venerdì 7 maggio 2010

[ZI100507] Il mondo visto da Roma

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Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 07 maggio 2010

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Impegno del Vaticano e della Georgia negli scambi interculturali
Benedetto XVI riceve in udienza il Presidente Mikhail Saakashvili

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 7 maggio 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha ricevuto questo venerdì in udienza il Presidente della Georgia, Mikhail Saakashvili, che ha poi incontrato il Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Tarcisio Bertone, che era accompagnato dal Segretario per i Rapporti con gli Stati, monsignor Dominique Mamberti.

“Gli incontri hanno permesso di affrontare varie questioni bilaterali e di rilievo della vita della Georgia, rinnovando l’impegno delle Parti a favore degli scambi interculturali”, indica un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede.

La Chiesa cattolica in Georgia considera l'ecumenismo, e in concreto l'intesa con la Chiesa ortodossa, uno dei suoi compiti principali.

La minoranza cattolica, che in alcuni casi si vede discriminata, e la maggioranza ortodossa vivono tensioni in alcune zone rurali.

Nell'incontro di questo venerdì, i rappresentanti del Vaticano e dello Stato georgiano hanno sottolineato l'importanza di tendere ponti.

“Per quanto concerne la situazione nella Regione, si è auspicato che ogni difficoltà venga risolta attraverso il dialogo ed il negoziato tra le istanze interessate”, hanno affermato.

Allo stesso modo, “si è riconosciuto, in particolare, il positivo contributo umanitario operato dalla Caritas nei confronti di tutta la popolazione e si è incoraggiata la pacifica convivenza tra i credenti delle diverse religioni in favore del bene comune”.

Nel settembre dell'anno scorso, Caritas Georgia ha avviato un piano d'emergenza per fornire materiale di rifugio, alimenti, medicinali e oggetti di uso personale e familiare alle vittime di un terremoto con epicentro situato a 12 chilometri da Oni, nella regione di Racha-Lochkhumi-Kvemo Svaneti.

In seguito, la Caritas locale ha elaborato un piano di ricostruzione di abitazioni e infrastrutture comunitarie di base colpite dal sisma.

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Un mondo libero dalle armi nucleari per il bene dell'umanità
Mons. Migliore alla Conferenza sulla revisione del Trattato di non proliferazione

ROMA, venerdì, 7 maggio 2010, (ZENIT.org).- Occorre intensificare le trattative per giungere a un mondo libero da armi nucleari così da garantire la sopravvivenza dell’umanità. È quanto ha affermato giovedì l’Arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, intervenento alla Conferenza quinquennale di revisione del Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp), in corso a New York.

“Le armi nucleari – ha osservato mons. Migliore – sono state per decenni un tema centrale nell'agenda del disarmo. Tuttavia, queste armi continuano a esistere in quantità enormi, e alcune di esse sono pronte per essere attivate”.

Questo dimostra, ha spiegato il presule, che “non servono più semplicemente come deterrente ma che si sono radicate nelle dottrine militari delle maggiori potenze”, tanto che “il pericolo di proliferazione si è intensificato” e “la minaccia di terrorismo nucleare sta divenendo sempre più reale”.

“Una delle sfide – ha sottolineato – è il fatto che gli Stati dotati di armi nucleari, a 40 anni dall'entrata in vigore del Tnp, devono ancora portare a termine in maniera chiara ed efficace questi negoziati” fino a giungere, come stabilito nella Conferenza di revisione del 2000, a una loro totale eliminazione.

Inoltre, il semplice fatto che “le armi nucleari esistano consentirà e persino incoraggerà la proliferazione creando il rischio permanente che il materiale nucleare prodotto per l’uso pacifico dell’energia venga trasformato in armamenti”.

“Il disarmo nucleare e la non proliferazione sono veramente essenziali anche da un punto di vista umanitario”, ha continuato, e servono ad “assicurare la sicurezza e la sopravvivenza di umanità” poiché “nessuna forza al mondo sarà in grado di proteggere le popolazioni civili dall'esplosione di bombe nucleari, che potrebbero causare milioni di morti immediate”.

“La Santa Sede – ha concluso – sostiene con forza un disarmo nucleare trasparente, verificabile, globale e irreversibile”, chiede l’entrata in vigore del Trattato sul divieto totale dei test nucleari, e l’elaborazione immediata di un Trattato sul bando della produzione del materiale fissile.

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La Santa Sede presenta le Giornate di cultura e spiritualità russa
Una nuova iniziativa per incrementare il dialogo tra ortodossi e cattolici

di Carmen Elena Villa

ROMA, venerdì, 7 maggio 2010, (ZENIT.org).- Una mostra fotografica, un simposio e un concerto in onore di Papa Benedetto XVI: è questa la serie di iniziative previste dal 19 al 20 maggio in occasione delle Giornate di cultura e spiritualità russa in Vaticano.

Gli eventi sono promossi dal Patriarcato di Mosca, dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e dal Pontificio Consiglio della Cultura.

Per mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, le Giornate mirano a far vedere “il continuo incrocio tra le tradizioni culturali, musicali russe che sono di matrice religiosa, e l’elaborazione da parte di questi musicisti che poi sono entrati in Europa e si sono manifestati ai livelli più alti della cultura musicale”.

Il programma

Il prossimo 19 maggio verrà inaugurata a Roma, nella parrocchia ortodossa russa di Santa Caterina, la mostra dal titolo “La Chiesa ortodossa russa oggi”, con fotografie di Vladimir Chodakov.

Lo stesso giorno alle 16:30 prenderà il via il simposio sul tema “Ortodossi e cattolici in Europa oggi. Le radici cristiane e il comune patrimonio culturale di Oriente e Occidente” che vedrà la partecipazione del Cardinale Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, di monsignor Gianfranco Ravasi, Pavel Lungin, Andrea Riccardi e Boris Ananiev.

Il concerto di musica sacra ortodossa in omaggio di Benedetto XVI, che presenzierà all’evento, si terrà il 20 maggio prossimo nell'aula Paolo VI e vedrà esibirsi l'Orchestra nazionale russa, il Coro sinodale di Mosca e la Cappella di Corni di Pietroburgo. Il concerto sarà offerto dal Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kirill.

Nel programma di queste celebrazioni spicca la visita dal 14 al 18 maggio, dell'Arcivescovo metropolitica Hilarion di Volokolamsk accompagnato da una delegazione del Patriarcato di Mosca, che farà tappa a Ravenna, Milano, Torino e Bologna.

Le Giornate intendono evidenziare una triplice dimensione culturale, religiosa ed ecumenica e costituiscono un passo in avanti per il dialogo tra ortodossi e cattolici.

Monsignor Pasquale Iacobone, responsabile del Dipartimento Arte e Fede del Pontificio Consiglio per la Cultura, ha parlato di queste iniziative come di “piccoli ma significativi passi” che lasciano intravedere “uno sviluppo ed un’evoluzione forse impensabili fino a qualche anno fa”.

“Auspichiamo che la politica incentrata nella cultura, nei grandi valori e nell'arte possa produrre – e dopo lasciamo agire la Provvidenza – quei risultati che tutti noi ci aspettiamo”, ha aggiunto.

