giovedì 13 maggio 2010

[ZI100512] Il mondo visto da Roma

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Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 12 maggio 2010

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Nella tempesta, il Papa rende omaggio alla fedeltà di tanti sacerdoti
Atto di consacrazione dei presbiteri al Cuore Immacolato di Maria a Fatima

FATIMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- In piena “tempesta”, Benedetto XVI ha reso omaggio – giungendo a Fatima questo mercoledì – a tutti i sacerdoti che donano la propria vita a Dio e ai fratelli e ha elevato un atto di consacrazione dei sacerdoti al Cuore Immacolato di Maria.

“A tutti voi che avete donato la vita a Cristo, desidero, questa sera, esprimere l’apprezzamento e la riconoscenza ecclesiale. Grazie per la vostra testimonianza spesso silenziosa e per niente facile; grazie per la vostra fedeltà al Vangelo e alla Chiesa”, ha affermato.

L'atto di consacrazione è stato il culmine dei Vespri con sacerdoti, religiose, religiosi, seminaristi e diaconi che riempivano la moderna chiesa della Santissima Trinità.

E' stato un momento al quale il Pontefice ha voluto dare un'atmosfera di intimità: “Permettetemi di aprirvi il cuore per dirvi che la principale preoccupazione di ogni cristiano, specialmente della persona consacrata e del ministro dell’Altare, dev’essere la fedeltà, la lealtà alla propria vocazione, come discepolo che vuole seguire il Signore”.

Il protagonista dell'incontro non è stato tuttavia il Papa, ma Cristo presente nel sacramento dell'Eucaristia, che è stato adorato dai presenti.

“Siamo liberi per essere santi; liberi per essere poveri, casti e obbedienti; liberi per tutti, perché staccati da tutto; liberi da noi stessi affinché in ognuno cresca Cristo”, ha affermato.

In questo modo, i sacerdoti possono essere “presenza” di Cristo, “liberi per portare all’odierna società Gesù morto e risorto, che rimane con noi sino alla fine dei secoli e a tutti si dona nella Santissima Eucaristia”.

Il Pontefice ha quindi confessato il suo desiderio che questo Anno Sacerdotale, che si concluderà l'11 giugno, lasci tra i consacrati la grazia di “una vera intimità con Cristo nella preghiera, poiché sarà l’esperienza forte ed intensa dell’amore del Signore che dovrà portare i sacerdoti e i consacrati a corrispondere in un modo esclusivo e sponsale al suo amore”.

Nell'atto di consacrazione, il Pontefice ha chiesto alla Vergine la sua intercessione per “non cedere ai nostri egoismi, alle lusinghe del mondo ed alle suggestioni del Maligno”.

“Preservaci con la tua purezza, custodiscici con la tua umiltà e avvolgici col tuo amore materno, che si riflette in tante anime a te consacrate diventate per noi autentiche madri spirituali”, ha implorato.

“La tua presenza faccia rifiorire il deserto delle nostre solitudini e brillare il sole sulle nostre oscurità, faccia tornare la calma dopo la tempesta, affinché ogni uomo veda la salvezza del Signore, che ha il nome e il volto di Gesù, riflesso nei nostri cuori, per sempre uniti al tuo!”, ha concluso.

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Il Papa: la Madonna, coronata delle gioie e delle sofferenze dell'umanità
Benedetto XVI prega nella Cappellina delle Apparizioni di Fatima

di Roberta Sciamplicotti

FATIMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- La Vergine Maria è coronata non solo delle gioie, ma anche delle sofferenze dell'umanità, ha affermato Benedetto XVI questo mercoledì pomeriggio nella Cappellina delle Apparizioni del Santuario di Fatima.

Il Papa è giunto nella cittadina del centro del Portogallo nel pomeriggio proveniente da Lisbona, dove è rimasto una giornata e dove in mattinata aveva incontrato i rappresentanti del mondo della cultura e dell'arte nel Centro Cultural de Belém.

Davanti alla Cappellina è stato accolto da padre Virgílio do Nascimento Antunes, Rettore del Santuario di Fatima. La Cappella è stata costruita per volontà della stessa Vergine nel 1919 e la prima Messa vi è stata celebrata nel 1921.

L'anno successivo venne distrutta ma subito ricostruita. E' stata inaugurata il 12 maggio 1982 da Giovanni Paolo II durante il suo viaggio in Portogallo. Il Papa polacco ha visitato Fatima altre due volte, nel 1991 e nel 2000. Prima di lui, Papa Paolo VI era stato nella cittadina portoghese nel 1967.

Amore filiale

Benedetto XVI è giunto alla Cappellina delle Apparizioni mentre le migliaia di fedeli presenti gridavano “Viva o Papa!”.

Nel suo indirizzo di saluto al Pontefice, il Rettore del Santuario di Fatima ha espresso la sua gioia per la visita dicendo: “Siamo un popolo in festa”.

“Mettiamo a tacere la bocca, la mente e il cuore per accogliere ciò che il Papa ha da dirci”, ha aggiunto.

Il Papa si è quindi inginocchiato davanti all'immagine della Madonna, posta su un basamento nel punto in cui c'era la quercia su cui i tre pastorelli videro la Vergine.

Ha poi pronunciato la sua preghiera, sempre in ginocchio, rivolgendosi alla Madonna e presentandosi “come un figlio che viene a visitare sua Madre e lo fa in compagnia di una moltitudine di fratelli e sorelle”.

Custode di gioia e dolore

“Come successore di Pietro, a cui fu affidata la missione di presiedere al servizio della carità nella Chiesa di Cristo e di confermare tutti nella fede e nella speranza, voglio presentare al tuo Cuore Immacolato le gioie e le speranze nonché i problemi e le sofferenze di ognuno di questi tuoi figli e figlie che si trovano nella Cova di Iria oppure ci accompagnano da lontano”, ha affermato.

“Madre amabilissima, tu conosci ciascuno per il suo nome, con il suo volto e la sua storia, e a tutti vuoi bene con la benevolenza materna che sgorga dal cuore stesso di Dio Amore”.

Benedetto XVI ha quindi ricordato che Giovanni Paolo II ringraziò la Vergine per la “mano invisibile” “che lo ha liberato dalla morte nell’attentato” del 13 maggio 1981 in Piazza San Pietro.

In seguito, il Papa polacco volle offrire al Santuario di Fatima un proiettile che lo aveva ferito gravemente, che venne collocato nella corona della Madonna.

“È di profonda consolazione sapere che tu sei coronata non soltanto con l’argento e l’oro delle nostre gioie e speranze, ma anche con il 'proiettile' delle nostre preoccupazioni e sofferenze”, ha detto il Papa rivolgendosi alla Vergine.

Ha quindi ringraziato per “le preghiere e i sacrifici che i Pastorelli di Fatima facevano per il Papa” e per “tutti coloro che, ogni giorno, pregano per il Successore di Pietro e per le sue intenzioni affinché il Papa sia forte nella fede, audace nella speranza e zelante nell’amore”.

La Rosa d'Oro

Il Pontefice ha infine offerto alla Madonna la Rosa d'Oro, “come omaggio di gratitudine del Papa per le meraviglie che l’Onnipotente ha compiuto per mezzo di te nei cuori di tanti che vengono pellegrini a questa tua casa materna”.

La Rosa ha al centro un rosario d'oro e di madreperla. Sul vaso figurano lo stemma di Papa Benedetto XVI e la data di questo mercoledì.

In occasione della visita del Papa in Portogallo - 15° viaggio internazionale di questo pontificato, il 9° in Europa -, il Primo Ministro portoghese José Sócrates ha proclamato due giorni di festa nel Paese.

Per questa visita pastorale, le Carmelitane di Coimbra - presso il cui convento ha vissuto suor Lucia, la terza testimone delle apparizioni della Madonna oltre ai cugini Francesco e Giacinta, morta nel 2005 - hanno rinunciato per quattro giorni alla clausura per seguire in televisione gli appuntamenti del Papa in Portogallo.

La visita papale, sul tema “Con te camminiamo nella speranza - Saggezza e missione”, si concluderà questo venerdì, 14 maggio, dopo la visita alla città di Porto.

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Benedetto XVI invita a ravvivare la fiamma della fede nel mondo
Presiede la recita del Rosario nella spianata del Santuario di Fatima

FATIMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- In un mondo in cui la fede rischia di diventare un elemento sempre più marginale, soprattutto in alcune regioni, Benedetto XVI esorta a ravvivare con vigore questa fiamma.

Lo ha affermato questo mercoledì sera a Fatima, dove migliaia di fedeli si sono riuniti sulla spianata del Santuario per la tradizionale Veglia di preghiera che introduce la Solennità della Beata Maria Vergine di Fatima, che la Chiesa celebra il 13 maggio.

Dopo alcuni canti mariani intonati dal coro e dai fedeli e pellegrini, il Papa ha benedetto le fiaccole della Processione e si è rivolto ai presenti dicendo loro che, con la candela accesa in mano, sembravano “un mare di luce intorno a questa semplice cappella, eretta premurosamente in onore della Madre di Dio e Madre nostra, la cui via di ritorno dalla terra al cielo era apparsa ai pastorelli come una striscia di luce”.

“Sia Maria che noi stessi non godiamo di luce propria: la riceviamo da Gesù”, ha spiegato. “La presenza di Lui in noi rinnova il mistero e il richiamo del roveto ardente, quello che un tempo sul monte Sinai ha attirato Mosè e non smette di affascinare quanti si rendono conto di una luce speciale in noi che arde però senza consumarci”.

“Da noi stessi non siamo che un misero roveto, sul quale però è scesa la gloria di Dio. A Lui dunque sia ogni gloria, a noi l’umile confessione del nostro niente e la sommessa adorazione dei disegni divini”.

“Nel nostro tempo, in cui la fede in ampie regioni della terra, rischia di spegnersi come una fiamma che non viene più alimentata, la priorità al di sopra di tutte è rendere Dio presente in questo mondo ed aprire agli uomini l’accesso a Dio”, ha sottolineato il Pontefice.

“Non a un dio qualsiasi – ha specificato –, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore portato fino alla fine, in Gesù Cristo crocifisso e risorto”.

“Cari fratelli e sorelle, adorate Cristo Signore nei vostri cuori! - ha esclamato -. Non abbiate paura di parlare di Dio e di manifestare senza vergogna i segni della fede, facendo risplendere agli occhi dei vostri contemporanei la luce di Cristo, come canta la Chiesa nella notte della Veglia Pasquale che genera l’umanità come famiglia di Dio”.

L'importanza del Rosario

“Qui, dove tante volte ci è stato chiesto di recitare il Rosario, lasciamoci attrarre dai misteri di Cristo, i misteri del Rosario di Maria”, ha proseguito Benedetto XVI in una spianata letteralmente gremita.

La recita del Rosario, ha osservato, “consente di fissare il nostro sguardo e il nostro cuore in Gesù, come faceva sua Madre, modello insuperabile della contemplazione del Figlio”.

“Nel meditare i misteri gaudiosi, luminosi, dolorosi e gloriosi mentre recitiamo le 'Ave Maria', contempliamo l’intero mistero di Gesù, dall’Incarnazione fino alla Croce e alla gloria della Risurrezione; contempliamo l’intima partecipazione di Maria a questo mistero e la nostra vita in Cristo oggi, che pure si presenta tessuta di momenti di gioia e di dolore, di ombre e di luce, di trepidazione e di speranza”.

“La grazia invade il nostro cuore suscitando il desiderio di un incisivo ed evangelico cambiamento”.

Benedetto XVI ha quindi confessato di sentirsi profondamente accompagnato dalla “devozione” e dall’“affetto” dei fedeli presenti a Fatima e di quelli “del mondo intero”.

“Porto con me le preoccupazioni e le attese di questo nostro tempo e le sofferenze dell’umanità ferita, i problemi del mondo, e vengo a deporli ai piedi della Madonna di Fatima”, ha aggiunto.

“Vergine Madre di Dio e nostra Madre carissima, intercedi per noi presso il tuo Figlio perché tutte le famiglie dei popoli, sia quelle che si distinguono con il nome cristiano, sia quelle che ignorano ancora il loro Salvatore, vivano in pace e concordia fino a ricongiungersi in un solo popolo di Dio a gloria della santissima e indivisibile Trinità”, ha concluso invocando la Vergine.

Ha avuto quindi inizio la recita dei misteri gloriosi del Rosario, con la prima parte del Padre Nostro e dell'Ave Maria pronunciata in latino dal Papa, mentre la seconda parte delle preghiere è stata detta da ciascun fedele nella propria lingua per dimostrare l'universalità della Chiesa.

Prima di recitare la preghiera mariana, il Papa, che questo pomeriggio aveva donato alla Madonna la Rosa d'Oro, ha ricevuto in dono da monsignor António Marto, Vescovo di Leiria-Fatima, il primo rosario ufficiale di Fatima.

Il rosario è in oro e ha i grani del Padre Nostro sempre in oro e quelli delle Ave Marie in topazio. L'oro, ricorda il Santuario di Fatima in una nota informativa, “non si altera ed evoca nel colore il sole, simbolo che la Chiesa associa a Gesù Cristo”, mentre il topazio fa “passare la luce azzurra del cielo, limpido e profondo, colore che la tradizione associa alla figura di Maria”.

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La Chiesa deve dialogare con la cultura nella verità, afferma il Papa
Il regista Manoel de Oliveira: "Che lo voglia o no, l'Europa è cristiana"

di Inma Álvarez

LISBONA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- La Chiesa ha la missione di mostrare la verità sull'uomo, e da ciò deriva il suo impegno nel dialogo con la cultura e l'arte. Benedetto XVI lo ha ricordato questo mercoledì mattina nel Centro Cultural de Belém di Lisbona a numerosi rappresentanti del mondo culturale e artistico del Portogallo.

Il Papa ha voluto approfondire la comprensione cristiana del dialogo con il mondo della cultura, spiegando ai presenti che il pensiero attuale è caratterizzato da un “conflitto” tra “tradizione” e “presente”.

