sabato 24 aprile 2010

[ZI100423] Il mondo visto da Roma

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Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 23 aprile 2010

Santa Sede

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Santa Sede


Infondata una denuncia negli Stati Uniti contro la Santa Sede
Jeff Anderson vuole portare sul banco degli imputati il Papa e i Card. Bertone e Sodano
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 23 aprile 2010 (ZENIT.org).- Non ha giuridicamente alcun fondamento la denuncia contro la Santa Sede presentata presso il Tribunale Federale di Milwaukee per i crimini commessi da un sacerdote statunitense.

E' la conclusione alla quale è giunto l'avvocato Jeffrey Lena, incaricato di difendere la Santa Sede negli Stati Uniti, in un comunicato emesso questo venerdì dalla Sala Stampa vaticana.

Dietro la denuncia si trova il noto avvocato Jeff Anderson, che questo giovedì ha annunciato durante una conferenza stampa un'azione legale contro l'allora Cardinale Joseph Ratzinger, in quanto prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e contro i Cardinali Tarcisio Bertone, in quanto segretario della stessa Congregazione vaticana, e Angelo Sodano, ex Segretario di Stato.

L'accusa fa riferimento al trattamento riservato a padre Lawrence Murphy, sacerdote che secondo i suoi accusatori abusò di circa 200 bambini in un istituto per sordi tra il 1950 e il 1974. Il chierico, che era stato assolto dalla giustizia statunitense, venne processato canonicamente per essere dimesso dallo stato clericale.

In realtà, la Congregazione per la Dottrina della Fede venne interpellata per una questione legata al delitto di violazione del sacramento della confessione da parte di padre Murphy, tra il 1996 e il 1997, e diede indicazione di procedere contro di lui nonostante la lontananza temporale dei fatti rappresentasse un impedimento canonico.

Visto che i crimini si erano verificati 35 anni prima, la Congregazione chiese che il sacerdote rimanesse nel regime di isolamento in cui viveva (in parte a causa della sua malattia) e un'azione decisa per ottenere il suo pentimento. Il chierico è morto quattro mesi dopo la decisione vaticana, presa alla fine del maggio 1998.

Secondo quanto ha spiegato l'avvocato Lena, "innanzitutto - ed è la cosa più importante - solidarietà è dovuta alle vittime degli atti criminali commessi da don Lawrence Murphy. Abusando sessualmente di bambini, Murphy ha violato sia la legge sia la fiducia che le sue vittime avevano riposto in lui".

La nota dell'avvocato spiega che, "sebbene legittime azioni legali siano state intentate da vittime di abusi, questa non è una di esse. Piuttosto, questa azione legale è un tentativo di utilizzare eventi tragici come piattaforma per un attacco più ampio, che dipende dalla volontà di descrivere la Chiesa cattolica come un''impresa commerciale' mondiale".

Per Lena, "l'azione legale di John Doe contro la Santa Sede e i suoi funzionari è assolutamente priva di fondamento. La maggior parte delle accuse rimastica vecchie teorie già rifiutate dai tribunali statunitensi. A proposito di Murphy stesso, la Santa Sede e i suoi funzionari non hanno saputo nulla dei suoi crimini se non decenni dopo il loro verificarsi e non hanno avuto assolutamente alcun ruolo nel provocare danni alla parte civile".

"Data la mancanza di merito, l'azione legale insieme con la conferenza stampa e i comunicati rituali, è semplicemente il tentativo più recente da parte di certi avvocati statunitensi di utilizzare un processo come strumento per i rapporti con i media. Se necessario, risponderemo a questa azione legale in tribunale in modo più esaustivo e al momento opportuno", ha concluso il rappresentante legale della Santa Sede.

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Il Papa accetta la rinuncia di un Vescovo colpevole di pederastia
Monsignor Vangheluwe si ritira dalla Diocesi belga di Bruges
BRUXELLES, venerdì, 23 aprile 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha accettato questo venerdì la rinuncia al governo pastorale della Diocesi belga di Bruges presentata da monsignor Roger Joseph Vangheluwe, che in passato ha abusato sessualmente di un giovane.

Il Centro interdiocesano di Bruxelles ha accolto questo venerdì mattina una conferenza stampa per spiegare le cause della rinuncia del Vescovo.

Il portavoce della Diocesi di Bruges, Peter Rossel, ha letto un messaggio di scuse del Vescovo Vangheluwe, in cui riconosce che "quando ero ancora un semplice sacerdote e per un certo periodo all'inizio del mio episcopato ho abusato sessualmente di un giovane del mio ambiente".

"Negli ultimi decenni ho riconosciuto in varie occasioni la mia colpa contro di lui, così come contro la sua famiglia, e ho chiesto perdono - ha scritto il presule -, ma questo non lo ha pacificato. E neanche io sono in pace".

"La tempesta mediatica delle ultime settimane ha rafforzato il trauma. Non si può portare avanti questa situazione".

"Lamento profondamente ciò che ho fatto e porgo le mie più sincere scuse alla vittima, alla sua famiglia, a tutta la comunità cattolica e alla società in generale", dichiara il Vescovo nel suo messaggio.

"Ho presentato la mia rinuncia come Vescovo di Bruges a Papa Benedetto XVI ed è stata accettata questo venerdì. Per questo, mi ritiro".

Dimissioni indispensabili

"Affrontiamo una situazione particolarmente grave", ha confessato l'Arcivescovo di Malines-Bruxelles, monsignor André-Mutien Léonard, davanti a un gran numero di giornalisti che assistevano alla conferenza stampa.

"Pensiamo in primo luogo alla vittima e alla sua famiglia, molti membri della quale hanno saputo solo oggi la tremenda notizia - ha dichiarato -. Per la vittima si tratta di un lungo calvario, che senza dubbio non è terminato".

"Quanto al Vescovo Roger Vangheluwe, ha diritto, come persona, alla conversione, confidando nella misericordia di Dio", ha aggiunto.

"Ad ogni modo, per quanto riguarda la sua funzione, è indispensabile che per rispetto della vittima e della sua famiglia e per rispetto della verità si dimetta dal suo incarico".

"E' ciò che ha fatto. Il Papa ha accettato immediatamente la rinuncia del Vescovo di Bruges, che in questo momento diventa pubblica a Roma".

Monsignor Léonard ha sottolineato che "la Chiesa insiste sul fatto che in tali questioni non bisogna tergiversare" e ha aggiunto: "Speriamo di contribuire in questo modo al ristabilimento della vittima".

L'Arcivescovo ha spiegato che la decisione del Vescovo di Bruges e l'organizzazione della conferenza stampa di questo venerdì "corrispondono alla volontà di trasparenza che la Chiesa cattolica in Belgio vuole applicare rigorosamente in questa materia".

In tal modo, ha affermato, la Chiesa vuole agire "voltando completamente pagina rispetto all'epoca, non troppo lontana, in cui nella Chiesa, come in altri luoghi, si preferiva la soluzione del silenzio o dell'occultamento".

Ha anche riconosciuto che "questo fatto provocherà grande dolore in tutta la comunità cattolica del Belgio, soprattutto perché il Vescovo Vangheluwe era considerato una persona generosa e dinamica, molto apprezzata nella sua Diocesi e nella Chiesa del Belgio".

"Siamo consapevoli della crisi di fiducia che questo fatto provocherà in molte persone", ha dichiarato.

"Ad ogni modo, osiamo sperare che prevalga il buonsenso e che i Vescovi e soprattutto i sacerdoti di questo Paese non siano indebitamente screditati nel loro insieme".

"La grande maggioranza di loro vive in modo coerente con la propria vocazione, e con una fedeltà per la quale li ringrazio pubblicamente", ha ricordato.

La situazione non si placava

Alla conferenza stampa è intervenuto anche il Vescovo rappresentante della Commissione per la gestione delle denunce per abusi sessuali in una relazione pastorale, monsignor Guy Harpigny.

Il presule ha spiegato di essersi reso conto della situazione del Vescovo Vangheluwe questo martedì, 20 aprile, "per un messaggio dell'ambiente della vittima rivolto ai Vescovadi".

In quel momento, "nessuno dei membri della Conferenza Episcopale del Belgio era al corrente di questa situazione", ha precisato.

"Ho solo saputo che all'inizio del mese il Cardinal Danneels - già emerito - ha avuto un incontro con la famiglia, su richiesta della famiglia della vittima e alla presenza di monsignor Vangheluwe", ha spiegato.

"Egli ha ascoltato e ha constatato che la situazione non si placava", ha continuato.

La vittima nel frattempo si è messa in contatto con la Commissione rappresentata da monsignor Harpigny.

Antidoto

Anche il presidente di questa Commissione, Peter Adriaenssens, è intervenuto alla conferenza stampa, cercando di rispondere alla domanda: "Come riparare a un passato che era diventato troppo pesante?".

Per l'esperto, "la storia della vittima di monsignor Vangheluwe è un caso esemplare che dimostra che crescere con un passato troppo pesante può danneggiare in ogni senso del termine".

"L'abuso sessuale è in primo luogo una questione di abuso di potere", ha spiegato, caratterizzato dal "segreto imposto alla vittima e dal piccolo circolo ristretto in cui si sviluppa".

Adriaenssens ha quindi proposto un "antidoto": "di fronte all'abuso di potere, si tratta di ristabilire l'equilibrio delle dignità", "di fronte al peso del segreto c'è il diritto di ritrovare il libero uso della propria parola" e "di fronte a ciò che è arrivato davanti agli occhi c'è la trasparenza di una comunicazione aperta".

