martedì 20 aprile 2010

[ZI100420] Il mondo visto da Roma

ZENIT HA BISOGNO DI TE!
Campagna annuale di raccolta fondi


Puoi offrire il tuo sostegno personale affinchè ZENIT possa continuare e crescere?
Forse finora non ci hai pensato. Se puoi farlo non dubitare, fallo ora.

Puoi appoggiare in vari modi:
- Invia la tua DONAZIONE attraverso http://www.zenit.org/italian/donazioni.html
- Invia una tua TESTIMONIANZA a testimonianze@zenit.org
(se NON vuoi che venga pubblicata con il tuo nome e cognome, per favore comunicalo esplicitamente nel messaggio)
- Invia le tue IDEE a infodonazioni@zenit.org, per esempio, frasi concrete che possiamo includere nei nostri messaggi e annunci per motivare i lettori a partecipare in questa campagna
- Invia i tuoi SUGGERIMENTI per donazioni consistenti da parte di benefattori o Istituzioni
- Ricorda che le tue PREGHIERE sono importanti per ZENIT!

Aiutaci durante questa campagna!


ZENIT

Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 20 aprile 2010

Santa Sede

Ostensione della Sindone

Notizie dal mondo

Italia

Interviste

Tutto Libri

Forum

Documenti


Santa Sede


Sentito addio del Papa al Cardinale Špidlík
Il defunto sarà sepolto in Moravia, sua terra natale
di Inma Álvarez

CITTA' DEL VATICANO, martedì, 20 aprile 2010 (ZENIT.org).- Papa Benedetto XVI ha voluto essere presente questo martedì alla Messa esequiale nella Basilica di San Pietro per il Cardinale Tomáš Špidlík, dedicandogli una sentita omelia nella quale ha posto l'accento sulla gioia della Resurrezione.

Il Cardinale Špidlík, che aveva 90 anni, è morto venerdì 16 aprile a Roma. I suoi resti verranno trasferiti a Velehrad (Moravia) per ricevere la sepoltura.

Durante il suo intervento, il Papa ha ricordato alcune delle ultime parole pronunciate dal porporato defunto: "Per tutta la vita ho cercato il volto di Gesù, e ora sono felice e sereno perché sto per andare a vederlo".

"Questo stupendo pensiero - così semplice, quasi infantile nella sua espressione, eppure così profondo e vero", rimanda alla preghiera di Gesù: "Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch'essi con me dove sono io", ha spiegato il Pontefice.

"Penso che i grandi uomini di fede vivono immersi in questa grazia, hanno il dono di percepire con particolare forza questa verità, e così possono attraversare anche dure prove, come le ha attraversate Padre Tomáš Špidlík, senza perdere la fiducia".

Benedetto XVI ha affermato che la vita del Cardinale mostrava "la speranza e la gioia di Gesù Risorto", che "sono anche la speranza e la gioia dei suoi amici, grazie all'azione dello Spirito Santo".

"Questa sua testimonianza diventava sempre più eloquente col passare degli anni, perché, malgrado l'età avanzata e gli inevitabili acciacchi, il suo spirito rimaneva fresco e giovanile. Che cos'è questo se non amicizia con il Signore Risorto?", ha aggiunto.

Il Papa ha quindi sottolineato alcune caratteristiche del defunto, come il suo "vivo senso dell'umorismo, che è certamente un segno di intelligenza ma anche di libertà interiore".

"Sotto questo profilo, era evidente la somiglianza tra il nostro compianto Cardinale e il Venerabile Giovanni Paolo II: entrambi erano portati alla battuta spiritosa e allo scherzo, pur avendo avuto in gioventù vicende personali difficili e per certi aspetti simili. La Provvidenza li ha fatti incontrare e collaborare per il bene della Chiesa, specialmente perché essa impari a respirare pienamente 'con i suoi due polmoni', come amava dire il Papa slavo".

La cerimonia è stata presieduta dal decano del Collegio cardinalizio, il Cardinale Angelo Sodano, e concelebrata dagli altri porporati. Il Papa, oltre all'omelia, ha presieduto i riti dell'Ultima Commendatio e della Valedictio.

Dopo aver saputo della morte del Cardinale Špidlík, anche se si trovava in viaggio apostolico a Malta, il Pontefice ha inviato un telegramma di condoglianze al preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Adolfo Nicolás.

Nel testo, ha definito il defunto "insigne gesuita e fedele servitore del Vangelo", e ha ricordato soprattutto la "solida fede, la sua affabilità paterna e la sua intensa opera culturale ed ecclesiale", in particolare come "conoscitore della spiritualità cristiana orientale".

Il contributo al dialogo teologico tra l'Occidente e l'Oriente cristiani da parte del Cardinale Špidlík, e del Centro Aletti da lui fondato, è stato fondamentale negli ultimi decenni, come ha riconosciuto Benedetto XVI il 17 dicembre scorso, presiedendo un'Eucaristia per il compleanno del porporato.

L'attuale direttore del Centro Aletti, padre Marko Rupnik, in alcune dichiarazioni rilasciate alla "Radio Vaticana" ha ricordato che il Cardinale Špidlík è stato suo padre spirituale e maestro di Teologia.

"Padre Špidlík aveva un flusso di persone che venivano a confessarsi da lui praticamente da tutto il mondo, e questo continuamente, fino alle ultime settimane. Tra questi, una grande parte erano sacerdoti e Vescovi", ha affermato.

"Con padre Špidlík abbiamo percorso in macchina più di un milione di chilometri sulle strade d'Europa. Lui cantava sempre: cantava in tutte le lingue. Siccome parlava 15, 16 lingue, allora cantava anche in tutte le lingue europee. Poi, improvvisamente si faceva serio e aprivamo un dialogo teologico spirituale profondo e nel corso di questo dialogo, molto spesso egli cercava di dare un'interpretazione spirituale di ciò che stava succedendo".

In particolare, padre Rupnik ha sottolineato l'importanza che per il Cardinale Špidlík aveva la bellezza che emanava dall'amore e dalla verità. "Il suo continuo osservare il mondo, la storia e il suo continuo commentare la storia, mi sembra un'intuizione sapienziale formidabile del discernimento proprio sul principio della bellezza. La realtà che non si presenta come amore realizzato o come la carne del vero e del bene che è la bellezza, per padre Špidlík non era convincente".

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Ostensione della Sindone


Il Papa, "icona contemporanea della passio Christi e della passio hominis"
L'Ordinario castrense guida il pellegrinaggio nazionale militare alla Sindone
TORINO, martedì, 20 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il Papa è "l'icona contemporanea della passio Christi e della passio hominis", ha affermato l'Arcivescovo Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l'Italia, nell'omelia della Messa che ha celebrato questa domenica a Torino in occasione del pellegrinaggio nazionale militare alla Sindone.

5000 militari hanno attraversato le strade della città in processione, accompagnati dall'Ordinario militare e dai Capi di Stato maggiore delle diverse forze armate.

Durante la celebrazione, nella Basilica di Santa Maria Ausiliatrice, monsignor Pelvi ha ricordato che "la cattedra di Papa Benedetto non è un regno, neppure un trono".

"È la cattedra del servizio, del sacrificio, del martirio - ha spiegato -. È la cattedra del magistero, della fede e della certezza, della carità e del governo pastorale".

"E noi, alunni di questa cattedra, amiamo il Papa, scelto dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Cristo", ha aggiunto.

Per l'Arcivescovo, il Papa "è la bocca della verità, l'apostolo della pace, della giustizia, della fraternità, della libertà, il custode della dignità umana". "Oserei dire che il suo volto, come l'icona sindonica, è un segno veramente luminoso che rimanda a Gesù".

Attacchi ingiusti

Per questi motivi, l'Ordinario castrense ha affermato che "agli ingiusti e menzogneri attacchi dei nostri giorni" "la famiglia militare risponde concorde e unanime nella preghiera per il Sommo Pontefice, che antepone Cristo e il bene delle anime ad ogni umana considerazione, consapevole che è meglio lasciar perdere le opinioni terrene".

"Il Signore non abbandonerà mai la Sua Chiesa e il Papa che le ha donato, la cui grandezza è davanti agli occhi del mondo intero".