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Il Papa alle nuove Guardie Svizzere: vivere la cattolicità ecclesiale
"Siete custodi di una tradizione"

LOURDES, venerdì, 7 maggio 2010 (ZENIT.org).- Nell'omelia che ha pronunciato questo venerdì nella Grotta di Lourdes durante la Messa d'apertura del XXIII Congresso Mondiale della Federazione Mondiale dei Medici Cattolici (FIAMC), il Cardinale Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, ha invitato i presenti a testimoniare “che Dio è amore”.

“Vi prego di testimoniare con coraggio il Vangelo dell’amore dinanzi al mondo di oggi, portando la speranza agli ammalati, ai sofferenti, ai disperati, a coloro che hanno sete di verità, di pace e di amore”, ha chiesto.

“Facendo del bene al prossimo e mostrandovi solleciti per il bene comune, testimoniate che Dio è amore”, ha aggiunto.

Il Congresso è in svolgimento da questo giovedì fino al 9 maggio e rappresenta un'occasione per attingere “dalla fonte abbondante della fede”, ha osservato il porporato.

La fede, ha spiegato, “non è il risultato di un’autogenerazione del soggetto, non è il prodotto di una escogitazione umana, non è la conclusione di un processo a partire dall’io”.

Al contrario, è “un essere generati”, “ha essenzialmente carattere dialogico e relazionale”.

“Soltanto quando il cuore dell’uomo è toccato e raggiunto dalla Parola di Dio, le energie dell’uomo si raccolgono nell’assenso della fede”.

Quest'ultima è poi “un vero pellegrinaggio anche del pensiero, che deve cercare sempre più la pienezza della luce, a partire dalla luce essenziale che gli è donata dall’alto”.

Il Cardinal Zimowski ha quindi ricordato che la fede “deve essere nutrita con la preghiera”.

“La nostra preghiera di domanda è paradossalmente una risposta. Risposta al lamento del Dio vivente”, “risposta di fede alla promessa gratuita della salvezza, risposta d’amore alla sete del Figlio unigenito”.

Ha poi sottolineato “il profondo legame che esiste tra la fede e la professione della Verità Divina, tra la fede e la dedizione a Gesù Cristo nell’amore, tra la fede e la pratica della vita ispirata ai comandamenti”.

“Tutte e tre le dimensioni della fede sono frutto dell’azione dello Spirito Santo – ha indicato –. Tale azione si manifesta come forza interiore che armonizza i cuori dei discepoli col Cuore di Cristo e rende capaci di amare i fratelli come lui li ha amati”.

Per questo, “la fede è un dono, ma nello stesso tempo è un compito, vedere Gesù nel prossimo”.

Il significato della fede non è solo “accettare un certo numero di verità astratte circa i misteri di Dio, dell’uomo, della vita e della morte, delle realtà future”, ma “un intimo rapporto con Cristo, un rapporto basato sull’amore di Colui che ci ha amati per primo, fino all’offerta totale di se stesso”.

Il nostro amore per Cristo, ha proseguito, “si esprime nella volontà di sintonizzare la propria vita con i pensieri ed i sentimenti del suo Cuore”.

“Questo si realizza mediante l’unione interiore basata sulla grazia dei Sacramenti, rafforzata con la continua preghiera, la lode, il ringraziamento, la penitenza”, così come “non può mancare un attento ascolto delle ispirazioni che Egli suscita mediante la sua parola, le persone che incontriamo, le situazioni di vita quotidiana”.

“AmarLo – ha concluso – significa restare in dialogo con Lui per conoscere la sua volontà e realizzarla prontamente”.

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Notizie dal mondo


La difficoltà di essere un Vescovo "ufficiale" in Cina

ROMA, venerdì, 7 maggio 2010 (ZENIT.org).- Non è facile essere un Vescovo “ufficiale” in Cina dopo il comunicato della Santa Sede del 25 marzo, segnala Eglises d'Asie (EDA), l'agenzia dell'istituto delle Missioni Estere di Parigi (MEP).

Interpellati dall'agenzia UCANews, vari Vescovi “ufficiali”, la cui qualità episcopale è riconosciuta sia da Roma che da Pechino, sostengono che l'applicazione di alcuni consigli espressi dalla Santa Sede in questa dichiarazione recente sulla Chiesa in Cina li ha posti in una posizione delicata.

La dichiarazione in questione è stata pubblicata al termine della riunione della Commissione vaticana per la Chiesa in Cina, fondata da Benedetto XVI nel 2007, subito dopo la pubblicazione della sua Lettera ai cattolici cinesi, e che si è riunita per la terza volta a Roma dal 22 al 24 marzo.

Nella nota, la Santa Sede, con una chiarezza e una pubblicità senza precedenti, ha chiesto ai Vescovi della Cina di impegnarsi nel cammino dell'unità della comunione ecclesiale, “evitando quindi di porre gesti (quali, ad esempio, celebrazioni sacramentali, ordinazioni episcopali, partecipazione a riunioni) che contraddicono la comunione con il Papa, che li ha nominati Pastori, e creano difficoltà, a volte angoscianti, in seno alle rispettive comunità ecclesiali”.

Ciò include la partecipazione a cerimonie sacramentali che si svolgano con Vescovi che esercitano il ministero senza il mandato pontificio, l'ordinazione di sacerdoti all'episcopato che non abbiano ricevuto la nomina da Roma o anche la partecipazione all'Assemblea Nazionale dei rappresentanti cattolici, la cui convocazione è stata rimandata per più di un anno, ma che dovrebbe riunirsi prima della fine del 2010.

Questa Assemblea viene convocata ogni cinque anni, e l'ultima, ancora non celebrata, avrebbe dovuto svolgersi nel 2009. Vi partecipano abitualmente i Vescovi, come delegati di sacerdoti, religiosi e laici, e deve eleggere i prossimi presidenti della Conferenza dei Vescovi “ufficiali” e dell'Associazione Patriottica, incarichi attualmente vacanti.

Anche se i tre Vescovi intervistati, che hanno chiesto di mantenere l'anonimato, non hanno menzionato la loro “angoscia”, hanno espresso chiaramente le difficoltà che incontrano. Pur formando parte della schiera dei Vescovi “ufficiali” riconosciuti dal Papa, hanno scelto di non rivelare il proprio nome, il che dimostra la delicatezza della situazione.

Monsignor “Joseph” non nega che questa dichiarazione abbia messo “sotto pressione” i Vescovi cinesi. Ha lodato la “chiarezza” di propositi e le indicazioni “più concrete” per ottenere la “riconciliazione” delle comunità cattoliche in Cina, ma crede che alcuni Vescovi possano avere difficoltà a seguire il consiglio e l'orientamento formulati da Roma.

Le situazioni, ha spiegato, sono diverse da una Diocesi all'altra, e “ogni Vescovo agisce in base alla propria coscienza”. Dal canto suo, ha sottolineato che la sua coscienza non gli permette di prendere parte a un'ordinazione illegittima (cioè senza il consenso del Santo Padre), ma si è mostrato più dubbioso sul fatto di partecipare o meno all'Assemblea Nazionale dei rappresentanti cattolici, pur credendo che questa istituzione “sia contraria allo spirito della Chiesa”.