A suo avviso, "sono queste le tre vie di cura che possono offrirsi oggi alla vittima e alla sua famiglia".

"Speriamo che le misure chiare che interessano oggi l'autore di questi fatti permettano alla vittima di sentirsi orgogliosa di appartenere alla società".



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Visita del Papa a Cipro: un avvenimento "di grande importanza storica"
Secondo l'ambasciata del Paese presso la Santa Sede
ROMA, venerdì, 23 aprile 2010 (ZENIT.org).- Le autorità della Repubblica di Cipro ritengono che la visita di Benedetto XVI nel Paese, dal 4 al 6 giugno prossimi, sia un avvenimento "di grande importanza storica".

Il Papa è stato invitato dal Presidente Demetris Christofias in occasione della sua visita in Vaticano il 27 marzo 2009, e ha ricevuto anche l'invito della Chiesa locale.

Secondo l'ambasciata di Cipro presso la Santa Sede, si tratta di un "avvenimento di grande importanza storica perché è la prima volta che ha luogo una visita di questo tipo".

"Papa Benedetto XVI avrà incontri ufficiali - segnala il comunicato - con il Presidente della Repubblica e con altri rappresentanti dello Stato, con l'Arcivescovo di Cipro e con rappresentanti della comunità cattolica del Paese".

"Durante il suo soggiorno a Cipro, il Pontefice si recherà in pellegrinaggio al Pilastro di San Paolo a Paphos", aggiunge.

Una soluzione alla crisi di Cipro

Nel suo discorso al corpo diplomatico del 7 gennaio 2008, il Papa ha ricordato la divisione dell'isola, dicendo: "Esprimo l'augurio che, nel contesto dell'Unione Europea, non si risparmi alcuno sforzo per trovare soluzione ad una crisi che dura da troppo tempo".

L'occupazione del nord dell'isola da parte dell'esercito turco rappresenta uno dei principali ostacoli all'integrazione della Turchia nell'Unione Europea.

Nel suo discorso dell'8 gennaio 2009, il Papa ha constatato con piacere che "le aspirazioni alla pace sono vive a Cipro, dove sono ripresi i negoziati in vista di eque soluzioni ai problemi legati alla divisione dell'Isola".

La seconda tornata elettorale, domenica 25 aprile, del prossimo Presidente della Repubblica Turca del Nord di Cipro (RTCN), riconosciuta solo dalla Turchia e sotto occupazione turca, potrebbe tuttavia modificare tutto ciò.

Il leader del partito di unità nazionale (UBP, conservatore), M. Dervis Eroglu, arriva effettivamente al potere dopo il primo turno elettorale di domenica scorsa.

I negoziati per la difficile riunificazione dell'isola sono stati iniziati da M. Mehmet Ali Talat, ma il suo avversario si mostra favorevole a una soluzione a due Stati.

Il viaggio del Papa a Cipro sarà anche l'occasione, il 6 giugno, per pubblicare l'Instrumentum laboris dell'Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente, che si celebrerà in Vaticano dal 10 al 24 ottobre prossimi.



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26 anni della Croce dei giovani
I giovani scoprono la sua forza "provocatrice"
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 23 aprile 2010 (ZENIT.org).- Da quando, 26 anni fa, Giovanni Paolo II ha consegnato ai giovani una Croce perché la portassero per le vie del mondo, la sua forza "provocatrice" è stata riscoperta, ha constatato questo giovedì il Vescovo Josef Clemens, segretario del Pontificio Consiglio per i Laici.

Il presule tedesco ha celebrato nel pomeriggio questo anniversario al Centro Internazionale Giovanile San Lorenzo, creato da Papa Karol Wojtyła nel 1983 accanto a Piazza San Pietro e che, tra le altre cose, accoglie la Croce quando non peregrina per il mondo.

"Le recenti controversie sulla presenza del crocifisso negli edifici pubblici, nelle scuole e negli ospedali, ci hanno fatto capire la capacità 'provocatrice' della Croce di Cristo", ha affermato monsignor Clemens nell'omelia.

A questa forza di provocazione per le nuove generazioni fa riferimento anche il video "Il potere della Croce", realizzato dai giovani del Centro in collaborazione con l'agenzia H2onews (www.h2onews.org), presentato al termine della Messa.

La Croce, ha spiegato monsignor Clemens, "diventa sempre di più un 'segno di contraddizione', un 'interrogativo' che richiede delle risposte da parte di 'diaconi della parola', e, ai nostri giorni, richiede ancora di più risposte da 'diaconi di vita cristiana'".

Il direttore del Centro San Lorenzo, padre Eric Jacquinet, che è anche responsabile della sezione giovani del dicastero per i Laici, ha spiegato che "è importante presentare il messaggio della Croce ai giovani che vengono qui perché ne vedano l'attualità. I giovani conoscono la sofferenza, i fallimenti, il dubbio, il lutto: hanno bisogno di trovare la consolazione, la forza, la speranza".

Il documentario, infatti, incoraggia i giovani alla scoperta di questo grande dono all'umanità.

Attraverso le testimonianze di diciassette protagonisti, il video racconta non solo la storia della croce delle GMG, ma soprattutto la potenza che si manifesta in essa e l'amore per l'umanità che ha portato Cristo ad accettare la morte. La perdita di un amico, la mancanza del padre in una famiglia, la perdita di un bambino non nato: sono storie vere che i giovani testimoni hanno affrontato nella loro vita. Solo in Cristo e nella sua Croce hanno potuto trovare il vero perdono, la riconciliazione, la pace e la gioia.

"Quando i giovani vengono a venerare la croce con grande fede ne rimangono toccati - ha concluso padre Eric, incaricato anche del Pontificio Consiglio per i Laici per la preparazione della Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid 2011-. Per alcuni la venerazione della croce rappresenta il momento più importante del pellegrinaggio a Roma".

Il filmato - disponibile in italiano, inglese, francese, spagnolo, tedesco e polacco - è concepito come strumento di evangelizzazione per comunicare ai giovani che frequentano il Centro il mistero della Croce. Il documentario sarà usato per l'accoglienza dei gruppi e delle persone a San Lorenzo in piscibus e accompagnerà la croce della GMG durante i suoi viaggi nelle Diocesi di tutto il mondo.

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Mons. Celli: nel continente digitale ma non come Torri d'avorio
La Chiesa deve dare anima e rendere concreta la realtà virtuale

di Mirko Testa

ROMA, venerdì, 23 aprile 2010 (ZENIT.org).- Oggi la Chiesa non è più chiamata a ritagliarsi semplicemente un proprio spazio all'interno del mondo digitale, dominato dai nuovi media, ma ha il compito di lasciare una impronta originale e duratura di sé, impegnandosi in “un dialogo a tutto raggio, aperto a ogni uomo”.

E' quanto ha affermato questo venerdì mons. Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, intervenendo al Convegno “Testimoni digitali”, promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI).

A otto anni di distanza dal precedente incontro promosso dalla CEI dal titolo “Parabole mediatiche”, ha esordito il presule, “ci troviamo oggi quasi ad esplorare un mondo nuovo. L'accento in maniera particolarmente significativa è posto non più e non tanto sul mezzo, le parabole, quanto sul protagonista della comunicazione il testimone”.

“Un testimone – ha aggiunto – diventato nel frattempo digitale, come a sottolineare nel dato tecnico una trasformazione che non è soltanto tale. E' davvero un mondo nuovo quello che si apre e che si svela ogni giorno di più sotto i nostri occhi”.

“Il marchio di una grande e quasi inarrestabile evoluzione tecnologica è l'aspetto più visibile di quella che va considerata non solo una svolta nel campo della comunicazione ma un vero e proprio cambio di passo nei rapporti che la conoscenza e il sapere hanno da sempre intessuto con la società civile”, ha detto.

“Oggi senza cadere nel rischio della banalizzazione non si può continuare a parlare dell'importanza dei media – ha osservato –. La vita, gli avvenimenti, tutto ciò che è intorno a noi sono un continuo e incessante richiamo al fatto semplice e naturale che i media sono ormai e in molti modi dentro la nostra stessa vita e spesso non solo la orientano ma la condizionano, reclamano per così dire una considerazione che a loro spetta ormai di diritto”.

“Dunque – ha aggiunto – la prospettiva in un certo senso cambia come per una resa naturale all'evidenza e così l'attenzione si sposta e ritorna più decisamente sull'uomo, su colui che ha rischiato forse di essere sovrastato dall'invadenza delle nuove tecnologie ma al quale è chiesto di riprendersi appieno una propria responsabilità e ripristinare così il dato essenziale di una vicenda che è essenzialmente antropologica e non tecnologica”.

Oggi, ha aggiunto il presule, “non siamo chiamati ad essere semplicemente cittadini, magari spaesati o soltanto ricchi di stupore del continente digitale. Il nostro compito neppure è quello di occupare un qualsiasi spazio e di farci presenti perché proprio non si può farne a meno”.

“Siamo chiamati invece a lasciare tracce visibili – ha sottolineato –, tracce riconoscibili che facciano pensare dai segni lasciati proprio alla nostra presenza e non a quella indistinta di qualsiasi altro. Se la Rete per definizione è virtuale a noi spetta il compito di renderla concreta, di darle spessore, di offrirle in qualche modo anima e quindi vita”.

“Come ai primi apostoli sono servite le strade allora sconosciute del mondo così la Rete dovrà servirci per portare e diffondere la Buona Novella”, che non è soltanto una “immagine poetica”.

