morte, la sua vita continua ad avere eco nella comunità gesuita e nella Chiesa spagnola: "E' provvidenziale e molto importante per i nostri giovani di oggi vedere che 24 anni sono sufficienti per andare in cielo se vengono utilizzati bene", ha detto padre Vargas riferendosi al futuro beato.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]




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Segnalazioni


A 26 anni dalla consegna della Croce della GMG
Celebrazione il 24 aprile al Centro San Lorenzo di Roma

ROMA, venerdì, 16 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il 24 aprile prossimo, il Centro internazionale giovanile San Lorenzo celebrerà il 26° anniversario della Croce della Giornata mondiale della Gioventù che Papa Giovanni Paolo II affidò nel 1984 a tutti i giovani per “portarla nel mondo, come segno dell’amore del Signore Gesù per l’umanità, ed annunciate a tutti che solo in Cristo morto e risorto c’è salvezza e redenzione”.

“Ci piace molto di presentare il messaggio della Croce della GMG ai giovani che vengono al centro, perché vediamo come è attuale. I giovani conoscono la sofferenza, i fallimenti, il dubbio, il lutto, ecc. Hanno bisogno di trovare la consolazione, la forza, la speranza. Li invitiamo dunque a ricevere tutto questo ai piedi della Croce di Gesù”, ha spiegato padre Eric Jacquinet, direttore del Centro San Lorenzo e responsabile della Sezione Giovani del Pontificio Consiglio per i Laici.

In questa occasione il Centro San Lorenzo presenterà il nuovo video “Potenza della Croce” realizzato in collaborazione con l’agenzia cattolica H2onews e la Scuola di Evangelizzazione della Comunità dell'Emmanuele.

Il video intende aiutare i giovani pellegrini a Roma a scoprire la Croce della GMG e allo stesso tempo a entrare nel mistero della croce su cui Gesù Cristo è morto.

“Quando mostriamo il legame tra la Croce della GMG e la vita dei giovani, vengono a venerarla con grande fede e rimangono toccati. Alcuni dicono che la venerazione della Croce della GMG è il momento più importante del loro pellegrinaggio a Roma”, ha affermato padre Jacquinet.

I giovani del Centro sono stati, secondo il sacerdote, “i primi protagonisti dei viaggi della Croce nel mondo che hanno portato tanti frutti”.

Oggi il Centro accoglie migliaia di giovani dai cinque continenti offrendo loro una “casa vicino al Papa”. Il Centro internazionale giovanile San Lorenzo, infatti, è stato fondato da Giovanni Paolo II nel 1983 come luogo di preghiera, di accoglienza, di formazione per tutti i giovani del mondo che vengono nella Città eterna.



Centro internazionale giovanile San Lorenzo

Via Pfeiffer 24, 00193 – Roma

Tel +39 06 69885332

Fax +39 06 69885095

centrosanlorenzo@laity.va

csl@laity.va

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Corso sull'esorcismo e il fenomeno del satanismo e delle sette
Da lunedì 19 aprile presso l'Ateneo Pontificio "Regina Apostolorum"

ROMA, venerdì, 16 aprile 2010 (ZENIT.org).- Inizieranno lunedì 19 aprile prossimo, a Roma, presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, le lezioni del quinto corso “Esorcismo e preghiera di liberazione”, che sarà possibile seguire, tramite videoconferenza, anche da Bologna presso l’Istituto Veritatis Splendor.

Come per le altre edizioni, il corso è organizzato dall’Istituto Sacerdos dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e dal GRIS (Gruppo di Ricerca e Informazione Socio-Religiosa).

Oltre ai sacerdoti, sarà aperto anche ai laici interessati agli argomenti trattati. Ad esempio: medici, psicologi, avvocati, insegnanti, catechisti.

Le lezioni si terranno dal 19 al 24 aprile. Il corso affronterà due temi: l’esorcismo e il fenomeno del satanismo e delle sette.

Non si tratta di un corso per diventare esorcisti. L’obiettivo è quello di offrire ai sacerdoti strumenti utili per il loro lavoro pastorale, di informazione e di sostegno per le famiglie, attraverso un approccio interdisciplinare alla materia e al di là di una visione superficiale e sensazionalista di questi fenomeni.