“La Chiesa appare come la grande paladina di una sana ed alta tradizione, il cui ricco contributo colloca al servizio della società; questa continua a rispettarne e apprezzarne il servizio per il bene comune, ma si allontana dalla citata 'sapienza' che fa parte del suo patrimonio”, ha affermato.

Questo “conflitto” fra la tradizione e il presente “si esprime nella crisi della verità”, ha aggiunto, sottolineando che “un popolo che smette di sapere quale sia la propria verità finisce perduto nei labirinti del tempo e della storia, privo di valori chiaramente definiti e senza grandi scopi chiaramente enunciati”.

In questo senso, ha dichiarato il Pontefice, è necessario chiarire che la Chiesa “si situa nel mondo, aiutando la società a capire che l’annuncio della verità è un servizio che Essa offre alla società, aprendo nuovi orizzonti di futuro, di grandezza e dignità”.

“Per una società formata in maggioranza da cattolici e la cui cultura è stata profondamente segnata dal cristianesimo, si rivela drammatico il tentativo di trovare la verità al di fuori di Gesù Cristo”.

Per compiere la sua missione, ha aggiunto, la Chiesa deve imparare “la convivenza” “nella sua ferma adesione al carattere perenne della verità, con il rispetto per altre 'verità', o con la verità degli altri”.

“In questo rispetto dialogante si possono aprire nuove porte alla trasmissione della verità”.

Per questo, Benedetto XVI ha sottolineato l'importanza per la Chiesa del Concilio Vaticano II, in cui la Chiesa stessa, “partendo da una rinnovata consapevolezza della tradizione cattolica, prende sul serio e discerne, trasfigura e supera le critiche che sono alla base delle forze che hanno caratterizzato la modernità, ossia la Riforma e l’Illuminismo”.

“Così da sé stessa la Chiesa accoglieva e ricreava il meglio delle istanze della modernità, da un lato superandole e, dall’altro evitando i suoi errori e vicoli senza uscita”.

“L’evento conciliare ha messo i presupposti per un autentico rinnovamento cattolico e per una nuova civiltà – la 'civiltà dell’amore' - come servizio evangelico all’uomo e alla società”, ha concluso il Papa.

Radici cristiane

L'incontro ha avuto luogo questo mercoledì mattina nell'auditorium del Centro Cultural de Belém, dove il Papa è stato ricevuto dal Vescovo di Porto e presidente della Commissione Episcopale per la Cultura e i Beni Culturali, monsignor Manuel Clemente, e dal Ministro della Cultura, Gabriela Canavilhas.

Erano presenti, tra le tante personalità, rappresentanti del mondo della cultura come il presidente del Consiglio delle Università Portoghesi, António Rendas, gli scrittori Pedro Mexia e João Lobo Antunes, il regista Manoel de Oliveira, l'attrice Glória de Matos, la scultrice Graça Costa Cabral e la direttrice d'orchestra Joana Carneiro.

Prima dell'intervento di Benedetto XVI, ha preso la parola il regista Manoel de Oliveira, che ha affermato che le arti “derivano dalle religioni, che cercano di dare una spiegazione relativa all'esistenza dell'essere umano di fronte alla sua corretta integrazione nel cosmo”.

Parlando della sua esperienza creativa, il regista ha affermato che la religione e l'arte si presentano “intimamente dirette all'uomo e all'universo, verso la condizione umana e la natura divina”.

“Non risiederanno in questo la memoria e la nostalgia del Paradiso perduto, del quale ci parla la Bibbia, tesoro inesauribile della nostra cultura europea?”, si è chiesto.

In tale senso, ha concluso, i valori cristiani “sono le radici della Nazione portoghese e, lo vogliamo o no, di tutta l'Europa”.

Musica del XVII secolo

Per onorare Benedetto XVI, gli è stata offerta come scranno una poltrona della metà del XVIII secolo, appartenuta al primo Patriarca di Lisbona e attualmente conservata nel museo diocesano.

Al Pontefice è stata donata un'opera di oreficeria creata da Siza Vieira, un uovo d'argento con dentro una colomba, simbolo dello Spirito.

Al termine del discorso, molti artisti si sono avvicinati per salutare personalmente il Papa. Tra questi, Emília Nadal e Pedro Calapez (artisti plastici), António Caeiro (traduttore), Manuel Braga da Cruz (rettore dell'Università Cattolica), Eurico Carrapatoso (compositore), Alice Vieira (scrittrice), Alberto Caetano (architetto) e Carminho Rebello de Andrade (cantante di fado).

Lo hanno salutato anche rappresentanti delle confessioni religiose presenti in Portogallo: José Carp (comunità ebraica), Ashok Hansraj (comunità induista), Fernando Soares Loja (Alleanza Evangelica), Abdool Vakil (comunità islamica) e Nazimudin Ahmad Mahomed (comunità ismailita).

L'incontro è stato allietato dal Coro Gulbenkian, diretto da Jorge Matta, che ha interpretato opere religiose dei compositori barocchi portoghesi Francisco António Almeida e Diogo Dias Melgas.

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Benedetto XVI a Fatima con il sogno di Giovanni Paolo II nel cuore
di Renzo Allegri

ROMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Quando i Papi si muovono, è la Chiesa che si muove. In questo mese di maggio, Benedetto XVI è stato a Torino a per l'ostensione della Sindone e ora è a Fatima.

"Pregherò per la Chiesa, per i sacerdoti e per la pace", ha detto prima di mettersi in viaggio. Il primo Pontefice ad andare pellegrino in quel Santuario fu Paolo VI, e vi si recò nel 1967, cinquantesimo anniversario delle apparizioni. Poi Giovanni Paolo II vi si recò nel 1982, l'anno dopo l'attentato subito in Piazza San Pietro. Papa Wojtyla era convinto di essere stato miracolato dalla Madonna di Fatima. L'attentato si era avuto il 13 maggio del 1981, giorno anniversario della prima apparizione della Madonna nella cittadina portoghese. I colpi sparati dall'attentatore erano mortali, ma la pallottola, che aveva colpito il Papa all'addome, aveva tenuto all'interno del suo corpo un percorso a zig zag, assolutamente inspiegabile.

"Era come", disse il professor Francesco Crucitti, che aveva operato il Pontefice "se avesse voluto evitare gli organi vitali. Per questo il Papa si è salvato". E Giovanni Paolo II a Fatima, ringraziando la Vergine dello scampato pericolo, affermò: "Una mano ha sparato e un'altra mano ha guidato il proiettile".

Giovanni Paolo II tornò a Fatima nel 1991, nel decimo anniversario dell'attento, ancora per ringraziare la Vergine. E vi ritornò per la terza volta nel 2000 per celebrare la beatificazione di Francesco e Giacinta, i due veggenti morti qualche anno dopo le apparizioni. E in quell'occasione, volle rendere pubblico il contenuto della terza parte del Segreto, dove si parla appunto dell'attentato al Papa, nel quale egli si era riconosciuto.

Quest'anno, a Fatima, si ricordano i dieci anni dalla beatificazione di Francesco e Giacinta e i cento anni dalla nascita di Giacinta. Ma per quanto importanti, queste ricorrenze non sono tali da giustificare un viaggio papale.

Come lo stesso Benedetto XVI ha detto, l'obiettivo del suo viaggio a Fatima riguarda "la Chiesa, i sacerdoti e la pace nel mondo". Tre grandi temi che sono di estrema attualità, con notizie anche drammatiche ogni giorno sui giornali.

E sono i temi fondamentali del Messaggio di Fatima. Nel corso della Terza apparizione, quella del 13 luglio 1917, la Madonna, dopo aver mostrato ai bambini la "terribile visione" dell'inferno, parlò ad essi proprio di queste tematiche, attraverso indicazioni profetiche che si sono poi realizzate alla lettera come forse in poche altre occasioni della storia era accaduto. Le sue parole sulla prima guerra mondiale che stava per finire; su una seconda guerra più terribile che sarebbe scoppiata; sul suolo della Russia con la diffusione per il mondo dell'ideologia comunista portatrice di guerre, morti, fame, distruzione di intere nazioni; sulle sofferenze della Chiesa con il martirio di molti suoi rappresentanti, vescovi, sacerdoti, laici, e con l'attentato al Papa, erano una cronaca precisa di quello che sarebbe poi accaduto. E, oggi, 93 anni dopo quelle apparizioni, siamo testimoni che le indicazioni profetiche si sono realizzate.

Al termine delle sue confidenze ai tre veggenti, la Vergine disse: "Alla fine il mio cuore Immacolato trionferà. Il Santo Padre mi consacrerà la Russia, che si convertirà e sarà concesso al mondo un periodo di pace". La consacrazione della Russia, chiesta dalla Madonna, ebbe un tragitto travagliato, anche all'interno della Chiesa stessa, e solo nel 1984 Giovanni Paolo II riuscì a realizzarla in qualche modo. Però, gli effetti si manifestarono immediatamente con la caduta dell'impero comunista sovietico e il ritorno della libertà religiosa in Russia e negli altri Paesi ex comunisti. Restano insolute le ultime due indicazioni date dalla Vergine: il "trionfo" del suo Cuore Immacolato e la pace nel mondo.

Sembrano traguardi ancora lontani, ma è in questa direzione che si muove la Chiesa. E' questo il vero scopo del pellegrinaggio di Benedetto XVI. Un pellegrinaggio che si riallaccia alle indicazioni di Giovanni Paolo II, e che Papa Ratzinger ha programmato da tempo, come dimostrano le attenzioni verso Fatima da lui espresse in varie occasioni.

Nel maggio 2006, un anno dopo la elezione di Benedetto XVI, ricorreva il 25° anniversario dell'attentato a Giovanni Paolo II. Il cardinale Ruini organizzò a Roma una grande manifestazione, facendo venire da Fatima la statuetta originale che si venera nella cappella delle Apparizioni. E il Papa inviò un messaggio al cardinale Ruini, in cui tra l'altro disse: "Mi unisco con gioia a quanti si ritrovano oggi in Piazza S. Pietro vicino all'immagine di Nostra Signora di Fatima, per affidare all'intercessione di Maria le grandi intenzioni della Chiesa e del mondo".

Un mese dopo, a monsignor Josef Clemens, segretario del Pontificio Consiglio per i Laici, in procinto di partire per Fatima, come presidente di un grande pellegrinaggio internazionale, Papa Ratzinger disse: "Quando sarà a Fatima, saluti in mio nome tutti i pellegrini di tutti i Paesi. Chieda loro una preghiera per il Papa, perché il Papa possa realizzare la sua missione di condurre la Chiesa. Chieda loro che rimangano con il Papa".

L'anno successivo, 2007, ricorrevano i 90 anni delle apparizioni a Fatima. Il 13 maggio, Benedetto si trovava in Brasile, in occasione della V Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi. Celebrò la Messa sulla Spianata del Santuario dell'Aparecida, che si trova nel Nord dello Stato di San Paulo ed è il centro spirituale del Brasile. Alla preghiera dell'Angelus, volle ricordare le apparizioni di Fatima: "Ricorre oggi il novantesimo anniversario delle Apparizioni di Nostra Signora di Fatima. Con il suo forte appello alla conversione ed alla penitenza essa è, senza dubbio, la più profetica delle apparizioni moderne. Chiediamo alla Madre della Chiesa, a Colei che conosce le sofferenze e le speranze dell'umanità, di proteggere i nostri focolari  e le nostre comunità".

Il 14 ottobre di quello stesso anno, 2007, a Fatima erano in corso le celebrazioni per il novantesimo anniversario delle apparizioni. In collegamento da Roma per la preghiera dell'Angelus, il Papa disse: "Questa mia Benedizione per quanti recitano con me la preghiera dell'Angelus - qui presenti o uniti attraverso i mezzi di comunicazione - di buon grado la estendo ai pellegrini riuniti nel Santuario di Fatima, in Portogallo. Lì, da novant'anni, continuano a risuonare gli appelli della Vergine Madre, che chiama i suoi figli a vivere la propria consacrazione battesimale in ogni momento dell'esistenza".

Due mesi dopo, il 10 novembre 2007, ricevendo i vescovi portoghesi in visita "ad limina", disse: "Mi piace pensare a Fatima come ad una scuola di fede che ha la Vergine Maria come Maestra; là Ella ha eretto la sua cattedra per insegnare ai piccoli Veggenti, e in seguito alle moltitudini, le verità eterne e l'arte di pregare, credere e amare".

E poi, nel 2008, l'annuncio del viaggio che avrebbe fatto a Fatima nel 2010.

Viene spontaneo pensare ai viaggi a Fatima di Papa Wojtyla, con quei suoi discorsi infuocati e accorati. Nel 1982, discorsi pieni di preoccupazione e di dolore, che facevano intendere come la Chiesa e il mondo stavano attraversando un momento drammatico. "Dalla guerra nucleare, da una autodistruzione incalcolabile, da ogni genere di guerra, liberaci", aveva gridato rivolto alla Vergine. Nel 1991, invece, discorsi aperti alla speranza e all'ottimismo. "Una nuova aurora sembra sorgere nel cielo della storia. Da Fatima sembra diffondersi una luce consolatrice, colma si speranza", aveva detto Papa Wojtyla al milione di pellegrini radunati nella spianata davanti al santuario. Nel 2000, poi, la rivelazione della terza parte del famoso Segreto, quasi a offrire la chiave d'interpretazione delle preoccupazioni espresse ne 1982 e della speranza del 1991.

Joseph Ratzinger fu la persona più vicina a Papa Wojtyla in quegli anni. Era il suo confidente, il suo consigliere, l'amico personale, e visse quei momenti in stretta unione con lui. Ed essendo poi diventato il successore di Giovanni Paolo II, sa che deve portare a termine i progetti che Papa Wojtyla aveva fatto alla luce degli eventi vissuti in prima persona.

Come abbiamo visto, tutte le indicazioni profetiche espresse dalla Vergine nel 1917, si sono realizzate. Mancano le due ultime: il trionfo del Cuore Immacolato di Maria e la pace nel mondo.

Purtroppo, con la libertà religiosa nei Paesi ex comunisti, sono ri­sorti anche gli antichi problemi della "divisione" dei credenti. Divisione tra cattolici, ortodossi, protestanti, cioè divisione tra i se­guaci dello stesso Dio, dello stesso Salvatore Gesù, tra i credenti nella stessa Fede.