“Abbiamo certo bisogno di essere bene equipaggiati in competenza e quindi sta a noi oggi conoscere le strade e muoverci con padronanza – ha detto mons. Celli –. Ma più di ogni altra cosa a noi oggi è richiesto di avere chiara la meta e di conoscere a fondo gli obiettivi”.

A “testimoni autentici e coraggiosi”, ha affermato ancora, il continente digitale non può che - come afferma Papa Benedetto XVI nel messaggio per la 44° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali - “spianare la strada a nuovi incontri assicurando sempre la qualità del contatto umano e l'attenzione alle persone e ai loro veri bisogni spirituali”.

“È innegabile che in questo contesto il sacerdote gioca un ruolo particolare nella sua pastorale – ha quindi evidenziato –. Ciò a indicare l'importanza dell'utilizzazione pastorale dei nuovi media”.

“Ed è attraverso tale impegno in particolare – ha continuato – che è possibile esercitare quella diaconia della cultura digitale che si presenta oggi come un servizio non solo utile ma necessario e tale da porre l'accento sulla dimensione antropologica di tutto il fenomeno della comunicazione”.

“Nessun altro continente interpella oggi il nostro interesse e la nostra sensibilità più di questo nel quale molti di noi investono larga parte della propria attività e della propria esistenza”, ha continuato mons. Celli.

“Questo continente – ha indicato – è un po' la nostra casa nella quale talvolta occorrerà mettere ordine o anche prendere atto che può trovarsi investita da qualche tempesta talvolta anche imprevista. E credo che non abbia la necessità di esplicitare a voi a quale tempesta mi riferisco”.

“Soprattutto in questo caso abbiamo bisogno di sapere che le nostra fondamenta sono solide e ben piantate anche nel continente digitale e uno dei modi per garantirsi della solidità di tutto l'impianto è di aprirlo a forme di condivisione volte a un bene comune che abbia a sua volta forti radici in un dialogo a largo raggio”.

Papa Benedetto, ha ricordato mons. Celli, ha indicato la costituzione di un “Cortile dei Gentili” - quello spazio del tempio a cui potevano accedere per pregare tutti i popoli, e non solo gli Israeliti - “come riedizione di uno spazio nuovo e moderno, dove esercitare l'arte di un confronto intessuto di rispetto e non quasi forma di proselitismo di cui le nuove tecnologie sembrano poter essere anche o come le ancelle di un tempo nuovo”.

“Oggi come oggi mi preoccupa meno la Torre Antonia”, ha notato a questo proposito il presule facendo riferimento all'edificio che anticamente sorgeva presso il lato settentrionale del Tempio di Gerusalemme, sede del Pretorio, dove Gesù venne processato e condannato a morte.

“Il rischio che potremmo correre è trasformarci in grandi Torri d'avorio”, ha commentato.

“Credo – ha spiegato – che il Papa ci inviti a un dialogo a tutto raggio, aperto a ogni uomo” e “che dovremmo riflettere sulla vocazione dei nostri mezzi di comunicazione in casa. Non sono scuole di fondamentalismo religioso ma vogliono essere veramente momenti di incontro, di dialogo, di ascolto vissuto nel rispetto ma anche nell'autenticità di ciò che noi siamo”.

Nuove tecnologie quindi “come ancelle dopo tutto al servizio di una verità che resta”, che è “l'elemento sempre decisivo e sempre per così dire superiore ad ogni sorta di mezzo”, ha infine concluso.

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Disprezzo del Cardinale Pell per la pornografia che promuove la pedofilia
Ricorda l'incontro del Papa con gli australiani vittime di abusi
SYDNEY, venerdì, 23 aprile 2010 (ZENIT.org).- L'Arcivescovo di Sydney, il Cardinale George Pell, ha sottolineato che la pedofilia è un problema, ma ha aggiunto che devono essere disprezzate anche la cosiddetta liberazione sessuale e la diffusione della pornografia.

Lo ha affermato in un articolo pubblicato questa domenica sulla web dell'Arcidiocesi di Sydney, in cui ha dichiarato che "l'abuso sessuale di bambini è un crimine orribile".

"Che i sacerdoti cattolici e i membri di ordini religiosi siano tra i peggiori abusatori riempie tutti i cattolici, me incluso, di orrore e indignazione", ha sottolineato.

Ad ogni modo, il porporato ha detto che "non è solo un problema della Chiesa, qui o all'estero".

"Sono parte del problema anche l'implacabile diffusione della pornografia in alcuni settori della cultura e la pressione per la 'liberazione' sessuale, che ai suoi estremi vuole l'accettazione della pedofilia come un'altra preferenza sessuale".

"Nelle ultime settimane, Papa Benedetto XVI è stato sottoposto a un intenso esame sulla gestione degli abusi sessuali commessi da sacerdoti", ha constatato il Cardinale.

"Un'attenzione dei mezzi di comunicazione come questa può essere abrasiva - ha continuato -. In Australia, tuttavia, ha svolto una funzione significativa aiutando la Chiesa ad affrontare gli abusi sessuali e a fare giustizia alle vittime".

Il porporato ha inoltre avvertito che "alcuni dei resoconti recenti sono stati inesatti o hanno informato solo di una parte della storia".

Azione decisiva

La storia, ha aggiunto il Cardinale, "dimostra che Papa Benedetto ha agito con decisione e determinazione per assistere le vittime e sradicare dalla Chiesa gli abusi sessuali".

Il Papa, ha ricordato, "ha incontrato le vittime degli abusi in Australia e negli Stati Uniti e ha chiesto loro scusa pubblicamente".

"Come alto Cardinale sotto Papa Giovanni Paolo II, si è reso conto che i processi ecclesiali erano inadeguati e che i Vescovi locali avevano commesso troppi errori nel trattamento delle denunce di pedofilia", ha continuato.

"Con Giovanni Paolo II, sono state accelerate le procedure per indagare sulle denunce e allontanare dal sacerdozio i presbiteri abusatori".

"Quando atei di spicco chiedono che il Papa sia arrestato e portato davanti al Tribunale Penale Internazionale, bisogna chiedersi se sono più preoccupati per la magniloquenza che per gli abusi sessuali", ha segnalato il Cardinale.

"Come ha sottolineato un ateo britannico, è ironico che alcuni atei vogliano applicare la propria inquisizione".

"Richard Dawkins, uno di coloro che sono dietro alle pressioni per arrestare il Papa, ha affermato anche che allevare un bambino cattolico è più dannoso dell'abuso sessuale - ha lamentato -. Ciò non suggerisce che si prenda sul serio l'abuso".

Il Cardinale ha quindi concluso il suo articolo sottolineando che "la funzione di Papa Benedetto nella lotta contro questo male dovrebbe essere riconosciuta", affinché altri membri della comunità in generale possano seguire il suo esempio".

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Disponibili le agende di Benedetto XVI e Giovanni Paolo II per il 2011
Con fotografie de "L'Osservatore Romano"
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 23 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il 2011 in compagnia di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II: è la proposta del Servizio fotografico de "L'Osservatore Romano", che pubblica due agende per il prossimo anno corredate dalle immagini dei due Pontefici.

La prima contiene le foto di Benedetto XVI ritratto nei momenti più significativi del suo servizio petrino, l'altra quelle di Giovanni Paolo II, tratte dal fondo omonimo dell'archivio, che conserva oltre sei milioni di scatti del suo pontificato.

Le due agende, ha riferito il direttore del Servizio fotografico, don Giuseppe Colombara, hanno la particolarità di essere bilingui: tutte le diciture e le didascalie sono infatti in italiano e in inglese.

Vengono messe in vendita a 18 euro, presentate in un elegante cofanetto in cartone bianco recante lo stemma dello Stato della Città del Vaticano e cellofanate singolarmente.

Viene offerta anche la possibilità - con un minimo di tiratura di sole 50 copie - di personalizzare le agende inserendo nella parte iniziale quattro pagine con foto, scritte e loghi.

Chi fosse interessato può chiedere informazioni all'indirizzo di posta elettronica calendar@ossrom.va.

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Ostensione della Sindone


Pellegrini del Regno Unito si preparano a visitare la Sindone a Torino
Sperando che si dissipino le ceneri vulcaniche dell'Islanda

di Genevieve Pollock

GLOUCESTER, venerdì, 23 aprile 2010 (ZENIT.org).- Pellegrini dell'Inghilterra che si preparano a visitare la Sacra Sindone a Torino sono in attesa che si dissipi la nube di ceneri vulcaniche che ha lasciato a terra moltissimi voli in tutta Europa.

Mark Guscin, che guiderà questo pellegrinaggio organizzato dalla Società Britannica per la Sacra Sindone di Torino, ha parlato con ZENIT del prossimo viaggio.

Se la nube di cenere vulcanica scomparirà, il gruppo dovrebbe partire questa domenica, ha spiegato Guscin, sottolineando il significato di questo viaggio per i pellegrini e spiegando che "vedere il telo che potrebbe benissimo essere il Sudario in cui venne avvolto Gesù di Nazareth, macchiato del suo sangue, è un'esperienza incredibile".

"Non capirò mai come possano essere cristiane persone che non si interessano a questo", ha ammesso.

Anche al di là della cristianità, Guscin ha sottolineato che "la Sacra Sindone esercita il suo mistero su molti ebrei e agnostici, o atei".

Per Guscin, che attualmente vive in Spagna e lavora come editore del bollettino della Società, "si possono capire molte più cose sulla Sindone attraverso libri, articoli e buone pagine web che vedendola, ma quando si sta di fronte al telo si sente una presenza reale".