Anche gli altri due Vescovi – chiamiamoli “Pietro” e “Paolo” – hanno affermato che non parteciperebbero a un'ordinazione episcopale illecita. “Anche se la mia Diocesi o io potessimo soffrire per questo, ovviamente non parteciperei a un'ordinazione illecita”, ha detto “Paolo”. Quanto a un'Eucaristia concelebrata con uno o più Vescovi illegittimi, il che può accadere durante una riunione speciale organizzata dalle autorità ecclesiastiche, ha dichiarato: “Non assisterei se il Vescovo presidente è illegittimo, ma se è uno dei concelebranti è difficile che riesca a fare altro se non partecipare”.

Su una possibile partecipazione all'Assemblea Nazionale dei rappresentanti dei cattolici, il presule ha aggiunto che, pur comprendendo le intenzioni della Commissione per la Chiesa in Cina, sembra difficile che un Vescovo possa rifiutare di partecipare a una convocazione delle autorità. “Come molti miei colleghi, non voglio partecipare all'Assemblea Nazionale, ma è difficile rifiutare”.

L'Assemblea è organizzata dal Governo. “Se non vai alla riunione sarai accusato di non amare il tuo Paese. I funzionari responsabili subiranno la pressione esercitata dai loro superiori e dirigeranno la propria ira contro i Vescovi recalcitranti. Tutto il lavoro che un Vescovo vuole svolgere per la sua Chiesa sarà ancora più difficile”, ha spiegato “Paolo”.

Per monsignor “Pietro”, è difficile mettere in pratica ciò che chiede la dichiarazione del 25 marzo. Come dire “no” ai rappresentanti del potere, che possono esercitare forti pressioni perché questo o quel Vescovo partecipi all'Assemblea Nazionale dei rappresentanti cattolici o prenda parte a un'ordinazione illegittima? “Noi Vescovi non sappiamo cosa fare – ha confessato –. Dopo la pubblicazione della lettera del Papa non abbiamo margini di manovra. Possiamo solo scegliere tra sopravvivere con le lacune del sistema o rompere i contatti con il Governo”.

“Nella Chiesa 'ufficiale' si teme di mettere in pericolo i buoni rapporti con le autorità, costruiti pazientemente anno dopo anno”, ha rimarcato.

Secondo monsignor “Pietro”, la prossima riunione dell'Assemblea Nazionale dei rappresentanti cattolici può portare solo a una divisione della comunità “ufficiale”. “Preferirei partecipare, anche se seduto passivamente, per ampliare le mie possibilità in campo pastorale e per non far vergognare le autorità della mia Diocesi”, ha detto, aggiungendo che secondo lui la maggior parte dei Vescovi “ufficiali” “farebbe lo stesso”.

Agire in altro modo, commenta, sarebbe poco realistico. Chi desidera seguire i consigli della Santa Sede deve prepararsi a relazioni molto più difficili con le autorità e a un controllo decisamente più stretto - che è un altro modo di essere testimone di Cristo, conclude.

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Il Card. Ortega invoca amore, riconciliazione e perdono a Cuba
L'Arcidiocesi dell'Avana analizza la situazione del Paese
L'AVANA, venerdì, 7 maggio 2010 (ZENIT.org).- In un'intervista alla rivista Palabra Nueva, dell'Arcidiocesi dell'Avana, il Cardinale Arcivescovo della capitale cubana, Jaime Ortega, non solo offre il criterio opportuno in relazione al momento che vive il Paese, ma ribadisce ancora una volta l'appello della Chiesa al dialogo e alla riconciliazione tra tutti i cubani.

Di recente, si è svolta una riunione alla quale erano presenti i pastori e i leader di praticamente tutte le confessioni religiose presenti a Cuba, insieme al Presidente Raúl Castro, alla signora Caridad Diego, responsabile dell'Ufficio per le Questioni Religiose, e ad altri alti funzionari cubani, così come al religioso domenicano brasiliano fr. Betto. A che cosa è dovuta l'assenza della Chiesa cattolica all'incontro?

Il Cardinale Ortega ha risposto a questa domanda indicando che l'invito era stato ricevuto, ma “lo abbiamo declinato perché si trattava di una commemorazione di due eventi non direttamente collegati alla Chiesa cattolica”.

Nel corso della riunione, si è parlato di un'alleanza strategica con lo Stato cubano e per il bene del popolo da parte dei vari gruppi presenti.

Circa questa proposta, il Cardinale ha affermato: “Non ho mai accettato questa definizione per considerare l'azione della Chiesa nella società e le sue relazioni con i poteri statali, perché ha risonanze militari o politiche non conformi per sviluppare le relazioni della Chiesa con lo Stato, visto che la possibilità di agire nella società, di servire gli uomini e le donne che vivono nel nostro Paese, non dipende da un patto sociale espresso o tacito della Chiesa con lo Stato”.

“L'azione della Chiesa all'interno della società – ha aggiunto – appartiene all'ordine dei diritti, e il diritto alla libertà religiosa è riconosciuto chiaramente nella Costituzione vigente a Cuba”.

“La Chiesa cattolica svolge la sua missione a Cuba a favore del bene comune”, e in questo “può concordare con istituzioni ufficiali o private, con organismi internazionali di aiuto, ecc., che collaborano al bene generale della Nazione cubana”, ma la sua azione “non si basa su alcuna alleanza né a livello verticale né orizzontalmente, ma sboccia dal diritto del corpo ecclesiale di rendere presente l'amore di Gesù Cristo nel mondo di oggi in base alla propria missione”.

Il Cardinale ha quindi sottolineato che Cuba “si trova in una situazione molto difficile”.

“Molti parlano del socialismo e dei suoi limiti, alcuni propongono un socialismo riformato, altri si riferiscono a cambiamenti concreti da fare, alla necessità di lasciarsi alle spalle il vecchio Stato burocratico di tipo staliniano, altri ancora parlano dell'indolenza dei lavoratori, della scarsa produttività”.

Il denominatore comune proposto da tutti è che “si compiano rapidamente a Cuba i cambiamenti necessari per porre rimedio a questa situazione”.

Per il porporato, “il primo passo necessario per spezzare il circolo critico in cui ci troviamo” è favorire “un dialogo Cuba-Stati Uniti”.

Il Presidente Raúl Castro, ha ricordato, all'inizio del suo mandato ha proposto agli Stati Uniti questo dialogo senza condizioni. Nella sua campagna politica presidenziale, anche Barack Obama ha affermato che avrebbe cambiato lo stile vigente e avrebbe cercato in primo luogo di parlare direttamente con Cuba.

“Ad ogni modo – lamenta –, dopo essere giunto al potere, il nuovo Presidente nordamericano ha ripetuto il vecchio schema dei Governi precedenti: se Cuba effettuerà dei cambiamenti riguardo ai diritti umani, allora gli Stati Uniti solleveranno il blocco e si aprirebbero spazi per un ulteriore dialogo”.

“Sono convinto che la prima cosa sia incontrarsi, parlare”, ha sottolineato l'Arcivescovo dell'Avana. “E' questo il modo civile per affrontare qualsiasi conflitto”.