"Abbiamo tutti bisogno del Successore di Pietro, della sua ombra risanatrice, della sua parola e della sua instancabile e sicura guida", ha dichiarato monsignor Pelvi.

Cristo ci ama per ciò che siamo

Commentando il brano evangelico domenicale, in cui Gesù chiede tre volte a Pietro se lo ama, l'Ordinario militare ha spiegato che in questa pagina di "tenerezza estrema" "il Signore cerca l'amore dell'uomo".

"Gesù domanda a Pietro la prima volta: 'Simone, mi ami tu con amore totale e incondizionato?'. Prima dell'esperienza del tradimento l'apostolo avrebbe certamente detto: 'Ti amo incondizionatamente'. Ora che ha conosciuto l'amara tristezza dell'infedeltà, il dramma della propria debolezza, dice con umiltà: 'Signore, ti voglio bene', cioè 'ti amo del mio povero amore umano'".

"Il Cristo insiste: 'Simone, mi ami tu con questo amore totale che io voglio?'. E Pietro ripete la risposta del suo umile amore umano: 'Signore, ti voglio bene come so voler bene'".

"Alla terza volta Gesù dice a Simone soltanto: 'mi vuoi bene?'. Simone comprende che a Gesù basta il suo povero amore, l'unico di cui è capace".

"Verrebbe da dire che Gesù si è adeguato a Pietro, piuttosto che Pietro a Gesù - ha commentato il presule -. Il Signore dimostra il suo amore abbassando per tre volte le esigenze dell'amore. Chiede almeno l'affetto, se l'amore è troppo; almeno l'amicizia se l'amore mette paura".

"È il chinarsi divino a dare speranza al discepolo, che ha conosciuto la sofferenza dell'infedeltà. Da qui la fiducia che lo rende capace della sequela fino alla fine".

Da quel giorno, infatti, Pietro ha seguito il Maestro "con la precisa coscienza della propria fragilità; ma questa consapevolezza non l'ha scoraggiato. Egli sapeva infatti di poter contare sulla presenza accanto a sé del Risorto".

"Ancora oggi e per i secoli futuri, il cuore della Chiesa batte e ama con il cuore del Successore di Pietro".

Chiamata alla santità

Nei primi Vespri di sabato 17 aprile nella Basilica torinese, l'Arcivescovo Pelvi ha ricordato "la grandezza della chiamata alla santità, che ci porta ad essere concordi, partecipi delle gioie e dei dolori degli altri, animati da affetto fraterno, misericordiosi, umili".

"È la nostra coscienza battesimale e vocazionale, che dobbiamo coltivare quale principio e fondamento di tutto il nostro esistere e operare cristiano", ha affermato.

"Abbiate una grande idea di voi, perché Dio nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce", ha detto ai militari.

La santità, ha rilevato, "è l'unica e vera strada di realizzazione di sé, senza alternative, possibile nel quotidiano con l'aiuto di Dio".

Per concretizzare il cammino di santità, il presule ha proposto tre elementi: il passaggio "da una vita ripiegata sull'io a una vita centrata su Dio", quello "dai desideri di un tempo, quelli del mondo, al desiderio del progetto di Dio" e "il rifiuto della mediocrità".

"Adorate Cristo Signore nei vostri cuori - ha concluso -: coltivate cioè una relazione personale d'amore con Lui, amore primo e più grande, unico e totalizzante, dentro il quale vivere, purificare, illuminare e santificare tutte le altre relazioni".

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Notizie dal mondo


Ordinato un Vescovo cinese da presuli in comunione con Roma
A Hohhot, la Cattedrale del Sacro Cuore gremita di fedeli
HOHHOT, martedì, 20 aprile 2010 (ZENIT.org).- Nella Mongolia interna, il nuovo Vescovo della Diocesi di Hohhot è stato ordinato questa domenica da presuli in comunione con Roma in una Cattedrale letteralmente gremita e con migliaia di fedeli anche all'esterno.

Il Vescovo ordinato, secondo quanto rende noto Eglises d'Asie, l'agenzia delle Missioni Estere di Parigi, è monsignor Paul Meng Qinglu, di 47 anni.

La cerimonia si è svolta senza il dispiegamento di polizia constatato l'8 aprile, durante la presa di possesso del Vescovo di Bameng, un'altra Diocesi della Mongolia interna.

A Hohhot, il Vescovo consacrante e i due presuli co-consacranti erano Vescovi legittimi, cioè riconosciuti da Roma.

Per l'occasione, la Cattedrale del Sacro Cuore di Gesù era gremita di fedeli. Debitamente provvisti di biglietti di ingresso, circa 500 cattolici del luogo hanno trovato posto nell'edificio, mentre altri duemila si concentravano davanti alla chiesa. Giunti dalla Diocesi di Hohhot e dalle quattro Diocesi della Mongolia interna, circa 80 sacerdoti - che per la maggior parte hanno studiato con padre Paul Meng o sono stati suoi alunni - hanno concelebrato la Messa di ordinazione.

Ha consacrato il nuovo Vescovo monsignor Paul Pei Junmin, Vescovo di Shenyang, nel Liaoning, assistito dai Vescovi John Liu Shigong e Matthias Du Jiang, rispettivamete di Jining e Bameng.

Sull'altare c'era anche monsignor Joseph Li Jing, giovane Vescovo di Ningxia, che ha predicato il ritiro di tre giorni compiuto da padre Paul Meng prima della sua ordinazione. I quattro Vescovi "ufficiali" sono tutti in comunione con Roma.

Monsignor Paul Meng Qinglu succede a monsignor John Baptist Wang Xixian, morto a 79 anni nel maggio 2005. Un mese dopo, padre Meng è stato eletto per essere il nuovo Vescovo di Hohhot, ma l'accettazione di questa candidatura, da parte sia di Roma che di Pechino, ha richiesto del tempo.

Come ha spiegato questo lunedì all'agenzia Ucanews, anche se la sua candidatura era stata approvata dall'Amministrazione Statale per gli Affari Religiosi, monsignor Meng vedeva tardare la sua accettazione.

A suo avviso, i Giochi Olimpici del 2008, dopo le celebrazioni del 60° anniversario del regime, hanno fatto sì che Pechino non volesse sentir parlare di ordinazioni episcopali.

Da parte di Roma, l'accordo ha richiesto del tempo visto che alcuni membri del presbiterio di Hohhot avevano espresso in un primo momento riserve sul candidato all'episcopato.

Alla fine, superati questi ostacoli, monsignor Meng ha potuto essere ordinato venendo allo stesso tempo riconosciuto da Roma e accettato da Pechino.

In una Mongolia interna evangelizzata a partire dal XVIII secolo, soprattutto dai missionari del Cuore Immacolato di Maria, Hohhot è una Diocesi relativamente importante, che attualmente ha 21 sacerdoti e 65.000 fedeli.

Dopo cinque anni senza Vescovo, alla Diocesi mancava una direzione. "Mi dedicherò a ricostruire le strutture diocesane perché il lavoro pastorale e di evangelizzazione sia rafforzato", ha spiegato monsignor Meng il giorno dopo l'ordinazione.

Nato in una famiglia cattolica, è entrato nel seminario maggiore della Mongolia interna ed è stato ordinato sacerdote nel 1989. E' rimasto nel seminario, dove ha insegnato Teologia Morale ed è diventato decano di studi. Nel 1999 monsignor John Baptist Wang Xixian gli ha affidato il compito di costruire nuove chiese, nominandolo in seguito parroco.

Nel 2004, quando monsignor Wang si è ammalato, gli è stata affidata l'amministrazione effettiva della Diocesi. Dal 2001, inoltre, Meng ha assunto varie funzioni direttive all'interno dell'Associazione Patriottica locale e negli Affari Religiosi della Mongolia interna.

Secondo gli osservatori, se lo sviluppo dell'ordinazione di monsignor Paul Meng contrasta con la presa di possesso di monsignor Du Jiang è perché la cerimonia a Bameng si è resa difficile per la presenza di monsignor Joseph Ma Yinglin, Vescovo "ufficiale" e illegittimo (non riconosciuto da Roma) di Kunming.