"E' profondamente toccante vedere l'incredibile sofferenza che Gesù ha dovuto subire", ha aggiunto. Riferendosi alla sua prima esperienza con la Sindone, ha ricordato: "Negli anni Settanta, quando ero a scuola, ci hanno portati al cinema a vedere 'Il testimone silenzioso', il pluripremiato documentario di David Rolfe sulla Sindone, e mi ha affascinato dall'inizio alla fine".

"Da allora, sono diventato amico di David e ho partecipato al secondo documentario che ha realizzato su questo tema, trasmesso dalla BBC nel 2008", ha continuato.

Ora Guscin lavora con la Società per produrre una rivista sulla Settimana Santa due volte all'anno e distribuirla in tutto il mondo.

La Società cerca di "agire come un forum per persone di ogni classe che condividono un interesse per il mistero della Sacra Sindone, e di aiutare silenziosamente con qualsiasi informazione richiesta dal pubblico in generale e dai mezzi di comunicazione".

Attualmente ha membri di tutti i continenti, persone di varie professioni e religioni.

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"La Sindone: Testimone di una presenza"
Emanuela Marinelli svela i misteri del telo che ha avvolto Gesù
di Antonio Gaspari


ROMA, giovedì, 22 aprile 2010 (ZENIT.org).- Come può accadere che decine di migliaia di persone si mettano in viaggio per Torino, si mettano in fila per andare a vedere e meditare su un telo ingiallito e su cui si trovano immagini sbiadite e inspiegabili di un uomo crocifisso migliaia di anni fa?

Per i credenti quel telo è quello in cui è stato avvolto Gesù Cristo. Una reliquia unica e sconvolgente. Un telo impresso da una energia sconosciuta, con i resti ematici del crocifisso.

Alcuni intellettuali e giornalisti però sostengono che si tratta di un falso costruito ad arte per ingannare i credenti.

Tra le migliaia di libri, articoli, saggi che sono stati scritti sulla Sindone, partiocolarmente chiaro e esaustivo è il volume scritto da Emanuela Marinelli: “La Sindone. Testimone di una presenza” pubblicato dalla San Paolo.

Con una decina di libri, innumerevoli collaborazioni con riviste ed un numero impressionante di articoli Emanuela Marinelli è considerata una fra i massimi studiosi della Sindone.

Laureata in Scienze naturali, ha collaborato con "La Sapienza", ha un diploma di Catechista specializzato, ed ha tenuto corsi presso il Centro Romano di Sindonologia e la Libera Università Maria SS.ma Assunta.

ZENIT l’ha Intervistata.

Più cercano di screditarla e più cresce l’interesse delle persone per questa tela di lino su cui è impressa in maniera inspiegabile l’impronta di un uomo morto in Croce: quali sono, secondo lei, le ragioni di questo continuo e rinnovato interesse?

Marinelli: I mass media hanno diffuso la conoscenza della Sindone. Chi viene a sapere che esiste questo straordinario telo vi si avvicina, talvolta, inizialmente solo per curiosità. Ma se si è senza pregiudizi si resta affascinati dal mistero di questa straordinaria reliquia.

Quali sono gli elementi e le ragioni che fanno credere che l’uomo impresso in quel telo sia Gesù di Nazareth?

Marinelli: Tutto coincide con la Passione di Gesù, anche in dettagli come la flagellazione, più abbondante di quella inflitta ai comuni condannati alla Croce.

Che relazioni ci sono con i racconti dei Vangeli e con la storia?

Marinelli: Le ferite dell’uomo della Sindone ci permettono di ripercorrere le sue ultime ore come in una via Crucis. E’ interessante che alcuni particolari però differiscono dall’iconografia tradizionale, come i chiodi conficcati nei polsi, ma coincidono con i dati archeologici.

Perchè tra le tante persone crocifisse dai romani, solo di questa è rimasta l’impronta sul telo? E in che modo la figura del corpo avvolto si è impressa sul telo?

Marinelli: Un qualsiasi crocifisso sarebbe finito in una fossa comune, non in un telo pregiato. L’uomo avvolto nella Sindone ci rimase poche ore e vi ha lasciato la sua impronta inspiegabile che può essere paragonata solo all’effetto di un lampo di luce.

Eppure una certa cultura accusa i credenti di essere tanto suggestionati dalla devozione da credere in un “lenzuolo sporco”, che altro non sarebbe che un falso creato ad arte per ingannare i credenti. Secondo gli esami per la datazione del lenzuolo, eseguiti nel 1988 con la tecnica radiometrica del Carbonio 14, il telo in questione sarebbe di una data compresa tra il 1260 e il 1390. Come replica a queste argomentazioni?

Marinelli: Il campione per la datazione fu prelevato da un angolo inquinato e rammendato, assolutamente non rappresentativo dell’intero lenzuolo. Quella datazione è stata ampiamente smentita.

Se veramente l’impronta e le tracce di sangue del telo sono di Gesù Cristo, la Sindone solleverebbe interrogativi sconvolgenti: ovvero, perchè il Signore ha voluto lasciare un impronta indelebile della passione di Gesù? In questo caso la Sindone sarebbe una prova decisiva per gli scettici. Qual è il suo parere in proposito?

Marinelli: Il Signore viene in soccorso di chi ha poca o nessuna fede presentando le sue piaghe come a Tommaso. Sta a noi inginocchiarci davanti a questa reliquia esclamando “Mio Signore e mio Dio!”.

Per chi è ostinatamente scettico nessuna prova basterà mai, Ma la Sindone, come disse Paul Claudel "più che un immagine è una presenza”. Giustamente Giovanni Paolo II la definì "Testimone muto ma singolarmente eloquente della Passione, morte e Resurrezione di Cristo”.

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Notizie dal mondo


Cina: nuova ordinazione di un Vescovo "ufficiale" riconosciuto da Roma
Monsignor Joseph Shen Bin arriva in una sede episcopale vacante dal 2006
ROMA, venerdì, 23 aprile 2010 (ZENIT.org).- Nella provincia cinese di Jiangsu, si è celebrata una nuova ordinazione episcopale di un Vescovo "ufficiale" e allo stesso tempo riconosciuto da Roma. Si unisce a due esempi recenti che sembrano mostrare un'evoluzione per la decisione di Pechino di fare concessioni accettando Vescovi riconosciuti da Roma.

Secondo quanto rende noto Eglises d'Asie, l'agenzia delle Missioni Estere di Parigi, le ordinazioni dei Vescovi in comunione con Roma sono frequenti ultimamente in Cina.

L'8 aprile scorso, monsignor Du Jiang, Vescovo "ufficiale" e riconosciuto da Roma, ha preso possesso della sede episcopale di Bameng, nella Mongolia interna. Il 18 aprile, monsignor Paul Meng Qinglu, con l'approvazione di Pechino e del Vaticano, è stato ordinato Vescovo di Hohhot, Diocesi situata anch'essa nella Mongolia interna (cfr. ZENIT, 20 aprile 2010).

Mercoledì 21 aprile è stata la volta del nuovo Vescovo della Diocesi di Haimen, situata nella provincia di Jiangsu, approvato dalla Conferenza dei Vescovi "ufficiali" della Cina ma che aveva ricevuto anche il mandato pontificio.

Monsignor Joseph Shen Bin, 40 anni, è nato in una famiglia cattolica e si è formato nel seminario nazionale di Pechino. E' stato ordinato sacerdote nel 1996 e ha prestato i suoi servizi in varie parrocchie, venendo chiamato nel 1999 al vicariato generale della Diocesi.

Il suo predecessore, monsignor Matthew Yu Chengcai, Vescovo "ufficiale" che non ha mai ricevuto il mandato pontificio, è morto nel 2006 a 89 anni. La sede episcopale era vacante da allora.

L'ordinazione episcopale è stata celebrata nella Cattedrale del Buon Pastore di Nantong, presieduta da monsignor Johan Fang Xinyao, Vescovo di Linyi, della provincia di Shandong, assistito dai Vescovi Francis Lu Xinping, di Nanchino, e Joseph Xu Honggen, di Suzhou, e da monsignor Wang Renlei, Vescovo coadiutore di Xuzhou, tutti e tre della provincia di Jiangsu.

Tutti questi nuovi Vescovi erano in comunione con Roma, salvo monsignor Wang Renlei, ordinato nel 2006 senza mandato pontificio.

Malgrado le tensioni e le varie pressioni, percepibili soprattutto nell'ordinazione di monsignor Du Jiang a causa della presenza tra i celebranti di un Vescovo ufficiale non riconosciuto da Roma ma imposto dalle autorità, queste ordinazioni recenti di Vescovi riconosciuti dal Vaticano e accettati come "ufficiali" caratterizzano, secondo alcuni osservatori locali, un'evoluzione importante nelle relazioni tra lo Stato e la Chiesa in Cina.

A loro avviso, queste ordinazioni episcopali, nonostante la presenza in due di esse di un Vescovo illegittimo (senza mandato pontificio), sembrano mostrare che Pechino vuole fare concessioni, tollerando le candidature di presuli riconosciuti da Roma, che prima si erano visti costretti alla clandestinità.

Hanno assistito all'ordinazione più di venti sacerdoti e circa 2.000 fedeli. Il nuovo Vescovo ha dichiarato di voler dare la priorità alla formazione del clero e a quella dei laici, e all'avvio di un'opera per sviluppare azioni concrete a favore dei diseredati.