Nel quinto corso interverranno: mons. Luigi Negri (aspetti teologici e filosofici), Adolfo Morganti (aspetti antropologi), padre Pedro Barrajon LC (aspetti teologici), don Aldo Bonaiuto (aspetti sociali), padre Francesco Bamonte ICMS (aspetti sociali e spirituali), don Gabriele Nanni (aspetti liturgici e canonici), Carlo Climati (satanismo giovanile), mons. Luigi Moretti (aspetti pastorali), Anna Maria Giannini (aspetti psicologici), padre Francois Dermine OP (aspetti pastorali e spirituali), Tonino Cantelmi (aspetti medici e psicologici), Daniela De Zordo (aspetti legali – difesa), Giacomo Ebner (aspetti legali – accusa), padre Tommaso Torres CP (esperienze).

[Per informazioni: tel. 06 665431. Sito Internet: www.upra.org]

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La fedeltà creativa a cent'anni del carisma paolino
Al via ad Ariccia dal 25 aprile il IX Capitolo generale della Società San Paolo
ROMA, venerdì, 16 aprile 2010 (ZENIT.org).- Si apre ad Ariccia (Roma), domenica 25 aprile, il IX Capitolo generale della Società San Paolo (Paolini), Congregazione religiosa fondata dal beato Giacomo Alberione, la cui missione è l'evangelizzazione nell'areopago multiforme delle comunicazioni sociali, che spaziano dai mass media alla multimedialità, alla rete e derivati.

65 paolini, provenienti da 28 nazioni dei cinque continenti, rifletteranno nella Casa Divin Maestro sul tema del Capitolo: "Ravviva il dono che hai ricevuto. La fedeltà creativa a cent'anni del carisma paolino".

Fondata nel 1914, la Società San Paolo si prepara a varcare il primo secolo di vita; ed è in questa ottica che i venti giorni capitolari (25 aprile-15 maggio 2010) verranno vissuti.

Durante il Capitolo, fanno sapere in una nota i Paolini, da una parte si guarderà con "occhio vigile alle proprie radici al fine di rivisitare e rimanere ben saldi sulle orme del Fondatore e del suo carisma"; e dall'altra si cercherà di "imprimere nuova vitalità alla Congregazione in consonanza con i 'segni dei tempi', di fronte alle nuove sfide che oggi provocano la missione paolina".

A questo proposito si sottolineano: "le nuove modalità del comunicare e la nuova cultura da esse indotta; la necessità di una rinnovata dinamicità sostenuta da una mentalità aperta e professionale; la immensità dei bisogni e la preparazione apostolica adeguata; la diminuzione del personale religioso e la collaborazione dei laici".

"Insomma - continua la nota -, 'dare attualità' a tutti gli elementi che compongono il carisma paolino, che deve radicarsi in una intensa spiritualità apostolica e specchiarsi nell'operato della Congregazione".

"L'apostolato nostro - diceva don Alberione - esige dedizione, avvedutezza e prudenza; richiede la scienza comune e la scienza dei mezzi di comunicazione. Il Signore, però, soprattutto ci chiede che ad usare questi mezzi ci sia un gruppo di santi".

"Saranno parole ben presenti ai Capitolari, allorché rifletteranno e dibatteranno, verificheranno e proporranno, e affideranno ai nuovi eletti - il Superiore generale e i sei Consiglieri generali - le linee programmatiche per il prossimo sessennio (2010-2016)", conclude infine il comunicato.

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Interviste


Il Papa troverà al suo arrivo una Chiesa giovane e forte
Intervista a monsignor Mario Grech, vescovo di Gozo

di Serena Sartini

VICTORIA (Gozo, Malta), venerdì, 16 aprile 2010 (ZENIT.org).- Papa Benedetto XVI, che sabato e domenica sarà a Malta, non visiterà Gozo, la piccola isoletta che fa parte dell’Arcipelago.

Il vescovo, monsignor Mario Grech, non nasconde il suo dispiacere ma dice che i gozitani stanno aspettando ugualmente con emozione la visita del Pontefice a Malta.