Nelle ultime settimane, questa situazione di scontro si è acutizzata, soprattutto dopo la morte del detenuto Orlando Zapata Tamayo in seguito a uno sciopero della fame. Almeno un altro cittadino cubano si è unito a questo tipo di protesta.

“Il fatto tragico della morte di un detenuto per sciopero della fame ha dato luogo a una guerra verbale dei mezzi di comunicazione di Stati Uniti, Spagna e altri Paesi – ha sottolineato il Cardinale –. Questa forte campagna mediatica contribuisce ad esacerbare ancor di più la crisi”.

In questo contesto, la Chiesa non può ovviamente “unirsi a una delle due parti in causa, con propositi politici di destabilizzazione da un lato e con il conseguente trinceramento difensivo dall'altro”. “Ciò che ci spetta come Chiesa è invitare tutti alla saggezza e al buonsenso perché si pacifichino gli animi”.

Quanto ai prigionieri per motivi politici, il Cardinal Ortega ha sottolinea che “la Chiesa ha fatto storicamente tutto il possibile perché siano rimessi in libertà, non solo i malati”.

“Con la partecipazione della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti, negli anni Ottanta è uscito dal carcere un buon numero di prigionieri, che insieme ai loro familiari più stretti sono partiti per gli Stati Uniti”. In tutto si parla di oltre mille persone, giunte negli USA su voli finanziati dai Vescovi nordamericani. “Solo quelli che avevano commesso gravi delitti violenti non hanno ricevuto il visto per gli Stati Uniti o altri Paesi”.

Su richiesta di Papa Giovanni Paolo II in occasione della sua visita a Cuba nel 1998, altri detenuti vennero liberati, e quanti ottennero dei visti da vari Paesi – con la stessa riserva relativa ad aver commesso gravi fatti di sangue – emigrarono.

“E' ciò che la Chiesa fa sempre con i detenuti e con ogni persona coinvolta nella loro situazione, come i familiari – ha confessato il Cardinale –. Ha fatto lo stesso nei confronti dei cinque cubani in carcere negli Stati Uniti su richiesta delle loro famiglie, promuovendo pratiche, finora infruttuose, per far sì che almeno due delle mogli, che da quasi dieci anni non vedono i mariti, possano andare a far loro visita”.

“Nei confronti di tutti coloro che si trovano in situazioni deplorevoli, senza analizzare le cause o le ragioni della loro condanna, la missione della Chiesa è sempre quella della comprensione e della misericordia, agendo in modo discreto ma efficace affinché la situazione di queste persone sia superata per il loro bene e per quello dei loro familiari, anche se non sempre si ottengono i risultati sperati”.

“In questo momento difficile – ha concluso il porporato –, la Chiesa a Cuba chiede la preghiera e l'azione di tutti i credenti affinché l'amore, la riconciliazione e il perdono si facciano largo tra tutti i cubani”.

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Le reliquie di Santa Teresina visitano l'Africa per i Mondiali di calcio
Un club di giovani ammiratori della Santa inizia il pellegrinaggio

JOHANNESBURG, venerdì, 7 maggio 2010 (ZENIT.org).- Le reliquie di Santa Teresa di Lisieux visiteranno per la prima volta il Sudafrica quando questo Paese accoglierà i Mondiali di calcio 2010.

Un comunicato della Conferenza dei Vescovi Cattolici dell'Africa del Sud ha annunciato questo mercoledì che le reliquie saranno a Johannesburg e dintorni dal 27 giugno al 12 luglio.

Il torneo internazionale di calcio si celebrerà nella città sudafricana dall'11 giugno all'11 luglio.

Il comunicato indica che i giovani della parrocchia di San Francesco d'Assisi a Yeovil, sobborgo di Johannesburg, hanno diretto l'iniziativa perché sono “profondamente ispirati dalla Santa e dalla sua fede, e animati dal suo cammino spirituale, essendo una delle Sante più giovani di tutti i tempi”.

Si tratta di una delle tante iniziative promosse e organizzate dalla Chiesa cattolica nella regione durante i Mondiali.

Il coro infantile della parrocchia di San Francesco sta creando una canzone originale, “Pass the Ball to Life” (Passa la palla alla vita, ndt), per dare il benvenuto alle reliquie ricordando i Mondiali.

Le reliquie arriveranno nel Paese il 25 giugno e vi rimarranno per sei settimane, viaggiando per le province sudafricane di Limpopo, Gauteng, Free State, Capo Orientale e Capo Occidentale.

I pellegrini sono esortati a seguire “Il cammino di Santa Teresa” nel Paese.

Il comunicato esprime la speranza che le reliquie della Santa “ispirino le persone, rafforzino la loro fede e sfidino tutti noi a vivere la nostra fede e a seguire la nostra vocazione come ha fatto Santa Teresa”.

Per ulteriori informazioni, www.sttheresesouthafrica2010.com




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Italia


Mondiali di Calcio 2010, la partita delle suore
La rete Talitha Kum impegna le religiose contro la tratta umana


di Mariaelena Finessi


ROMA, venerdì, 7 maggio 2010 (ZENIT.org).- «Ti invitiamo a fare attenzione se ricevi offerte di servizi sessuali o di droga, che potrebbero essere offerte da vittime della tratta. Ti ricordiamo che la tratta di persone è riconosciuto come crimine internazionale». Con questo messaggio le suore della rete Thalita-Kum si rivolgono a coloro che raggiungeranno il Sudafrica per i prossimi mondiali di calcio (11 giugno-11 luglio 2010) e che potrebbero, volutamente o in modo ignaro, alimentare la schiavitù umana.

Nata nel 2009, Thalita-Kum è il frutto della collaborazione tra l'Unione internazionale delle Superiori generali (UISG) e l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), come spiega suor Estrella Castalone durante la presentazione, il 6 maggio a Roma, della campagna contro la tratta. Quella della UISG (di cui fanno parte 1990 congregazioni religiose femminili, per oltre 700mila suore in tutto il mondo) con l'OIM (di cui fanno parte 127 Stati) è una sinergia che funziona in realtà dal 2004 nell'organizzazione di corsi di formazione, finanziati in gran parte dagli Stati Uniti, nella convinzione «che solo attraverso un lavoro comune – conclude la salesiana - si può far fronte alle cause strutturali che generano la tratta».

Quanto alla campagna di prevenzione e informazione, concepita appositamente per i mondiali di calcio 2010, essa si spiega in questa modo: per la prima volta un evento sportivo di così grande rilevanza si disputa in Africa. E questa che può sembrare una nota di colore, in realtà mostra un grave pericolo: «Durante occasioni simili, infatti – spiega Stefano Volpicelli, OIM - , molte persone vengono assunte nei settori dell'industria dei trasporti oltre che nell'ospitalità, come ristoranti, bar e hotel. Un evento come la coppa del mondo di calcio crea molte aspettative di occupazione ed è il caso di coloro che hanno lavorato alla costruzione degli stadi, e che sono rimasti intrappolati in una situazione di paraschiavismo».