Al termine della celebrazione, si è osservato un momento di silenzio per unirsi alle popolazioni vittime del terremoto che il 14 aprile ha colpito la pianura tibetana, nella provincia di Qinghai, e il cui bilancio parla di oltre 2.000 morti, 12.000 feriti e 100.000 senzatetto, secondo i dati dell'agenzia ufficiale Chine Nouvelle del 22 aprile.

La Diocesi di Haimen ha attualmente nove sacerdoti, 21 religiose, 3 seminaristi e 30.000 fedeli, per la maggior parte contadini o operai. E' uno dei primi vicariati apostolici creati in Cina, e il suo primo Vescovo, monsignor Simon Zhu Kaimin, è stato ordinato con gli altri sei primi Vescovi cinesi da Pio XI a Roma nel 1926.

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Le lezioni del terremoto in Cile e degli abusi dei sacerdoti
Esposte dalla Conferenza Episcopale del Paese
SANTIAGO, venerdì, 23 aprile 2010 (ZENIT.org).- I criteri per affrontare come Chiesa in Cile i casi di abusi sessuali contro minori da parte dei sacerdoti e le lezioni lasciate dal terremoto alla società cilena sono alcuni degli aspetti contenuti nel Messaggio dei Vescovi al termine della loro 99ª Assemblea Plenaria, reso noto questo martedì dal presidente della Conferenza Episcopale, monsignor Alejandro Goic.

I pastori hanno consegnato alle comunità il Messaggio, che verrà distribuito per conoscenza e riflessione agli agenti evangelizzatori, alle comunità e ai fedeli in Diocesi, movimenti, istituti educativi e altre istituzioni ecclesiali. Hanno diffuso anche un Messaggio all'Opinione Pubblica, sintesi giornalistica del precedente e che monsignor Goic ha reso noto questo martedì in una conferenza stampa a Santiago.

Nella loro riunione, svoltasi dal 12 al 16 aprile a Punta de Tralca, i pastori hanno ringraziato il Papa per la sua dimostrazione di affetto e vicinanza alla Chiesa e al popolo cileno, soprattutto per le sue preghiere e le parole di consolazione dopo il terremoto e il maremoto, così come per il suo prezioso dono, l'immagine della Madonna del Carmen Missionaria, che ha iniziato a peregrinare per il Paese portando il Vangelo del Cile.

I Vescovi hanno affermato che la catastrofe del 27 febbraio ha colpito dolorosamente la vita di molte persone, famiglie e comunità ecclesiali. "Questa tragedia ci ha posti come di fronte allo specchio mostrando ciò che siamo realmente, con le nostre virtù e le nostre debolezze, e ha anche espresso valori profondi della nostra identità come Paese, ponendo domande su come ci relazioniamo come famiglia, come vicini, come comunità", sostengono.

Spiegano anche che la situazione delle zone più danneggiate dal terremoto esige di affrontare definitivamente il debito sociale pendente, le scandalose disuguaglianze e la mancanza di migliori opportunità per i giovani più vulnerabili. Invitano poi a che sempre più scuole cattoliche continuino a unirsi all'iniziativa per mettere a disposizione le proprie strutture alle istituzioni danneggiate.

I presuli invitano inoltre le nuove autorità a fare delle loro importanti responsabilità un servizio, a mettere sempre le persone al centro delle politiche pubbliche e a curare, in modo preferenziale, i più poveri e vulnerabili, i gruppi più indifesi della popolazione e la classe media costantemente colpita in tempi di crisi.

Abusi

Sul delicato tema degli abusi sui minori da parte di membri del clero, i Vescovi hanno espresso adesione a Papa Benedetto XVI di fronte alle "ingiuste e false accuse che ha ricevuto" e hanno ringraziato per i suoi chiari orientamenti in materia.

"Noi Vescovi abbiamo meditato sul modo in cui abbiamo affrontato, come pastori e come Chiesa, i casi che sono stati denunciati nel nostro Paese. Abbiamo anche analizzato il modo in cui questi crimini ci sfidano a valorizzare ancor di più la fedeltà dei presbiteri e consacrati alla loro missione apostolica, i processi di discernimento vocazionale, di ammissione ai seminari e di accompagnamento spirituale ai sacerdoti".

"Non c'è posto nel sacerdozio per quanti abusano dei minori, e non c'è alcun pretesto che possa giustificare questo crimine. Chiediamo perdono alle persone direttamente coinvolte e alle comunità che in Cile hanno visto qualche sacerdote motivo di scandalo, e le esortiamo a comunicarci questi fatti. Il nostro impegno per vegliare incessantemente affinché questi gravissimi crimini non si ripetano è totale".

Il Messaggio termina quindi chiedendo che questi fatti così dolorosi non impediscano di valorizzare con immensa gratitudine ciò che lo Spirito Santo risveglia nel Paese: "una vera primavera di solidarietà e di fraternità e una grande speranza basata sull'incontro con Gesù Cristo vivo, che ci trasforma in suoi discepoli e missionari".

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Italia


Le "buone notizie" nella Rete per un'azione educativa
Chiara Giaccardi illustra una ricerca sui giovani nello scenario digitale

di Chiara Santomiero

ROMA, venerdì, 23 aprile 2010 (ZENIT.org).- Le “buone notizie” che emergono dall’esplorazione del continente digitale sui quali innestare un’azione educativa o a partire dai quali facilitare pratiche di comunicazione autentica: ne ha parlato questo venerdì al convegno in corso a Roma dal titolo “Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era cross mediale”, la prof.ssa Chiara Giaccardi.

La docente di sociologia della comunicazione di massa dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano ha presentato una ricerca commissionata dalla Conferenza episcopale italiana (Cei) sui giovani nello scenario digitale alla quale hanno collaborato vari istituti di ricerca della Cattolica.

“Uno studio-pilota – lo ha definito la Giaccardi - basato su 50 interviste telefoniche semistrutturate, della durata di 60-75 minuti, somministrate a un campione di 50 ragazzi, 25 maschi e 25 femmine, tra i 18 i 24 anni, su tutto il territorio nazionale, equamente ripartiti tra studenti e lavoratori, abitanti i piccoli centri e grandi città”.

“Il numero di 50 interviste – ha avvertito – cui si è aggiunto un questionario distribuito a 300 ragazzi di due università milanesi, non consente delle generalizzazioni, ma suggerisce delle tendenze da verificare e delle questioni da approfondire”.

Un aspetto importante che emerge dalla ricerca, è “una ‘bassa discontinuità’ tra offline e online, che si configurano come due livelli di un’esperienza unitaria, unificata dal soggetto in relazione, e non come due mondi paralleli, alternativi, in relazione problematica tra loro cioè uno il surrogato dell’altro, uno ostacolo all’altro”.

Gli spazi della Rete non come “luoghi ‘utopici’, dove proiettare il desiderio di un mondo totalmente altro, ma neppure, luoghi totalmente discontinui e autonomi dalla dimensione esistenziale concreta”. Più che di “contrapposizione tra reale e virtuale come due dimensioni quasi incommensurabili, dell’esperienza, si può forse parlare di online e offline come di due articolazioni dello spazio di esperienza e relazione, unificato dalla soggettività”.

Dalla ricerca emerge, inoltre, “una gestione consapevole della risorsa temporale che si configura come consapevole, organizzata, gerarchizzata, orientata alla relazione”.

“L’uso dei new media – ha sottolineato la Giaccardi - pur nelle diverse forme che assume, è tendenzialmente relazionale”. Essi aiutano a gestire “una complessità crescente e al mantenimento delle relazioni in un regime di attività molteplici e frenetiche sovrapposizioni che renderebbero altrimenti molto difficile coltivare i rapporti”.

La docente ha quindi introdotto l’idea di “cronotopo”, già utilizzata per il romanzo, per indicare “la stretta intersezione tra dimensione spaziale e temporale evidenziata dai soggetti intervistati”.

“Il continente digiltale – ha spiegato - con le possibilità di mantenere una pluralità di livelli in relazione tra loro, consente, più che altri 'habitat' che lo hanno preceduto, il superamento dell’astrazione spaziotemporale e anche dell’astrazione del tempo frammentato”. Il cronotopo “usato come chiave interpretativa della nostra analisi, non rappresenta solo una sintesi di spazio e tempo, ma di diversi spazi e diversi tempi: biografici, relazionali e sociali”.

“Rimettere insieme il tempo, lo spazio e le relazioni - ha proseguito – per un kronos che è anche un kairos, pieno di attese e speranze. Il cronotopo è un’immagine letteraria ma anche fisica che consente di rimettere insieme queste dimensioni che segnano la nostra intensità esistenziale”.

Usando la Rete in modo relazionale “i ragazzi fanno tante cose: parlare per stare in contatto; un uso monitorante che consente di vedere cosa fanno gli altri; un usi organizzativo che utilizza la Rete per implementare le attività fuori dalla Rete”.

La buona notizia del mondo digitale è che “il modo di porsi dei ragazzi in Rete non è individualista e la relazione è centrale: essere in Rete non è esserci e basta ma essere ‘con’”.

In questo c’è un aspetto positivo e uno negativo: “si costruisce attraverso il parlare insieme, dal basso, un luogo comune e il messaggio è la relazione” ma c’è il rischio “della banalità che non costruisce davvero l’incontro”.

Si tratta per lo più di “uno spazio cronistico, solo fàtico, cioè si chiacchiera ma non si parla del privato importante; per non provocare divisioni, l’accesso è subordinato alla somiglianza, entrano solo i pari, non l’alterità e nemmeno l’Alterità, cioè Dio e il religioso”.