Il 18 aprile, né monsignor Joseph Ma, segretario generale della Conferenza dei Vescovi "ufficiali", né alcun altro Vescovo illegittimo era presente all'ordinazione. Il 25 marzo scorso la Santa Sede, attraverso un comunicato, aveva ricordato chiaramente che i Vescovi cinesi dovevano evitare di partecipare a un'ordinazione episcopale alla quale assistesse un Vescovo illegittimo.

Nella parte "ufficiale" della Chiesa cattolica in Cina si preparano altre ordinazioni episcopali: il 21 aprile per la Diocesi di Haimen (a Jiangsu), poco dopo per le Diocesi di Xiamen, Taizou e Wumeng. I nomi dei Vescovi consacranti non sono ancora stati resi noti.



Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Il Papa è stato instancabile nella "analisi e correzione degli abusi"
Il Vescovo di Porto celebra il Te Deum nel 5° anniversario del pontificato

PORTO, martedì, 20 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il Vescovo di Porto (Portogallo), monsignor Manuel Clemente, sostiene che Benedetto XVI, da quando ha assunto il pontificato, sia stato “instancabile nell'analisi e correzione degli abusi”.

Monsignor Clemente ha celebrato questa domenica nella Cattedrale della città un Te Deum per il 5° anniversario dell'elezione del Papa.

“Rendiamo grazie a Dio per il ministero di Pietro, e rendiamo grazie anche per il Pontefice che attualmente gli dà nome e figura”, ha affermato nel suo discorso.

Secondo monsignor Clemente, Papa Ratzinger “ha portato al pontificato, dopo la grande figura di Giovanni Paolo II, il contributo molto opportuno della sua fortissima personalità, negli aspetti dottrinali e pratici”: “a livello intellettuale, come intelligenza acuta e applicata, sia alla tradizione ecclesiale che ai molti anni già vissuti, dalla Germania a Roma, nella preparazione, realizzazione e applicazione del Concilio Vaticano II, fedelmente interpretato”.

“L'attuale Pontefice è indubbiamente una delle voci più ascoltate e dei pensieri più seguiti da tutti coloro che non desistono dal comprendere e dall'approfondire tutto ciò che riguarda l'umanità”, ha dichiarato.

Per monsignor Clemente, l'esercizio razionale “non ha mai separato Benedetto XVI dalla realtà ecclesiale e mondiale, in ciò che questa comporta di più concreto, verso l'idoneità evangelica”.

“Ricordiamo certamente le sue meditazioni per la Via Crucis al Colosseo di Roma, poco tempo prima della morte di Giovanni Paolo II. Lì ha alluso con parole forti – e forse inaspettate – alle gravi contraffazioni a volte osservate nella Chiesa e nei suoi ministri, che era necessario correggere e superare”.

Da quando ha assunto il pontificato, ha proseguito il Vescovo di Porto, “Benedetto XVI è stato instancabile nell'analisi e correzione degli abusi, rafforzandoci nello stesso senso e dando al mondo un esempio senza pari di riforma istituzionale, che incoraggerà sicuramente altri a fare lo stesso nel proprio campo”.

“Non sono mancate a Benedetto XVI neanche lucidità e coerenza nell'affrontare altri temi sensibili, dal campo ecumenico e interreligioso a tutto ciò che riguarda la vita umana, dal concepimento aòlla morte naturale”.

In questo contesto, monsignor Clemente ha invitato i fedeli a rendere “molte grazie a Dio per l'attuale pontificato”.

Tutti, ha affermato, devono “lavorare affinché il suo magistero sia più conosciuto e abbia maggiori conseguenze sulla nostra vita personale e comunitaria”.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


1.200 giovani prestano la loro immagine per comporre quella del Papa
Un dono a Benedetto XVI dagli organizzatori della GMG Madrid 2011

MADRID, martedì, 20 aprile 2010 (ZENIT.org).- Negli ultimi giorni, l'attività nel profilo della Giornata Mondiale della Gioventù su Facebook è stata febbrile. La proposta era semplice: inviare una foto personale per ottenere una composizione con un'immagine del Papa.

Il giorno del compleanno del Pontefice, il 16 aprile, è stata pubblicata sulla pagina un'immagine di Benedetto XVI composta da 1.200 fotografie inviate dai giovani in meno di 48 ore. Il motto dell'iniziativa era "Dai il tuo volto per il Papa".

La risposta degli utenti non si è fatta attendere, e l'indirizzo a cui inviare le immagini ha iniziato ad accumulare i messaggi dei giovani, in tutte le lingue. Ursa, Warren e Noniek hanno ricevuto sulla loro posta elettronica un'e-mail di risposta con un'unica parola: "¡Gracias!".

Anche se lo spagnolo non è la loro lingua, perché parlano rispettivamente sloveno, inglese e indonesiano, hanno capito bene.

"E' come vedere tutta la Chiesa con un solo sguardo", "Sono felice di dare il mio volto per il Papa", hanno commentato altri due giovani, Robin e Ignacio.

E' stato un gesto dei giovani per il Papa nel giorno in cui compiva 83 anni, ha reso noto il Dipartimento per la Comunicazione della GMG.

Da settimane, un laboratorio di Oviedo (Spagna) ha ricevuto un altro incarico molto particolare: imprimere su dei cappellini rossi un logo, quello della GMG di Madrid. Le prime persone a indossare il berretto sono stati i 50 giovani che hanno rappresentato la GMG madrilena alla celebrazione del XXV anniversario delle Giornate, il 25 marzo.

Poco meno di una settimana dopo, il Mercoledì Santo, il Papa ha ricevuto il cappellino, che ha viaggiato da Madrid a Roma nella valigia di Paula Rodríguez, la persona che glielo ha consegnato. La sua missione non era facile, visto che doveva riuscire a consegnarlo personalmente al Pontefice.

Paula lavora per la GMG nella sezione del Patrocinio. Il suo lavoro consiste nel far sì che imprese e privati finanzino i costi dell'evento ed è abituata a vedersi assegnare compiti difficili, ma questo era particolarmente impegnativo.

La Domenica delle Palme, è riuscita a mettersi in prima fila, una cosa difficile in una celebrazione alla quale era accorsa gente dai cinque continenti. Dopo varie ore di attesa, ha visto il Papa avvicinarsi alla zona in cui si trovava. Vista la solennità dell'atto che il Pontefice stava presiedendo, ha deciso che sarebbe stato meglio consegnargli il cappellino in un altro momento.

L'occasione si sarebbe presentata alcuni giorni dopo. Il Mercoledì Santo, Benedetto XVI ha celebrato l'Udienza generale con i pellegrini, di nuovo nella piazza. Paula ha provato nuovamente a sedersi in prima fila, e c'è riuscita. Ha avvicinato il Papa quando è passato e gli ha consegnato il cappellino mentre spiegava che era quello commemorativo della prossima GMG. "Ha preso il berretto, se l'è messo e mi ha guardato negli occhi come per dire 'Mi sta bene?'", ha ricordato emozionata.

Dopo aver compiuto la sua missione, Paula ha espresso la sua gioia per ciò che le era appena successo: "E' stato molto affettuoso, è stato davvero un padre, emozionato come me".

Per vedere l'immagine-regalo al Papa: http://www.jmj2011madrid.com.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Italia


Auguri degli universitari di Roma a Benedetto XVI per il suo anniversario
Lettera in occasione dei cinque anni di pontificato
di Carmen Elena Villa

ROMA, martedì, 20 aprile 2010 (ZENIT.org).- Circa 1200 universitari di Roma hanno firmato una lettera di auguri al Papa per i suoi cinque anni di pontificato, festeggiati questo lunedì.

La lettera verrà consegnata a Benedetto XVI dal Cardinale Agostino Vallini, vicario generale di Roma, mercoledì dopo l'Udienza generale.

L'iniziativa nasce "dal desiderio dei giovani universitari di manifestare il sentimento di gratitudine per questo cammino di 5 anni", ha detto a ZENIT monsignor Lorenzo Leuzzi, direttore dell'ufficio della Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma.

Gli studenti hanno ringraziato il Pontefice per aver dato loro il compito di essere "operatori della carità intellettuale".