La Chiesa dei credenti costituisce il "Corpo Mistico di Cristo". Ma quando i credenti sono divisi, il "Corpo Mistico di Cristo" è lacerato, ferito, martoriato. Non può trionfare il cuore di una madre quando i suoi figli sono divisi all'interno della famiglia. La strada, quindi, per arrivare alla conclusione indicata dalla Madonna a Fatima nel 1917 è l'unità dei cri­stiani. Papa Wojtyla continuò a sperare fino all'ultimo. Sognava di riuscire ad andare a Mosca per suggellare, con un fraterno abbraccio ad Alessio II, Patriarca della Chiesa ortodossa russa, la riunificazione delle due Chiese. Per cercare di realizzare quel suo grande sogno, intraprese viaggi nelle nazioni dell'Est europeo, liberate dai regimi comunisti. Fu in Albania, in Croazia, in Bosnia, in Li­tuania, nella Lettonia, in Estonia, nella Repubblica Ceca, nella Slovenia, in Ungheria, in Bulgaria, nell'Azerbaijan, nella Slovacchia, in Ucraina. In ognuna di quelle nazioni cercava l'incontro con gli ortodossi, l'abbraccio con gli ortodossi per lanciare messaggi al Patriarca di Mosca. Ma non è riuscito nel suo scopo. E' morto senza poter fare quel viaggio.

Il progetto, e il compito di realizzarlo, è passato al successore. Benedetto XVI, che aveva condiviso in pieno le speranze e le attese di Giovanni Paolo II, ha proseguito il cammino verso quel sogno. Con una diplomazia diversa, ma assai efficace. E ora quel sogno potrebbe diventare realtà. L'abbraccio con gli ortodossi non sembra più molto lontano. E si è anche aperta una corsia preferenziale verso i luterani. A settembre, infatti, Benedetto XVI sarà a Londra, prima visita di stato ufficiale di un Pontefice in Gran Bretagna. Incontrerà le massime autorità della Chiesa anglicana: la Regina Elisabetta, governatore supremo della Chiesa Anglicana, e l'arcivescovo di Canterbury, che è il capo della Chiesa Anglicana. Obiettivi grandi, e proprio per questo avversati tremendamente dalle Forze del Male. La campagna di odio contro la Chiesa, e contro Papa Ratzinger, scatenata nel mondo negli ultimi mesi, è un segno emblematico. Un tentativo estremo per far fallire i progetti di unione che sono ormai vicini. Progetti che porterebbero a compimento anche l'ultima parte del Messaggio della Madonna di Fatima.

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Nuova alleanza tra Vaticano e Mosca sui diritti umani
La Lev e l'Associazione "Sofia" pubblicano gli scritti di Kirill

ROMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- A pochi mesi dall’edizione dei discorsi di Benedetto XVI sull’Europa, da parte del Patriarcato ortodosso di Mosca, un secondo volume pubblica una selezione di discorsi del Patriarca orotodosso Kirill.

Una “prima assoluta” per la Libreria Editrice Vaticana (Lev) che edita il volume in collaborazione con l’Associazione internazionale “Sofia: Idea russa, idea d’Europa”.

Il libro dal titolo “Libertà e responsabilità: alla ricerca dell’armonia. Dignità dell’uomo e diritti della persona” sarà presentato lunedì 17 maggio, alle 11.45, nell’Aula Pio XI dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Milano.

L'opera raccoglie i più importanti discorsi sui diritti umani pronunciati dal metropolita Kirill, oggi Patriarca di Mosca e di tutte le Russie. “Con il Papa abbiamo una visione comune sulla tutela della dignità dell’uomo in Europa” scrive Kirill, per il quale “oggi la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa sono le uniche naturalmente alleate nella dura lotta” contro “l’ideologia liberista e secolarista”.

È un’ideologia che, scrive Kirill, come un tempo il comunismo in URSS, vorrebbe condannare il cristianesimo all’irrilevanza sociale e pubblica: “In Occidente si vuole relegare la fede nell’ambito della vita privata in modo quasi peggiore di quanto non facesse il regime sovietico nel nostro paese”.

Per vincerla, scrive ancora il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, la Chiesa dovrà anche entrare “in un dialogo serio e scevro da pregiudizi con l’umanesimo laico e liberale”, a patto però che esso non cada nella tentazione dell’“unilateralità”.

“È un’analisi dura ma piena di speranza”, sottolinea il prof. Pierluca Azzaro, docente di Integrazione Europea alla Università Cattolica di Milano e curatore del volume: “Papa Benedetto XVI e il Patriarca Kirill esortano i cristiani d’Oriente e d’Occidente a non conformarsi alla mentalità di questo secolo, invitano tutti noi a professare il nostro Credo nella Chiesa fondata da Cristo Salvatore, a difendere la libertà come un valore indiscutibile ma non illimitato: per la sua più intima natura, la libertà è, e rimarrà sempre, legata alla verità”.

Monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, che firma l’introduzione del volume, sottolinea: “Kirill mette in guardia in modo molto incisivo e appassionato contro una ‘nuova generazione di diritti’ che ospitano al loro interno vere e proprie degenerazioni dell’autentica dignità personale”.

Presenteranno il volume il Cardinale Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano e presidente dell’Istituto “G. Toniolo” di Studi superiori, e il prof. Adriano Roccucci, dell’Università degli Studi Roma Tre. Porteranno il loro saluto: il prof. Lorenzo Ornaghi, Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore; Anatoly Torkunov, Rettore dell’Università di Stato delle relazioni internazionali di Mosca del ministero degli Affari esteri della Federazione russa; il rev. prof. Edmondo Caruana, direttore editoriale della (Lev); il prof. Giuseppina Cardillo Azzaro, presidente dell’associazione internazionale “Sofia: Idea russa, idea d’Europa”. La presentazione si concluderà con un intervento del Metropolita Hilarion, presidente del Dipartimento delle relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca.

L’evento è promosso dall’Associazione internazionale “Sofia: Idea russa, idea d’Europa”, dall’Università di stato delle relazioni internazionali di Mosca, dal Foro di Dialogo Italia-Russia delle società civili ed è sponsorizzato dalla Vnesheconombank.

La pubblicazione del libro rappresenta anche il prologo dell’inaugurazione, il 20 maggio a Roma, della Accademia italo-russa “Sapientia et Scientia”, su iniziativa sempre dell’associazione internazionale “Sofia: Idea russa, idea d’Europa”, con la collaborazione dell’Università di stato delle relazioni internazionali di Mosca.

Il progetto ha ricevuto la benedizione della Santa Sede e del Patriarcato di Mosca e l’approvazione ufficiale degli Stati italiano e russo. L’Accademia – che vuole essere un luogo stabile di incontro tra esponenti delle Chiese e delle società civili di Italia e Russia - svolgerà le proprie attività a Roma, presso Villa Sciarra-Wurts.


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Notizie dal mondo


Germania: l'ecumenismo delle 1.000 tavole
Al via a Monaco il II Congresso Ecumenico

di Angela Reddemann

ROMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Le principali organizzazioni laiche della Chiesa cattolica ed evangelica tedesca hanno convocato un Congresso Ecumenico, il secondo della storia della Germania, in svolgimento a Monaco da questo venerdì a domenica.

Il Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi (ZdK) e il Congresso Tedesco Evangelico (EKT) hanno approvato all'unanimità questa convocazione tempo fa, e non è mancato l'atteso “invito ufficiale” da parte dei Vescovadi corrispondenti della Baviera. Da allora, migliaia di persone volontarie di tutte le Chiese cristiane hanno formato équipes per elaborare il programma del II Congresso Ecumenico, sul tema “Perché abbiate speranza”.

“Siamo felici di poter contare su oltre 130.000 partecipanti iscritti”, hanno detto gli organizzatori alla stampa a Monaco. “Presenteremo circa 3.000 eventi sostenuti da 15.000 collaboratori per approfondire le implicazioni della fede cristiana nella vita della nostra società”, hanno dichiarato entrambe le organizzazioni laiche in un comunicato congiunto.

Una delle celebrazioni più importanti sarà quella di venerdì prossimo, quando si svolgeranno dei Vespri ecumenici ispirati alla tradizione ortodossa in Odeonsplatz, nel pieno centro di Monaco. Ci sarà una croce enorme ispirata all'arte ortodossa.

I partecipanti si collocheranno all'aperto in 1.000 tavoli, ciascuno con due panche per accogliere 10 persone. Dopo i canti e le preghiere liturgiche si celebrerà l'agape con pane benedetto (artoklasia). Da giorni, circa 1.000 persone si sono offerte come volontarie per l'evento. Cristiani di varie confessioni pregheranno e canteranno insieme, ascolteranno la Parola di Dio e vivranno in condivisione fraterna.

Il Congresso, organizzato dai rappresentanti della Chiesa Evangelica Tedesca (EKD) e di altre Chiese e comunità cristiane, con cui la Chiesa cattolica è in rapporti di cooperazione ecumenica, riflette il desiderio di molti cristiani di cercare di celebrare e testimoniare insieme la fede in una società secolarizzata.

Tutti i giorni si inizia con la preghiera e la meditazione della Parola di Dio in tutte le chiese e nelle grandi sale della Fiera di Monaco. Questo mercoledì sera ci saranno servizi ecumenici di accoglienza in vari luoghi della città, tra cui la Theresienwiese, dove si svolge tradizionalmente l'Oktoberfest, la festa della birra. Ufficialmente non ci sarà una goccia d'alcool tra le bevande offerte in questi giorni, perché la gioia arrivi a tutti dal di dentro.

Tutto il centro di Monaco è stato trasformato in un'area di accoglienza. 250 comunità cristiane offrono piatti tipici ai pellegrini. In 20 palchi ci sono band musicali cristiane per condividere anche con coloro per i quali Dio è uno sconosciuto la speranza certa in Gesù Cristo.

Circa 300.000 persone formeranno questo mercoledì sera una catena umana recitando insieme il Padre Nostro nelle vie che circondano il centro storico della capitale bavarese.

Da Roma è giunto l'abate primate della Confederazione Benedettina, che suonerà giovedì la chitarra elettrica nel Marienhof. Notker Wolf, OSB, ha rivelato a ZENIT le linee guida del concerto: dei pezzi di musica rock degli anni Settanta e Ottanta. Suonerà in presenza della band “feedback” della comunità benedettina nella località di St. Ottilien.

Il I Congresso Ecumenico della storia della Chiesa tedesca si è svolto a Berlino due anni fa, con oltre 500.000 partecipanti e un'ampia rappresentanza del mondo politico della Germania.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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Italia


Il Presidente della CEI in piazza San Pietro con i fedeli

ROMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Il Cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana sarà a Piazza San Pietro per il Regina Coeli del 16 maggio.

Verso le 11.00 il Cardinale presiederà un momento di preghiera per introdurre il popolo cristiano nel significato dell'incontro con il Santo Padre.

Si attendono varie decine di migliaia di fedeli a Piazza San Pietro provenienti dai vari gruppi legati alla Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali (CNAL) ma anche da molte altre realtà come parrocchie, diocesi, scuole e università.

“Ci aspettiamo – spiega Paola Dal Toso, Segretaria Generale della Cnal – gruppi o semplici laici oppure singole famiglie provenire da tutta Italia con autobus, treni speciali e mezzi propri… Ogni aggregazione ha provveduto autonomamente ad organizzarsi per partecipare al Regina Coeli. Inoltre, alcuni Paesi europei seguiranno in diretta l’evento attraverso le TV cattoliche e il Canale della comunità Canção Nova trasmetterà la preghiera del Papa in Brasile”.

La CNAL ha inteso accogliere il desiderio di molti fedeli di esprimere visibilmente il proprio affetto, la gratitudine e la preghiera fedele al Santo Padre. Quella della CNAL non è altro che un’iniziativa sorta a livello popolare e poi sostenuta dalla Conferenza episcopale italiana.

“Voglio, quindi, esprimere – conclude Paola Dal Toso – la mia gioia e quella di tutta la CNAL, promotrice dell’iniziativa, per la presenza al Regina Coeli del Cardinale Bagnasco, segno tangibile della vicinanza e dell’unità di Vescovi e fedeli con il Santo Padre”.

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"Cristiani per Servire" rifiuta l'eutanasia per i malati mentali


di Antonio Gaspari

ROMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Ai malati mentali deve essere riconosciuto il diritto alla vita e non all’eutanasia. E' l'appello lanciato da Franco Previte, Presidente dell’associazione Cristiani per Servire (http://digilander.libero.it/cristianiperservire).

Domani 13 maggio ricorre il trentaduesimo anniversario della legge “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari ed obbligatori” (legge 13 maggio 1978 n.180) varata con lo scopo di curare e non segregare il paziente soggetto a malattie psichiche.

In una intervista a ZENIT, Previte ha affermato che questa normativa ha voluto dare un “colpo di spugna” agli Ospedali Psichiatrici pur concedendo al privato di coprire il 50% circa delle esigenze del pubblico, nonostante i costi elevati di gestione esistenti in Italia.

Dall’ultima Relazione Trimestrale del Ministro della Salute, ai sensi dell’art. 1° comma 24 della legge 23 dicembre 1996 n. 662 sulle iniziative adottate a livello nazionale e regionale al 31 dicembre 2002, (Doc. CXXVI n.1 Atti Parlamentari 20 ottobre 2003), sono stati documentati tutti i programmi di superamento degli ex-Ospedali Psichiatrici pubblici in favore di strutture residenziali come luogo di destinazione elettivo o “residenze protette”.

Anche se, secondo la Relazione del Ministro della Salute svolta il 30 giugno 2004, esistono ancora 7 Ospedali Psichiatrici Privati in Italia e 6 Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Tutti “vergognosamente ancora aperti”, ha commentato Previte, il che sta a dimostrare che vi sono persone con problemi psichici “relegati in strutture definibili manicomiali” (Doc. CXXVI n. 3 Atti Parlamentari 21.01.2005).