A partire dai campionati del 2006, disputatisi in Germania, gli eventi sportivi di questo tipo vengono accuratamente monitorati. «Fortunatamente quella volta - continua Volpicelli - i timori si rivelarono infondati ma il merito fu soprattutto del governo tedesco che già dal 2005 aveva messo in campo un fitta attività di controllo, sia alle frontiere che nei locali di intrattenimento. A ciò è da aggiungere che il popolo dei tifosi era variegato, rappresentato in gran parte da coppie e famiglie».

In Sudafrica non sarà così per diversi motivi: innanzitutto il Paese ha confini estesi, di conseguenza porosi e facili da attraversare in modo illegale. Non esiste poi una legge contro la tratta, quindi non ci sono vittime da difendere e colpevoli da punire. A ciò si aggiunga che il Sudafrica è percepito come uno Stato pericoloso. «Ciò ci fa immaginare che la composizione delle tifoserie non sarà così mista come in Germania ma sarà costituita perlopiù da maschi adulti».

Limitando il più possibile la libera circolazione, e circoscrivendo i tifosi in determinate zone e quartieri delle città, è ipotizzabile che le prestazioni sessuali avvengano a domicilio presso hotel e guest house. «Come se non bastasse, il governo ha ordinato la chiusura delle scuole durante tutto il periodo dello svolgimento del campionato. Il timore – conclude il funzionario dell'Oim - è che molti studenti si sposteranno dalle zone rurali verso le località che ospitano le partite, allettati dalla possibilità di fare piccoli lavoretti».

«Da parte nostra – interviene Suor Bernadette Sangma - ci sentiamo interpellate dalla crescente tendenza di rendere gli eventi sportivi mondiali, occasioni di sfruttamento di donne, bambini, giovani e, più in generale, di coloro che vivono una condizione di fragilità, come la povertà e l'emarginazione». Rientrata da poco dal Sudafrica, la religiosa si fa portavoce di coloro a cui sono state inflitte «sofferenze umilianti, degradanti ed inumane per scopi lavorativi o sessuali», testimoniando come «tali esperienze generino ferite profonde, tali da rendere il cammino di recupero estremamente faticoso».

Prevenire altra sofferenza è allora lo scopo primario della campagna, che istituisce anche una help line gratuita (0800 555 999). «Sono in corso da tempo numerose attività a questo riguardo, prima di tutto in Sudafrica ma anche nei Paesi confinanti, di transito o in quelli di origine delle vittime». Come nel caso della Thailandia, dove la collaborazione avviene con le religioni locali: «Essendo un Paese buddista, senza l'intervento dei capi religiosi del posto sarebbe impossibile arrivare alla base e parlare alle persone».

Intanto, è di pochi giorni fa la notizia che circa 500 gruppi criminali organizzati sono già attivi alle frontiere, collegati tra di loro, «spesse volte godono della complicità di chi detiene il potere e di chi ha interessi economici e commerciali». È chiaro che non c'è più tempo da perdere: le suore hanno presentato alla stampa anche delle cosiddette “lettere aperte”, indirizzate a quattro tipologie di destinatari.

Ai tifosi innanzitutto, «affinché il loro diritto al divertimento non sconfini quell'orizzonte valoriale dello sport per intaccare la dignità delle persone». Quindi ai facilitatori involontari e alle autorità religiose «alle quali chiediamo un aiuto materiale e la condanna decisa di talune condotte che sfociano nella tratta umana». Infine, alle vittime, «centro della nostra attenzione – conclude suor Bernadette -, e motivo della nostra battaglia».

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Una prospettiva educativa e teologica al consumo
In un convegno, le ragioni dell'acquisto selvaggio


di Mariaelena Finessi


ROMA, venerdì, 7 maggio 2010 (ZENIT.org).- Gli esperti la chiamano società dei consumi, a significare che sono gli acquisti a connotare in modo sostanziale il funzionamento della struttura sociale. «Si tratta di un fenomeno affrontato da molti studiosi e in molti ambiti, e che in un'accezione più critica viene anche definito consumismo, in una declinazione che lascia intendere un giudizio negativo». Così don Dario Viganò – preside dell’Istituto Pastorale Redemptor Hominis - introduce presso la Pontificia università Lateranense la giornata di studio «"Consumo, dunque sono"? Una prospettiva educativa, teologica e sociale».

Un incontro, quello del 5 maggio, suggerito dal titolo di un libro di Bauman del 2008, a cui è stato aggiunto un interrogativo con il dichiarato proposito di sondare il tema dei consumi. E, in finale, di indagare sulla realtà esistenziale dell'uomo di oggi. Una realtà caratterizzata dalla tecnologia e dai media, i quali, per dirla con le parole di Menduni «sono prodotti culturali realizzati industrialmente, riprodotti e diffusi in un gran numero di pezzi uguali o simili, che portano a conoscenza dei loro utenti, paganti o meno, determinati contenuti che spesso sono prodotti anch'essi in forma industriale, collettiva».

Dall'altro lato, gli stessi media appaiono, come scriveva Roger Silverstone nel 1999, «dei veri e propri surrogati sociali in quanto essi si sono sostituiti alle comuni casualità dell'interazione quotidiana, generando in maniera insidiosa e continua simulacri della vita». «In questo inscatolamento mediale della società – interviene Massimiliano Padula, docente di Comunicazione Istituzionale presso la Lateranense - , non sono più chiari i confini tra consumo e consumismo».

«Individualità e socialità perdono la loro forza distintiva per mescolarsi in un omogeneizzato socio-culturale sempre più evidente in Occidente, il quale è stato in grado di imporsi e di imporre il proprio modello in tutto il mondo e ad aspetti diversi della vita». Quello stesso Occidente che ha cioè "McDonaldizzato" il mondo, per usare un'espressione di Ritzer, suggeritagli dal noto fast food che ha saputo mettere radici ovunque con una crescita esponenziale.

E in una realtà siffatta, finiamo «col vivere una specie di falso dilemma: da una parte – spiega Chiara Palazzini, CeSNAF - si coltivano intensamente gli affetti, ma nessuno vuol sentir parlare di legami; d’altra parte si stringono ogni giorno legami che tengono lontani gli affetti». «L'uomo ha senso nel riconoscimento da parte dei simili. Venendo meno il quale – chiarisce monsignor Sergio Lanza -, si affida agli oggetti di consumo e fatalmente finisce con l'essere esso stesso oggetto. Ecco perché è necessario intervenire con una pedagogia energica. In fondo, la spontaneità, lasciata a se stessa non produce roseti ma rovi».

Una ricetta magica per educare tuttavia non esiste. «Spesso, ciò che dobbiamo – sottolinea con amarezza Sergio Belardinelli, coordinatore delle iniziative del Progetto culturale della Cei - è ciò che ci costa di più nella pratica. Eppure una cosa si può fare: generare il più possibile una consapevolezza che il bene e il piacere, come sostiene Platone, non sono la stessa cosa».

E far capire che la realtà, sì, esiste ma non asseconda spontanemaente i nostri desideri. «Diceva Rousseau che se il bambino vuole la mela, non devi portare la mela al bambino ma devi condurre il bambino verso la mela». Un insegnamento pedagogicamente prezioso, che abitua alla fatica di attribuire un valore ad ogni cosa, al di là del prezzo di mercato.