"Mai abbiamo ascoltato una proposta così significativa per la nostra esperienza universitaria!", afferma la lettera indirizzata al Papa. "Con Lei abbiamo imparato che lo studio è servizio, è via per promuovere e costruire la civiltà dell'amore".

Studenti della maggior parte delle università romane, sia pubbliche che private, religiose e pontificie, hanno ringraziato Dio per aver permesso che cinque anni fa venisse eletto Benedetto XVI, che con i suoi insegnamenti ai giovani universitari ha permesso di "elaborare una rinnovata sintesi tra fede e ragione capace di testimoniare la fecondità storica del Vangelo, vera forza propulsiva dell'autentico sviluppo integrale dell'uomo".

"In questi anni abbiamo accolto con gioia ed entusiasmo le Sue indicazioni magisteriali e pastorali, che hanno offerto a noi credenti e a tutta la comunità universitaria nuove prospettive di impegno culturale per il rilancio della vocazione specifica dell'istituzione universitaria", scrivono i giovani nella lettera.

In questo periodo di pontificato, aggiungono, hanno compreso che "l'esperienza universitaria non può ridursi a semplice formazione professionale e che la trasmissione del sapere non può tradursi in una mera comunicazione di informazioni".

Allo stesso modo, hanno scoperto che il mondo universitario "ha bisogno di cercatori della verità capaci di infondere in tutta la comunità universitaria la gioia e la passione per la ricerca".

Monsignor Leuzzi ha dichiarato che "Benedetto XVI dà testimonianza del Vangelo, e la sua storicità oggi rivela la sua capacità sempre piu impegnativa e originale".

Per questo motivo, agli inizi del terzo millennio, "il Vangelo ha una forza interna di poter tirare fuori soluzioni illuminatrici nel nostro tempo", un aspetto che il Papa ha sottolineato più volte in questi cinque anni.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Per un'educazione integrale, contro la marginalità dei giovani
Convegno nazionale promosso dal Centro Nazionale Opere Salesiane

ROMA, martedì, 20 aprile 2010 (ZENIT.org).- Occorre una rinnovata azione pastorale in grado di contrastare la crisi educativa che serpeggia in Europa, combattere i fenomeni di marginalità che riguardano i giovani e dare un forte impulso a una formazione professionale di qualità delle future generazioni.

E' quanto è emerso questo martedì in occasione del Convegno nazionale “Giovani e Sistema educativo di Istruzione e Formazione in Italia”, svoltosi al Salesianum di Roma e promosso dalla Federazione Centro Nazionale Opere Salesiane – Formazione Aggiornamento Professionale (CNOS FAP) e dall’Associazione CNOS/Scuola.

Presenti al Convegno circa 300 partecipanti, tra formatori, delegati, insegnanti e rappresentanti di categoria, provenienti da tutta Italia.

“Noi salesiani per natura siamo educatori – ha detto don Pascual Chávez Villanueva, Rettor Maggiore dei Salesiani –. L’Europa ha bisogno di noi, più che mai, perché ha bisogno di educazione e di proposte di alto profilo culturale”.

“Noi siamo chiamati da Dio – ha proseguito don Chávez – ad una missione ecclesiale, che proponga un’antropologia autenticamente cristiana, secondo il carisma salesiano, basato sul sistema oratoriano”.

Il Rettor Maggiore ha richiamato quindi gli elementi fondanti del carisma salesiano: “una casa che accoglie, una parrocchia che evangelizza, una scuola che avvia alla vita, un cortile ove incontrarsi in allegria”.

Dopo aver riaffermato “la scelta prioritaria della presenza salesiana nella scuola e nella formazione professionale”, don Chávez ha sostenuto che oggi, in un tempo nel quale profondamente si avverte una ‘emergenza educativa’, “occorre superare il settorialismo per entrare in una dimensione continentale, facendo valere la presenza salesiana come una presenza organica. Si avverte l’urgenza di un coordinamento, che diventi sinergia per la diffusione del Vangelo”.

Nel contesto attuale, ha concluso don Chávez, i salesiani sono chiamati ad “una rinnovata azione pastorale, che raggiunga i giovani per evitare la loro marginalità. Sempre più pressante diviene quindi l’urgenza dell’evangelizzazione, per proporre loro il Vangelo quale fonte di vita e di felicità, nel tempo e nell’eternità”.

Il Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), mons. Mariano Crociata, ha esordito osservando che “le istituzioni non riescono più a educare e che il parlare tanto di educazione, oggi, sembra il segno di un malessere e di una difficoltà nuova e complessa. La crisi contemporanea vede interrotto, o comunque fortemente compromesso, il processo di trasmissione di cultura e valori alle nuove generazioni, e ci costringe a parlare di ‘emergenza educativa’”.

“L’educazione – ha ricordato mons. Crociata – è un incontro d’anime, una misteriosa trasmissione da anima ad anima”. L’educazione cristiana, in particolare, “tende alla piena umanità dell’uomo, al pieno dispiegamento in lui dell’originaria immagine di Dio, che è il Figlio incarnato”.

“Tutta la potenzialità di unicità ed originalità di ogni essere umano – ha precisato mons. Crociata – è costitutivamente connessa con la comunità. La grandezza unica e irripetibile dell’essere umano trova la sua garanzia nel legame tra persona e comunità”.

“L’educazione – ha proseguito il Segretario generale della Cei – ha a che fare con l’essere, prima che con il sapere o il saper fare. Occorre quindi riflettere su chi è l’uomo e a quale figura di uomo educhiamo le nuove generazioni, ma anche noi stessi”.

“Obiettivo dell’opera educativa è la crescita e la maturazione di una persona autonoma, libera e responsabile – ha osservato ancora il presule –. Spazio e forma fondamentale dell’educazione è la relazione. All’interno della relazione interpersonale, la forma fondamentale della presenza educativa è costituita dalla testimonianza autorevole”.

“Innanzitutto – ha continuato – l’esempio, testimonianza del proprio essere che si imprime nell’educando, ma anche l’autorità, intesa non come imposizione, ma senso benevolo e accettabile del limite e della finitezza umane, indicatore di una regola e di un ordine”.

Al di là del ruolo insostituibile della famiglia e dei genitori nell'opera educativa, mons. Crociata ha posto l'accento sulla “qualità personale della maturità e della testimonianza dell’educatore. Gli educandi, infatti, hanno bisogno di limiti motivati e di incoraggiamenti fondati, di prospettive verso le quali dirigersi”.

“È in gioco la nostra fede – ha concluso mons. Crociata –. Si diventa cristiani a partire da un dono ricevuto, il dono dello Spirito. Tutta l’opera educativa consiste nel cogliere le condizioni e metterle in opera per consentire a questo germe di essere ricevuto”.

Al suo arrivo al Salesianum, prima dell’inizio dei lavori del Convegno, a mons. Crociata è stato mostrato un prototipo sperimentale di autoveicolo, realizzato dagli allievi del Centro di formazione professionale ‘Teresa Gerini’ di Roma, vincitore del concorso nazionale Automeccanica 2008.

Nel corso della mattinata, è stato anche siglato un Protocollo d’intesa con Federmeccanica, nell’ottica di una più stretta collaborazione tra le imprese e i percorsi di formazione.

“È l’ultimo, in ordine di tempo – ha rilevato il presidente della Federazione nazionale CNOS-FAP e dell’Associazione CNOS/Scuola, prof. Mario Tonini – di vari Protocolli firmati in questi anni con aziende di punta nei settori in cui le scuole e i centri di formazione professionale dei salesiani operano particolarmente”.

“È anche grazie a questa collaborazione – ha continuato – che i salesiani riescono ad innovare la formazione nella tecnologia dell’auto (Fiat), dell’automazione industriale (Schneider Electric), della meccanica industriale (DMG, Hede, …), della tecnologia (Siemens), della grafica”.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Il corpo di Padre Pio trasferito nella nuova chiesa
Inaugurata da Papa Benedetto XVI
SAN GIOVANNI ROTONDO, martedì, 20 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il corpo di San Pio da Pietrelcina (1887-1968) è stato trasferito questo lunedì dalla cripta del santuario di San Giovanni Rotondo - la città in provincia di Foggia in cui ha vissuto - alla chiesa inferiore che porta il suo nome.

