venerdì 20 giugno 2008

Roma, 1000 voci antirazziste contro il dl sicurezza, Nicki Vendola, l'ex ministro Paolo Ferrero, Tullia Zevi, Gad Lerner.

Roma, 1000 voci antirazziste contro il dl sicurezza
Nicki Vendola, l'ex ministro Paolo Ferrero, Tullia Zevi, Gad Lerner.

a.g.

 Murales, stop al razzismo, foto interna

No al razzismo, no al decreto sicurezza del Governo. A dirlo sono le mille voci e le decine di organizzazioni della società civile e del no profit che martedì mattina si sono ritrovate nell'Aula Magna dell'Università La Sapienza di Roma per «aprire un agenda culturale e un cammino sociale condiviso per l'accoglienza». Grandi assenti professori e studenti cui va il richiamo del pro-rettore Piero Marietti in apertura dei lavori. «Me ne scuso e ne prendo atto - dice Marietti - questa è un'accoglienza dovuta - ma vedo che la cultura cui ci si appella oggi non ha ritenuto di dover partecipare». Presenti, fra i tanti, l'Unhcr, la Caritas Italiana, la Fondazione Migrantes, il presidente della Regione Puglia Nicki Vendola, l'ex ministro Paolo Ferrero, Tullia Zevi, Gad Lerner.

L'appuntamento ha inizio con un minuto di silenzio per coloro che il governatore della Puglia Nichi Vendola definisce i «morti del cimitero del Mediterraneo», cioè le centinaia di migranti in fuga dal proprio paese che trovano la morte per arrivare in Italia. Insieme per ridare alla questione dell'integrazione «il senso» che esula dal «consenso» dice Vendola.

Ma l'Assemblea, promossa da associazioni laiche e cattoliche come l'Arci, Amnesty International, Acli, Antigone, Cgil, Cnca, Associazione Rom e Sinti insieme, Libera, Magistratura democratica, va al di là della retorica e di fatto dà il via ad una sorta di mobilitazione contro il razzismo «per dire che non c'è sicurezza per nessuno se mancano i diritti umani e la dignità della persona» come sottolinea il presidente dell'Arci Paolo Beni. Lo scopo dell'agenda comune è lo «sforzo per un lavoro educativo e culturale così che sia più facile anche il lavoro politico» come spiega Miraglia dell'Arci all'apertura dei lavori dell'Assemblea.

Fin dalle prime battute è chiaro che al vaglio dell'Assemblea c'è necessariamente il decreto sicurezza all'analisi del Senato e sul quale si chiede un ripensamento in Parlamento. E contro il decreto si alzano le mille voci e le decine di striscioni portati in silenzio nell'Aula dalle associazioni migranti. «Italiani/Sinti- Sinti/ italiani» dicono quelli dell'Associazione Rom e Sinti insieme, «Italiani dal 1400» dice un altro slogan, «Clan destino» è scritto su una maglietta, «Siamo i Sinti di Roma» si presentano i romani con un gioco di parole.

E a prendere la parola per primi sono proprio loro, i migranti, «le vere vittime della sicurezza» come si definisce uno dei rappresentanti immigrati e rifugiati di Caserta, che con una petizione sta cercando di cambiare le regole per il permesso di soggiorno della legge Bossi- Fini. «Criminale non è una parola che si porta scritta sulla fronte - spiega - criminale è chi commette un reato». E «scusate se sono qui» conclude il suo intervento.

Dopo l'emozione si appella alla «razionalità» il pro-rettore dell'Università La Sapienza, che spiega quanto tutti i discorsi restino «vuota retorica» senza il sostegno della scienza. «Tra me e un nigeriano c'è un 3 per mille di differenza genetica» spiega Marietti e questa è una delle ragioni per cui essere razzisti è irragionevole».

«La vera esigenza è il canale di Sicilia» prende la parola Luciano Eusebi, docente di Diritto penale dell'Università la Cattolica che spiega: «Il diritto è il riconoscimento dell'altro, non il diritto ad autorizzare noi stessi ad abortire l'altro dalla nostra vita. Invece questo decreto è soltanto un uso strumentale del diritto per fini penali. Se si introduce la possibilità di lasciare libero ingresso ai migranti solo in caso di necessità - continua Eusebi - gli scafisti faranno in modo che i viaggi della speranza siano sempre più viaggi d'emergenza. Con questo decreto si introduce inoltre la "colpa d'autore": Sei più colpevole non per il reato che hai commesso ma per quello che sei».

Per Tullia Zevi, rappresentante della comunità ebraica di Roma, la sicurezza dipende «dall'integrazione e dal riconoscimento dell'altro» e il timore è che «senza memoria si torni a 50 anni fa quando in nome di un'ideologia razzista nella civilissima Europa si sterminarono 6 milioni di persone sradicando la cultura della diversità».

«Non bisogna aver paura, insomma, di essere ormai una minoranza» incita il giornalista Gad Lerner, intervenendo all'assemblea della Sapienza. «Ho paura che ci stiamo abituando al fatto che il razzismo faccia parte del senso comune del paese e anche in nome del popolo. È il popolo che lo vuole e allora si cancellano la pietà e i valori fondamentali dell'essere umano - continua Lerner - dividendo la gente che muore da quella che crepa». Per il giornalista non si può rischiare di diventare subalterni ad una maggioranza che «prevede i commissari ad hoc per un'etnia, obbligo delle impronte digitali anche per i minori, che legittima un linguaggio che prevede il termine derattizzazione per gli essere umani e che lascia dire ad una radio del partito di Governo che «se gli zingari sono finiti nei lager una qualche ragione ci sarà pure stata. Abbiamo perso le elezioni sull'equazione migranti sicurezza, ma non ci possiamo escludere dalla decisione: bisogna votare contro il decreto sicurezza» conclude Lerner .

Sulle questioni del diritto internazionale ha molto da dire Mauro Palma, presidente del comitato europeo per la prevenzione della tortura, nel ricordare che «il Governo italiano si sta nascondendo sotto l'ombrello dell'Ue per quanto riguarda le norme della detenzione e del rimpatrio. Ma quello che il governo sta mettendo in atto sono tutto sommato tre norme «che esulano da qualsiasi legge europea». Quello dei 18 mesi di detenzione nei centri di permanenza temporanea, in realtà - spiega Palma - non è il limite minino ma il limite massimo posto dall'Ue per paesi che prima avevano tempi di detenzione più lunghi». Dunque è una norma fatta per i paesi con una forte emergenza tra i quali non è certo l'Italia».

l'Unita

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