«Consumare – spiega Francis-Vincent Anthony, docente di Teologia alla Pontificia università Salesiana -, cioè esaurire risorse materiali, scaturisce da una visione della realtà, cioè da un modo di comprendere la persona umana e Dio». In particolare, «dietro la nostra abitudine odierna di "usa e getta", c'è una visione meccanicistica e utilitaristica della natura, che si riduce a un indiscreto uso e consumo da parte dell'uomo. Superare questa visione eccessivamente antropocentrica e ristabilire un rapporto idoneo tra il cosmo, l'uomo e Dio è il pimo passo da compiere nell'affrontare il problema del consumismo».

Tradotto, significa che per raggiungere lo scopo ultimo della propria vita è necessario imprimere un orientamento etico all'acquisizione sia dei beni materiali, sia dei piaceri della vita. «Il consumo non è male. Lo è, invece, esaurire le risorse senza nessun riguardo per la coscienza morale e la convivenza comune». Alla domanda "Consumo, dunque sono?", Anthony risponde sicuro: «Si, consumare è indispensabile per vivere; eppure una vita degna dell'uomo orientato alla gioia piena impone la necessità di regolare eticamente la soddisfazione dei propri bisogni, sacrificando anche la propria vita per il bene comune».

«Il termine "consumare" (dal latino consumere) - composto da cum (con) e sumere (prendere, usare interamente) – nella sua accezione più ampia indica "un prendere con" gli altri. In questo senso consumare è sacrificare (sacrum facere), cioè un'azione sacra. Dalla prospettiva cristiana – conclude Anthony –, l'eucaristia rappresenta eloquentemente il consumo congiunto al sacrificio da testimoniare nella vita».

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Interviste


La questione dell'etica nell'informazione ecclesiale
Il giornalista Fabrizio Mastrofini affronta il tema dell'info-etica

di Mirko Testa

ROMA, venerdì, 7 maggio 2010 (ZENIT.org).- Ha senso continuare a discutere su una possibile obiettività dell'informazione o è preferibile che i giornalisti seguano un'etica del concreto nell'approcciarsi alla comunicazione? A sostenere la seconda ipotesi è Fabrizio Mastrofini, giornalista della Radio Vaticana, che per i tipi delle Edizioni Dehoniane Bologna ha dato alle stampe un volume, presto in libreria, dal titolo “Info-etica. L’informazione e le sue logiche”.

Nel libro, che reca la prefazione del portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, il giornalista, specializzato sui temi dell’informazione religiosa e della comunicazione, con anni di studio e di esperienza sul campo, parte dalla situazione italiana per analizzare il rapporto tra economia e media e suggerire alcuni criteri pratici per un’info-etica applicabile al mondo cattolico.

Quali sono le idee cardine che costituiscono l'ossatura del libro?

Mastrofini: L'idea portante del libro è quella di parlare di etica dell'informazione in maniera concreta, cioè dal punto di vista di chi è impegnato tutti giorni nel lavoro redazionale. Questo perché i testi di etica della comunicazione e dell'informazione in circolazione sono testi scritti da docenti universitari e non riflettono altro che degli approcci teorici. Ovvero si focalizzano soprattutto sul problema dell'obiettività dell'informazione e non entrano invece nel concreto del lavoro quotidiano svolto nelle redazioni, dove si operano delle scelte sulle notizie da far entrare o dal lasciare fuori. E allora occorre capire quali sono i criteri in base ai quali vengono operate queste scelte. Quindi la prima domanda da porsi è: chi sono i padroni dei diversi mezzi di comunicazione? Per esempio, oggi in Italia ma anche all'estero si osserva la tendenza che va sempre più consolidandosi per cui non esiste più un editore puro, perché spesso i proprietari dei mezzi di comunicazione sono delle aziende e delle imprese. Quindi diventa evidente, in tal caso, che i giornali non potranno che essere al servizio di interessi economici e commerciali. Tant'è che negli ultimi rapporti, ad esempio, della Fondazione Rosselli o della Agcom si parla normalmente di “industria della comunicazione”, perché riesce a veicolare un giro di affari di 100 miliardi di euro l'anno.

Come si applica questo discorso alla comunicazione istituzionale della Chiesa?

Mastrofini: La comunicazione della Chiesa si dovrebbe differenziare. In sostanza qualsiasi comunicazione che voglia avere un approccio etico deve differenziarsi, cioè deve esplicitare sempre il suo punto di vista, deve dire chiaramente da che parte sta e deve realizzare una nuova forma di interazione tra gli emittenti e i destinatari dell'informazione. Se applichiamo il concetto di Popolo di Dio alla comunicazione possiamo facilmente capire come la comunicazione debba coinvolgere sempre più il proprio pubblico e interagire con esso. Per fare questo, però, servirebbe un progetto. Non si improvvisa una comunicazione di questo genere. Inoltre, vanno trovate le risorse per realizzarlo perché esso implica anche una formazione degli operatori della comunicazione.

La sfida del web 2.0 divenda quindi molto reale?

Mastrofini: Ci deve essere una rivoluzione comunicativa. Se analizziamo la dottrina della Chiesa sulle comunicazioni sociali troviamo che già negli anni '50 ci si poneva il problema dell'opinione pubblica all'interno della Chiesa. I mezzi di comunicazione di massa hanno quest'obiettivo che forse oggi si è un po' perduto. Oggi si avverte sempre di più il bisogno di persone informate e formate. Da qui, però, ha origine un problema generale: invece di lamentarci sul fatto che i mezzi di comunicazione di tutto il mondo possano in certi momenti attaccare la Chiesa o darne un'immagine distorta, perché non cerchiamo di capire come poter reagire a questo possibile stato di cose dando vita a dei mezzi di comunicazione ecclesiali, a delle fonti d'informazione a cui gli altri possano attingere ben fatti, credibili, realizzati con metodi professionali?

La Santa Sede, per esempio, è presente nel mondo digitale o dell'informazione generale attraverso la pagina ufficiale www.vatican.va, in cui si può consultare la Sala Stampa, il quotidiano "L'Osservatore Romano", il servizio di notizie Vatican Information Service (VIS), le trasmissioni del Centro Televisivo Vaticano e la "Radio Vaticana", ma anche con una casa editrice, la Libreria Editrice Vaticana, a cui si stanno aggiungendo diverse ramificazioni e iniziative laterali. La domanda è: perché dobbiamo pensare che tutto questo patrimonio, tutte queste risorse valgano di meno del Wall Street Journal o del New York Times? Per quale ragione dobbiamo o soffrire questo complesso d'inferiorità? Il problema è che si tratta di un patrimonio enorme che va coordinato fatto lavorare in sinergia, organizzato.

Non pensa che nei programmi di formazione dei futuri comunicatori della Chiesa le scienze sociali dovrebbero rivestire un peso maggiore rispetto alla teologia?