“C’è una grande aspettativa nonostante tutti i rumori che ci sono in giro – dice a ZENIT il vescovo -, nonostante il fatto che i mezzi di comunicazione vogliano riportare l’attenzione sui casi di pedofilia nella Chiesa, che vogliano spostare l’attenzione”.

“La gente – osserva ancora – è matura abbastanza per saper accogliere il Papa e ascoltarlo. Perché il Papa è la coscienza della società di oggi. Purtroppo un mondo senza coscienza è un mondo morto e una società senza coscienza o con una coscienza erronea sta sulla via della perdizione”.

“Benedetto XVI, durante il suo Pontificato, si è mostrato attento e capace con la sua voce profetica di annunciare la Verità. Posso capire – spiega - che il Papa non è così popolare, potrebbe esserlo di più, ma la Chiesa non va dietro la popolarità. La Chiesa deve tener conto del Vangelo e il Papa è fedele al Signore”.

“Dunque – prosegue –, credo che la nostra gente stia aspettando questa visita con ansia, e nella sua breve permanenza ci dirà parole importanti. La visita può far trovare, in questo momento di nebbia, il desiderio della gente di cercare la via che il Papa sta mostrando al mondo”.

Quale sarà l’omaggio del Papa alla Chiesa di Gozo?

Mons. Mario Grech: Il Papa regalerà una rosa d’oro, un gesto antico, un omaggio che si faceva ai santuari importanti o alle regine cattoliche. Il Papa ha voluto omaggiare di questa rosa il Santuario mariano di Ta’Pinu, che rappresenta una vera e propria oasi di spiritualità non solo per i gozitani, ma per l’intera nazione. Interpreto questo dono come una forma di approvazione alla devozione mariana che c’è nelle chiese locali e il gesto del Pontefice ci spinge a riscoprire in Maria un nuovo discepolato.

Lei rivolgerà il saluto di benvenuto al Papa in occasione dell’incontro che terrà con i giovani. Quale è la situazione dei giovani di oggi, a Malta?

Mons. Mario Grech: I giovani di oggi sono ricchi, ma purtroppo non di valori. Noto che stanno al crocevia, spesso offuscati da ciò che la società gli propone. Tuttavia, ho visto una Chiesa giovane, forte in questo periodo di preparazione dell’incontro con il Papa. Da Gozo saranno oltre 600 ragazzi e questo mi dice che anche nei giovani c’è un interesse, ci sono delle forti aspettative per l’incontro con Benedetto XVI. I giovani di oggi sono anche intelligenti e sanno distinguere le cose buone da quelle non positive.

Come valuta la fede nella Chiesa di Gozo, oggi?

Mons. Mario Grech: Sentiamo il bisogno di passare da una religione popolare a una fede più autentica, più matura. Sento il bisogno di spingere verso una attività pastorale che cerca di educare. Occorre andare verso una vera evangelizzazione e catechesi. Occorre creare dei piccoli gruppi, che io chiamo minoranza creativa, che si raggruppano intorno alla Parola. In tal modo i cristiani maturano nel loro discepolato e possono contribuire per il bene comune. Questo è il lavoro che bisogna fare.

Cosa ci può dire a proposito dei casi di pedofilia legati a sacerdoti che si sono verificati a Malta?

Mons. Mario Grech: Vogliamo assicurare la gente che siamo attenti alla vicenda e rinnoviamo il nostro impegno nel fare tutto ciò che dobbiamo fare quando ci troviamo di fronte a simili casi di abusi. Prenderemo i casi che si verificano con la serietà e la responsabilità dovuta. Tuttavia, posso dire che finora non ci sono state reazioni negative verso i religiosi e la gente continua a considerare il sacerdote un punto di riferimento importante.

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Parola e vita


Pasqua: la vita in un batter d'occhio
III Domenica di Pasqua, 18 aprile 2010

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 16 aprile 2010 (ZENIT.org).- “Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. (…) Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: 'E’ il Signore!'. Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. (…) Gesù disse loro: 'Venite a mangiare'. E nessuno dei discepoli osava domandargli: 'Chi sei?', perché sapevano bene che era il Signore. (…) Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: 'Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?'. Gli rispose: 'Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene'. Gli disse: 'Pasci i miei agnelli'” (Gv 21,1-19).