I cappuccini hanno scelto la data dell'elezione di Benedetto XVI, che corrisponde anche all'inizio del loro 126° capitolo provinciale.

La traslazione è stata autorizzata dalla Congregazione romana per le Cause dei Santi.

La celebrazione è iniziato con la recita dell'Ora nona alle 16.15 nel santuario di Santa Maria delle Grazie (dove i resti mortali del santo riposavano da 42 anni), alla presenza dell'Arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, monsignor Michele Castoro.

La processione per la traslazione verso la chiesa di San Pio da Pietrelcina è iniziata alle 16.30, dopo un momento di preghiera e alcune parole dell'Arcivescovo.

L'urna che contiene le reliquie del santo è stata trasportata da dodici frati su un carro adornato con fiori colorati.

Monsignor Castoro ha presieduto l'Eucaristia alle 17.30, con la consacrazione dell'altare e la collocazione dell'urna sul pilastro centrale della chiesa, realizzata da Renzo Piano nel 2004.

Il pilastro è decorato con mosaici di padre Ivan Marko Rupnik sulla vita di padre Pio e di San Francesco d'Assisi.

La nuova Basilica è stata inaugurata da Benedetto XVI il 21 giugno 2009, durante la sua visita a San Giovanni Rotondo.

Il santuario di San Giovanni Rotondo è il terzo più visitato del mondo cattolico, dopo il Vaticano e la Basilica messicana di Nostra Signora di Guadalupe, con oltre sette milioni di fedeli all'anno.

L'"apostolo del confessionale", come era noto padre Pio (il cui nome di battesimo era Francesco Forgione), dopo essere entrato nell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini venne ordinato sacerdote nel 1910.

Nel convento di San Giovanni Rotondo fondò la Casa Sollievo della Sofferenza per accogliere i più bisognosi.

A 31 anni iniziò a sperimentare il fenomeno mistico delle stigmate (piaghe simili a quelle di Cristo inchiodato sulla croce).

Le stigmate rimasero per tutta la sua vita. La ferita sul costato, come le altre, grondava spesso sangue, soprattutto durante la Settimana Santa. Quelle delle mani erano nascoste sotto dei guanti di lana.

Le stigmate scomparvero senza lasciare tracce il 22 settembre 1968, il giorno prima della sua morte.

Oltre alla sua fama di santità si diffusero anche forti critiche contro la sua persona. Venne sottoposto a indagine dal Sant'Uffizio, motivo per il quale per tre anni non poté celebrare Messe in pubblico. Dopo anni di ricerche, si dimostrò che tutte le accuse erano false.

Giovanni Paolo II lo ha beatificato nel 1999 e canonizzato il 16 giugno 2002. La sua festa liturgica si celebra il 23 settembre.

Per padre Felice Cangelosi, vicario generale dei Cappuccini, San Pio riposa ora in "un luogo più degno, in cui risplende la regalità di Cristo", verso il quale padre Pio "ha indirizzato tutti i suoi figli spirituali".

Monsignor Castoro, ricorda "L'Osservatore Romano", ha osservato dal canto suo che "San Pio da Pietrelcina dalla nuova dimora terrena del suo corpo" ricorderà "la bellezza della vita divina verso la quale tutti dobbiamo camminare con fede, con speranza e, soprattutto, con carità, seguendo il sentiero già percorso da lui".

"A San Pio abbiamo voluto costruire un sepolcro nuovo, ma desideriamo anche assicurargli che d'ora in poi noi stessi vogliamo vivere da uomini nuovi, vogliamo vivere una vita nuova, con propositi nuovi, per scrutare con occhi nuovi le necessità dei fratelli, secondo il comandamento nuovo, quello dell'amore, per giungere così a cantare un canto nuovo, il canto dei redenti", ha aggiunto.

Il presule ha voluto quindi esprimere vicinanza a Benedetto XVI nel quinto anniversario della sua elezione a Papa, confermandogli "i nostri vincoli di affetto devoto e di profonda comunione". "A lui assicuriamo la nostra preghiera e la nostra gratitudine per il suo illuminato magistero e la cristallina sua testimonianza".

"Santità, so che il vostro cuore soffre molto in questi giorni per le sorti della Chiesa - ha riconosciuto -. Vi offro la mia preghiera e sofferenza quotidiana, quale piccolo ma sincero pensiero dell'ultimo dei vostri figli, affinché il Signore vi conforti con la sua grazia per continuare il diritto e faticoso cammino, nella difesa dell'eterna verità".

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Interviste


La Messa, una questione d'amore
I consigli di monsignor Javier Echevarría, prelato dell'Opus Dei

di Jesús Colina

ROMA, martedì, 20 aprile 2010 (ZENIT.org).- La Santa Messa è una questione d'amore, risponde monsignor Javier Echevarría, prelato dell'Opus Dei, quando gli si chiede un consiglio per tutti coloro che qualche volta si sono annoiati durante una celebrazione eucaristica.

A questo sacramento, monsignor Echevarría, che insieme a monsignor Álvaro del Portillo è stato la persona più vicina a San Josemaría Escrivá de Balaguer, ha dedicato il suo ultimo libro, intitolato Vivir la santa misa (“Vivere la Santa Messa”, RIALP, 2010, 196 pagine).

Monsignor Echevarría, membro della Congregazione vaticana per le Cause dei Santi e del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, consultore della Congregazione vaticana per il Clero e membro onorario della Pontificia Accademia San Tommaso d'Aquino, cerca con questo testo di riscoprire l'amore per l'Eucaristia, “che deve essere il centro della nostra vita”, come ha spiegato in questa intervista concessa a ZENIT.

Che cosa raccomanderebbe ai cattolici che dicono di “annoiarsi” a Messa?

Monsignor Echevarría: Io raccomanderei loro di partecipare con sincerità alla Messa, cercando e amando Gesù. Scrisse San Josemaría in “Cammino”: “La Messa è lunga, dici, e io aggiungo: perché il tuo amore è corto”.

Non bisogna dare troppa importanza al sentimento: entusiasmo o apatia, voglia o mancanza di voglia. La Messa è sacrificio: Cristo si dona per noi. E' un'azione di Dio, e non ne possiamo cogliere pienamente la grandezza per la nostra condizione limitata di creature, ma dobbiamo sforzarci non solo di stare a Messa, ma anche di vivere la Messa in unione con Cristo e con la Chiesa.

Quando ha scoperto il mistero che nasconde e rivela l'Eucaristia?

Monsignor Echevarría: Grazie a Dio, cerco di riscoprirlo tutti i giorni: nella liturgia della Parola – che aiuta a mantenere la conversazione con Dio durante la giornata – e nella liturgia eucaristica. Dovremmo sempre stupirci di fronte a questa realtà che ci supera, ma a cui il Signore ci permette di partecipare, o meglio ci invita a partecipare.

Nella Messa si realizza non solo una comunicazione discendente del dono redentore di Dio, ma anche una meditazione ascendente, offerta dell'uomo a Dio: il suo lavoro e le sue sofferenze, le sue pene e le sue gioie, tutto questo unito a Cristo: per Lui, con Lui e in Lui. Devo riconoscere che vedere come San Josemaría celebrava il Santo Sacrificio, contemplare com'era la sua devozione eucaristica quotidiana, mi ha colpito molto.

Agita profondamente la considerazione per cui nella presentazione delle offerte il sacerdote chiede a Dio di accogliere il pane e il vino, che sono “frutto della terra (o della vite) e del lavoro dell'uomo”. L'uomo può offrire il suo lavoro a Dio in qualsiasi circostanza, ma nella Messa questa offerta raggiunge senso e valore pieno, perché Cristo la unisce al suo sacrificio, che offre al Padre per la salvezza degli uomini.

Quando la Messa è il centro e la causa della giornata del cristiano, quando tutto il suo essere è orientato al sacrificio eucaristico, si può affermare che tutta la sua giornata è una Messa e che il suo luogo di lavoro è un altare, dove si dona pienamente a Dio come suo amato figlio.