Mastrofini: Direi che il problema fondamentale qui è saper parlare agli altri. Se si sa parlare al proprio pubblico interno allora si sa parlare anche a un pubblico esterno. Occorre essere facilmente comprensibili da parte di tutti. In un comunicato stampa non conta l'esattezza teologica, conta che ci sia un nucleo, che ci sia un messaggio che venga fatto passare in maniera appropriata. Cioè non ci si improvvisa comunicatori. La comunicazione è un'arte raffinata che s'impara con gli anni, e che va affidata a persone preparate. Dobbiamo rifuggire dai resoconti scolastici e dare, al contrario, anima a ciò che facciamo. Il pubblico ha bisogno di contenuti.

A suo avviso, la Chiesa ha seguito troppo l'agenda dei giornali nella crisi aperta dagli scandali degli abusi sessuali da parte di membri del clero?

Mastrofini: Rispondo dicendo soltanto che la comunicazione va attentamente pianificata perché viviamo in una situazione in cui si osserva sempre più quel fenomeno definito come “agenda-setting”: ovvero i mezzi di comunicazione con la loro pervasività, invadenza e forza sono in grado di condizionare le agende dei governi, delle grandi istituzioni politico-sociali È anche delle chiese. Questo perché i giornali, nello scegliere in maniera concorde un argomento e nell'insistere su quell'argomento, riescono ad entrare prepotentemente nel dibattito politico, sociale ed eclesiale portando il loro approccio o il loro punto di vista. Di fronte a questo grande rischio una comunicazione ecclesiale ben organizzata, ben congegnata e ben programmata deve sapere come rispondere, non andando a rimorchio ma proponendo qualcosa di nuovo. E questo implica anche la capacità di saper prevenire gli eventi.

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Parola e vita


Pasqua: la Pace viva che zampilla dal fondo dell'anima
VI Domenica di Pasqua, 9 maggio 2010
di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 7 maggio 2010, (ZENIT.org).- “Gli disse Giuda, non l’Iscariota: 'Signore, com’è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?'. Gli rispose Gesù: 'Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la da’ il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbiate timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate'” (Gv 14,23-29).

Il primo messaggio comunicato dal volto dell’Uomo della Sindone, anche a chi lo fissa senza fede, è un arcano senso di pace, definitiva, inalienabile; una pace viva che non sembra provenire dal regno dei morti. Per il credente, questa pace ha il sapore della gioia, poiché egli riconosce nell’Uomo della Sindone il “Vivente”, colui che “era morto, ma ora vive per sempre ed ha potere sopra la morte e sopra gli inferi” (Ap 1,18).

Il primo istante di questo “ora” eterno, è rimasto impresso nella Sindone come traccia luminosa della “Vita oltre la vita”; e come l’angelo Gabriele rallegrò Maria con l’annuncio dell’Incarnazione, così la Sindone rallegra il credente con l’annuncio della Risurrezione. Quest’immagine misteriosa è l’istantanea del ritorno al Padre di Colui che era disceso dal Cielo per abitare trentatre anni e nove mesi in mezzo a noi. Dal volto silenzioso e come addormentato di quest’Uomo, traspare l’abisso insondabile della Vita divina, la Vita tout-court, quella Vita Increata che è all’origine di ogni vita.

In un cadavere umano il volto fa pensare ad un cielo invernale, gelido, plumbeo, ma il Volto della Sindone è simile al cielo in una limpida notte d’estate, fissando il quale l’anima si sente trasportare oltre le stelle, al di là delle galassie, fino agli estremi confini del “Principio”. Tale contemplazione delle schiere celesti, pur essendo di per sé pacificante, non è tuttavia in grado di comunicare la pace a chi l’avesse gravemente perduta.

La contemplazione della Sindone, al contrario, promette questa pace, poiché le labbra ammutolite del Signore sembrano suggerire proprio le parole che Egli dice oggi ai suoi discepoli “Vi lascio la pace vi do la mia pace. Non come la da’ il mondo io la do a voi” (Gv 14,27).

Dicendo “la mia pace”, Gesù non lascia alternative: la sua pace è l’unica in grado di placare qualsiasi turbamento profondo che abbia infranto la nostra fragile pace interiore. Come intendere, allora, questa pace propria ed esclusiva di Gesù?

Può darcene l’idea il disastro ecologico di questi giorni nel Golfo del Messico. Cito al riguardo le parole di un esperto: “Questo è un fiume di petrolio in piena che scorre dal fondo dell’oceano e non sappiamo quando si fermerà” (intervista riportata da “Avvenire”, 1 maggio).

Leggendole, m’è venuto in mente un passo del profeta Isaia, di segno diametralmente opposto rispetto a quello della marea nera, ma metaforicamente utile alla riflessione sulla pace di Gesù, se sostituiamo alla menzione dell’oceano il fondo della coscienza, e all’esplosione della piattaforma petrolifera un evento drammatico come quello dell’aborto, che costituisce un vero e proprio “disastro” dell’anima.

In questo capitolo il profeta si rivolge alla nuova comunità che sta risorgendo in Gerusalemme dopo il terribile disastro della distruzione del tempio, seguito dalla deportazione in esilio. Come in un sogno, Isaia descrive ciò che vede: una carovana esultante che avanza verso la Città santa, formata dagli Israeliti che tornano dall’esilio e da una moltitudine di popoli attratti, come i Magi, dalla luce che rifulge sul colle di Sion. Rivolgendosi a Gerusalemme come ad una persona, le dice: “A quella vista sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché le ricchezze del mare si riverseranno su di te, verranno a te i beni dei popoli” (Is 60,5).

E’ finito il tempo del lamento ed è iniziato quello della gioia e della speranza!

Veniamo ora al giorno e al momento del “disastro” dell’aborto, pensando in particolare alla mamma che sta ingoiando la famigerata pillola RU 486, che ella sa benissimo essere un veleno mortale per il suo bambino. Posato il bicchiere, nel profondo della sua coscienza si apre una ferita dalla quale, come un fiume di petrolio, si riversa in tutta la sua persona l’inquinamento spirituale per ciò che ha fatto.

Ne è segno la morsa d’angoscia che comincia a stringerle il cuore, spingendola poi a rimedi palliativi la cui inutilità fa pensare a quelli messi in opera dai tecnici del Golfo per arginare la marea nera. Tali sono le misure di ordine umano, psicologico, farmacologico, ecc., con le quali si cercherà di darle sollievo, le quali sono però sostanzialmente insufficienti, poiché non vanno e non possono andare efficacemente al luogo profondo dell’“esplosione”, cioè alla coscienza della donna davanti a Dio, ferita dal pungiglione mortale del peccato.

Infatti, come l’unica soluzione reale al disastro petrolifero consiste nel fermare la fuoriuscita del veleno oleoso dal fondo dell’oceano (e ciò non basta a riparare i danni irreversibili inferti all’ecosistema), così la pace del cuore della mamma che ha abortito può essere ritrovata solo se la ferita della sua coscienza viene sanata in profondità, senza lasciare cicatrici, vale a dire con la “restitutio ad integrum” dell’intero “ecosistema” della sua persona: “spirito, anima e corpo”(1 Ts 5,23) .