'Andate e proclamate al popolo, nel tempio, tutte queste parole di vita'. Udito questo, entrarono nel tempio sul far del giorno e si misero ad insegnare. (…) 'Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo che Dio ha dato a coloro che gli obbediscono'” (At 5,20-21;29-32).

Strana osservazione, quella dell’evangelista Giovanni, circa l’imbarazzo dei discepoli a chiedere a Gesù: “Chi sei?”. Di fronte ai “centocinquantatre grossi pesci” miracolosamente pescati; udito il grido dello stesso Giovanni: “è il Signore!”; veduto Pietro buttarsi in mare per la gioia, che bisogno c’era di chiedergli: “Chi sei?”, dato, appunto, che “sapevano bene che era il Signore”? Quando si sa bene una cosa, occorrono forse conferme? Può uno dubitare nella certezza? Viene in primo luogo da rispondere che quando la gioia è troppo grande non si crede né ai propri occhi, né alle proprie orecchie. Inoltre, l’evangelista vuol far entrare il lettore nel clima soprannaturale dell’incontro con Gesù, caratterizzato da un sacro “timor di Dio”. Infine, sappiamo che il Risorto non è più riconoscibile come prima di morire, poiché ora appartiene ad un altro mondo. Tutto vero; ma forse, in profondità, c’è anche un altro messaggio.

Lo fa intuire…il milione e mezzo di persone che si sono prenotate per vedere la Sindone. Per spiegarmi parlando delle mie convinzioni, semplicemente in termini di testimonianza personale. Io sono già assolutamente certo che la Sindone è la fotografia di Gesù morto e risuscitato, e non è per accrescere questa mia convinzione che non vedo l’ora di andare a Torino per rimanere anche solo due minuti a contemplarla. Nemmeno mi paragono ad un innamorato della Gioconda, in partenza per il Louvre di Parigi.

Per me, vedere la Sindone è come incontrare Gesù nel momento in cui lo incontrò Maria di Magdala, il mattino di Pasqua, nel giardino, sapendo bene che “è il Signore” e non un altro. E’ vero che per la fede non è necessario credere nella sua autenticità, tuttavia mi sembra innegabile il riconoscimento della sua “stoffa” soprannaturale da parte della Chiesa, dal momento che se la Sindone non avesse nulla a che fare con il Risorto, il Papa non andrebbe a venerarla ufficialmente, come si appresta a fare. Il fascino misterioso della Sindone per moltissimi è un profumo identificato: è “profumo di Cristo” (2 Cor, 2,15) risorto e vivo in mezzo a noi, un profumo tanto inebriante, da attirare il mondo intero ogni volta che il purissimo Lenzuolo viene esposto. Ora, ciò che è morto, non emana profumo.

Veniamo al Vangelo. Pietro e compagni vanno, come al solito, a pescare...“ma quella notte non presero nulla. Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù” (Gv 21,4). Di un’altra cosa non si erano accorti i discepoli, mentre rientravano mesti e stanchi dalla pesca mancata: che là sulla riva c’era un uomo..l’uomo della Sindone. Questa semplice parola “riva” è sufficiente ad evocare tutta la straordinaria “verità” impressa nella Sindone, il suo lieto, evangelico annunzio.

Ascoltiamolo: “L’uomo, ciascuno di noi, si trova immerso nella corrente che lo trascina a morte sicura, incapaci come siamo di nuotare. Dio non si è accontentato, dalla riva della sua beata e sicura eternità, di insegnare all’uomo, a ciascuno di noi, come si fa’ a nuotare, quale è la via della salvezza. Nella sua disperazione, l’uomo non aveva né il tempo di sentire questa dottrina, né la forza di metterla in pratica. Dio non si è neppure accontentato di lanciare in acqua una corda di salvataggio: l’uomo, ciascuno di noi, è troppo stanco per aggrapparsi. Dio si è buttato in acqua. Ha condiviso la nostra condizione di disperati e votati alla morte. Ha lasciato la sua riva, beata e ferma, e si è immerso nelle nostre acque infide e travolgenti. Ha stretto l’uomo a sé (“con la sua Incarnazione il Figlio stesso di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo”) e lo ha trasportato sulla sua riva: sulla riva della sua eterna beatitudine. “O ammirabile scambio – esclama la Liturgia cristiana – il Creatore ha preso un’anima e un corpo ed è nato da una Vergine; fatto uomo senza opera d’uomo, ci donò la sua divinità” (Ottava di Natale, II Vespri, 1° antifona). Il dono della sua divinità, l’arrivo della “terra ferma” dell’Essere e della Vita, accade precisamente, originariamente nel fatto del suo divenire uomo. Non ci ha insegnato a nuotare; ci ha liberato dalle acque” (Carlo Caffarra, “Vangelo della vita e cultura della morte”, Torino 15 febbraio 1992).

