domenica 8 giugno 2008

Quando emigranti erano Umberto Bossi, Giulio Tremonti e Roberto Castelli , Il Messaggero, Piero Santonastaso

Quando emigranti erano Bossi, Tremonti e Maroni
Quanto è facile dimenticare il passato


di Piero Santonastaso

E' una compagnia piena di bei nomi e di voglia di fare, quella che si è imbarcata a Le Havre. Umberto Bossi, Roberto Castelli, Francesco Speroni e Francesco Moro, con Giulio Tremonti e Pietro Lunardi, hanno fatto rotta per l'Atlantico, destinazione Stati Uniti. Lì si unirà agli altri Roberto Maroni, che per motivi logistici ha scelto un imbarco genovese. E' allegra, la compagnia, perché oltre l'orizzonte c'è il sogno della vita: lavoro, casa, un gruzzoletto di soldi da spedire al paese.

Tranquilli, niente ribaltoni in vista: la notizia è vera ma arriva da un altro secolo. L'Umberto Bossi di cui parliamo aveva 18 anni quando nel 1909 vestì i poveri panni del migrante per abbandonare Fossato, terra natale sua ma anche di Ippolito Nievo, e andare a bussare alle porte ospitali del Nuovo Mondo. Governava Giolitti e l'Austria voleva scatenare contro l'Italia la stessa guerra preventiva che Bush reclamava per l'Iraq.

Lo scapolo Roberto Castelli veniva invece da Trento, allora dominio austriaco, e nel 1911 (17 milioni di occupati, 19 no) di anni ne contava 25. Cinque in più del “single” Pietro Lunardi, sbarcato da Levate nel 1907. Era anno di crisi pesante sia economica che finanziaria, lo stesso in cui partì Giulio Tremonti, che al contrario una famiglia se l'era già formata, ma non riuscendo a “camparla” lasciò la sua Udine.

Quattordici anni dopo toccò al diciassettenne Francesco Moro, il quale se ne partì da Lonate Pozzolo (avete presente Malpensa?), avendo davanti a sé altri quarant'anni dal momento che la vita media ne durava 59. Di un paese lì vicino, Turbigo, era il primo della brigata che levò le tende, quel Francesco Speroni giunto in America il 18 ottobre 1903, a 23 anni. Magari disgustato dalla politica di Giolitti, che nel programma del governo aveva messo aiuti per il Mezzogiorno ma non per il Nord. Per la verità sui registri c'è un errore: “Speroni Francesco, place of residence Turbizo”, ma gli ufficiali americani vanno compresi: era veramente duro tentare di capire quei diseredati italiani che parlavano sì e no la loro lingua e, quanto a scrivere, erano messi veramente male. Così accadeva persino che Roberto Maroni, arrivato nel 1920 sulla “Giuseppe Verdi” salpata da Genova, risultasse un “italiano del Sud”.

Questo e molto altro sta scritto negli archivi di Ellis Island, il “centro di prima accoglienza” di New York dal quale, tra il 1894 e il 1922, sono passati gli oltre 22 milioni di immigrati che hanno fatto ricchi e forti gli Stati Uniti. Di tutti è rimasta traccia, registrazioni spesso accurate, a volte meno, consultabili su Internet all'indirizzo www.ellisisland.org.

Impressionano le omonimie, il ritrovare in quegli sterminati elenchi nomi e cognomi di gente che ben che andasse meritava allora un cartellino identificativo e oggi affolla invece i titoli dei giornali. Chissà cosa inseguiva ad esempio quel Carlo Ciampi che sbarcò il 16 giugno 1903 proveniente da Napoli sulla tedesca “Lahn”. Di lui sappiamo che aveva 39 anni, era sposato e aveva ottenuto la cittadinanza americana. Ma a Napoli si imbarcarono in tanti. Di Antonio D'Amato, ad esempio, ne partirono ben 84: il più giovane aveva 7 anni e arrivava da Peschici, dove manco si sognavano che un giorno la fortuna si sarebbe chiamata Superenalotto, e il più vecchio 74, veniva da Montorio (chissà quale), sbarcò proprio il giorno di Natale del 1919 e forse per quel vecchio del Sud fu un bel regalo o almeno così ci piace credere.

Gli Antonio Martino furono addirittura 272, uno aveva appena un anno e veniva da Celenza Valfortore, a un tiro di schioppo da San Giuliano di Puglia, mentre ne aveva 28 quello che approdò da Bronte, dove ancora coltivavano il ricordo delle malefatte di Nino Bixio. Di Antonio Fazio se ne contarono 85 e tre fuggirono da Alvito molto prima che vi nascesse l'ex governatore della Banca d'Italia. Uno degli ultimi fu quell'Antonio Fazio da Serrastretta che approdò a New York il 14 febbraio del 1920 e chissà, forse in omaggio alla data, fece scrivere sulla carta “Antonio Fazio-wife Petronilla” perché sua moglie era l'amore della sua vita, anche a 59 anni.

Dei due Antonio Di Pietro da Montenero sappiamo poco. Anzi, non sappiamo nemmeno se venissero dal Montenero di Bisaccia che tutti conosciamo o dal Montenero Val Cocchiara che nel Molise sta più all'interno. O meglio ignoriamo anche la regione, visto che i funzionari dell'immigrazione specificarono solo “south italian” e quindi quel Montenero potrebbe essere vicino Salerno o Cosenza oppure Foggia.

Non poteva mancare un Antonio Bassolino, da Caivano, che per cercar fortuna salì sulla “Manuel Calvo”. Correva il 1909 e per la gente del Sud non c'era da stare allegri, poiché a Gaetano Salvemini che reclamava il voto per gli abitanti del Meridione la classe al governo rispondeva: «Il Sud pensi a produrre grano e derrate alimentari, facciano i contadini, che alla politica ci pensiamo noi che siamo uomini illuminati». Da quegli uomini illuminati probabilmente fuggiva, sempre nel 1909, Francesco Storace da Caserta, 44 anni e famiglia a carico, mentre tre anni prima era toccato emigrare al diciassettenne pugliese (di Giovinazzo) Francesco Rutelli, che s'imbarcò a Napoli sulla “Lazio”.

Ma emigravano un po' tutti: partivano Domenico Fisichella e Ignazio La Russa, Giovanni Letta e Domenico Nania, Antonio Riina e Bernardo Provenzano, Roberto Mancini e Marcello Lippi, Salvatore Ligresti e Giovanni Agnelli. Sì, Giovanni Agnelli, ma da Nerola ed era il 1921. Quell'anno, a Southampton, saliva sull'Aquitania per New York un ventisettenne londinese: si chiamava George W. Bush.

Il Messaggero

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