mercoledì 21 aprile 2010

[ZI100421] Il mondo visto da Roma

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Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 21 aprile 2010

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Santa Sede


Benedetto XVI: accogliere gli immigrati è una vocazione cristiana
All'udienza generale il Papa ricorda il suo recente viaggio a Malta

ROMA, mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- La vera vocazione dei popoli cristiani è quella di testimoniare la pace e la riconciliazione, ma anche di fornire la giusta accoglienza agli immigrati: lo ha detto questo mercoledì Benedetto XVI all'Udienza generale, in piazza San Pietro, ricordando il suo recente viaggio a Malta.

Parlando agli oltre 20 mila fedeli presenti, il Papa ripercorrendo i momenti più salienti della visita nell’isola mediterranea, ha detto di aver trovato straordinario l'abbraccio caloroso riservatogli dal popolo maltese.

“E’ stato per me motivo di gioia – ha confessato –, ed anche di consolazione sentire il particolare calore di quel popolo che dà il senso di una grande famiglia, accomunata dalla fede e dalla visione cristiana della vita”.

Il Pontefice ha poi raccontato l'incontro che ha avuto con alcune vittime di abusi da parte di membri del clero, dopo la Messa a Floriana, lontano dai riflettori: “Ho condiviso con loro la sofferenza e, con commozione, ho pregato con loro, assicurando l’azione della Chiesa”.

Il Pontefice ha quindi sottolineato la forza e la speranza del popolo maltese che “sa trovare nella visione cristiana della vita le risposte alle nuove sfide. Ne è un segno, ad esempio, il fatto di aver mantenuto saldo il profondo rispetto per la vita non ancora nata e per la sacralità del matrimonio, scegliendo di non introdurre l’aborto e il divorzio nell’ordinamento giuridico del Paese”.

Affrontando il tema spinoso dell’immigrazione, il Papa ha accennato ai tanti casi “complessi sul piano umanitario, politico e giuridico” di coloro che sfuggono da violenze o oppressioni in cerca di un approdo, di un riparo.

“Problemi – ha specificato – che hanno soluzioni non facili, ma da ricercare con perseveranza e tenacia, concertando gli interventi a livello internazionale. Così è bene che si faccia in tutte le Nazioni che hanno i valori cristiani nelle radici delle loro Carte Costituzionali e delle loro culture”.

Tuttavia, ha continuato, “la vocazione più profonda di Malta è quella cristiana, vale a dire la vocazione universale della pace!”. In questo senso, la celebre croce di Malta “è il segno dell’amore e della riconciliazione, e questa è la vera vocazione dei popoli che accolgono e abbracciano il messaggio cristiano!”.

Un ultimo ricordo è andato all'incontro con i giovani tenutosi nel Porto di Valletta: “Ho guardato dunque ai giovani di Malta – ha ricordato il Papa – come a dei potenziali eredi dell’avventura spirituale di San Paolo, chiamati come lui a scoprire la bellezza dell’amore di Dio donatoci in Gesù Cristo”.

Chiamati, ha concluso, “ad essere vincitori proprio nelle prove e nelle tribolazioni, a non avere paura delle 'tempeste' della vita, e nemmeno dei naufragi, perché il disegno d’amore di Dio è più grande anche delle tempeste e dei naufragi”.

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A San Pietro, centinaia di sacerdoti esprimono sostegno al Papa
Ringraziano per il suo quinto anniversario e gli fanno gli auguri per il compleanno

di Carmen Elena Villa

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- L'Udienza generale di Papa Benedetto XVI in Piazza San Pietro è terminata questo mercoledì mattina sulle note della canzone "Tanti auguri a te".

Circa 400 sacerdoti provenienti dalla Diocesi di Roma, accompagnati dal vicario generale, il Cardinale Agostino Vallini, e dai Vescovi ausiliari, hanno partecipato all'Udienza per ringraziare il Papa per il suo quinto anno di pontificato e fargli gli auguri per il suo 83° compleanno, festeggiato venerdì 16 aprile.

A questo gruppo si sono uniti anche sacerdoti pellegrini provenienti da varie Diocesi del mondo.

"Vi ringrazio della vostra presenza, segno di affetto e di vicinanza spirituale", ha detto il Papa ai sacerdoti al termine della catechesi, dedicata al suo recente viaggio a Malta.