Nella Sindone contempliamo il fatto che “l’Autore della vita” (At 3,15) è divenuto uomo; il fatto che il “Verbo della vita” (1 Gv 1,1) si è fatto nostra carne; il fatto che la vita di ogni uomo non sarà abbandonata negli inferi. Di ciò che è accaduto senza testimoni nella casetta di Nazaret, di ciò che è accaduto senza testimoni nel sepolcro di Gerusalemme, ora noi siamo testimoni, poiché il corpo della Sindone è il corpo concepito in Maria a Nazaret, è il corpo nato da lei a Betlemme, è il corpo risuscitato dai morti a Gerusalemme.

Aggiungo un’osservazione sul verbo “stette”: fa intendere che Gesù si trovava già là, da tutta la notte, ma non era possibile vederlo, finchè i discepoli se ne accorsero all’improvviso “quando era già l’alba”. Giovanni qui passa dalla notte al giorno in un batter d’occhio: d’un tratto, al mattino, ecco Gesù là sulla riva. C’è qui un richiamo simbolico alla notte come assenza di vita (“non presero nulla”), in contrasto con la luce della creazione dalla quale dipende la sovrabbondanza della vita (“centocinquantatre grossi pesci”).

Questo racconto pasquale di Giovanni, lo possiamo mettere in parallelo con l’annuncio che Paolo fa della risurrezione dei nostri corpi: “..tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba.(…) Quando questo corpo corruttibile sarà vestito di incorruttibilità e questo corpo mortale d’immortalità, si compirà la parola della Scrittura: la morte è stata inghiottita nella vittoria”(1Cor 15,52-54).

Se ora ci chiediamo qual è il primissimo istante, come in un batter d’occhio, in cui il nostro corpo corruttibile e mortale si veste di incorruttibilità e di immortalità, possiamo rispondere che esso precede il suono dell’ultima tromba di un numero d’anni pari alla nostra età finale, più nove mesi. Infatti, la creazione dell’anima immortale e incorruttibile avviene al momento del concepimento dell’uomo, quando in un batter d’occhio, dal non essere si passa all’essere, dal nulla alla vita, dal “mai” al “per sempre”. E’ il batter d’occhio della fecondazione, che necessariamente precede quello della risurrezione, dopo il quale, ad occhi eternamente spalancati vedremo il Signore “così come egli è” (1Gv 3,2).

Nel “batter d’occhio” della Sindone, allora, non è “fotografato” solo il corpo del Signore nell’istante della sua risurrezione, ma anche quello di ognuno di noi che siamo e saremo “risorti in Cristo” (Col 3,1) dal momento che “.. solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. (…) Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito, in certo modo ad ogni uomo” (Costituzione pastorale “Gaudium et spes”, del Concilio Vaticano II, cap. 22, n. 1385-1386).

Come accennavo all’inizio, il messaggio profondo che scaturisce dal silenzioso e timoroso interrogativo dei discepoli di fronte al Signore risorto: “Chi sei?”, mi sembra essere questo: mentre il nostro intelletto intuisce che il mistero della Sindone rimanda ineludibilmente al mistero stesso di Cristo, da una parte ne rimaniamo affascinati, a riprova che la Sindone ha il potere di toccare le corde più profonde della persona umana, dall’altra non osiamo fare l’unica cosa che trasformerebbe lo stupore della mente nella gioia di un autentico incontro con il Signore risorto e vivo, vale a dire rispondere in tutta verità e libertà alla domanda di fondo reale: “chi sei per me?”