La Rete viene costruita “per essere una casa ma può finire per assomigliare una tana”. Per passare dal semplice essere “con”, all’essere “per” occorrono altre condizioni.

Innanzitutto, secondo Giaccardi “la fedeltà che richiede l’aiuto degli altri per mantenere promesse e scelte, però è l’unico modo per entrare in una autentica relazione e permanervi”.

E, insieme, ha concluso la docente della Cattolica, “la responsabilità: si può passare a un dialogo costruttivo solo se si ci fa carico di situazioni e persone per un ambiente umano in cui abitare insieme”.



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I giornalisti per sopravvivere in Rete devono fornire contesti
Il rischio è quello di sostituire all'informazione la velocità e il sensazionalismo

di Mirko Testa

ROMA, venerdì, 23 aprile 2010 (ZENIT.org).- I giornalisti, per poter sopravvivere ai cambiamenti nella comunicazione imposti dall'informazione orizzontale che caratterizza Internet e dalle logiche dei “social network”, dovranno essere sempre più in grado di fornire contesti e chiavi di lettura.

Questi sono solo alcuni dei punti emersi durante la tavola rotonda sul tema “Media, linguaggi e crossmedialità” tenutasi giovedì nella cornice del Convegno “Testimoni digitali”, organizzato a Roma dalla CEI, e che si concluderà questo sabato.

Chiamato a moderare la discussione, mons. Dario Viganò, Preside dell'Istituto Pastorale “Redemptor Hominis” e docente di Semiotica degli Audiovisivi alla Lumsa, ha notato come “a volte nella comunità ecclesiale abbiamo da una parte l'illusione un po' ingenua di passare subito a una sorta di evangelizzazione mediale, oppure dall'altra parte la richiesta continua di una fedeltà a modalità tradizionali con la patologica deriva dell'adattamento”.

Mons. Viganò si è quindi chiesto se non sia giunto il momento di voltare pagina, “uscire da quell'illusione per cui anche noi abitiamo la Rete per il semplice fatto che gestiamo un sito che funziona un po' da bacheca e iniziare a partecipare realmente alla Rete”.

Senza territorio, defocalizzate, aistituzionali

Partendo da questo spunto, Ruggero Eugeni, massmediologo dell’Università Cattolica di Milano, ha provato a esplorare le ragioni che si celano dietro il “disagio” nei confronti dei nuovi media diffuso all'interno del mondo cattolico.

La prima ragione, ha spiegato, risiede nel fatto che “le nuove forme di comunicazione non hanno territorio. Il Papa ha parlato a questo proposito di un 'sesto continente' ma in realtà parliamo di un continente che non può avere nessuna carta, nessuno strumento che ci dica dove siamo”.

“Questo fa sì che le relazioni comunicative debbano costantemente costituire una piattaforma su cui poggiarsi”; un aspetto che contrasta nettamente con quanto accadeva in passato quando “a ogni luogo era legato un preciso tipo di relazione comunicativa”.

Tra i segnali evidenti di questa impossibilità di ricondurre i linguaggi dei nuovi media a una mappa unitaria in un “continente digitale” in rapido e costante movimento e trasformazione c'è per esempio: “il confine indefinibile tra la serietà e il gioco. Svolgiamo tante attività comunicative rette in base alla modalità del 'come se' che è proprio quella del gioco”; inoltre, si è persa la linea di demarcazione tra i vari media, la loro specificità.

Una seconda ragione di disagio è invece “legata al fatto che le relazioni non sono più focalizzate”, che tendono cioè sempre più a mescolare aspetti diversi, mentre un tempo erano “ben distinte: a volte erano cognitive, a volte prevaleva la passione e l'affettività, a volte erano anche relazioni di tipo pratico”.

Infine c'è una terza ragione di disagio, ha detto, che riguarda “la natura aistituzionale delle relazioni comunicative in Rete”. E quindi se un tempo esistevano “i grandi broadcaster che erano una garanzia di credibilità e con i quali noi spettatori avevamo un legame fiduciario”, oggi al contrario “le relazioni comunicative devono ricostruire costantemente questi legami, devono rinegoziare costantemente la fiducia, l'affidabilità”.

“Oggi la Rete e le nuove forme di comunicazione – ha continuato – ci chiedono di vivere in maniera radicale, profonda, quella cittadinanza paradossale, in cui ci sentiamo stranieri ma allo stesso tempo costantemente parte in causa; coinvolti in comunità, gruppi in cui sentiamo che ogni relazione, che ogni storia costituisce la fibra di una rete, di un tessuto più ampio che noi contribuiamo ad alimentare o a far morire”.

In questa prospettiva, ha aggiunto, “noi siamo costretti a ripensare con uno sguardo di conversione il nostro modo di essere Chiesa non in astratto ma in modo vivo, diretto, quotidiano del nostro modo di costruire piccoli nuclei sociali”.

Contesti, per non essere superficiali

La Rete, allo stesso tempo, chiama anche a un ripensamento della professionalità e del lavoro di coloro – come i giornalisti – che narrano, raccontano vicende quotidiane, come ha spiegato Mario Calabresi, Direttore del quotidiano “La Stampa”.

Nel suo discorso Calabresi ha evidenziato come i giornalisti e il giornalismo in generale abbiano cominciato, negli ultimi tempi, a nutrire un certo timore nei confronti della Rete, “per la sensazione che fosse più veloce, che fosse fuori controllo e che facesse vincere la superficialità, il sensazionalismo”.

Partendo poi dai dati emersi da una ricerca pubblicata poche settimane fa dal Centro studi americano Pew Research Center, il Direttore de “La Stampa” ha osservato “che il 95% di tutta l’informazione che c’è oggi arriva dalla carta stampata, cioè è prodotta dal giornalismo tradizionale”. Un dato importante, ha commentato, per rivalutare professionalità e competenze.

Infatti, il mutato ciclo informativo legato spesso alla fascia dei telegiornali si tira dietro diversi pericoli come la “superficialità” e “l'impossibilità di controllare i fatti”, soprattutto quando sono verosimili e quindi plausibili.

“Nel rumore di fondo – ha spiegato –, in questo rumore che si accavalla e che certe volte dà una sensazione di sfinimento per tutti gli stimoli che riceviamo, c'è un maggiore bisogno di chiavi di lettura, cioè c'è maggiore bisogno di verità, di comprensione e soprattutto di contesto”.

“L’informazione oggi è talmente permeabile, gratuita, e disponbile ovunque che è ‘nell’aria’, che la ricevi anche se non la cerchi”. Ma allora che cosa può dare un giornale? “Ti può dare dei punti fermi”, ha risposto Calabresi.

Anche perché, ha notato, “se non ci facciamo carico dei contesti, allora sì che saremo sconfitti perché all'informazione si sostituirà il sensazionalismo, l'illusione che la velocità è l'unico criterio di valore e di giudizio”.

Il giornalista non può essere come “il tassista che segue pedestremente il navigatore satellitare e che di solito è un disastro”, non si può far guidare dalla Rete, perché altrimenti diventa “cieco”. Deve, al contrario, “avere le sue categorie di lettura della realtà che gli danno le indicazioni fondamentali. Deve consumare le dita ma deve anche consumare le suole delle scarpe”.

Testimoniare in maniera virale

Successivamente è intervenuto Paolo Peverini, semiologo della Luiss, il quale ha riflettuto sull'efficacia o meno delle teorie e degli strumenti di metodo impiegati quando ci si addentra nel territorio smisurato dei media digitali e sulla correttezza di espressioni entrate ormai nell'uso comune come: multimedialità, intermedialità, crossmedialità, rimediazione, user generated content.

Il semiologo è quindi passatto ad analizzare il funzionamento dei “social network” e le logiche strategiche di costruzione della testimonianza, il cosiddetto passaparola che gli esperti di marketing hanno ribattezzato word of mouth.

A questo proposito, parlando delle campagne di comunicazione virali, e in particolare dei “video tormentoni” capaci di “contagiare il corpo sociale rappresentato ad esempio dai blogger e di replicarsi in maniera sempre più invasiva”, Peverini ha notato che “l'espressione virale in realtà è tanto accattivante quanto pericolosa, scivolosa, opaca”.

Inoltre, ha osservato, è molto “difficile analizzare le caratteristiche di questo fenomeno”, perché “l'infezione sfugge ad ogni previsione”.

“In realtà – ha commentato – molto spesso si cerca in qualche modo di costruire dei testi che apparentemente dissimulano la loro vera natura. Infatti, molte delle forme virali che nascono in Internet e che vengono rilanciate nella Rete sono tutto fuorché quello che sono”, in una specie di “esasperata ricerca di trasparenza”.

“Molte di queste forme virali – ha continuato Peverini – sembrano nascere dalla periferia del Web, sembrano completamente lontane dall'industria culturale eppure molto spesso sono progettate consapevolmente da chi si occupa di pubblicità, da chi cerca strategicamente di entrare in contatto con un destinatario”.

“Ci abitueremo a testimoniare in maniera virale?”, ha chiesto il semiologo. “Forse sì, ma una indicazione potrebbe essere quella di sottrarci alle seduzioni delle facili metafore”.

“Forse – ha concluso – sarebbe meglio evitare tassonomie, modelli in un momento in cui è molto complicato definire le caratteristiche dei fenomeni che sono sfuggenti e ripartire dall'analisi dei casi specifici, rimettere al centro lo studio del testo e la responsabilità dei soggetti che tramite un testo entrano in contatto, misurando le proprie competenze ma anche le proprie passioni”.