“E’ evidente – ha sottolineato il Presidente di Cristiani per Servire - che 'queste strutture' contrastano non solo con la legge 180, ma confliggono addirittura con la Costituzione Italiana, molto criticate per le loro 'inefficienze' nel Rapporto indirizzato alle Istituzioni Italiane dal dr.Alvaro Gil-Robles, Commissario Europeo per i diritti umani (10/17 giugno 2005)”.

Il Presidente di Cristiani per Servire ha spiegato che “quelle norme legislative vanno rivedute in una proposizione che renda ragione e giustizia” perchè fino ad oggi “questa problematica è stata oggetto di pseudo revisioni, che hanno stimolato politici, operatori del settore, organizzazioni private, del non-profit, verso proposte interessate ad alimentare un business del malato di mente, con l’intenzione di affidarli a strutture cooperativistiche pubbliche o private”.

Previte lamenta che la normativa accentrata nel Testo Unificato Burani-Procaccini a cui era abbinata una Petizione dell’associazione Cristiani per Servire è sparita dall’agenda parlamentare dal 21 aprile 2005.

Per Previte, “non si può addossare un peso di questa gravità alle famiglie ed alla società”.

“E’ vero – ha aggiunto – che la famiglia è la vera risorsa di questo Paese, ma bisogna darle quel riconoscimento, quel ruolo insostituibile, quella maggiore dignità che le spetta quale membro fondamentale della società, soprattutto per quelle famiglie dove esiste la disabilità nei suoi possibili componenti, ai quali bisogna garantire il rispetto della loro dignità quali persone”.

“La 'cultura della morte' - ha continuato - come la chiamava Papa Giovanni Paolo II, si va sempre più diffondendo sia in forma esplicita che subdola, mentre la battaglia per la vita e per la dignità dell’uomo-disabile è ormai un 'diritto-dovere' superato e ne pagano le conseguenze le persone svantaggiate”.

In una lettera inviata al Senatore Antonio Tomassini, Presidente del 12° Commissione Igiene e Sanità del Senato della Repubblica, Previte ha scritto: “A tutt'oggi nessuna chiarificazione ci è pervenuta sulla particolare tutela ed assistenza sanitaria ospedaliera per persone-pazienti fragili quali quelle in età avanzata. sia disabili fisici e psichici, malati terminali persone bisognose di prestazioni sanitarie costanti ed onerose, al fine di evitare episodi e/o situazioni di abbandono: una eutanasia mascherata”.

“Trattandosi di un diritto inalienabile, il diritto alla vita e non all'eutanasia, - ha concluso - anche a nome dell'opinione pubblica, Le chiedo cortesemente di far conoscere la verità”.


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A padre Cantalamessa, il Premio Paoline per la comunicazione
Il riconoscimento per "aver annunciato la Parola in tv e nel web"

di Mariaelena Finessi


ROMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- «Un giorno, mentre pregavo nella mia cella, Dio mi parlò». Padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, sorride: «Lui si che è un comunicatore. Mi chiese di lasciare tutto. Come francescano era ipotizzabile che io non avessi già più nulla. E invece no. Io avevo tanto, ero professore all'università di Milano, avevo degli agi, una carriera professionale. Mollai ogni cosa e mi feci predicatore itinerante della Parola».

Padre Cantalamessa, che l'11 maggio ha ricevuto presso l'ateneo Lateranense di Roma, il premio "Comunicazione e cultura" (riconoscimento a quanti operano nei media incarnando i valori espressi nel tema della Giornata delle comunicazioni sociali), racconta gli esordi del suo lungo viaggio nel mondo dei media.

Un'esperienza che al frate – appena laureato ad honorem dalla facoltà di Scienze della Comunicazione di Macerata – ha fatto guadagnare sul campo anche quest'ultimo premio istituito dal Centro delle Paoline - «a motivo della sua testimonianza e il suo annuncio della Parola in televisione e nel mondo digitale».

Chiamato in Vaticano da Giovanni Paolo II, dal 1981 padre Raniero Cantalamessa tiene ogni venerdì, in Avvento e in Quaresima, una meditazione in presenza del Papa, dei cardinali, vescovi, prelati e superiori generali di ordini religiosi: «I Pontefici – si schernisce - mi sopprtano forse perché questo è il posto in cui posso fare meno danni alla Chiesa».

Nel 1995 approda in tv, facendosi predicatore anche in video. Ruolo che ha rivestito fino al novembre 2009: «Non ho una preparazione tecnica nella comunicazione – spiega il cappuccino -, è il mezzo televisivo ad avermi educato». Con il pubblico ha stabilito quello che lui chiama «un rapporto di fiducia». «Non vedevo le telecamere – ricorda –, parlavo alla gente e non al mezzo». E la gente ha risposto, «ma non a me – precisa –, piuttosto alla notizia che annunciavo e che valeva, e vale, la pena di essere ascoltata».

Certo, padre Cantalamessa - 76 anni a luglio -  non nasconde le difficoltà che un religioso può incontrare: «Un sacerdote è uno spaesato, come Gesù che veniva da un altro mondo per annunciare cose di un altro mondo». Difficoltà ed ostacoli che a suo avviso sono ben espresse da un racconto di Kafka: «Un imperatore, su letto di morte, chiama un suddito a sé perché trasmetta un messaggio al suo popolo. Il messaggio è così importante che il suddito se lo fa ripetere due volte all'orecchio e s'incammina per andare a riferire quel messaggio».

«Come volerebbe se avesse via libera - spiega padre Raniero, ricordando il testo dello scrittore -. Ben presto udresti il glorioso rumore dei suoi pugni alla tua porta. Invece, si affatica invano attraverso le stanze del palazzo interno, dalle quali non uscirà mai. E se anche questo gli riuscisse, non significherebbe nulla: dovrebbe lottare per scendere le scale. E se anche questo gli riuscisse, non avrebbe fatto ancora nulla, dovrebbe attraversare i cortili, e poi la seconda cerchia dei palazzi, poi altre scale e cortili, per millenni».

«Gli riuscisse di precipitarsi, finalmente, fuori dall'ultima porta - ma questo non potrà mai, mai accadere - ecco dinanzi a lui la città imperiale, ove sono ammucchiate montagne dei suoi detriti». Ecco, lì in mezzo, nessuno riescirebbe ad avanzare, «neppure con il messaggio di un morto ma tu, intanto, siedi alla tua finestra e sogni di quel messaggio, quando viene la sera».

Allo stesso modo, «dal suo letto di morte, la croce, Cristo ha confidato alla sua Chiesa un messaggio. Ci sono ancora tanti uomini – sottolinea il frate - che, stando alla finestra, sognano di un messaggio come il suo. Purtroppo la Chiesa può diventare quel castello complicato e soffocante dal quale il messaggio non riesce più a uscire». L’ostacolo principale «sono le divisioni tra cristiani, come pure l'eccesso di burocrazia e il linguaggio, a volte astruso e complicato, che potremmo definire "ecclesiastichese"».

La chiave sta allora nella semplicità. «Io ad esempio – dice il predicatore apostolico - ho fatto una scarnificazione del mio linguaggio. Perché non c'è una verità così profonda che con un messaggio adatto non si possa portare alle persone più umili». Soprattutto, conclude, «occorre calare la Parola nella vita perché se non c'è l'aggancio alla quotidianità della gente e ai problemi di ogni giorno, il messaggio cade, perdendosi irrimediabilmente».

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Segnalazioni


Incontro di Cultura di Pentecoste e Roveto Ardente a Torino
Le iniziative del Rinnovamento nello Spirito per l'Ostensione della Sindone

ROMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- In occasione dell’Ostensione della Sacra Sindone, il Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS) organizza a Torino due speciali incontri: una serata per promuovere la Cultura della Pentecoste e una serata di Roveto Ardente (Adorazione Eucaristica con animazione carismatica).

Giovedì 13 maggio, alle ore 20.30, presso la Casa di Carità Arti e Mestieri (c.so Benedetto Brin, 26), si svolgerà l’incontro di Cultura di Pentecoste. Il tema è tratto da un brano dell’enciclica ‘Caritas in Veritate’: “Sul piano culturale esiste il pericolo dell’omologazione degli stili di vita. Ritroviamo la misura in una natura che trascende le culture”.

Interverranno, tra gli altri: Andrea Olivero, presidente delle Acli e portavoce del Forum Terzo Settore; Francesco Belletti, presidente del Forum delle Associazioni Familiari; Maria Pia Bonanate, scrittrice. L’incontro sarà moderato dalla conduttrice del Tg5, Paola Rivetta. Le conclusioni saranno affidate al presidente nazionale del RnS, Salvatore Martinez.

Sabato 15 maggio, alle ore 20.30, presso la Basilica di Maria Ausiliatrice (via Maria Ausiliatrice, 32), si svolgerà invece lo speciale momento di Adorazione Eucaristica con animazione carismatica “Roveto Ardente”. Sarà un tempo intenso di preghiera corale per le necessità della Chiesa e per la salvezza del mondo.

L’animazione della serata sarà curata dai membri del Comitato Nazionale di Servizio del RnS. Tra questi il coordinatore nazionale del RnS, Mario Landi, e i membri del Comitato Nazionale di Servizio, padre Giovanni Alberti e Dino De Dominicis. Al termine, intorno alle ore 22.30, i partecipanti si recheranno in processione al Duomo di Torino per sostare e pregare davanti alla Sacra Sindone.

“La Sindone – ha commentato Salvatore Martinez in una nota diffusa dal RnS - è la risposta pratica all’insopprimibile desiderio dell’uomo di cercare il volto di Dio, di entrare nel mistero, di dare alla propria esistenza una cifra soprannaturale. Le interminabili code di pellegrini che 'vogliono vedere' la Sindone, non sono diverse dalla gente che al tempo di Gesù 'voleva vederlo', sentirlo, seguirlo”.

“Bisogna adoperarsi perché l’esperienza di questo incontro sia favorita e oggi, come duemila anni or sono, sia data agli uomini la possibilità di conoscere l’originalità e la novità dell’amore cristiano”, ha aggiunto.

A questo proposito, ha continuato Salvatore Martinez, “il RnS intende rendere con convinzione questo 'servizio alla verità', in un tempo che vede il Papa e la Chiesa soffrire i duri morsi del peccato di alcuni figli traviati che hanno mortificato l’amore di Cristo. 'Cultura della Pentecoste' e 'Roveto Ardente' sono due inscindibili prerogative dello Spirito che interpellano il nostro impegno: urge un sussulto di fede carismatica, una nuova comunicazione spirituale del Vangelo che ridia primato a Dio e ripristini la fiducia e la fraternità tra gli uomini”.

Il RnS è un Movimento ecclesiale che in Italia conta più di 200 mila aderenti, raggruppati in oltre 1.900 gruppi e comunità.

[Per ulteriori informazioni: www.rns-italia.it]

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Tutto Libri


Tecnologia per lo spirito
La riflessione antropologica sul web del gesuita Antonio Spadaro

ROMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'intervista a padre Antonio Spadaro, redattore della rivista La Civiltà Cattolica, apparsa su PaulusWeb (anno II n. 20 - maggio 2010).




* * *

di Paolo Pegoraro


Su Wiki lo hanno amichevolmente soprannominato “il gesuita 2.0”. Se pensate che un letterato non sia la persona più adatta per riflettere sulle nuove tecnologie, vi conviene fare la conoscenza di padre Antonio Spadaro. Innamorato della carta non meno del suo candido iMac o dell’iPhone che gli guizza in mano all’improvviso, Spadaro è gesuita per vocazione, critico per passione, esperto di new media per provocazione. Nel senso che la sua riflessione sulla Rete evita gli approcci più comuni, di tipo rigidamente tecnico o sociologico. E chiarisce: «Mi sembra che ciò che forse manca, in questo momento, sia una riflessione più ampiamente antropologica, che consideri il web all’interno dell’esperienza umana e non come una “bolla”, un episodio slegato». Un invito a chiave di lettura più ampia, dunque, che forse gli viene proprio dal suo peculiare backstage...

Padre Spadaro, la sua formazione non fa pensare immediatamente all’informatica. Com’è nata questa sua passione per le nuove tecnologie?

«Ho cominciato a frequentare la Rete alcuni anni fa, quando un mio ex alunno m’invitò a costruire un sito con Geocities. Fino ad allora era piuttosto alieno alla tecnologia. La cosa m’incuriosì. Avvertii che l’interesse per la letteratura e quello per la Rete camminavano di pari passo, perché il mondo di internet era un mondo fondamentalmente testuale, pur essendo differente dalla comunicazione lineare della pagina scritta. In seguito, scrivendo per La Civiltà Cattolica, mi sono occupato delle riviste letterarie online, cioè di come l’interesse per la scrittura creativa e per la dimensione critica si stavano sviluppando nella Rete. Tra l’altro nel 1998 ne avevo creata una, BombaCarta – www.bombacarta.com – che da allora si è sviluppata e si evoluta nel tempo. Da allora il mio interesse è diventato più specifico e si è progressivamente esteso ad altri campi. Un’evoluzione biologica, direi, nella quale i mondi della letteratura e dell’informatica si sono sempre intrecciati, fecondandosi l’un con l’altro».

Nel suo libro Web 2.0 Reti di relazioni (Paoline 2010) lei sottolinea che internet non è un mezzo, ma un contesto e un ambiente. Una svolta epocale nella concezione stessa della comunicazione, dunque, che obbliga a ripensare la categoria tradizionale dei media come semplici “strumenti” per relazionarsi?

«Sì, internet non è uno strumento che si può utilizzare o meno, ma un ambiente che determina uno stile di pensiero e di apprendimento della conoscenza, nonché di sviluppo delle relazioni. Sia la conoscenza che il relazionarsi sono di fatto modificati dall’utilizzo della Rete. Dunque non può essere considerata un semplice strumento, perché non serve solo per plasmare, ma plasma chi la usa.

Una seconda considerazione. Grazie ad apparecchi tascabili come l’iPhone, che non richiedono un accesso, diciamo così, “formale” alla Rete – come poteva essere accendere il computer, avviare un programma, ecc. – oggi la percezione di internet si sta modificando. Da ambiente accanto ad altri ambienti, il web si sta integrando sempre di più con l’ambiente ordinario di vita. Internet come realtà a se stante sta sempre più sparendo, mentre sempre più si sta integrando all’interno dei processi relazionali, conoscitivi e comunicativi della vita di tutti i giorni».