E’ stato osservato a ragione, che l’autenticità della Sindone non sarebbe messa in dubbio da nessuno se il corpo avvolto non fosse stato quello del Figlio di Dio. In tal caso, infatti, lo stupore scientifico non interpellerebbe la coscienza. Ma se da quel Lino millenario, a svanire così, è stato il corpo di Gesù, allora esso ci consente non solo uno sguardo certo sulla vita-oltre-la-vita, ma anche sul passato e sul presente, dal momento in esso si può leggere il senso dell’intera esistenza umana, da quando la vita è seminata da Dio nella terra del grembo, a quando finisce nel sepolcro sotto terra. E questo significato è proprio il Signore Gesù.

La Sindone, allora, comincia a suscitare nel cuore le stesse domande che il Risorto pone oggi a Pietro: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?(…) mi ami?(…) mi vuoi bene?” (Gv 21,15-16-17). Cioè: a che cosa hai dato il tuo cuore fino ad oggi? Alle creature o al Creatore? Chi ami di più?

In altre parole: quanto tempo dedichi al Signore nella tua giornata? Conosci il suo Vangelo? Quanto tempo dedichi alla preghiera, e quanto a perder tempo? Preferisci aggiornarti sulle notizie di cronaca o sulla Buona Notizia del Vangelo, divulgata abbondantemente dal Magistero del Papa? La risposta sincera è davvero rischiosa, poiché comporta l’obbedienza a quel deciso “Seguimi” che non lascia scampo alla nostra volontà di autosufficienza: “un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi” (Gv 21,18-19).

Ma la sorprendente triplice richiesta d’amore a Pietro, da parte di Gesù, ci interpella ancor più in profondità, se, ricordando che: “il rifiuto della vita dell’uomo nelle sue diverse forme, è realmente rifiuto di Cristo“ (Enciclica “Evangelium vitae” n. 104), riconosciamo in essa la voce di un “numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere, di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall’indifferenza o da una presunta pietà” (id., Preghiera finale a Maria risorta, Aurora di un mondo nuovo).

Oggi la legge consente di uccidere l’uomo, a tutte le età e in molti modi: per azione diretta o per omissione, ma nessuno deve dimenticare le “parole di vita” (At 5,20) che gli saranno ricordate anche al momento del Giudizio universale: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini” (At 5,29).



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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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Cristiani e musulmani in Nigeria


di padre Piero Gheddo*

ROMA, venerdì, 16 aprile 2010 (ZENIT.org).- Dopo i massacri di cristiani nel gennaio e febbraio scorsi, la Nigeria è scomparsa dalle prime pagine dei giornali, ma continua a vivere una situazione difficile che ogni tanto esplode in lotte e scontri violenti con decine di morti fra popolazioni del Nord e quelle del Sud, di etnie e soprattutto di religioni diverse, musulmani al Nord e cristiani (o animisti) al Sud.

La Nigeria è comunemente definita “il gigante dell’Africa”, con circa 150 milioni di abitanti, con un tasso di crescita del 2,2% (tre milioni l’anno), seguita da Egitto (73 milioni), Sud Africa (48) e Congo (42). Un paese esteso tre volte l’Italia con tante risorse naturali (l’ottavo produttore di petrolio al mondo), ma purtroppo anche uno di quelli a maggior rischio di violenze inter-etniche, con una delle Chiese locali più vive e in maggior crescita.

La storia dell’indipendenza nigeriana dall’Inghilterra (1960) è fra le più tormentate, con nove colpi di Stato in 50 anni, una sanguinosissima guerra civile (Biafra, 1967-1970, un milione e mezzo di morti) e un sistema democratico che funziona poco, anche se la Nigeria, con le sue università, ha una élite intellettuale e politica di primo piano. Lo Stato non riesce ad imporre la sua autorità poiché, con un popolo diviso a metà fra musulmani e cristiani, lo Stato conta poco. È più importante l’appartenenza alla propria etnia e religione.

Sono stato in Nigeria nel 1985 e 25 anni fa cristiani e musulmani convivevano con difficoltà (nelle regioni islamiche i cristiani erano cittadini di serie B), ma senza gravi violenze di massa. La situazione è andata peggiorando negli ultimi tempi, da quando si è esteso anche nella Federazione nigeriana l’influsso dell’estremismo islamico espresso dall’ideologia di “Al Qaida” ed è particolarmente grave nei 12 stati del Nord (su 36 federati) che hanno adottato la “Sharia” (legge islamica) come legge di Stato.