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Card. Bagnasco: riscoprire l'alfabeto dell'umano nell'era digitale
Il Presidente della CEI interviene al convegno "Testimoni digitali"

ROMA, venerdì, 23 aprile 2010 (ZENIT.org).- “La Rete rappresenta per noi gli 'estremi confini della terra' che il Signore Gesù domanda di abitare in nome della nostra responsabilità per il Vangelo”. E' quanto affermato dal Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana intervenendo questo venerdì al convegno “Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell'era crossmediale” in corso fino a sabato a Roma.

“L’impegno della comprensione e della progettazione della presenza della Chiesa nel mondo dei media digitali – ha aggiunto Bagnasco -   è un ambito pastorale vasto e delicato” che richiede di soffermarsi sull’azione della Chiesa nell’attuale contesto per individuare forme attestabili di fedeltà al Vangelo oggi”. Infatti, l’opera di evangelizzazione “non è mai, come afferma Benedetto XVI, un semplice adattarsi alle culture, ma è sempre anche una purificazione, una taglio coraggioso che diviene maturazione e risanamento”. 

Quali le strade possibili “di un’anima cristiana per il mondo digitale”?  “Anche noi oggi – ha affermato Bagnasco -, come i primi discepoli, siamo mandati da Gesù per continuare la sua missione in obbedienza al suo stile”. Questo significa “un' attenzione non solo per i contenuti dell’annuncio evangelico, ma anche per la forma”.

L'annuncio di Gesù, infatti, non è solo “un ‘discorso’. Include, nel medesimo tempo, il suo stesso agire” e “parola e segno sono indivisibili”. La predicazione cristiana, quindi, “non proclama ‘parole’ ma la Parola, e l’annuncio coincide con la persona stessa di Cristo”.  

Tra i molti tratti con i quali Gesù ha abitato la storia degli uomini, occorre “far riferimento all’itineranza”. “Egli – ha sottolineato Bagnasco – non ha semplicemente accolto coloro che accorrevano a lui, ma lui stesso è andato là dove la gente viveva la propria quotidianità”. Questo  perché “l'’itineranza di Gesù rende Dio vicino così che nessuno si senta dimenticato o abbandonato dal Padre”.

Lo stesso viene chiesto agli animatori della comunicazione e della cultura nella grande Rete digitale: “continuare a far sì che nessuno si senta privato della vicinanza di Dio e della sua consolazione”.

“L’urgenza e la qualità del vostro impegno – ha affermato Bagnasco rivolto agli operatori della comunicazione e della cultura - è quello di dare un’anima all’ininterrotto flusso comunicativo della Rete” .

Ciò significa “restituire densità alle relazioni leggere della Rete” riuscendo ad uscire “dalla mera logica dell’accesso per entrare nella dinamica del dialogo”, categoria che “non esaurisce la propria pregnanza semantica nel rapporto fra un io e un tu, ma esprime qualcosa che trascende entrambi gli interlocutori”. 

“Essere testimoni digitali – ha aggiunto il Presidente della Cei - domanda di saper offrire qualcosa a quella parola che sta in mezzo, dia - logo, e che, proprio perché ci trascende, è senso della nostra vita”.

La sfida, per la comunità cristiana è di “riuscire a sfuggire al consenso acritico a favore di un dialogo costante” e di usare i social media “come prefigurazione di uno stile di maggiore condivisione”.

Su questo si innesta la riflessione sull'impegno educativo “un compito da affrontare con intelligenza e fiducia, senza assolutismi ingenui e acritici o demonizzazioni apocalittiche”. Facendo esperienza della Rete, secondo Bagnasco, si potrà, “come educatori, cogliere le potenzialità dei vari contesti e avviare una prospettiva capace di integrare le differenti modalità di relazione con i media digitali” tenendo presente che “l’autentico sviluppo dell’uomo riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione”.

Dal punto di vista etico, va richiamata l'attenzione su un problema: “nella Rete si assiste ad una migrazione semantica dalla categoria di appartenenza a quella del consenso, al punto che temi delicati e decisivi, che coinvolgono le decisioni delle personali libertà, vengono tralasciati per non rischiare di infrangere l’irenica armonia digitale, alimentando così i rapporti con parole banali”.

Occorre invece, ha detto, “essere presenti nel mondo digitale nella costante fedeltà al messaggio evangelico, per esercitare il proprio ruolo di animatori di comunità”. E' questo il tempo “di riscoprire l’alfabeto dell’umano, poiché le grandi categorie – come la persona, la vita e la morte, la famiglia e l’amore – rischiano di diventare evanescenti e distorte nei loro significati” per effetto di “un individualismo dominante ed esasperato”.

“Come ricordava il Concilio Vaticano II – ha affermato il Cardinale - incontrare Cristo, l’uomo perfetto, e accoglierlo nella propria vita, introduce nella umanità vera e piena a cui tutti sono chiamati”.

“Sale di sapienza e lievito di crescita”: a questo sono chiamati ad essere gli animatori della cultura che in concreto significa “non essere conformisti e non cercare inutili quanto sterili forme di consenso consolatorio” ed essere “soggetti attivi, terminali di connessioni, attivatori di partecipazione gratuita e responsabile”.

“La Rete – ha concluso Bagnasco - non è fatta di confini, ma di ponti”. Allo stesso modo “ la comunità non può e non deve essere quella delle identità escludenti, ma quella dell’amore che include nella verità”.

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Interviste


Genocidio armeno: 24 aprile, giornata della memoria
Mons. Kelekian, «la Comunità di Sant'Egidio può salvare i negoziati con la Turchia»

di Mariaelena Finessi


ROMA, venerdì, 23 aprile 2010 (ZENIT.org).- Nel rapporto della Commissione dei Diritti dell'Uomo all'ONU, nel settembre 1973, il massacro degli Armeni viene definito come il primo genocidio del XX secolo perpetrato a danno di un popolo fortemente legato al perdono evangelico. E il 9 Novembre 2000 anche Giovanni Paolo II - in occasione dell'incontro in Vaticano con il Patriarca degli Armeni, Katholicos Karekin II - ricordando le persecuzioni subite dai cristiani a causa della propria fede, riconosce che di genocidio si è trattato.

In un comunicato congiunto con il Katholicos, Woytjla denunciava: «Il genocidio degli Armeni, che ha dato inizio al secolo, è stato il prologo agli orrori che sarebbero seguiti. Due guerre mondiali, innumerevoli conflitti regionali e campagne di sterminio deliberatamente organizzate che hanno tolto la vita a milioni di fedeli».

E mentre si stempera la tensione tra Stati Uniti e Turchia, generata dalla risoluzione (non vincolante) approvata il 4 aprile dalla Commissione Esteri della Camera di Washington, che per la prima volta definisce “genocidio” il massacro di un milione e mezzo di armeni avvenuto nel 1915 ad opera dei turchi, in tutto il mondo sono in atto i preparativi per ricordare, il 24 aprile, il 95° anniversario (“Medz Yeghern”) di quel triste episodio.

Mons. Hovsep Kelekian, rettore del Pontificio Collegio Armeno di Roma, - che alla presenza di Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX Tarmuni, Patriarca degli armeni Cattolici di Cilicia,  celebrerà a Roma una Messa solenne in suffragio delle vittime - racconta a ZENIT cosa è cambiato nel tempo nei rapporti tra Turchia ed Armenia.

Ci sono conflitti che perdurano anche se sono cominciati un secolo fa. Spesso, le persone restano intrappolate da pregiudizi o si tramandano il rancore. È così anche tra i turchi e gli armeni?

Mons. Kelekian: Trent’anni fa i rancori erano ancora molto forti. Oggi, turchi e armeni si incontrano molto spesso in Europa, si parlano e alcuni fanno anche amicizia. Rimane tuttavia la questione dell’accettazione della colpa da parte del Governo turco per la tragedia subita dagli armeni negli anni 1915-20. La questione era considerata tabù in Turchia ma oggi, a cominciare degli intellettuali turchi, la questione si pone e ci si riflette su per trovare una soluzione. Quest’apertura è un segno di progresso e, forse un giorno, potrà disperdere tutti i pregiudizi, come anche dissipare l’odio fra i due popoli.

È possibile una riconciliazione - così come è accaduto in Ruanda anche grazie all'operato della Chiesa - affinché si possa andare avanti?

Mons. Kelekian: Ogni riconciliazione presuppone - almeno parzialmente - una riparazione delle colpe. Gli armeni non hanno fatto una guerra contro i turchi, ma sono stati massacrati, oppure deportati nei deserti e lasciati morire lì. Senza un atto di riconoscimento ufficiale di questo fatto, ogni riconciliazione è impossibile. La chiesa stessa non può perdonare colui che non chiede perdono. Quanto al Ruanda, là c’erano due tribù nemiche che si sono perdonati a vicenda mentre gli armeni non hanno niente da farsi perdonare. Vivevano in Turchia come cittadini esemplari e non hanno mai pensato di ribellarsi al Paese.

Qual è la posizione della Chiesa armena cattolica rispetto a quello che molti Paesi considerano essere stato un “genocidio”?

Mons. Kelekian: La Chiesa armena cattolica è solidale a tutti gli armeni e difende l’idea di accettazione della colpa e di riparazione dalla parte della Turchia. Questa Chiesa ha avuto pure i suoi martiri: vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, come anche decine di migliaia di fedeli. Sono state distrutte tutte le nostre chiese e scuole, e le abitazioni dei nostri fedeli sono state confiscate, come dovunque in Anatolia - considerata l’Armenia Occidentale - e in Cilicia. In ogni Paese, dove si ricorda il 24 aprile, la Chiesa armena cattolica si unisce alla chiesa armena apostolica e ai protestanti armeni per fare le commemorazioni insieme.