"Colgo questa opportunità per esprimere la mia stima e la mia viva riconoscenza a voi e ai sacerdoti che in tutto il mondo si dedicano con zelo apostolico al servizio del popolo di Dio, testimoniando la carità di Cristo", ha aggiunto.

Sostegno al Papa

Al termine dell'Udienza, ZENIT ha parlato con alcuni sacerdoti, che hanno espresso affetto e gratitudine per il Papa.

Padre José Herrera è arrivato con un gruppo di sacerdoti degli Stati Uniti in ritiro a Roma: "Volevamo sostenere il nostro Santo Padre visto che sta ricevendo da ogni parte molte attenzioni negative. Vogliamo sostenerlo con la nostra preghiera e la nostra presenza, è il nostro pastore".

All'Udienza ha partecipato anche un gruppo di 30 sacerdoti della cappellania dei servizi militari degli Stati Uniti, tra cui padre Steven, proveniente da Philadelphia.

"Abbiamo avuto l'opportunità di venire all'Udienza del Papa ed è stata una grande gioia per tutti noi. Ogni volta che veniamo a Roma partecipiamo all'Udienza per vedere il Santo Padre", ha confessato.

"Benedetto XVI è un grande leader in un momento molto difficile per la Chiesa", ha commentato, aggiungendo che in questo Anno Sacerdotale "sento il sostegno dei cattolici con le preghiere".

Tempo di rinnovamento

Dal canto suo, il sacerdote cileno José Luis Correa, uno dei responsabili dell'evento di chiusura dell'Anno Sacerdotale che si realizzerà in Vaticano il 9 giugno, ha detto di essere rimasto commosso dal paragone fatto questo mercoledì dal Papa tra il naufragio di San Paolo nell'arcipelago maltese e la situazione attuale della Chiesa universale: "credo che ci troviamo in un periodo di burrasche e tormente, ma se sappiamo aggrapparci bene a Gesù Cristo nell'amore e nella fedeltà come sta facendo il Papa supereremo la tormenta".

A suo avviso, l'Anno Sacerdotale è un'occasione di rinnovamento interiore per ogni sacerdote. "La nostra fedeltà non è estetica, ma dinamica. Deve rinnovarsi tutti i giorni. E' come l'amore degli sposi. Anche noi sacerdoti siamo entrati in una relazione sponsale con Cristo e con la Chiesa", ha detto a ZENIT.

Per padre Gerardo Cárcar, parroco della chiesa dei Santi Francesco e Caterina, patroni d'Italia, al Papa attuale è toccato un compito "per niente facile", visto che ha dovuto affrontare una sfida molto concreta: "succedere a Giovanni Paolo II con il suo lunghissimo pontificato e il suo carisma eccezionale".

Padre Cárcar ha definito Benedetto XVI "un uomo di verità, aperto, di dialogo interreligioso ed ecumenico", e ha aggiunto che il suo pontificato è stato "una benedizione per la Chiesa".

Per il sacerdote tedesco Georg Elge, direttore del Centro Internazionale del Movimento di Schoenstatt a Roma, questo Papa, attraverso i suoi insegnamenti, "aiuta a vedere come la fede e la ragione possono andare insieme e dialogare".

Concludendo la sua Udienza e prima di impartire la benedizione ai presenti, Benedetto XVI ha rivolto un'esortazione molto chiara a tutti i sacerdoti, perché sull'esempio di San Giovanni Maria Vianney, in cui onore si celebra l'Anno Sacerdotale, siano "pastori pazienti e solleciti del bene delle anime".

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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Benedetto XVI mostra ai giovani come trovare la vocazione
Nel dialogo con Dio
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI consiglia ai giovani di trovare la propria vocazione nel dialogo con Dio.

E' il suggerimento che ha lasciato ai tanti ragazzi e ragazze che hanno partecipato all'Udienza generale di questo mercoledì in Piazza San Pietro in Vaticano, provenienti da molti Paesi, spesso in viaggio scolastico.

Il Papa ha ricordato loro che il 25 aprile, quarta domenica di Pasqua, nota come del "Buon Pastore", la Chiesa celebra la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni.

"Auguro a voi, cari giovani, di trovare nel dialogo con Dio la vostra personale risposta al suo disegno di amore", ha detto loro.