Nel suo pontificato, Benedetto XVI sta promuovendo una riscoperta dell'immensità di questo Sacramento. Qual è l'aspetto delle parole o dei gesti del Papa sull'Eucaristia che ha richiamato maggiormente la sua attenzione?

Monsignor Echevarría: In questo momento, mi sembra particolarmente importante la sua insistenza sul fatto che la liturgia è azione di Dio, e come tale viene ricevuta nella continuità della Chiesa.

Il Papa ha scritto che la miglior catechesi sull'Eucaristia è la stessa Eucaristia ben celebrata. Il primo dovere di pietà del sacerdote che celebra o del fedele che partecipa alla Messa deve essere quindi l'osservanza attenta, devota, delle prescrizioni liturgiche: l'obbedienza della pietas.

Dall'altro lato, il Pontefice insiste anche sul fatto che l'Eucaristia è il cuore della Chiesa: Dio presente sull'altare, il Dio vicino, edifica la Chiesa, riunisce i fedeli e li invia a tutti gli uomini.

Qualcosa di più personale: in base ai suoi ricordi, che cos'era per San Josemaría l'Eucaristia? Quale ruolo aveva nella sua giornata?

Monsignor Echevarría: Ho aiutato San Josemaría nella Messa molte volte. In quelle occasioni mi chiedeva di pregare perché non si abituasse a compiere quell'azione così sublime, così sacra. Ho potuto verificare, infatti, una cosa che ha detto una volta: che sperimentava la Messa come un lavoro, uno sforzo a volte estenuante, tanta era l'intensità con cui la viveva.

Durante la giornata ricordava i testi che aveva letto, in particolare il Vangelo, e molte volte li commentava, con naturalezza, come un alimento della sua vita spirituale e umana.

Era consapevole del fatto che nella Messa il protagonista è Gesù Cristo, non il ministro, e che il compimento fedele delle prescrizioni permette al sacerdote di “scomparire”, perché brilli solo Gesù. Molte persone che hanno assistito alle sue Messe – anche nelle difficili circostanze della Guerra Civile Spagnola – commentavano in seguito che il suo modo di celebrarle possedeva qualcosa che li aveva convinti del fatto che ciò che toccava quanti partecipavano – quanti partecipavamo – alla sua Messa era proprio questo: che lasciava che apparisse Cristo, e non la sua persona.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


La prima missione dei cristiani in Egitto: dare testimonianza di vita
Intervista al Patriarca di Alessandria dei copti

ROMA, martedì, 20 aprile 2010 (ZENIT.org).- La Chiesa copta d’Egitto, insieme alla Chiesa di Roma, conta su circa 200.000 fedeli, guidati da sua beatitudine Antonios Naguib, Patriarca di Alessandria dei copti.

Il Patriarca, di 75 anni, ricopre questo ufficio, con sede al Cairo, dal 2006.

In questa intervista rilasciata a ZENIT, parla della situazione del dialogo con l’Islam, del Sinodo speciale per il Medio oriente e dell’aumento del fanatismo.

A fine febbraio, una delegazione del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso ha effettuato una vista al Cairo. È stata ricevuta dal Gran Sceicco Muhammad Sayyid Tantawi, successivamente deceduto. Qual è la situazione del dialogo interreligioso in Egitto?

Patriarca Antonios Naguib: Nei giorni 23 e 24 febbraio 2010 la Commissione del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso si è recata al Cairo per incontrare la Commissione di Al-Azhar. Queste riunioni hanno luogo periodicamente, un anno a Roma e un anno al Cairo.

Si tratta della struttura ufficiale del dialogo interreligioso tra il Vaticano e l’Islam d’Egitto.

Vi sono anche altre istanze locali che tentano di rafforzare i vincoli tra i musulmani e i cristiani nel Paese. I responsabili delle comunità religiose si scambiano le visite in occasioni delle grandi festività.

Noi sentiamo la necessità di intensificare queste relazioni e soprattutto di estenderle alla base, ovvero, alla gente comune.

Questo è l’unico modo per diffondere l’accettazione dell’altro e la fratellanza, e di opporci al fanatismo e all’estremismo.

Commentando i fatti avvenuti a Nag Hammadi in occasione del Natale dei copti, un musulmano ha detto che gli assassini non erano musulmani anche se si autodefinivano tali. I musulmani moderati hanno condannato questo crimine. Ma qual è la sensazione dei copti? Considerano questo incidente come un episodio isolato o temono piuttosto che vi sia un clima di progressiva recrudescenza?

Patriarca Antonios Naguib: Mi fa piacere sentire commenti simili da parte di un musulmano. È vero che i musulmani moderati hanno condannato questo crimine.

Sono molti gli scrittori musulmani che hanno pubblicato articoli oggettivi, molto buoni. Hanno chiesto di affrontare le vere cause del fanatismo e dell’estremismo, soprattutto quelle culturali e religiose.

Per quanto riguarda i copti, questo crimine ha rappresentato un duro colpo, che ha ferito il loro senso di fraternità e di appartenenza al Paese.

Molti lo considerano un atto confessionale. Ma quelli più saggi scorgono in esso il risultato di un insieme di fattori che generano e alimentano il fanatismo. Gli stessi fattori citati dai saggi pensatori musulmani.

Si parla di costruzione di una nuova chiesa nel centro del Cairo. Vengono posti degli ostacoli alla costruzione di nuovi luoghi di culto?

Patriarca Antonios Naguib: Nessuna legge vieta la costruzione di una chiesa. Ma vi sono procedure e requisiti. Le risposte alle domande edilizie giungono dopo molto tempo.

Esiste un progetto di legge unificato, relativo alla costruzione dei luoghi di culto. È stato presentato in Parlamento e sarà preso in esame.

Lei parteciperà al Sinodo speciale per il Medio Oriente? In tal caso, quale sarà il suo messaggio?

Patriarca Antonios Naguib: Tutti i vescovi del Medio Oriente parteciperanno al Sinodo speciale.

Lo stesso tema scelto per il Sinodo ne indica il messaggio principale: testimonianza e comunione.

La nostra prima missione, nei nostri Paesi, si realizza attraverso la testimonianza di vita tra noi, con i nostri fratelli e sorelle musulmani ed ebrei.

E perché la nostra testimonianza sia autentica e credibile, deve scaturire da una vita di comunione, in ogni Chiesa cattolica e tra le diverse Chiese cattoliche.

Inoltre, dobbiamo trovare modi per vivere e rafforzare questa comunione con le altre Chiese cristiane e con i nostri cittadini musulmani ed ebrei.

Il numero di donne che portano il velo è aumentato molto in questi ultimi vent’anni. È indice di un’evoluzione sociale che va verso il consolidamento di un sistema integralista? Quali sono, secondo lei, le cause di questa evoluzione?

Patriarca Antonios Naguib: La sua osservazione è esatta. Attualmente sono poche le donne musulmane che non portano il velo. Anche il niqab [velo che copre l’intero volto salvo gli occhi, n.d.r] si vede ormai sempre più frequente.

Credo che questa evoluzione sia il risultato dell’influenza dell’Islam wahabita nel Paese. Il fenomeno è iniziato con le istanze dei lavoratori egiziani nei Paesi del Golfo e si è propagato rapidamente rafforzandosi e generalizzandosi.

È poi diventato un fenomeno sociale, che si impone anche nelle famiglie più moderate e aperte. Ma il fatto indica anche un aumento del fanatismo.

Qual è la situazione dei mezzi di comunicazione cristiani di lingua araba? Esiste una cinematografia cristiana?

Patriarca Antonios Naguib: In Egitto, i media cristiani di lingua araba sono diversi. Vi sono riviste e quotidiani che appartengono alle diverse Chiese.

Il Libano era l’unico Paese del Medio Oriente che aveva emittenti radiofoniche cristiane. Télé Lumière ha anche avviato un canale televisivo – Noursat – che si sta sviluppando sempre di più.

Attualmente vi sono vari canali televisivi in lingua araba. La Chiesa copta ortodossa in Egitto ne possiede tre.

Questa Chiesa ha iniziato una serie di film a soggetto religioso che hanno riscosso un grande successo tra i cristiani copti.