Ancora oggi, nel 2010, quella tragedia umana resta un tema scomodo, non solo in Turchia ma anche in molti altri Stati dove lo sterminio di 95 anni fa non viene commemorato ufficialmente, nonostante la presenza in quegli stessi Paesi di comunità armene numericamente importanti. A suo avviso perché?

Mons. Kelekian: I Paesi che non hanno ancora accettato ufficialmente il genocidio armeno come tale temono delle rappresaglie da parte della Turchia che, ancora oggi, nega il fatto. Le relazioni diplomatiche con la Turchia impediscono a questi Stati di partecipare ufficialmente alle celebrazioni di commemorazione del Genocidio armeno. Purtroppo, questo ferisce ancora di più i sentimenti del nostro popolo, che non può capire come possano esserci nel mondo dei governi che non vogliono credere alla realtà di questo passato doloroso.

A sei mesi dalla firma, nell'ottobre 2009, di un accordo per la normalizzazione dei rapporti tra Armenia e Turchia, tutto torna ad essere come prima. Lo scontro verte, questa volta, sul Nagorno Karabakh. Risultato: stop al processo di pace. Cosa accadrà adesso? La Chiesa potrà intervenire per far riprendere i negoziati?

Mons. Kelekian: Gli accordi fra Armenia e Turchia, garantiti dalle potenze mondiali, purtroppo non sono stati rispettati dagli stessi turchi, perché la questione del Nagorno-Karabagh (che è un problema fra l’Armenia e un altro stato indipendente, l’Azerbaijian) non doveva essere parte di questi accordi, così come anche la questione dell’accettazione del Genocidio degli armeni.

Secondo me, la Chiesa Cattolica non può intervenire in questo caso perché, da una parte, c’è una nazione (la Turchia) che, seppure ufficialmente laica, è per la stragrande maggioranza musulmana. Dall’altra parte c’è un’altra nazione, l'Armenia, che in maggioranza non dipende dalla Chiesa cattolica. La Chiesa può intervenire soltanto tramite altre nazioni, come la Francia, la Germania o anche l’Italia. Ad esempio, la Comunità di Sant’Egidio in questo caso può forse intervenire, con molta probabilità di successo.

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Parola e vita


Pasqua: la gioia di vivere con il Buon Pastore
IV Domenica di Pasqua, 25 aprile 2010

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 23 aprile 2010 (ZENIT.org).-“Ricorreva allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dissero: 'Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente'. Gesù rispose loro: 'Ve l’ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola'. Di nuovo i Giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo” (Gv 10,22-31).

Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. (…) Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: 'Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti rendendole candide nel sangue dell’Agnello. (…) Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita' (Ap 7,9.14b-17).

Nell’udire ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero. (…) I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo” (At 13,48.52).

La IV Domenica di Pasqua è detta del “Buon Pastore”, e coincide con la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni di “speciale consacrazione”. Entrambe le cose suonano forse estranee al nostro mondo e alla semplice vita familiare, ma riflettendo sul contesto delle Letture proposte e sul fondamento battesimale di ogni vocazione cristiana, possiamo fare nostro il messaggio della liturgia.

Al tempo di Gesù, i pastori vivevano in una tale intimità di vita con le loro pecore da far pensare al calore di una famiglia, o alla simbiosi di una vera e propria amicizia affettiva, com’è descritto nella meravigliosa parabola raccontata dal profeta Natan al re Davide, reo di essersi iniquamente impossessato della sposa di Uria, paragonata a “una pecorella piccina...vissuta e cresciuta insieme con lui e con i figli, mangiando del suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno… come una figlia” (2Sam 12,3).

Al di là dell’antica cultura nomade di Israele, una simile, reciproca appartenenza vitale era l’icona di quella, ben più profonda ed essenziale, che legava il popolo al suo Dio, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Tutto ciò non è incomprensibile, ma sembra aver poco o niente da dire al nostro mondo “digitale”, come osservava già più di sessant’anni fa, Romano Guardini: “Vogliamo ammettere che sentiamo addirittura dell’imbarazzo quando i fedeli sono paragonati ad un gregge di pecore” (R. G., “Il Signore”, parte terza, cap II).

E’ perciò opportuno mutuare l’icona pastorale con un’altra più familiare ed universale, anch’essa perfettamente biblica, da Dio stesso rivelata con queste commoventi parole: “A Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare” (Osea 11,3-4).

E’ questa la rivelazione della vocazione nativa di ogni essere umano all’intimità divina, ineffabile relazione d’amorosa amicizia con Dio, Padre e Pastore delle nostre anime, nel Figlio suo Gesù Cristo. Ponendo in parallelo i testi di Osea e Giovanni, vediamo scaturire la luce del volto materno di Dio: “insegnavo a camminare tenendolo per mano” || “ascoltano la mia voce e mi seguono”; “ma essi non compresero che avevo cura di loro” || “voi non credete perché non fate parte delle mie pecore”;“io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore” || “nessuno le strapperà dalla mia mano..e nessuno può strapparle dalla mano del Padre”; “mi chinavo su di lui per dargli da mangiare” || “io do loro la Vita eterna”.

Il dono meraviglioso di questa Vita eterna è contemplato a Patmos dal discepolo che Gesù amava: “Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi” (Ap 7,17). Lo stesso discepolo aveva rivelato a Cafarnao che la beatitudine di una simile sazietà è un “già” possibile fin d’ora, purchè si desideri il vero nutrimento del nostro cuore inquieto: “Gesù disse loro: chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54).

La “moltitudine immensa” descritta da Giovanni in Paradiso è una specie di “Via lattea” stellare, dato che ognuno porta un abito luminosissimo: “vesti candide lavate nel sangue dell’Agnello”. Essa è composta non solo dai martiri cristiani, ma anche da “tutti coloro che hanno dimostrato la loro fedeltà a Cristo nelle piccole scelte di ogni giorno e nel quotidiano martirio che la coerenza di vita sovente esige” (La Bibbia “Via Verità e Vita”, p. 2557).

La menzione del “sangue dell’Agnello”, tuttavia, oltre ad evocare la testimonianza del martiri, vuol significare anche la pienezza sovrabbondante della Vita divina. Per gli Israeliti, infatti, il sangue era portatore di vita, era identificato con la stessa vita fisica (Gen 9,5: “Del sangue vostro, ossia della vostra vita, io domanderò conto”). Oltre a ciò, il sangue “era il segno dell’amicizia e dell’elezione da parte di Dio, del patto come della purificazione e della riconciliazione della comunità; il sangue rinnova la comunione con Dio(G. Ravasi, “Piccolo dizionario biblico”, p.187).

E’ evidente, da queste ultime parole, il profondo significato di ciò che Gesù dice oggi nel tempio ai Giudei: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10); parole che sottintendono quel Sangue da lui versato fino all’ultima goccia sulla croce per arricchire eucaristicamente della sua Vita divina le nostre anime.

Vediamo allora il collegamento con il Buon Pastore. Ecco, quando un malato ha bisogno di una trasfusione di sangue, la sua collaborazione è del tutto passiva. Una volta steso il braccio per accogliere l’ago, altro non deve fare che rimanersene immobile fino all’ultima goccia che scende dalla sacca. L’immagine mi serve per similitudine e per contrasto: la Vita divina che il Buon Pastore ci dona mediante l’Eucaristia che è Lui, comporta una fede non certo passiva come un braccio steso, ma attiva: mentre accoglie docilmente il Mistero intende concretamente obbedire alla Parola divina: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”.

Cosa significa anzitutto ascoltare la voce del Pastore? Significa pregare, cioè fargli compagnia: “Credetemi, fate il possibile per non privarvi di un così buon amico. Se vi abituerete a tenervelo vicino, se egli vedrà che lo fate con amore e che vi adoperate a contentarlo, non potrete, come suol dirsi, togliervelo d’attorno” (S. Teresa d’Avila, Cammino di perfezione, c. XXVI, 1).

Non è perciò necessario andare alla ricerca di pensieri elevati o aprire il libro delle preghiere. Bastano pensieri e parole semplici, secondo lo stato d’animo: “Se vi sentite disposte alla gioia, contemplatelo risuscitato…Se siete afflitti o tristi pensate a quando si reca per l’orazione nell’Orto degli Ulivi…Parlategli, non con delle preghiere già formulate, ma con la preghiera che sgorga dal vostro cuore..” (ibid., 4-6). Un simile ascolto muove sempre alle opere concrete, poiché l’ovile del Pastore è il mondo intero, ed egli non può da solo accudire tutte le pecore.

Tornando all’icona biblica materna, credo che il silenzioso tu-per-tu tra la donna incinta e il suo invisibile bambino, si presti perfettamente a rappresentare l’incontro orante con il Signore. Nell’intimità del suo raccoglimento ad occhi chiusi, la mamma si rivolge al figlio con la stessa certezza che la fede dona circa la reale presenza di Dio nel cuore del battezzato. Scrive Teresa: “L’anima comprende chiaramente che c’è nel suo intimo Chi…da’ vita a quella nuova vita; che c’è un Sole da cui procede questa grande luce che va a illuminare la persona dall’interno dell’anima..” (VII Mansioni, cap. II, 6).

La nuova vita è la nostra vita rinnovata, trasfigurata, colmata di gioia per l’esperienza soprannaturale della tenerezza materna del Buon Pastore.

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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