Le sue analisi sul web sono molto positive e ne sottolineano le forti potenzialità. Tuttavia – con l’avvento di Wikipedia o di Facebook – non sono mancate le levate di scudo...

«In questi casi il mondo rischia di dividersi tra apocalittici e integrati, ma cerchiamo di considerare le cose nel loro insieme. Io nella Rete non vedo anzitutto una rivoluzione. O meglio, se lo è, è una rivoluzione dalle radici antiche. Il web è una rivoluzione di tipo tecnologico che non fa altro, però, se non approfondire e dare forma nuova a desideri che l’uomo ha sempre avuto. Così come l’aereo ha permesso all’uomo di volare come ha sempre desiderato, così la Rete permette di creare o, ancor meglio, curare e sviluppare rapporti di amicizia nonostante le distanze che prima impedivano un contatto frequente. Il web ha integrato in sé la dimensione normale della scrittura e della lettura. Attenzione quindi a considerare completamente nuova una risposta della tecnologia a un desiderio profondo dell’uomo.

Inoltre la tecnologia non è separata dall’umanità profonda dell’uomo. La tecnologia è umanissima. Anzi, direi che la tecnologia è una forma della spiritualità dell’uomo. Un persona che lo aveva intuito con grande forza è Pierre Teilhard de Chardin... forse l’unico autore che ha fornito anzitempo delle categorie per una comprensione spirituale – e talvolta anche teologica – della Rete.

Certo, nella Rete ci sono molte ombre, ma comunque all’interno di un processo che dice bisogno di relazione e di comunicazione sempre più profondo. In questo senso sono ottimista: maggiori sono i passi avanti e maggiori sono le ambiguità, che non bisogna nascondersi, ma esse risultano inevitabili all’interno di un processo che, secondo me, è frutto proprio della spiritualità dell’uomo».

Le piattaforme web si evolvono in fretta e, a volte, altrettanto in fretta declinano. Ma per fare spazio a qualcosa di ulteriore. Un processo che cambia, dunque, ma non si ferma...

«Nella Rete non ci sono realtà che spariscono nel nulla, quanto piuttosto il superamento e l’integrazione in nuove forme e in nuove elementi. C’è un’evoluzione che non procede, però, per salti. Nonostante alcuni tentativi errati che si arrestano, normalmente i grossi trend non s’interrompono, ma vengono assorbiti da ulteriori fenomeni che li inglobano, magari correggendoli».

Una battuta d’arresto è impossibile, insomma. Si profilano nuovi scenari antropologici?

«L’unica cosa che vedo con una certa chiarezza è la tensione della Rete a essere sempre di meno una cosa separata, qualcosa che occupa un preciso spazio e una sezione di tempo nella vita delle persone. Oggi dedichiamo al web tempi circoscritti (da quest’ora a quest’altra) e spazi circoscritti (la presenza di terminali), ed è bene che sia così e che ci sia un’educazione in questo senso. Ma la tendenza della rete è quella di sparire, cioè d’integrarsi completamente con la vita ordinaria delle persone. Ecco perché è una grande sfida per la Chiesa.

Come veniamo cambiati? Prendiamo il processo informativo, ad esempio: oggi sistemi come Twitter permettono una comunicazione immediata su eventi importanti e che sono di difficile copertura giornalistica. L’informazione online non rende affatto inutili le testate giornalistiche, ma le “obbliga” a interrogarsi sul loro ruolo e sul loro significato.

Questo avviene anche nella comunicazione personale: un tempo una lettera impiegava giorni o settimane per giungere, ora no. E questo modifica fortemente il nostro impatto emotivo. Se poi, per giunta, sono costantemente raggiungibile online grazie a uno smartphone, il mio orizzonte delle relazioni si modifica».

...ma con le distanze non si brucia anche il senso dell’attesa? Non vira tutto verso una sincronia cosmica da capogiro?

«Assolutamente sì. È potenzialmente così. Ma questo può essere inteso come un problema o come una risorsa. Mi spiego. Innanzitutto nel caso della comunicazione asincrona, come quella delle email, non è detto che una persona risponda immediatamente alla mail che riceve: anzi, in genere non è così. L’attesa rimane. Poi, nel caso di comunicazioni sincroniche – chat, chiamate via Skype, etc. – è vero che bisogna creare dei contesti adatti per la comunicazione. Insomma: la chiamata o la chat può essere attesa per ore o giorni. L’innovazione non abolisce l’attesa, come non abolisce di netto le distanze: dà la possibilità di superarle o, meglio, di viverle in maniera diversa. Dà loro una forma differente che richiede, certo, una educazione specifica e una maggiore consapevolezza. In fondo anche l’invenzione dell’automobile, del treno o dell’aereo hanno ridotto i tempi dei viaggi, ma questo non mi pare si sia affatto tradotto automaticamente in un deperimento delle relazioni umane e della loro qualità!».

La prossima grande svolta online sarà il passaggio dal web sintattico al web semantico. Di cosa si tratta?

«Anche se ancora in evoluzione, comincia a essere interessante il fatto che sul web si possano cominciare a precisare le proprie domande di ricerca. Le ricerche finora erano sintattiche, cioè legate alla presenza di determinate parole, sganciate dal loro contesto preciso. Ora le ricerche vengono sempre più specificate attraverso il modo di porre la domanda, attraverso il loro contesto, a volte anche attraverso il luogo dove vengono poste. Così alcuni motori di ricerca danno risposte geolocalizzate, che mutano cioè a seconda della lingua e del luogo nel quale sono poste.

Un esempio interessante è il motore Wolfram | Alpha, un così detto “motore computazionale di conoscenza”, che interpreta le parole della domanda per propone una risposta il più precisa possibile. I motori semantici danno quindi risposte univoche, mentre i tradizionali motori sintattici non selezionano e offrono un ventaglio di risposte ampio quanto indistinto. È un passaggio interessante, che andrà studiato meglio nei prossimi anni per vederne gli esiti».

Quali le sue impressioni sul Messaggio per 44ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali?

«Certamente è un Messaggio molto importante, perché mette a fuoco il rapporto tra sacerdote, pastorale ordinaria e Rete. Va dunque nella direzione del leggere internet come ambiente... una considerazione che il Papa aveva già fatto nel Messaggio dello scorso anno. Ed essendo un ambiente umano come gli altri, anche il web è chiamato a ricevere il Vangelo.

Questo messaggio mostra inoltre come ci sia una compatibilità genetica di fondo tra la Rete e la Chiesa. La Rete si fonda sulle relazioni e sulla comunicazione di un messaggio, la Chiesa si fonda su rapporti di comunione e sul messaggio del Vangelo che va annunziato a tutte le genti. Inoltre la Rete ha una dimensione radicalmente universale, quindi cattolica... Insomma, ci sono troppe compatibilità in radice tra la Rete e la Chiesa. E il Messaggio del Santo Padre segna in maniera definitiva questa pista di riflessione».

C’è un ruolo specifico per il sacerdote, nel web?

«Dipende da cosa intendiamo per “specifico” e dai contesti in cui ci troviamo. Ma credo che un ruolo preciso, specifico e definito, non ci sia e non ci possa essere».

Al convegno Testimoni digitali, lei ha accennato alla necessità di una «nuova forma di apologetica» che consideri le «mutate categorie di comprensione del mondo e di accesso alla conoscenza». In che senso?

«È mia convinzione che la Rete, modificando la conoscenza e le capacità di relazioni, di fatto modifica o almeno implementa le categorie di comprensione della realtà intera. Se questo mutamento ha un impatto sulla capacità d’intellezione propria dell’uomo, non può non averlo pure sulle capacità di autocomprensione della fede e della Chiesa da parte dei cristiani. Bisogna quindi avviare una riflessione nuova su come la logica della Rete possa avere un impatto sulla logica della teologia, cioè sul modo di comprendere la fede. Un compito impegnativo, ma anche affascinante».

A proposito di categorie, il titolo del convegno della CEI – Testimoni digitali – ne ha posto in evidenza una specifica: la categoria della testimonianza.

«La testimonianza diventa una categoria fondamentale, perché nella logica dei social network l’elemento base è lo used generated content, cioè il contenuto generato dall’utente. Facebook non esisterebbe se i singoli utenti non inserissero dei contenuti che sono, tutto sommato, delle testimonianze. Il contenuto comunicato non è più qualcosa di oggettivo, nel senso di separato e indipendente, ma rimane è strettamente legato a chi lo immette. Un contenuto immesso in un social network è sistematicamente una testimonianza».

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Risposte di Benedetto XVI nel volo verso Lisbona
LISBONA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo la trascrizione dell'intervista rilasciata da Benedetto XVI questo martedì durante il volo verso Lisbona.



* * *



Padre Lombardi: Santità, quali preoccupazioni e sentimenti porta con sé sulla situazione della Chiesa in Portogallo? Che cosa si può dire al Portogallo, in passato profondamente cattolico e portatore della fede nel mondo, ma oggi in via di profonda secolarizzazione, sia nella vita quotidiana, sia a livello giuridico e culturale? Come annunciare la fede in un contesto indifferente e ostile alla Chiesa?

Papa: Innanzitutto buona giornata a voi tutti e ci auguriamo buon viaggio, nonostante la famosa nuvola sotto la quale siamo. Quanto al Portogallo, provo soprattutto sentimenti di gioia, di gratitudine per quanto ha fatto e fa questo Paese nel mondo e nella storia e per la profonda umanità di questo popolo, che ho potuto conoscere in una visita e con tanti amici portoghesi. Direi che è vero, verissimo che il Portogallo è stato una grande forza della fede cattolica, ha portato questa fede in tutte le parti del mondo; una fede coraggiosa, intelligente e creativa; ha saputo creare grande cultura, lo vediamo in Brasile, nello stesso Portogallo, ma anche la presenza dello spirito portoghese in Africa, in Asia. E d’altra parte la presenza del secolarismo non è una cosa del tutto nuova. La dialettica tra secolarismo e fede in Portogallo ha una lunga storia. Già nel ’700 c’è una forte presenza dell’Illuminismo, basti pensare al nome Pombal. Così vediamo che in questi secoli il Portogallo ha vissuto sempre nella dialettica, che naturalmente oggi si è radicalizzata e si mostra con tutti i segni dello spirito europeo di oggi. E questa mi sembra una sfida e anche una grande possibilità. In questi secoli di dialettica tra illuminismo, secolarismo e fede, non mancavano mai persone che volevano creare dei ponti e creare un dialogo, ma purtroppo la tendenza dominante fu quella della contrarietà e dell’esclusione l’uno dell’altro. Oggi vediamo che proprio questa dialettica è una chance, che dobbiamo trovare la sintesi e un foriero e profondo dialogo. Nella situazione multiculturale nella quale siamo tutti, si vede che una cultura europea che fosse solo razionalista non avrebbe la dimensione religiosa trascendente, non sarebbe in grado di entrare in dialogo con le grandi culture dell’umanità, che hanno tutte questa dimensione religiosa trascendente, che è una dimensione dell’essere umano. E quindi pensare che ci sarebbe una ragione pura, anti-storica, solo esistente in se stessa e che sarebbe questa "la" ragione, è un errore; scopriamo sempre più che tocca solo una parte dell’uomo, esprime una certa situazione storica, non è la ragione come tale. La ragione come tale è aperta alla trascendenza e solo nell’incontro tra la realtà trascendente e la fede e la ragione l’uomo trova se stesso. Quindi penso che proprio il compito e la missione dell’Europa in questa situazione è trovare questo dialogo, integrare fede e razionalità moderna in un'unica visione antropologica, che completa l’essere umano e rende così anche comunicabili le culture umane. Perciò direi che la presenza del secolarismo è una cosa normale, ma la separazione, la contrarietà tra secolarismo e cultura della fede è anomala e deve essere superata. La grande sfida di questo momento è che i due si incontrino e così trovino la loro vera identità. Questa, come ho detto, è una missione dell’Europa e la necessità umana in questa nostra storia.

Padre Lombardi: Grazie, Santità, e continuiamo allora sul tema dell’Europa. La crisi economica si è recentemente aggravata in Europa e coinvolge in particolare anche il Portogallo. Alcuni leaders europei pensano che il futuro dell’Unione Europea sia a rischio. Quali lezioni imparare da questa crisi, anche sul piano etico e morale? Quali le chiavi per consolidare l’unità e la cooperazione dei Paesi europei in futuro?

Papa: Direi che proprio questa crisi economica, con la sua componente morale, che nessuno può non vedere, sia un caso di applicazione, di concretizzazione di quanto avevo detto prima, cioè che due correnti culturali separate devono incontrarsi, altrimenti non troviamo la strada verso il futuro. Anche qui vediamo un dualismo falso, cioè un positivismo economico che pensa di potersi realizzare senza la componente etica, un mercato che è sarebbe regolato solo da se stesso, dalle pure forze economiche, dalla razionalità positivista e pragmatista dell’economia - l’etica sarebbe qualcosa d’altro, estranea a questo. In realtà, vediamo adesso che un puro pragmatismo economico, che prescinde dalla realtà dell’uomo - che è un essere etico -, non finisce positivamente, ma crea problemi irresolubili. Perciò, adesso è il momento di vedere che l’etica non è una cosa esterna, ma interna alla razionalità e al pragmatismo economico. D’altra parte, dobbiamo anche confessare che la fede cattolica, cristiana, spesso era troppo individualistica, lasciava le cose concrete, economiche al mondo e pensava solo alla salvezza individuale, agli atti religiosi, senza vedere che questi implicano una responsabilità globale, una responsabilità per il mondo. Quindi, anche qui dobbiamo entrare in un dialogo concreto. Ho cercato nella mia enciclica "Caritas in veritate" - e tutta la tradizione della Dottrina sociale della Chiesa va in questo senso - di allargare l’aspetto etico e della fede al di sopra dell’individuo, alla responsabilità verso il mondo, ad una razionalità "performata" dall’etica. D’altra parte, gli ultimi avvenimenti sul mercato, in questi ultimi due, tre anni, hanno mostrato che la dimensione etica è interna e deve entrare nell’interno dell’agire economico, perché l’uomo è uno, e si tratta dell’uomo, di un’antropologia sana, che implica tutto, e solo così si risolve il problema, solo così l’Europa svolge e realizza la sua missione.