Ha poi inviato i "cari malati" a "offrire le vostre sofferenze perché maturino numerose e sante vocazioni".

Il Pontefice si è quindi rivolto agli sposi novelli, alcuni dei quali presenti con l'abito delle nozze in un'assolata giornata primaverile, per raccomandare loro di attingere "dalla preghiera quotidiana la forza per costruire un'autentica famiglia cristiana".

Il Messaggio di Benedetto XVI per la 47ma Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, nell'Anno Sacerdotale, ha per tema "La testimonianza suscita vocazioni".

 



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I giovani scoprono Joseph Ratzinger con un video
Un corto sile "stop-motion"
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- La figura, le date e il messaggio centrale del pontificato di Benedetto XVI vengono scoperti dai giovani su Internet grazie a uno dei linguaggi che capiscono meglio: quello video.

"Conosci Benedetto XVI?" è un corto realizzato in stile "stop-motion" (a base di fotografie) per presentare il Papa "in modo fresco", come spiegano i suoi autori, un gruppo di universitari del Colegio Mayor Mendaur dell'Università di Navarra, nel nord della Spagna.

"E' una delle menti migliori che abbiamo oggi ed è capace di parlare di cose profonde in maniera facilmente comprensibile - ha detto uno dei realizzatori del video -. E' più vicino ai giovani di quanto non sembri a prima vista".

Il video è stato pubblicato, tra gli altri, dall'agenzia cattolica audiovisiva www.h2onews.org, che lo ha messo a disposizione dei canali televisivi come broadcast.

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Ostensione della Sindone


Ostensione 2010: un evento "verde", sobrio e solidale

di Chiara Santomiero

ROMA, mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- Niente sprechi di risorse, massimo rispetto per l’ambiente e attenzione alla solidarietà internazionale. Si può sintetizzare così, al di là del significato religioso, la formula dell’evento “Ostensione 2010 della Sacra Sindone”. ZENIT ne ha parlato con Maurizio Baradello, direttore del Comitato per l’Ostensione, nato alla fine del 2008 da un accordo tra Comune e Provincia di Torino, Regione Piemonte e Arcidiocesi di Torino, cui si sono affiancati - per far fronte alle spese organizzative dell’evento -, le fondazioni bancarie Compagnia di S. Paolo e la Fondazione Crt.

Attenzione all'uso delle risorse

La prima attenzione è stata rivolta alla realizzazione di opere permanenti. La maggior parte degli interventi, spiega Baradello “è stata operata su edifici che rimarranno nella disponibilità dei beni culturali del territorio, in particolare nell’area del c.d. Polo reale di Torino dove si snoda il percorso della visita. E’ il caso delle stanze di Palazzo Chiablese, ristrutturate e utilizzate durante l’Ostensione come cappella per l’adorazione eucaristica e centro per le confessioni, che in seguito sono destinate ad essere utilizzate come biglietteria e book shop del Polo reale”.

Allo stesso modo “il nuovo varco aperto nei Giardini reali da cui passeranno tutti i pellegrini attraverso l’area del Museo delle antichità, servirà al museo stesso come accesso per i mezzi al giardino che diversamente era accessibile solo attraverso percorsi molto complicati ed onerosi”.

Alcuni interventi tecnologici sono stati fatti nella previsione di essere utilizzati anche in futuro “per esempio le connessioni a fibre ottiche ed apparecchiature e sistemi di diffusione”. Inoltre “parte del sistema di monitoraggio e controllo della Sindone è stato ammodernato e anche questo rimarrà in maniera permanente”.

Un evento a basso impatto ambientale

“Già in fase di progettazione – afferma Baradello – si prevedeva che l’Ostensione in corso avrebbe portato a Torino da 1.500.000 a 2.000.000 milioni di persone in visita. Questo dato ha posto da subito la necessità di elaborare un sistema di gestione dell’evento il più possibile compatibile dal punto di vista dell’impatto ambientale sulla città”.

E’ previsto l’arrivo di circa 20 mila pullman per il trasporto dei pellegrini “ed è facile immaginare la ripercussione sul territorio di questo notevole aumento del traffico. Abbiamo,quindi, preparato un sistema di accoglienza dei pullman nella parte centrale della città definendo percorsi e punti di accoglienza per tutti i mezzi in modo da garantire un flusso il più possibile ordinato ed armonico”.