[Intervista realizzata da Michaela Koller]

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Tutto Libri


Don Dal Covolo: "la tentazione è una pedagogia di Dio"
La vocazione sacerdotale è un atto di Grazia, "nessuno si chiama da sé"


di Mirko Testa

ROMA, martedì, 20 aprile 2010 (ZENIT.org).- Le tentazioni a cui i sacerdoti sono sottoposti durante la vita non sono altro che prove di fede attraverso le quali maturare nella vocazione, da intendersi innanzitutto come un atto di elezione da parte di Dio, che si fa dono e responsabilità.

Lo sostiene il salesiano don Enrico dal Covolo, 59 anni, che dal 21 al 27 febbraio scorsi ha predicato gli Esercizi spirituali per la Quaresima alla presenza del Santo Padre e dei suoi collaborati della Curia romana sul tema “'Lezioni' di Dio e della Chiesa sulla vocazione sacerdotale”.

Le meditazioni si trovano ora raccolte nel volume “In ascolto dell’Altro” (Libreria Editrice Vaticana), che nel titolo riecheggia la preghiera di Salomone per “un cuore che ascolta” da cui il sacerdote ha preso le mosse per sviluppare le sue riflessioni.

“Chiaramente – ha spiegato a ZENIT don Enrico dal Covolo – questo è un punto fondamentale di fronte alla crisi di una cultura sempre più incapace di ascoltare l'Altro ma anche gli altri che ci stanno intorno, e di fronte alla tentazione alla autoreferenzialità che è sempre in agguato”.

Postulatore generale della famiglia di don Bosco e professore ordinario di Letteratura cristiana antica presso la Pontificia Università Salesiana, il sacerdote seguendo il metodo della lectio divina, ha scandito le tappe tipiche dei racconti biblici di vocazione: la chiamata di Dio; la risposta dell'uomo alla missione; il dubbio, le tentazioni e le cadute del chiamato; e infine la conferma rassicurante da parte di Dio.

All'interno di questo tracciato biblico il sacerdote ha voluto innestare alcuni “medaglioni”, ovvero alcuni modelli luminosi di santità sacerdotale – sant’Agostino, il santo Curato d’Ars, il curato di campagna di Bernanos, il venerabile don Giuseppe Quadrio e il venerabile Giovanni Paolo II – in corrispondenza con i temi delle varie giornate degli Esercizi spirituali: vocazionale, missionario, penitenziale, cristologico e mariano.

In alcune dichiarazioni a ZENIT, riflettendo sugli scandali per gli abusi sessuali da parte del clero che hanno investito la Chiesa negli ultimi tempi, il sacerdote ha detto: “Secondo me si impone immediatamente una riflessione ampia sulla vocazione fondata veramente sui testi biblici che di questa costituiscono il paradigma”.

“E allora – ha osservato – il punto di partenza in assoluto è proprio la Grazia di Dio perché la vocazione sacerdotale, come ogni altra vocazione, è innanzitutto un atto di Grazia, di elezione da parte di Dio. Nessuno si chiama da sé nella prospettiva della fede ma Dio solo chiama. Ed è Lui che liberamente, gratuitamente, chiamando apprezza anche colui che chiama”.

In questa prospettiva la vocazione degli apostoli rappresenta “la prova più bella e la documentazione migliore: è infatti il Signore stesso che li ha chiamati, li ha attrezzati per la missione a cui li mandava ma senza sottrarre loro la libertà. Tant'è vero che uno dei Dodici è proprio il traditore così come sono innumerevoli le testimonianze di debolezza umana anche degli altri undici”.

“Dunque non è che i sacerdoti come gli apostoli siano immuni dalle tentazioni – ha sottolineato –. Essi, infatti, sono soggetti alle tristi conseguenze del peccato dell'origine. Non esiste la figura del prete angelicato, cioè che non soffre le tentazioni, le cadute: tutto questo è drammaticamente presente nella storia del sacerdote”.

“Neppure Gesù fu esentato dalla prova, neanche Maria fu esentata dalla tentazione – ha detto ancora il salesiano –. La tentazione è una pedagogia di Dio, è una prova della fede che fa maturare il cammino vocazionale. Quindi dobbiamo considerare la tentazione non tanto come un incerto, quanto piuttosto come una via provvidenziale”.

“Ciò che salva – ha evidenziato poi –, come si vede nella vicenda di Pietro, è il ricorso alla fede e all'amore nei confronti di Colui che chiama. Ciò che è decisiva per Pietro è la risposta definitiva: 'Signore, tu sai che io ti amo'. E da questa consegue la missione apostolica, cioè: 'pasci i miei agnelli', 'pasci le mie pecorelle'”.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Forum


E' vero che una cultura vale l'altra?

di padre Piero Gheddo*

ROMA, martedì, 20 aprile 2010 (ZENIT.org).- E’ proprio vero che una cultura vale l’altra? Parecchi lo credono, ma avendo visitato molti popoli interessandomi delle loro credenze religiose e culturali so che non è vero. Un esempio concreto.

Nel 1980 sono stato in Papua Nuova Guinea (Oceania) e anche nelle Isole Trobriand, paradisi terrestri per bellezze e vita naturali degli indigeni. Una rapida visita però dice poco, ma in questi giorni ho ritrovato due ritagli di “Venga il Tuo Regno”, rivista del Pime di Napoli (maggio 1991 e febbraio 1994), nei quali padre Giuseppe Filandia scrive sul tema “Tradizioni ed evangelizzazione” e parla del matrimonio tradizionale proprio nelle meravigliose Isole Trobriand. Ecco cosa scrive dopo anni di esperienza sul posto:

Un giovane e una ragazza si sposano non per attrazione reciproca ma per interesse. Nella loro cultura non esiste un’educazione che li prepari al vero significato della vita a due. Le pratiche sessuali sono un gioco che praticano, anzi devono praticare, fin dall’età di sette-otto anni….

Spetta agli zii materni trovare la ragazzina (scherzando la chiamano 'la futura sposa') con cui il nipotino possa passare la notte insieme. Così si svuota il senso dell’affetto, della donazione reciproca completa, della bellezza stessa della vita matrimoniale, quando giunge il momento di costituire una famiglia…L’uomo non coopera affatto alla nascita dei figli, sono degli spiriti speciali a dare i bambini alle donne, attraverso la testa. Quindi l’uomo non ha nessuna responsabilità e partecipazione nella procreazione.

Il matrimonio è un problema di interesse materiale: sposare una donna per l’uomo significa garantirsi una sicurezza economica…. Per la donna i motivi per contrarre matrimonio si riducono al bisogno concreto di avere accanto qualcuno, per sentirsi protetta, avere una casetta propria e un focolare da custodire….

L’educazione dei figli non esiste. Il padre ne lascia l’incarico ai cognati, secondo la tradizione, e questi, regolarmente, non se ne interessano. Per cui i bambini crescono senza principi morali, senza freni, si permettono di fare tutto quel che vogliono e non sono rimproverati né corretti, perché la loro tradizione è molto permissiva in ciò che noi consideriamo il male: come la vendetta, la prepotenza, il furto, l’inganno, la pigrizia e qualsiasi altra immoralità...

L’adulterio, molto comune, sembra accettato, a meno che ci sia una pubblica accusa, allora si deve fare un po’ di scena per salvare la faccia. Il colpevole paga le sue ventimila lire di multa e tutto finisce lì. I mariti che stanno lontani dalle mogli per anni non si meravigliano se al loro ritorno trovano uno o due figli in più. Tanto, non è l’uomo ma sono gli spiriti che danno i bambini alle donne…

Accenno a queste miserie per ricordare ai lettori, se ce ne fosse bisogno, quando meravigliosa è la nostra morale cattolica, che è sicura difesa della vita, della persona e salva amore e unità delle famiglie…. Fa pena vedere i nostri ragazzi e le nostre ragazze che seguono ciecamente certe tradizioni senza mai capire cosa sia il vero amore, il senso della vita, del 'diventare due in una sola carne'. Il valore del matrimonio monogamico mentre qui c’è la poligamia (almeno per i capi). Voi che avete la gioia di vivere in una famiglia cristiana, abbiate un pensiero e una preghiera per questo nostro popolo della Papua Nuova Guinea”.