Padre Lombardi: Grazie, e ora veniamo a Fatima, dove sarà un po’ il culmine anche spirituale di questo viaggio. Santità, quale significato hanno oggi per noi le Apparizioni di Fatima? E quando Lei presentò il testo del terzo segreto nella Sala Stampa Vaticana, nel giugno 2000, c’erano diversi di noi e altri colleghi di allora, Le fu chiesto se il messaggio poteva essere esteso, al di là dell’attentato a Giovanni Paolo II, anche alle altre sofferenze dei Papi. E’ possibile, secondo Lei, inquadrare anche in quella visione le sofferenze della Chiesa di oggi, per i peccati degli abusi sessuali sui minori?

Papa: Innanzitutto vorrei esprimere la mia gioia di andare a Fatima, di pregare davanti alla Madonna di Fatima, che per noi è un segno della presenza della fede, che proprio dai piccoli nasce una nuova forza della fede, che non si riduce ai piccoli, ma che ha un messaggio per tutto il mondo e tocca la storia proprio nel suo presente e illumina questa storia. Nel 2000, nella presentazione, avevo detto che un’apparizione, cioè un impulso soprannaturale, che non viene solo dall’immaginazione della persona, ma in realtà dalla Vergine Maria, dal soprannaturale, che un tale impulso entra in un soggetto e si esprime nelle possibilità del soggetto. Il soggetto è determinato dalle sue condizioni storiche, personali, temperamentali, e quindi traduce il grande impulso soprannaturale nelle sue possibilità di vedere, di immaginare, di esprimere, ma in queste espressioni, formate dal soggetto, si nasconde un contenuto che va oltre, più profondo, e solo nel corso della storia possiamo vedere tutta la profondità, che era - diciamo – "vestita" in questa visione possibile alle persone concrete. Così direi, anche qui, oltre questa grande visione della sofferenza del Papa, che possiamo in prima istanza riferire a Papa Giovanni Paolo II, sono indicate realtà del futuro della Chiesa che man mano si sviluppano e si mostrano. Perciò è vero che oltre il momento indicato nella visione, si parla, si vede la necessità di una passione della Chiesa, che naturalmente si riflette nella persona del Papa, ma il Papa sta per la Chiesa e quindi sono sofferenze della Chiesa che si annunciano. Il Signore ci ha detto che la Chiesa sarebbe stata sempre sofferente, in modi diversi, fino alla fine del mondo. L’importante è che il messaggio, la risposta di Fatima, sostanzialmente non va a devozioni particolari, ma proprio alla risposta fondamentale, cioè conversione permanente, penitenza, preghiera, e le tre virtù teologali: fede, speranza e carità. Così vediamo qui la vera e fondamentale risposta che la Chiesa deve dare, che noi, ogni singolo, dobbiamo dare in questa situazione. Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio, vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa e che la Chiesa quindi ha profondo bisogno di ri-imparare la penitenza, di accettare la purificazione, di imparare da una parte il perdono, ma anche la necessità della giustizia. Il perdono non sostituisce la giustizia. Con una parola, dobbiamo ri-imparare proprio questo essenziale: la conversione, la preghiera, la penitenza e le virtù teologali. Così rispondiamo, siamo realisti nell’attenderci che sempre il male attacca, attacca dall’interno e dall’esterno, ma che sempre anche le forze del bene sono presenti e che, alla fine, il Signore è più forte del male, e la Madonna per noi è la garanzia visibile, materna della bontà di Dio, che è sempre l’ultima parola nella storia.

Padre Lombardi: Grazie, Santità, della chiarezza, della profondità delle sue risposte e di questa parola di speranza conclusiva che ci ha dato. Noi le auguriamo veramente di poter svolgere serenamente questo viaggio così impegnativo e di poterlo vivere anche con tutta la gioia e la profondità spirituale che l’incontro con il mistero di Fatima ci ispira. Buon viaggio a Lei e noi cercheremo di fare bene il nostro servizio e di diffondere obiettivamente quello che Lei farà.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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Discorso del Papa nell'incontro con il mondo della cultura portoghese
LISBONA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI questo mercoledì mattina incontrando il mondo della cultura nel Centro Culturale di Belém di Lisbona.



* * *


Venerati Fratelli nell’Episcopato,

Distinte Autorità,

Illustri Cultori del Pensiero, della Scienza e dell’Arte,

Cari amici,

Sento una grande gioia nel vedere qui radunato l’insieme multiforme della cultura portoghese, che voi così degnamente rappresentate: Donne e uomini impegnati nella ricerca e costruzione dei diversi saperi. A tutti rivolgo l’espressione della mia più alta amicizia e considerazione, riconoscendo l’importanza di ciò che voi fate e di ciò che siete. Il Governo, qui rappresentato dalla Signora Ministro della Cultura, alla quale rivolgo il mio deferente e grato saluto, pensa, con benemerito sostegno, alle priorità nazionali del mondo della cultura. Ringrazio tutti coloro che hanno reso possibile questo nostro incontro, in particolare la Commissione Episcopale della Cultura con il suo Presidente, Mons. Manuel Clemente, a cui sono grato per le espressioni di cordiale accoglienza e la presentazione della polifonica realtà della cultura portoghese, qui rappresentata da alcuni dei suoi migliori protagonisti; dei loro sentimenti e delle loro attese si è fatto portavoce il cineasta Manoel de Oliveira, di veneranda età e carriera, al quale va il mio saluto pieno di ammirazione e affetto nonché di viva riconoscenza per le parole che mi ha rivolto, lasciando intravedere in esse le ansie e le disposizioni dell’anima portoghese in mezzo alle turbolenze della società di oggi.

Infatti, oggi la cultura riflette una «tensione», che alle volte prende forme di «conflitto», fra il presente e la tradizione. La dinamica della società assolutizza il presente, staccandolo dal patrimonio culturale del passato e senza l’intenzione di delineare un futuro. Tale valorizzazione però del «presente» quale fonte ispiratrice del senso della vita, sia individuale che sociale, si scontra con la forte tradizione culturale del Popolo portoghese, profondamente segnata dal millenario influsso del cristianesimo e con un senso di responsabilità globale; essa si è affermata nell’avventura delle scoperte e nello zelo missionario, condividendo il dono della fede con altri popoli. L’ideale cristiano dell’universalità e della fraternità aveva ispirato quest’avventura comune, anche se gli influssi dell’illuminismo e del laicismo si erano fatti sentire. Detta tradizione ha dato origine a ciò che possiamo chiamare una «sapienza», cioè, un senso della vita e della storia di cui facevano parte un universo etico e un «ideale» da adempiere da parte del Portogallo, il quale ha sempre cercato di stabilire rapporti con il resto del mondo.

La Chiesa appare come la grande paladina di una sana ed alta tradizione, il cui ricco contributo colloca al servizio della società; questa continua a rispettarne e apprezzarne il servizio per il bene comune, ma si allontana dalla citata «sapienza» che fa parte del suo patrimonio. Questo «conflitto» fra la tradizione e il presente si esprime nella crisi della verità, ma unicamente questa può orientare e tracciare il sentiero di una esistenza riuscita, sia come individuo che come popolo. Infatti un popolo, che smette di sapere quale sia la propria verità, finisce perduto nei labirinti del tempo e della storia, privo di valori chiaramente definiti e senza grandi scopi chiaramente enunciati. Cari amici, c’è tutto uno sforzo di apprendimento da fare circa la forma in cui la Chiesa si situa nel mondo, aiutando la società a capire che l’annuncio della verità è un servizio che Essa offre alla società, aprendo nuovi orizzonti di futuro, di grandezza e dignità. In effetti, la Chiesa ha «una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione. […] La fedeltà all’uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà (cfr Gv 8,32) e della possibilità di un sviluppo umano integrale. Per questo la Chiesa la ricerca, l’annunzia instancabilmente e la riconosce ovunque essa si palesi. Questa missione di verità è per la Chiesa irrinunciabile» (Enc. Caritas in veritate, 9). Per una società formata in maggioranza da cattolici e la cui cultura è stata profondamente segnata dal cristianesimo, si rivela drammatico il tentativo di trovare la verità al di fuori di Gesù Cristo. Per noi, cristiani, la Verità è divina; è il «Logos» eterno, che ha acquisito espressione umana in Gesù Cristo, il qual ha potuto affermare con oggettività: «Io sono la verità» (Gv 14,6). La convivenza della Chiesa, nella sua ferma adesione al carattere perenne della verità, con il rispetto per altre «verità», o con la verità degli altri, è un apprendistato che la Chiesa stessa sta facendo. In questo rispetto dialogante si possono aprire nuove porte alla trasmissione della verità.

«La Chiesa – scriveva il Papa Paolo VI – deve venire a dialogo con il mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola, la Chiesa si fa messaggio, la Chiesa si fa dialogo» (Enc. Ecclesiam suam, 67). Infatti, il dialogo senza ambiguità e rispettoso delle parti in esso coinvolte è oggi una priorità nel mondo, alla quale la Chiesa non intende sottrarsi. Ne dà testimonianza proprio la presenza della Santa Sede in diversi organismi internazionali, come, per esempio, nel Centro Nordsud del Consiglio dell’Europa, istituito 20 anni fa qui a Lisbona, che ha come pietra angolare il dialogo interculturale allo scopo di promuovere la cooperazione fra l’Europa, il sud del Mediterraneo e l’Africa e di costruire una cittadinanza mondiale fondata sui diritti umani e le responsabilità dei cittadini, indipendentemente dalla loro origine etnica e appartenenza politica, e rispettosa delle credenze religiose. Costatata la diversità culturale, bisogna far sì che le persone non solo accettino l’esistenza della cultura dell’altro, ma aspirino anche a venire arricchite da essa e ad offrirle ciò che si possiede di bene, di vero e di bello.

Questa è un’ora che richiede il meglio delle nostre forze, audacia profetica, rinnovata capacità per «additare nuovi mondi al mondo», come direbbe il vostro Poeta nazionale (Luigi di Camões, Os Lusíades, II, 45). Voi, operatori della cultura in ogni sua forma, creatori di pensiero e di opinione, «avete, grazie al vostro talento, la possibilità di parlare al cuore dell’umanità, di toccare la sensibilità individuale e collettiva, di suscitare sogni e speranze, di ampliare gli orizzonti della conoscenza e dell’impegno umano. […] E non abbiate paura di confrontarvi con la sorgente prima e ultima della bellezza, di dialogare con i credenti, con chi come voi, si sente pellegrino nel mondo e nella storia verso la Bellezza infinita» (Discorso agli artisti, 21 novembre 2009).

Proprio con lo scopo di «mettere il mondo moderno in contatto con le energie vivificanti e perenni del Vangelo» (Giovanni XXIII, Cost. ap. Humanae salutis, 3), si è realizzato il Concilio Vaticano II, nel quale la Chiesa, partendo da una rinnovata consapevolezza della tradizione cattolica, prende sul serio e discerne, trasfigura e supera le critiche che sono alla base delle forze che hanno caratterizzato la modernità, ossia la Riforma e l’Illuminismo. Così da sé stessa la Chiesa accoglieva e ricreava il meglio delle istanze della modernità, da un lato superandole e, dall’altro evitando i suoi errori e vicoli senza uscita. L’evento conciliare ha messo i presupposti per un autentico rinnovamento cattolico e per una nuova civiltà – la «civiltà dell’amore» - come servizio evangelico all’uomo e alla società.

Cari amici, la Chiesa ritiene come sua missione prioritaria, nella cultura attuale, tenere sveglia la ricerca della verità e, conseguentemente, di Dio; portare le persone a guardare oltre le cose penultime e mettersi alla ricerca delle ultime. Vi invito ad approfondire la conoscenza di Dio così come Egli si è rivelato in Gesù Cristo per la nostra piena realizzazione. Fate cose belle, ma soprattutto fate diventare le vostre vite luoghi di bellezza. Interceda per voi Santa Maria di Betlemme, da secoli venerata dai navigatori dell’oceano e oggi dai navigatori del Bene, della Verità e della Bellezza.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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Preghiera del Papa nella Cappellina delle Apparizioni di Fatima
FATIMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo della preghiera che Benedetto XVI ha pronunciato questo mercoledì pomeriggio nella Cappellina delle Apparizioni del Santuario di Nostra Signora di Fatima, inginocchiato davanti all'immagine della Madonna.





* * *

Santo Padre:

Signora Nostra

e Madre di tutti gli uomini e le donne,

eccomi come un figlio

che viene a visitare sua Madre

e lo fa in compagnia

di una moltitudine di fratelli e sorelle.

Come successore di Pietro,

a cui fu affidata la missione

di presiedere al servizio

della carità nella Chiesa di Cristo

e di confermare tutti nella fede

e nella speranza,

voglio presentare al tuo

Cuore Immacolato

le gioie e le speranze

nonché i problemi e le sofferenze

di ognuno di questi tuoi figli e figlie

che si trovano nella Cova di Iria

oppure ci accompagnano da lontano.

Madre amabilissima,

tu conosci ciascuno per il suo nome,

con il suo volto e la sua storia,

e a tutti vuoi bene

con la benevolenza materna

che sgorga dal cuore stesso di Dio Amore.

Tutti affido e consacro a te,

Maria Santissima,

Madre di Dio e nostra Madre.


Cantori e assemblea
: Noi ti cantiamo e acclamiamo, Maria (v.1)


Santo Padre
:

Il Venerabile Papa Giovanni Paolo II,

che ti ha visitato per tre volte, qui a Fatima,

e ha ringraziato quella «mano invisibile»

che lo ha liberato dalla morte

nell’attentato del tredici maggio,

in Piazza San Pietro, quasi trenta anni fa,

ha voluto offrire al Santuario di Fatima

un proiettile che lo ha ferito gravemente

e fu posto nella tua corona di Regina della Pace.