Un ticket ecologico e solidale

Ai pulman è richiesto il pagamento di un ticket ambientale di 30 euro per i bus dall’Euro due in su e di 50 euro per quelli Euro uno e zero. “Il ticket – spiega il direttore del Comitato per l’Ostensione - è stato chiesto dalla città al fine di compensare l’aumento di produzione di Co2 determinato dal traffico, con la messa a dimora di nuovo verde nell’area cittadina urbana e con l’acquisto di crediti verdi nei paesi in via di sviluppo con i quali siamo gemellati”. “Esistono organismi delle Nazioni unite – spiega Baradello - che controllano i carichi di inquinamento sull’ambiente e determinano tipologie di compensazione come il recupero di gas dalle discariche o strumenti che vadano a compensare la Co2 tramite l’acquisto di crediti verdi”. “Poiché l’aumento di Co2 che si verifica a Torino – afferma Baradello - si ripercuote in tutto l’ambiente, non è detto che la compensazione debba avvenire neecessariamente qui. In Brasile e in Argentina esistono dei partners dell’Ostensione che gestiscono delle discariche e quindi siamo in grado di condividere con due città – Rosario e Belo Horizonte – questo beneficio”. Un segnale di attenzione “al fatto che Torino e l’evento Ostensione hanno a cuore anche i temi dello sviluppo e della cooperazione internazionale”.

Incentivi all'uso dei mezzi di trasporto pubblico

In più: “stiamo promuovendo l’utilizzo del mezzo pubblico e le persone che vengono in auto sono invitate a posteggiare nei parcheggi periferici e ad utilizzare la linea tranviaria n. 4 che li collega all’area dell’Ostensione”. II biglietto “park and ride”, del costo di un euro, permette di parcheggiare e girare senza limiti sui mezzi pubblici per tutto il giorno, con lo scopo di tenere le auto lontane dal centro storico ed evitare ulteriore produzione di Co2 nella ricerca di un parcheggio. “Sono state potenziate – aggiunge Baradello - le navette elettriche, le cosiddette ‘linee star’, che collegano i posteggi centrali e le stazioni, con l’area di Piazza castello. Anche noi dell’organizzazione utilizzeremo delle navette ecologiche in quest’ area per il cosiddetto ‘recupero dei dispersi’, cioè le persone che si sono smarrite e devono raggiungere i loro gruppi o che presentano particolari necessità”.

Raccolta differenziata dei rifiuti e prodotti a Km zero

Attenzione all’ambiente anche nella gestione spicciola dell’accoglienza. “L’Amiat, che è la società che gestisce la raccolta dei rifiuti di Torino, si è attivata con la predisposizione di cassonetti per la raccolta differenziata nell’area dell’Ostensione affinché i pellegrini siano facilitati nella distribuzione dei rifiuti secondo la tipologia di prodotto, in modo che in seguito possano essere riciclati”. Inoltre “verrà distribuita l’acqua pubblica dell’acquedotto e nell’area dell’Ostensione non verranno distribuite bottigliette di plastica”. Nei punti di ristoro per i pellegrini, infine “è stato richiesto l’utilizzo di beni e prodotti locali, il più possibile a chilometri zero: prodotti gastronomici del paniere della provincia e di artigiani del territorio”.

Uno stile di sobrietà

“Tutto l’evento – afferma Baradello – è stato pensato all’insegna di uno stile di sobrietà che ha guidato le scelte fatte e che ne ha permesso la realizzazione con l’aiuto di tutti”. A partire dei volontari “senza i quali l’Ostensione non avrebbe avuto luogo”. Sono essi, tra l’altro, a “garantire l’accoglienza a particolari categorie di persone, comprese i malati, i disabili, le autorità: se avessimo dovuto retribuire questi servizi non sarebbe stato assolutamente possibile”.