Cari amici lettori, questa è una cultura non cristiana non nelle cartoline turistiche, nei romanzi e documentari televisivi, ma nella concretezza della vita quotidiana di un popolo che ancora non conosce il Vangelo. E il nostro popolo italiano, che ha ricevuto il Vangelo da duemila anni, quanto è lontano da queste miserie “pagane”?

------

*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l'Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Documenti


Discorso del Papa al termine delle esequie del Card. Tomáš Špidlík
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 20 aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo martedì mattina da Benedetto XVI al termine delle esequie del Cardinale Tomáš Špidlík, S.I., celebrate nella Basilica vaticana dal Cardinale Angelo Sodano, Decano del Collegio Cardinalizio, insieme con gli altri porporati.





* * *

Venerati Fratelli,

illustri Signori Signore,

cari fratelli e sorelle!

Tra le ultime parole pronunciate dal compianto Cardinale Špidlík, vi sono state queste: "Per tutta la vita ho cercato il volto di Gesù, e ora sono felice e sereno perché sto per andare a vederlo". Questo stupendo pensiero – così semplice, quasi infantile nella sua espressione, eppure così profondo e vero – rimanda immediatamente alla preghiera di Gesù, che è risuonata poc’anzi nel Vangelo: "Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo" (Gv 17,24). E’ bello e consolante meditare questa corrispondenza tra il desiderio dell’uomo, che aspira a vedere il volto del Signore, e il desiderio di Gesù stesso. In realtà, quella di Cristo è ben più di un’aspirazione: è una volontà. Gesù dice al Padre: "voglio che quelli che mi hai dato siano con me". Ed è proprio qui, in questa volontà, che noi troviamo la "roccia", il fondamento solido per credere e per sperare. La volontà di Gesù in effetti coincide con quella di Dio Padre, e con l’opera dello Spirito Santo costituisce per l’uomo una sorta di "abbraccio" sicuro, forte e dolce, che lo conduce alla vita eterna.

Che immenso dono ascoltare questa volontà di Dio dalla sua stessa bocca! Penso che i grandi uomini di fede vivono immersi in questa grazia, hanno il dono di percepire con particolare forza questa verità, e così possono attraversare anche dure prove, come le ha attraversate Padre Tomáš Špidlík, senza perdere la fiducia, e conservando anzi un vivo senso dell’umorismo, che è certamente un segno di intelligenza ma anche di libertà interiore. Sotto questo profilo, era evidente la somiglianza tra il nostro compianto Cardinale e il Venerabile Giovanni Paolo II: entrambi erano portati alla battuta spiritosa e allo scherzo, pur avendo avuto in gioventù vicende personali difficili e per certi aspetti simili. La Provvidenza li ha fatti incontrare e collaborare per il bene della Chiesa, specialmente perché essa impari a respirare pienamente "con i suoi due polmoni", come amava dire il Papa slavo.

Questa libertà e presenza di spirito ha il suo fondamento oggettivo nella Risurrezione di Cristo. Mi piace sottolinearlo perché ci troviamo nel tempo liturgico pasquale e perché lo suggeriscono la prima e la seconda lettura biblica di questa celebrazione. Nella sua prima predicazione, il giorno di Pentecoste, san Pietro, ricolmo di Spirito Santo, annuncia il compimento in Gesù Cristo del Salmo 16. E’ stupendo vedere come lo Spirito Santo riveli agli Apostoli tutta la bellezza di quelle parole nella piena luce interiore della Risurrezione: "Contemplavo il Signore innanzi a me, / egli sta alla mia destra, perché io non vacilli. / Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua, / e anche la mia carne riposerà nella speranza" (At 2,25-26; cfr Sal 16/15,8-9). Questa preghiera trova un compimento sovrabbondante quando Cristo, il Santo di Dio, non viene abbandonato negli inferi. Egli per primo ha conosciuto "le vie della vita" ed è stato colmato di gioia con la presenza del Padre (cfr At 2,27-28; Sal 16/15,11). La speranza e la gioia di Gesù Risorto sono anche la speranza e la gioia dei suoi amici, grazie all’azione dello Spirito Santo. Lo dimostrava abitualmente Padre Špidlík con il suo modo di vivere, e questa sua testimonianza diventava sempre più eloquente col passare degli anni, perché, malgrado l’età avanzata e gli inevitabili acciacchi, il suo spirito rimaneva fresco e giovanile. Che cos’è questo se non amicizia con il Signore Risorto?

Nella seconda lettura, san Pietro benedice Dio che "nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva". E aggiunge: "Perciò siete ricolmi di gioia, anche se dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove" (1 Pt 1,3.6). Anche qui emerge chiaramente come la speranza e la gioia siano realtà teologali che promanano dal mistero della Risurrezione di Cristo e dal dono del suo Spirito. Potremmo dire che lo Spirito Santo le prende dal cuore di Cristo Risorto e le trasfonde nel cuore dei suoi amici.

Volutamente ho introdotto l’immagine del "cuore", perché, come molti di voi sanno, Padre Špidlík la scelse per il motto del suo stemma cardinalizio: "Ex toto corde", "con tutto il cuore". Questa espressione si trova nel Libro del Deuteronomio, dentro il primo e fondamentale comandamento della legge, là dove Mosè dice al popolo: "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze" (Dt 6,4-5). "Con tutto il cuore – ex toto corde" si riferisce dunque al modo con cui Israele deve amare il suo Dio. Gesù conferma il primato di questo comandamento, al quale abbina quello dell’amore per il prossimo, affermando che esso è "simile" al primo e che da entrambi dipendono tutta la legge e i profeti (cfr Mt 22,37-39). Scegliendo questo motto, il nostro venerato Fratello poneva, per così dire, la sua vita dentro il comandamento dell’amore, la inscriveva tutta nel primato di Dio e della carità.

C’è un altro aspetto, un ulteriore significato dell’espressione "ex toto corde", che sicuramente Padre Špidlík aveva presente e intendeva manifestare col suo motto. Sempre a partire dalla radice biblica, il simbolo del cuore rappresenta nella spiritualità orientale la sede della preghiera, dell’incontro tra l’uomo e Dio, ma anche con gli altri uomini e con il cosmo. E qui bisogna ricordare che nello stemma del Cardinale Špidlík il cuore, che campeggia nello scudo, contiene una croce nei cui bracci si intersecano le parole PHOS e ZOE, "luce" e "vita", che sono nomi di Dio. Dunque, l’uomo che accoglie pienamente, ex toto corde, l’amore di Dio, accoglie la luce e la vita, e diventa a sua volta luce e vita nell’umanità e nell’universo.

Ma chi è quest’uomo? Chi è questo "cuore" del mondo, se non Gesù Cristo? E’ Lui la Luce e la Vita, perché in Lui "abita corporalmente tutta la pienezza della divinità" (Col 2,9). E qui mi piace ricordare che il nostro defunto Fratello è stato un membro della Compagnia di Gesù, cioè un figlio spirituale di quel sant’Ignazio che pone al centro della fede e della spiritualità la contemplazione di Dio nel mistero di Cristo. In questo simbolo del cuore si incontrano Oriente e Occidente, in un senso non devozionistico ma profondamente cristologico, come hanno messo in luce altri teologi gesuiti del secolo scorso. E Cristo, figura centrale della Rivelazione, è anche il principio formale dell’arte cristiana, un ambito che ha avuto in Padre Špidlík un grande maestro, ispiratore di idee e di progetti espressivi, che hanno trovato una sintesi importante nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico.

Vorrei concludere ritornando al tema della Risurrezione, citando un testo molto amato dal Cardinale Špidlík, un passo degli Inni sulla Risurrezione di sant’Efrem il Siro:

"Dall’alto Egli è disceso come Signore,

dal ventre è uscito come un servo,

la morte si è inginocchiata davanti a Lui nello Sheol,

e la vita l’ha adorato nella sua risurrezione.

Benedetta la sua vittoria!" (n. 1, 8).

La Vergine Madre di Dio accompagni l’anima del nostro venerato Fratello nell’abbraccio della Santissima Trinità, dove "con tutto il cuore" loderà in eterno il suo infinito Amore. Amen.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su



Nessun commento:

Related Posts with Thumbnails