È di profonda consolazione

sapere che tu sei coronata

non soltanto con l’argento

e l’oro delle nostre gioie e speranze,

ma anche con il «proiettile»

delle nostre preoccupazioni e sofferenze.

Ringrazio, Madre diletta,

le preghiere e i sacrifici

che i Pastorelli

di Fatima facevano per il Papa,

condotti dai sentimenti

che tu hai ispirato loro nelle apparizioni.

Ringrazio anche tutti coloro che,

ogni giorno,

pregano per il Successore di Pietro

e per le sue intenzioni

affinché il Papa sia forte nella fede,

audace nella speranza e zelante nell’amore.


Cantori e assemblea
: Noi ti cantiamo e acclamiamo, Maria (v.2)


Santo Padre
:

Madre diletta di tutti noi,

consegno qui nel tuo Santuario di Fatima,

la Rosa d’Oro

che ho portato da Roma,

come omaggio di gratitudine del Papa

per le meraviglie che l’Onnipotente

ha compiuto per mezzo di te

nei cuori di tanti che vengono pellegrini

a questa tua casa materna.

Sono sicuro che i Pastorelli di Fatima

i Beati Francesco e Giacinta

e la Serva di Dio Lucia di Gesù

ci accompagnano in quest’ora di supplica e di giubilo.


Cantori e assemblea
: Noi ti cantiamo e acclamiamo, Maria (v.5)




[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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Omelia del Papa per i Vespri con sacerdoti e religiosi a Fatima
FATIMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell'omelia pronunciata da Benedetto XVI questo mercoledì pomeriggio presiedendo la celebrazione dei Vespri con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i diaconi nella Chiesa della Santissima Trinità di Fatima.



* * *



Cari fratelli e sorelle,

«Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna […] perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4, 4.5). La pienezza del tempo è arrivata, quando l’Eterno irruppe nel tempo; per opera e grazia dello Spirito Santo, il Figlio dell’Altissimo fu concepito e si fece uomo nel seno di una donna: La Vergine Madre, tipo e modello eccelso della Chiesa credente. Essa non smette di generare nuovi figli nel Figlio, che il Padre ha voluto come primogenito di molti fratelli. Ognuno di noi è chiamato ad essere, con Maria e come Maria, un segno umile e semplice della Chiesa che continuamente si offre come sposa nelle mani del suo Signore.

A tutti voi che avete donato la vita a Cristo, desidero, questa sera, esprimere l’apprezzamento e la riconoscenza ecclesiale. Grazie per la vostra testimonianza spesso silenziosa e per niente facile; grazie per la vostra fedeltà al Vangelo e alla Chiesa. In Gesù presente nell’Eucaristia, abbraccio i miei fratelli nel sacerdozio e i diaconi, le consacrate e i consacrati, i seminaristi e i membri dei movimenti e delle nuove comunità ecclesiali qui presenti. Voglia il Signore ricompensare, come soltanto Lui sa e può fare, quanti hanno reso possibile trovarci qui presso Gesù Eucaristia, in particolare alla Commissione Episcopale per le Vocazioni e i Ministeri con il suo Presidente, Mons. Antonio Santos, che ringrazio per le parole piene di affetto collegiale e fraterno pronunciate all’inizio dei Vespri. In questo ideale «cenacolo» di fede che è Fatima, la Vergine Madre ci indica la via per la nostra oblazione pura e santa nelle mani del Padre.

Permettetemi di aprirvi il cuore per dirvi che la principale preoccupazione di ogni cristiano, specialmente della persona consacrata e del ministro dell’Altare, dev’essere la fedeltà, la lealtà alla propria vocazione, come discepolo che vuole seguire il Signore. La fedeltà nel tempo è il nome dell’amore; di un amore coerente, vero e profondo a Cristo Sacerdote. «Se il battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio attraverso l’inserimento in Cristo e l’inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalista e di una religiosità superficiale» (Giovanni Paolo II, Lettera ap. Novo millennio ineunte, 31). In quest’Anno Sacerdotale che volge al termine, scenda su tutti voi una grazia abbondante perché viviate la gioia della consacrazione e testimoniate la fedeltà sacerdotale fondata sulla fedeltà di Cristo. Ciò suppone evidentemente una vera intimità con Cristo nella preghiera, poiché sarà l’esperienza forte ed intensa dell’amore del Signore che dovrà portare i sacerdoti e i consacrati a corrispondere in un modo esclusivo e sponsale al suo amore.

Questa vita di speciale consacrazione è nata come memoria evangelica per il popolo di Dio, memoria che manifesta, certifica e annuncia all’intera Chiesa la radicalità evangelica e la venuta del Regno. Ebbene, cari consacrati e consacrate, con il vostro impegno nella preghiera, nell’ascesi, nello sviluppo della vita spirituale, nell’azione apostolica e nella missione, tendete verso la Gerusalemme celeste, anticipate la Chiesa escatologica, salda nel possesso e nell’amorevole contemplazione del Dio Amore. Quanto grande è oggi il bisogno di questa testimonianza! Molti dei nostri fratelli vivono come se non ci fosse un Aldilà, senza preoccuparsi della propria salvezza eterna. Gli uomini sono chiamati ad aderire alla conoscenza e all’amore di Dio, e la Chiesa ha la missione di aiutarli in questa vocazione. Sappiamo bene che Dio è padrone dei suoi doni; e la conversione degli uomini è grazia. Ma siamo responsabili dall’annuncio della fede, della totalità della fede e delle sue esigenze. Cari amici, imitiamo il Curato d’Ars che così pregava il buon Dio: «Concedimi la conversione della mia parrocchia, e io accetto di soffrire tutto ciò che Tu vuoi per il resto della vita». E tutto ha fatto per strappare le persone alla propria tiepidezza per ricondurle all’amore.

C’è una solidarietà profonda fra tutti i membri del Corpo di Cristo: non è possibile amarlo senza amare i suoi fratelli. Fu per la salvezza di essi che Giovanni Maria Vianney ha voluto essere sacerdote: «Guadagnare le anime per il buon Dio» dichiarava nell’annunciare la sua vocazione a diciotto anni d’età, così come Paolo diceva: «Guadagnare il maggior numero» (1 Cor 9,19). Il Vicario generale gli aveva detto: «Non c’è molto amore di Dio nella parrocchia, voi lo introdurrete». E, nella sua passione sacerdotale, il santo parroco era misericordioso come Gesù nell’incontro con ogni peccatore. Preferiva insistere sull’aspetto affascinante della virtù, sulla misericordia di Dio al cui cospetto i nostri peccati sono «grani di sabbia». Presentava la tenerezza di Dio offesa. Temeva che i sacerdoti diventassero «insensibili» e si abituassero all’indifferenza dei loro fedeli: «Guai al Pastore – ammoniva – che rimane zitto vedendo Dio oltraggiato e le anime perdersi».

Amati fratelli sacerdoti, in questo luogo che Maria ha reso tanto speciale, avendo davanti agli occhi la sua vocazione di discepola fedele del Figlio Gesù dal concepimento alla Croce e poi nel cammino della Chiesa nascente, considerate la grazia inaudita del vostro sacerdozio. La fedeltà alla propria vocazione esige coraggio e fiducia, ma il Signore vuole anche che sappiate unire le vostre forze; siate solleciti gli uni verso gli altri, sostenendovi fraternamente. I momenti di preghiera e di studio in comune, la condivisione delle esigenze della vita e del lavoro sacerdotale sono una parte necessaria della vostra vita. Come è meraviglioso quando vi accogliete vicendevolmente nelle vostre case, con la pace di Cristo nei vostri cuori! Come è importante aiutarvi a vicenda per mezzo della preghiera e con utili consigli e discernimenti! Riservate particolare attenzione alle situazioni di un certo indebolimento degli ideali sacerdotali oppure al fatto di dedicarsi ad attività che non si accordano integralmente con ciò che è proprio di un ministro di Gesù Cristo. Quindi è il momento di assumere, insieme con il calore della fraternità, il fermo atteggiamento del fratello che aiuta il proprio fratello a "restare in piedi".

Sebbene il sacerdozio di Cristo sia eterno (cfr Eb 5,6), la vita dei sacerdoti è limitata. Cristo vuole che altri perpetuino lungo il tempo il sacerdozio ministeriale da Lui istituito. Perciò mantenette, nel vostro intimo e intorno a voi, l’ansia di suscitare – assecondando la grazia dello Spirito Santo – nuove vocazioni sacerdotali tra i fedeli. La preghiera fiduciosa e perseverante, l’amore gioioso alla propria vocazione e un dedicato lavoro di direzione spirituale vi consentiranno di discernere il carisma vocazionale in coloro che sono chiamati da Dio.

Cari seminaristi, che avete già fatto il primo passo verso il sacerdozio e vi state preparando nel Seminario Maggiore oppure nelle Case di Formazione Religiosa, il Papa vi incoraggia ad essere consapevoli della grande responsabilità che dovrete assumere: verificate bene le intenzioni e le motivazioni; dedicatevi con animo forte e spirito generoso alla vostra formazione. L’Eucaristia, centro della vita del cristiano e scuola di umiltà e di servizio, dev’essere l’oggetto principale del vostro amore. L’adorazione, la pietà e la cura del Santissimo Sacramento, lungo questi anni di preparazione, faranno sì che un giorno celebriate il sacrificio dell’Altare con edificante e vera unzione.

In questo cammino di fedeltà, amati sacerdoti e diaconi, consacrati e consacrate, seminaristi e laici impegnati, ci guida e accompagna la Beata Vergine Maria. Con Lei e come Lei siamo liberi per essere santi; liberi per essere poveri, casti e obbedienti; liberi per tutti, perché staccati da tutto; liberi da noi stessi affinché in ognuno cresca Cristo, il vero consacrato del Padre e il Pastore al quale i sacerdoti prestano la voce e i gesti, essendo sua presenza; liberi per portare all’odierna società Gesù morto e risorto, che rimane con noi sino alla fine dei secoli e a tutti si dona nella Santissima Eucaristia.

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Atto di affidamento e consacrazione dei sacerdoti al Cuore Immacolato di Maria
Preghiera del Papa nella chiesa della Santissima Trinità di Fatima

FATIMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo della preghiera pronunciata dal Santo Padre Benedetto XVI in occasione dell'Atto di affidamento e consacrazione dei sacerdoti al Cuore Immacolato di Maria, questo mercoledì nella chiesa della Santissima Trinità di Fatima.

* * *

Madre Immacolata,
in questo luogo di grazia,
convocati dall'amore del Figlio tuo Gesù,
Sommo ed Eterno Sacerdote, noi,
figli nel Figlio e suoi sacerdoti,
ci consacriamo al tuo Cuore materno,
per compiere con fedeltà la Volontà del Padre.

Siamo consapevoli che, senza Gesù,
non possiamo fare nulla di buono (cfr Gv 15,5)
e che, solo per Lui, con Lui ed in Lui,
saremo per il mondo
strumenti di salvezza.

Sposa dello Spirito Santo,
ottienici l'inestimabile dono
della trasformazione in Cristo.
Per la stessa potenza dello Spirito che,
estendendo su di Te la sua ombra,
ti rese Madre del Salvatore,
aiutaci affinché Cristo, tuo Figlio,
nasca anche in noi.
Possa così la Chiesa
essere rinnovata da santi sacerdoti,
trasfigurati dalla grazia di Colui
che fa nuove tutte le cose.

Madre di Misericordia,
è stato il tuo Figlio Gesù che ci ha chiamati
a diventare come Lui:
luce del mondo e sale della terra
(cfr Mt 5, 13-14).

Aiutaci,
con la tua potente intercessione,
a non venir mai meno a questa sublime vocazione,
a non cedere ai nostri egoismi,
alle lusinghe del mondo
ed alle suggestioni del Maligno.

Preservaci con la tua purezza,
custodiscici con la tua umiltà
e avvolgici col tuo amore materno,
che si riflette in tante anime
a te consacrate
diventate per noi
autentiche madri spirituali.

Madre della Chiesa,
noi, sacerdoti,
vogliamo essere pastori
che non pascolano se stessi,
ma si donano a Dio per i fratelli,
trovando in questo la loro felicità.
Non solo a parole, ma con la vita,
vogliamo ripetere umilmente,
giorno per giorno,
il nostro "eccomi".

Guidati da te,
vogliamo essere Apostoli
della Divina Misericordia,
lieti di celebrare ogni giorno
il Santo Sacrificio dell'Altare
e di offrire a quanti ce lo chiedono
il sacramento della Riconciliazione.

Avvocata e Mediatrice della grazia,
tu che sei tutta immersa
nell'unica mediazione universale di Cristo,
invoca da Dio, per noi,
un cuore completamente rinnovato,
che ami Dio con tutte le proprie forze
e serva l'umanità come hai fatto tu.

Ripeti al Signore
l'efficace tua parola:
"non hanno più vino" (Gv 2,3),
affinché il Padre e il Figlio riversino su di noi,
come in una nuova effusione,
lo Spirito Santo.

Pieno di stupore e di gratitudine
per la tua continua presenza in mezzo a noi,
a nome di tutti i sacerdoti,
anch'io voglio esclamare:
"a che cosa devo che la Madre del mio Signore
venga a me?" (Lc 1,43)

Madre nostra da sempre,
non ti stancare di "visitarci",
di consolarci, di sostenerci.
Vieni in nostro soccorso
e liberaci da ogni pericolo
che incombe su di noi.
Con questo atto di affidamento e di consacrazione,
vogliamo accoglierti in modo
più profondo e radicale,
per sempre e totalmente,
nella nostra esistenza umana e sacerdotale.

La tua presenza faccia rifiorire il deserto
delle nostre solitudini e brillare il sole
sulle nostre oscurità,
faccia tornare la calma dopo la tempesta,
affinché ogni uomo veda la salvezza
del Signore,
che ha il nome e il volto di Gesù,
riflesso nei nostri cuori,
per sempre uniti al tuo!

Così sia!

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]



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Discorso del Papa in occasione della recita del Rosario a Fatima
FATIMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo il discorso che il Papa ha rivolto ai fedeli presenti sulla spianata del Santuario di Fatima per la recita del Rosario questo mercoledì sera.