L'aiuto di Internet

“Lo strumento di Internet – spiega Baradello – è stato determinante”. “Gli esperti ci dicevano che attraverso Internet sarebbe arrivato il 35% delle prenotazioni – racconta -, invece ha raccolto il 91% delle richieste”. Ha facilitato “tantissimo la comunicazione dell’evento ed ha aiutato a veicolare una immagine diversa di Torino e del suo territorio, non più una città ‘grigia’ ma vivace e con mille proposte. Attraverso Internet anche albergatori e ristoratori sono riusciti ad organizzare l’accoglienza con mesi di anticipo, un effetto molto positivo in un periodo di crisi economica”.

E alla fine...

Cosa avverrà alla conclusione dell’evento, il prossimo 23 maggio? “Occorrerà smontare tutto – conclude Baradello -, mettere le opere permanenti a disposizione della città, riporre la Sindone al suo posto. Rimarrà un evento sicuramente importante per la Chiesa e speriamo positivo, negli aspetti organizzativi, per i pellegrini e per la città”.

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Notizie dal mondo


Zambia: il rosario aiuta i detenuti nel braccio della morte
Inviati opuscoli sulla preghiera in due prigioni di massima sicurezza
ROMA, mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- I prigionieri dei settori di massima sicurezza dello Zambia - compresi i detenuti nel braccio della morte - riceveranno degli opuscoli sul rosario grazie a un'iniziativa congiunta tra due organzzazioni caritative con base nel Regno Unito.

L'ufficio britannico di Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) si è unito all'organizzazione per il rosario Crown of Thorns per fornire 1.600 copie dell'opuscolo di ACS ai detenuti della Prigione di Stato di Kamfinsa e della Prigione di Massima Sicurezza di Kabwe.

L'iniziativa risponde alla richiesta dei prigionieri a Crown of Thorns di ricevere più informazioni sul rosario.

Lisa de Quay, direttore esecutivo dell'organizzazione, ha spiegato che Crown of Thorns riceve regolarmente molte lettere dai reclusi, anche quelli nel braccio della morte.

Il contatto con i detenuti, ha affermato, è stato probabilmente favorito da un cappellano visitatore che ha distribuito delle schede di Crown of Thorns che descrivevano la preghiera del rosario.

"I prigionieri sono in genere il sostegno della famiglia, e sono preoccupati per la povertà e le difficoltà in cui il loro crimine ha lasciato le famiglie, oltre ad essere troppo lontani da casa perchè i loro cari possano far loro visita".

"Pur se trattata umanamente, la maggior parte dei detenuti trascorre anni in prigione solo con i vestiti che aveva al momento dell'arresto, senza sapone e senza coperte o lenzuola con cui ripararsi nei mesi freddi dell'anno, spesso rifiutata dalla società".

Inviare ai prigionieri schede sul rosario - e ora l'opuscolo di ACS - può fare la differenza nella loro vita.

"Le loro lettere vi sorprenderanno: sono piene di grande gioia per il fatto di avere questo contatto, essere accettati e aver trovato Dio".

Un prigioniero nel braccio della morte ha scritto: "E' la prima volta che ricevo un pacchetto, anche se sono in carcere ormai da 14 anni. Possa Dio ricompensarvi abbondantemente".

Il direttore nazionale britannico di ACS, Neville Kyrke-Smith, ha spiegato che "recitare il rosario può toccare la gente nel profondo e trasformarne la vita".

"Maria, la Madre di Dio, ama tutti i suoi figli, e nella sofferenza e nella disperazione possiamo stare accanto a Lei nella preghiera, guardando attraverso le lacrime di questa esistenza verso la speranza della nuova vita e della resurrezione".

"Siamo molto felici di partecipare a questa splendida iniziativa che cambierà la vita dei reclusi e li avvicinerà a Dio", ha aggiunto.

Un prigioniero della sezione di massima sicurezza di Kabwe ha espresso la propria riconoscenza per il pacchetto che ha ricevuto definendo l'opera delle organizzazioni caritative "una lampada che non si può nascondere sotto il tavolo".

Crown of Thorns promuove il rosario come mezzo per raggiungere la pace, e invia in Africa materiale come paramenti liturgici, statue, schede di preghiera e del rosario.

ACS sostiene la Chiesa del continente attraverso l'aiuto a sacerdoti, suore e altri progetti per far fronte alle necessità pastorali. Nel 2008 ha donato allo Zambia aiuti per oltre 330.000 euro.