In verità, il fiume di turbamento che la memoria non cessa di far scaturire dal fondo del cuore, può essere fermato solamente se nello stesso punto la donna lascerà zampillare la sorgente purissima dell’“acqua viva” promessa da Gesù alla donna samaritana (Gv 4,13), l’unico rimedio in grado di rigenerare la vita interiore e far rifiorire la persona, una volta che si è riconciliata con Dio: “perché queste acque dove giungono risanano e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà” (Ez 47,9).

Sì, quest’acqua divina è il “dono di Dio” (Gv 4,10) che Gesù vuol dare ad ogni donna che ha abortito, “samaritana” in quanto assetata di verità, di amore vero, di perdono e di pace. Dovrà solo incontrare ed ascoltare molte volte il Maestro divino che la sta attendendo al pozzo dell’anima.

Ora comprendiamo il significato profondo di queste parole del Signore: “Non come la da’ il mondo io la do a voi” (Gv 14,27).

Gesù vuole aiutare tutti coloro che sono angosciati dal ricordo di un evento doloroso ed irreversibile (sia che si tratti di un peccato commesso, sia di un fatto accaduto senza volerlo) e che non sanno (e non possono) darsi pace.

La vera pace, infatti, non è quella che ci si può dare in un modo o nell’altro, cercando qualcuno o qualcun altro, ma è quella che Dio solo può e vuole dare. Essa dipende dall’armonia interiore della persona, cioè dalla sua amicizia con Dio in Gesù “via, verità e vita” dell’anima.

Ogni volta che tale comunione vitale è colpevolmente interrotta (come nel peccato di aborto volontario), dal fondo dell’anima si spande in tutta la persona come una morte spirituale, segnalata dal turbamento del rimorso che solo la grazia sacramentale della Confessione può dissolvere, donando insieme la pace propria di Gesù, la pace nel suo sangue, come annuncia Paolo: “Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete divenuti vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia,..per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace (Ef 2,13-1). Paolo la chiama anche “la pace di Dio che supera ogni intelligenza”(Fil 4,7), vale a dire che non ha spiegazione umana, né può essere ottenuta da risorse umane.

Il salmo 46/45 la descrive splendidamente come un fiume: “Un fiume e i suoi canali rallegrano la santa città di Dio...Dio è in mezzo ad essa: non potrà vacillare. Perciò non temiamo se trema la terra, se vacillano i monti nel fondo del mare. Fremano, si gonfino le sue acque, si scuotano i monti per i suoi flutti” (vv. 3-5).

Il turbamento del cuore è come il mare in tempesta: quando il vento cessa, le onde non si placano all’istante, ma continuano a perturbare la superficie e a far ballare le imbarcazioni, fino al giorno dopo.

Questa è anche la dinamica della Confessione. Gesù lo sa bene, per questo dice: “abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (Gv 14,1). L’atto di fede che compio inginocchiandomi, confidando ciecamente nella Misericordia del Padre ed in Gesù, mi sottrae già dall’occhio del ciclone interiore, ma non elimina ancora il turbamento.

Per possedere la pace totale di Gesù, come un mare tranquillo che ricolma l’anima, dovrò attendere, continuare a navigare con Gesù senza timore, trovando sempre rifugio sotto la protezione materna della Regina della Pace.

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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Discorso di Benedetto XVI alla Guardia Svizzera Pontificia
"Voi siete, in modo indiretto ma reale, associati al servizio di Pietro nella Chiesa"

ROMA, venerdì, 7 maggio 2010, (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI nel ricevere questo venerdì in Vaticano le nuove reclute della Guardia Svizzera Pontificia, insieme ai loro familiari.




* * *

[In tedesco]

[Carissimo signor Comandante, reverendo Cappellano, care Guardie, cari familiari!

Con gioia porgo a tutti il benvenuto e saluto in particolare le nuove reclute, convenute qui insieme con i loro parenti e amici.

A ragione potete essere orgogliosi del fatto che grazie al giuramento che avete prestato, siete entrati a far parte di un corpo di guardia che ha una lunga storia. Avete appena indossato la famosa uniforme, apparite a tutti come Guardie Svizzere, le persone vi riconoscono e vi prestano attenzione. Da oggi in poi beneficerete della competenza secolare e di tutti gli strumenti a disposizione per lo svolgimento del vostro compito. Ciò che oggi vi viene trasmesso vi rende custodi di una tradizione e portatori di una conoscenza pratica a voi affidata. È vostro compito proseguirle e farle valere. Con questo si misurerà la vostra responsabilità e ciò vi chiama a uno straordinario dono di voi stessi. Il Successore di Pietro vede in voi un vero sostegno e si affida alla vostra vigilanza. Desidero sinceramente che attraverso questo servizio di guardia portiate l'eredità ricevuta dai vostri predecessori e maturiate come uomini e come cristiani.

[In francese]

Entrando nella Guardia Svizzera Pontificia, voi siete, in modo indiretto ma reale, associati al servizio di Pietro nella Chiesa. A partire da oggi, nella vostra meditazione della Parola di Dio, vi invito a prestare grande attenzione all'apostolo Pietro quando, dopo la risurrezione di Cristo, s'impegna a compiere la missione che il Signore gli ha affidato. Questi passaggi della Scrittura illumineranno il senso del vostro nobile compito, e ciò in un modo particolare nei momenti di abbattimento o di stanchezza. Nel libro degli Atti degli Apostoli, leggiamo che Pietro percorreva tutta la Giudea per visitare i fedeli (cfr. At 9, 32). Il primo degli Apostoli dimostra così concretamente la sua sollecitudine per tutti. Il Papa vuole avere la stessa attenzione per tutte le Chiese e per ogni fedele, e anche per ogni uomo che si aspetta qualcosa dalla Chiesa. Presso il Successore di Pietro, la carità che anima il vostro animo è spinta a divenire universale. Le dimensioni del vostro cuore sono chiamate ad allargarsi. Il vostro servizio vi spingerà a scoprire nel volto di ogni uomo e di ogni donna, un pellegrino che, lungo la via, attende di incontrare un altro volto attraverso il quale gli venga dato un segno vivo del Signore di ogni vita e di ogni grazia.

[In italiano]

Noi sappiamo che tutto ciò che facciamo per il Nome di Gesù, per quanto sia umile, ci trasforma e ci configura un po' di più all'uomo nuovo rigenerato in Cristo. Così il vostro servizio in favore del ministero petrino vi darà un senso più vivo della cattolicità, insieme con una percezione più profonda della dignità dell'uomo che passa vicino a voi e che cerca nell'intimo di se stesso la via della vita eterna. Vissuto con coscienza professionale e con senso soprannaturale, il vostro compito vi preparerà anche agli impegni futuri, personali e pubblici, che voi prenderete quando lascerete il servizio, e vi permetterà di assumerli quali veri discepoli del Signore. Invocando l'intercessione della Beata Vergine Maria e dei vostri santi Patroni Sebastiano, Martino e Nicola di Flüe, imparto di cuore un'affettuosa Benedizione Apostolica a voi, alle vostre famiglie, agli amici e a tutte le persone venute a farvi corona nel momento del vostro giuramento.

[Traduzione del testo plurilingue a cura de L'Osservatore Romano]

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