* * *

Cari pellegrini,

tutti voi insieme, con la candela accesa in mano, sembrate un mare di luce intorno a questa semplice cappella, eretta premurosamente in onore della Madre di Dio e Madre nostra, la cui via di ritorno dalla terra al cielo era apparsa ai pastorelli come una striscia di luce. Però sia Maria che noi stessi non godiamo di luce propria: la riceviamo da Gesù. La presenza di Lui in noi rinnova il mistero e il richiamo del roveto ardente, quello che un tempo sul monte Sinai ha attirato Mosè e non smette di affascinare quanti si rendono conto di una luce speciale in noi che arde però senza consumarci (cfrEs 3,2-5). Da noi stessi non siamo che un misero roveto, sul quale però è scesa la gloria di Dio. A Lui dunque sia ogni gloria, a noi l’umile confessione del nostro niente e la sommessa adorazione dei disegni divini, che verranno adempiuti quando «Dio sarà tutto in tutti» (cfr 1 Cor 15,28). Serva incomparabile di tali disegni è la Vergine piena di grazia: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).

Cari pellegrini, imitiamo Maria, facendo risuonare nella nostra vita il suo «avvenga per me»! A Mosè, Dio aveva ordinato: «Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è un suolo santo» (Es 3,5). E così ha fatto; calzerà nuovamente i sandali per andare a liberare il suo popolo dalla schiavitù d’Egitto e guidarlo alla terra promessa. Non si tratta qui semplicemente del possesso di un appezzamento di terreno o di quel territorio nazionale a cui ogni popolo ha diritto; infatti, nella lotta per la liberazione d’Israele e durante il suo esodo dall’Egitto, ciò che appare evidenziato è soprattutto il diritto alla libertà di adorazione, alla libertà di un culto proprio. Quindi lungo il corso della storia del popolo eletto, la promessa della terra va assumendo sempre di più questo significato: la terra è donata perché ci sia un luogo dell’obbedienza, affinché ci sia uno spazio aperto a Dio.

Nel nostro tempo, in cui la fede in ampie regioni della terra, rischia di spegnersi come una fiamma che non viene più alimentata, la priorità al di sopra di tutte è rendere Dio presente in questo mondo ed aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un dio qualsiasi, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore portato fino alla fine (cfr Gv 13, 1), in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Cari fratelli e sorelle, adorate Cristo Signore nei vostri cuori (cfr 1 Pt 3, 15)! Non abbiate paura di parlare di Dio e di manifestare senza vergogna i segni della fede, facendo risplendere agli occhi dei vostri contemporanei la luce di Cristo, come canta la Chiesa nella notte della Veglia Pasquale che genera l’umanità come famiglia di Dio.

Fratelli e sorelle, in questo luogo stupisce osservare come tre bambini si sono arresi alla forza interiore che li ha invasi nelle apparizioni dell’Angelo e della Madre del Cielo. Qui, dove tante volte ci è stato chiesto di recitare il Rosario, lasciamoci attrarre dai misteri di Cristo, i misteri del Rosario di Maria. La recita del rosario ci consente di fissare il nostro sguardo e il nostro cuore in Gesù, come faceva sua Madre, modello insuperabile della contemplazione del Figlio. Nel meditare i misteri gaudiosi, luminosi, dolorosi e gloriosi mentre recitiamo le «Ave Maria», contempliamo l’intero mistero di Gesù, dall’Incarnazione fino alla Croce e alla gloria della Risurrezione; contempliamo l’intima partecipazione di Maria a questo mistero e la nostra vita in Cristo oggi, che pure si presenta tessuta di momenti di gioia e di dolore, di ombre e di luce, di trepidazione e di speranza. La grazia invade il nostro cuore suscitando il desiderio di un incisivo ed evangelico cambiamento di vita in modo da poter dire con san Paolo: «Per me il vivere è Cristo» (Fil 1,21), in una comunione di vita e destino con Cristo.

Sento che mi accompagnano la devozione e l’affetto dei fedeli qui convenuti e del mondo intero. Porto con me le preoccupazioni e le attese di questo nostro tempo e le sofferenze dell’umanità ferita, i problemi del mondo, e vengo a deporli ai piedi della Madonna di Fatima: Vergine Madre di Dio e nostra Madre carissima, intercedi per noi presso il tuo Figlio perché tutte le famiglie dei popoli, sia quelle che si distinguono con il nome cristiano, sia quelle che ignorano ancora il loro Salvatore, vivano in pace e concordia fino a ricongiungersi in un solo popolo di Dio a gloria della santissima e indivisibile Trinità. Amen.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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Card. Bertone: "Per entrare nel regno, dobbiamo farci umili"
Nel presiedere la Messa sul sagrato del Santuario di Fatima

FATIMA, mercoledì, 12 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata questo mercoledì sera dal Card. Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, nel presiedere la celebrazione eucaristica per la Veglia della Solennità della Beata Vergine di Fatima sul sagrato del Santuario di Fatima.

 



* * *

Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,

Amati Fratelli e Sorelle nel Signore,

Cari pellegrini di Fatima!


Dice Gesù: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3). Per entrare nel regno, dobbiamo farci umili, sempre di più umili e piccoli, piccoli il più possibile: questo è il segreto della vita mistica. Un serio avvio della vita spirituale ha inizio quando una persona fa un autentico atto di umiltà, lasciando la difficile posizione di chi si ritiene sempre il centro dell'universo per abbandonarsi nelle braccia del mistero di Dio, con un'anima da bambino.

Nelle braccia del mistero di Dio! In Lui, non c'è soltanto potenza, scienza, maestà, c'è anche infanzia, innocenza, tenerezza infinita, perché Lui è Padre, infinitamente Padre. Non lo sapevamo prima, né potevamo saperlo; è stato necessario che ci inviasse il suo Figlio perché lo scoprissimo. Questi si è fatto bambino e così ha potuto dirci di diventare noi stessi bambini per entrare nel suo regno. Egli, che è Dio di infinita grandezza, si è fatto così piccolo e umile davanti a noi che soltanto gli occhi della fede e dei semplici Lo possono riconoscere (cfr Mt 11,25). Così ha messo in discussione l'istinto naturale di protagonismo che regna in noi: «Diventare come Dio» (cfr Gen 3,5). Ebbene! Dio è apparso sulla terra come bambino. Adesso sappiamo come è Dio: è un bambino. Bisognava vedere per credere! Egli è venuto incontro al nostro prepotente bisogno di emergere, ma ne ha invertito la direzione proponendoci di metterlo al servizio dell'amore; emergere sì, ma come il più pacifico, indulgente, generoso e servizievole di tutti: il servo e l'ultimo di tutti.

Fratelli e sorelle, questa è «la sapienza che viene dall'alto» (cfr Gc 3,17). Invece la «sapienza» del mondo esalta il successo personale e lo cerca ad ogni costo, eliminando senza scrupoli chi è considerato come ostacolo alla propria supremazia. Questo chiamano vita, ma la scia di morte, che essa lascia subito li contraddice. «Chiunque odia il proprio fratello - lo abbiamo sentito nella seconda lettura - è omicida, e voi sapete che nessun omicida ha più la vita eterna che dimora in lui» (1Gv 3,15). Soltanto chi ama il fratello possiede in se stesso la vita eterna, ossia, la presenza di Dio, il quale, per mezzo dello Spirito, comunica al credente il suo amore e lo fa partecipe del mistero della vita trinitaria. In effetti, così come un migrante in un Paese straniero, nonostante si adatti alla nuova situazione, conserva in sé - almeno nel cuore - le leggi e le abitudini del suo popolo, così anche Gesù venuto sulla terra ha portato con sé, in quanto pellegrino della Trinità, il modo di vivere della sua patria celeste che «esprime umanamente gli atteggiamenti divini della Trinità» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 470). Nel Battesimo, ognuno di noi ha rinunziato alla «sapienza» del mondo e si è rivolto verso la «sapienza dall'alto», che si è manifestata in Gesù, Maestro incomparabile nell'arte di amare (cfr 1Gv 3, 16). Donare la vita per il fratello è l'apice dell'amore, ha detto Gesù (cfr Gv 15,13); l'ha detto e l'ha fatto, comandandoci di amare come Lui (cfr Gv 15,12). Il passare dalla vita come possesso, alla vita come dono, è la grande sfida, che rivela - a noi stessi e agli altri - chi siamo e chi vogliamo essere.

L'amore fraterno e gratuito è il comandamento e la missione che il divino Maestro ci ha lasciato, in grado di convincere i nostri fratelli e sorelle in umanità: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). A volte ci lamentiamo a causa della presenza marginale del cristianesimo nella società attuale, della difficoltà nel trasmettere la fede ai giovani, della diminuzione delle vocazioni sacerdotali e religiose... e si potrebbero elencare altri motivi di preoccupazione; infatti non di rado ci sentiamo dei perdenti al cospetto del mondo. L'avventura della speranza però ci porta più lontano. Ci dice che il mondo è di chi più lo ama e meglio glielo dimostra. Nel cuore di ogni persona c'è una sete infinita d'amore; e noi, con l'amore che Dio riversa nei nostri cuori (cfr Rm 5,5), possiamo soddisfarla. Naturalmente, il nostro amore deve esprimersi «non a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità», sovvenendo gioiosamente e sollecitamente con i nostri beni alle necessità degli indigenti (cfr 1Gv 3,16-18).

Cari pellegrini e quanti mi ascoltate, «condividete con gioia, come Giacinta». Tale è il richiamo che questo Santuario ha voluto mettere in evidenza nel centenario della nascita della privilegiata veggente di Fatima. Dieci anni fa, in questo stesso luogo, il Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II l'ha innalzata alla gloria degli altari insieme al fratello Francesco; essi hanno percorso, in breve tempo, la lunga marcia verso la santità, guidati e sostenuti dalle mani della Vergine Maria. Essi sono due frutti maturi dell'albero della Croce del Salvatore. Guardando a loro, sappiamo che questa è la stagione dei frutti... frutti di santità. Vecchio tronco lusitano di linfa cristiana, con i rami estesi fino ad altri mondi e ivi sotterrati come germogli di nuovi popoli cristiani, su di te la Regina del Cielo ha poggiato il suo piede - piede vittorioso che schiaccia la testa del serpente ingannatore (cfr Gen 3,15) - alla ricerca dei piccoli del regno dei cieli.

Rinvigoriti dalla preghiera di questa notte di veglia e con gli occhi fissi nella gloria dei beati Francesco e Giacinta, accogli la sfida di Gesù: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3). Per delle persone minate dall'orgoglio come noi, non è facile diventare come i bambini. Perciò Gesù ci avverte così duramente: «Non entrerete...»! Non ci lascia alternativa. Portogallo, non rassegnarti a forme di pensare e di vivere che non hanno futuro, perché non poggiano sulla salda certezza della Parola di Dio, del Vangelo. «Non temere! Il Vangelo non è contro di te, ma è a tuo favore. [...] Nel Vangelo, che è Gesù, troverai la speranza solida e duratura a cui aspiri. È una speranza fondata sulla vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. Questa vittoria Egli ha voluto che sia tua per la tua salvezza e la tua gioia» (Esort. ap. Ecclesia in Europa, 121).

La prima lettura ci mostra come Samuele ha trovato una guida nel Sommo Sacerdote Eli. Questi dimostra nei riguardi del fanciullo tutta la prudenza richiesta dal compito del vero educatore, in grado di intuire la natura della profonda esperienza che Samuele sta facendo. Nessuno, infatti, può decidere in merito alla vocazione di un altro; perciò Eli indirizza Samuele verso il docile ascolto della parola di Dio: «Parla, [Signore,] perché il tuo servo ti ascolta» (1Sam 3, 10). In un certo modo possiamo leggere nella stessa luce questa Visita del Santo Padre, che si svolge sotto il tema: «Papa Benedetto XVI, con te camminiamo nella Speranza!» Queste sono parole che hanno il sapore sia di una confessione collettiva di fede e adesione alla Chiesa con il suo fondamento visibile in Pietro, sia di un personale apprendistato di fiducia e di lealtà nei confronti della guida paterna e saggia di colui che il Cielo ha scelto per indicare alla umanità di questo tempo la via sicura che ivi porta.

Santo Padre, «con te camminiamo nella Speranza»! Con te, impariamo a distinguere tra la grande Speranza e le speranze piccole e sempre limitate come noi! Quando, in mezzo alla defezione generale per ritornare alle piccole speranze, si farà sentire la sfida di Gesù, la grande Speranza: «Volete andarvene anche voi?», svegliaci tu, Pietro, con la tua parola di sempre: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,68-69). Davvero - ci ricorda il Pietro d'oggi, Papa Benedetto XVI -, «chi non conosce Dio, pur potendo avere molteplici speranze, in fondo è senza speranza, senza la grande speranza che sorregge tutta la vita (cfr Ef 2,12). La vera, grande speranza dell'uomo, che resiste nonostante tutte le delusioni, può essere solo Dio - il Dio che ci ha amati e ci ama tuttora "sino alla fine", "fino al pieno compimento" (cfr Gv 13,1 e 19,30)» (Enc. Spe salvi, 27). Amati pellegrini di Fatima, fate sì che il Cielo sia sempre l'orizzonte della vostra vita! Vi hanno detto che il Cielo può aspettare, ma vi hanno ingannato... La voce che viene dal Cielo non è come queste voci paragonabili alla leggendaria sirena ingannatrice, che addormentava le sue vittime prima di precipitarle nell'abisso. Da duemila anni, a iniziare dalla Galilea, risuona fino ai confini della terra la voce definitiva del Figlio di Dio dicendo: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). Fatima ci ricorda che il Cielo non può aspettare! Perciò chiediamo con fiducia filiale alla Madonna di insegnarci a donare il Cielo alla terra: O Vergine Maria, insegnaci a credere, adorare, sperare e amare con te! Indicaci la via verso il regno di Gesù, la via dell'infanzia spirituale. Tu, Stella della Speranza che trepidante ci attendi nella Luce senza tramonto della Patria celeste, brilla su di noi e guidaci nelle vicende di ogni giorno, adesso e nell'ora della nostra morte. Amen.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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