La situazione è complessa e anche i cristiani hanno le loro colpe, specialmente l’avventata e indebita propaganda religiosa di sette cristiano-pagane (più di cento), che predicano Cristo ma nelle regioni e fra le popolazioni islamiche battezzano facilmente (la Chiesa cattolica richiede due anni di catecumenato) e usano gli aiuti economici come strumento di penetrazione cristiana, come d’altronde fanno i musulmani in Africa.

In queste difficili situazioni, i cattolici sono circa 21 milioni (più numerosi i protestanti delle varie Chiese e sette), con un buon numero di conversioni dall’animismo e numerose vocazioni sacerdotali e religiose. In Nigeria c’è il maggior seminario cattolico nel mondo, quello teologico di Enugu con più di 600 alunni! Il presidente della Conferenza episcopale, mons. Felix Adeosin Job, ha dichiarato  all’Osservatore Romano: “Siamo una Chiesa povera, ma grazie a Dio stiamo vivendo un periodo luminoso di crescita. Molte persone sono giunte a conoscere e amare Cristo e ad accettarlo come loro Dio. I nostri cristiani lo sono di fatto. Quelli che alla domenica non vengono in chiesa sono una minoranza”. I giovani cristiani della Nigeria aprono il cuore alla speranza. La Chiesa attraversa una crisi nel nostro paese e in Europa, ma fiorisce specialmente nel mondo non cristiano. Lo Spirito Santo non dorme mai, non va mai in pensione e neppure in vacanza.

Segnalo agli amici lettori che lunedì prossimo parlerò della Nigeria in una catechesi su Radio Maria (ore 21-22,30) e qualche tempo dopo si potrà trovare il testo della conversazione nel mio Sito (vedi qui sotto).


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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l'Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.

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Discorso di Benedetto XVI ai membri della "Papal Foundation"
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 16 aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo del discorso pronunciato questo venerdì mattina da Benedetto XVI ricevendo in udienza nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano i membri della "Papal Foundation".

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Cari amici,

sono lieto di salutarvi, membri della «Papal Foundation», in occasione del vostro pellegrinaggio annuale a Roma. Il nostro incontro  è pervaso dalla gioia del tempo pasquale poiché la Chiesa celebra la vittoria gloriosa del Signore sulla morte e il suo dono di nuova vita nello Spirito Santo.

Un anno fa, ho avuto la grazia di visitare la Terra Santa e di pregare presso il sepolcro vuoto del Signore. Là, ripetendo la testimonianza dell'Apostolo Pietro, ho proclamato che Cristo, risorgendo a nuova vita, ci ha insegnato «che mai il male ha l'ultima parola, che  l'amore  è più forte  della morte, che il nostro  futuro e quello  dell'umanità sta nelle mani di un Dio provvido e fedele» (Discorso presso la Chiesa del Santo Sepolcro, 15 maggio 2009). In ogni tempo e in ogni luogo, la Chiesa è chiamata a proclamare questo messaggio di speranza e a confermare la sua verità con la sua testimonianza concreta di santità e di carità. La «Papal Foundation» ha portato avanti questa missione in un modo particolare, sostenendo un ampio spettro di opere caritative vicine al cuore del Successore di Pietro. Vi ringrazio per gli sforzi generosi nell'offrire assistenza ai nostri fratelli e alle nostre sorelle nei Paesi in via di sviluppo, nel formare i futuri responsabili della Chiesa e nel promuovere gli sforzi missionari di così tante diocesi e congregazioni religiose nel mondo.

In questi giorni, vi chiedo di pregare per le necessità della Chiesa universale e di implorare una nuova profusione da parte dello Spirito di doni di santità, unità e zelo missionario su tutto il Popolo di Dio. Con grande affetto affido voi e le vostre famiglie all'amorevole intercessione di Maria, Madre della Chiesa e imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica quale pegno di gioia e di pace  in Gesù, il Signore risorto.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana, traduzione a cura de "L'Osservatore Romano"]

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