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Canada: i Vescovi sottolineano il loro successo nel proteggere contro gli abusi
Avvertono che gli abusi di minori avvengono in tutti i settori
OTTAWA, mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- La Conferenza Episcopale del Canada ha sottolineato il successo dei propri sforzi per difendere i bambini dagli abusi da parte dei sacerdoti e di altre persone in ambito ecclesiale.

In un comunicato del 13 aprile, i presuli hanno risposto a un sondaggio d'opinione dell'impresa Ipsos Reid pubblicato quel giorno che comunicava i risultati di un'inchiesta condotta su mille canadesi, cattolici e non cattolici, sugli abusi sessuali e la Chiesa.

Il comunicato sottolinea che i Vescovi sono "molto incoraggiati" dal fatto che il gruppo più giovane del campione, di persone tra i 18 e i 34 anni, sia "significativamente quello meno propenso a dire di conoscere personalmente qualcuno che abbia subito abusi da parte di un sacerdote cattolico".

"Ciò indica che gli sforzi dei Vescovi del Canada hanno avuto un grande successo", aggiunge il testo.

I presuli "continuano ad essere totalmente impegnati in una politica di tolleranza zero e ad aumentare pratiche e protocolli", segnala il comunicato.

A questo proposito, sono "più che disposti, con l'aiuto di esperti di molti settori, a continuare ad aumentare i propri protocolli preventivi come fanno dal 1989, quando una commissione di lavoro ha iniziato con una lettera di raccomandazioni pubblicata nel 2002".

Preoccupazione

L'inchiesta mostra che esiste una "seria preoccupazione da parte dei canadesi e dei cattolici per gli abusi sessuali da parte di membri del clero".

"I Vescovi cattolici del Canada condividono questa preoccupazione", ha affermato la Conferenza Episcopale.

Ad ogni modo, l'episcopato ha lamentato che nell'inchiesta i fedeli non siano stati interpellati sulla propria conoscenza di ciò che hanno fatto i Vescovi "per prevenire i casi di abusi sessuali e rispondere alla preoccupazione per questi crimini".

E' comunque "confortante" - sia se i cattolici sono informati degli sforzi dei Vescovi che se non li conoscono - constatare che quasi la metà dei fedeli interpellati indica la sua "soddisfazione per come la Chiesa cattolica tratta i pedofili".

Il comunicato spiega che è "incoraggiante che l'80% di tutti i cattolici comprenda che solo una piccola percentuale del clero è pedofila".

"Una rapida lettura dei risultati potrebbe portare a concludere che la Chiesa cattolica abbia un problema maggiore sul tema degli abusi sessuali rispetto ad atri segmenti della popolazione - aggiunge il testo -. Questo non è corretto: gli esperti dicono che non ci sono dati che avallano in assoluto questa affermazione".

Citando un articolo della rivista Newsweek, la Conferenza Episcopale ha segnalato che si è verificato che le persone che abusano di bambini sono di vario tipo: non solo sacerdoti, ministri e rabbini, ma anche "familiari, amici, vicini, insegnanti, allenatori, guide scout, volontari di gruppi giovanili e medici".

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Portogallo: il Papa troverà una Chiesa in via di cambiamento
LISBONA, mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI troverà in Portogallo una Chiesa in via di mutamento, che si inserisce in un nuovo panorama sociale, culturale e anche religioso, ha ammesso monsignor Jorge Ortiga, presidente della Conferenza Episcopale Portoghese.

In un'intervista all'agenzia Ecclesia, l'Arcivescovo di Braga ha sottolineato che "la Chiesa cattolica non è più una forza maggioritaria".

"Deve situarsi in un contesto di avversità e contrattempi, perché non tutto facilita l'incontro con la fede", indica.

Il confronto "con una mentalità nuova" deve portare la Chiesa a cercare "risposte, attraverso il dialogo e la conoscenza multidisciplinare".

Affrontando un caso specifico, quello della legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, monsignor Ortiga ha affermato che "la Chiesa non potrà mai cedere a queste nuove tendenze".

"E' prima sfidata a comprendere, accompagnare, aiutare, a saper convivere con queste unioni", ha dichiarato.

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Spirito della Liturgia


Le Costituzioni Quo Primum di san Pio V e Missale Romanum di Paolo VI
Rubrica di teologia liturgica a cura di don Mauro Gagliardi
ROMA, mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- L'articolo di oggi mette a confronto le Costituzioni apostoliche con le quali san Pio V e Paolo VI (nel 1570 e nel 1969) pubblicarono le edizioni del Messale Romano preparate durante i rispettivi pontificati. Dalla breve analisi proposta, si ricava l'impressione che, così come esiste un unico Rito Romano in due forme non opposte tra loro (cf. Benedetto XVI, Summorum Pontificum), allo stesso modo bisogna parlare di due edizioni di un unico libro, entrambe espressive della tradizione liturgica latina. L'Autore dell'articolo studia Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana ed è alunno dell'Almo Collegio Capranica (don Mauro Gagliardi).




***

Don Natale Scarpitta


La rubrica «Spirito della Liturgia» si sta soffermando diffusamente lungo quest'anno sulla peculiare indole eucaristica del sacerdozio ministeriale. In questo contributo, desideriamo focalizzare l'attenzione su un elemento importante che permette al presbitero di celebrare debitamente il memoriale del Sacrificio di Cristo: il Messale Romano, il libro liturgico che contiene i testi eucologici del rito della Santa Messa secondo la tradizione liturgica latino-romana.

L'Ordinamento Generale del Messale Romano al n. 399 afferma: «... il Messale Romano, anche nella diversità delle lingue e in una certa varietà di consuetudini, si deve conservare per il futuro come strumento e segno eccellente di integrità e di unità del Rito Romano». Tale auspicio contiene in sé una consapevolezza maturata nella tradizione liturgica della Chiesa già nei secoli precedenti. Fu, infatti, san Pio V (1566-1572) che, con la Costituzione Apostolica Quo Primum (14 luglio 1570), promulgò il Messale Romano offrendolo a tutti i cristiani «come strumento di unità liturgica e insigne monumento del culto genuino e religioso nella Chiesa»[1].

Al fine di comprendere meno superficialmente la rilevanza di tale avvenimento, può risultare opportuno un breve riferimento che inquadri storicamente la Bolla di san Pio V. Prima del Concilio di Trento, esistevano nella Chiesa latina innumerevoli libri liturgici che, osservando consuetudini liturgiche locali (territoriali) e particolari (ordini religiosi, confraternite, ecc.), presentavano un'ampia molteplicità di forme rituali della Celebrazione eucaristica. Essi, pur conservando la medesima struttura celebrativa, differivano per una non identica disposizione consequenziale delle parti della Messa, per l'uso di formulari e preghiere tipiche, per invocazioni a santi specifici, per l'aggiunta inopportuna di elementi aventi non raramente un carattere superstizioso o addirittura eterodosso.

Alla già non perfetta uniformità rituale del culto liturgico nella Chiesa latina e alla precarietà di uno stile celebrativo non ancora ben definito, si aggiungevano pure le sempre più diffuse contaminazioni liturgiche provenienti dalla teologia protestante[2].

In un contesto storico simile, per purificare il rito della Celebrazione eucaristica da elementi impropri, e nel tentativo di promuovere una maggiore unità tra i fedeli mediante l'unificazione rituale, i padri del Concilio di Trento, nella XXV sessione, stabilirono che fosse redatto un nuovo messale[3]. A tal fine fu costituita una commissione di esperti i quali consultarono diligentemente i codici presenti nella Biblioteca Vaticana e le edizioni correnti del messale[4], raccolsero e studiarono antichi libri provenienti da varie chiese locali e considerarono gli scritti dei Padri della Chiesa.

Una volta completato il lavoro, l'opera[5] fu sottoposta a san Pio V, il quale stabilì immediatamente che il nuovo Messale entrasse in vigore e sostituisse obbligatoriamente tutti quei libri liturgici che erano stati precedentemente utilizzati nelle comunità di rito latino. La netta determinazione con la quale il Pontefice espresse la sua volontà possiamo facilmente dedurla dalle solenni espressioni che Egli stesso utilizzò nella Quo Primum:

«[...] I sacerdoti comprendano di quali preghiere, di qui innanzi, dovranno servirsi nella celebrazione della Messa, quali riti e cerimonie osservare. [...] Ordiniamo che nelle chiese di tutte le Provincie dell'orbe cristiano [...] dove a norma di diritto o per consuetudine si celebra secondo il rito della Chiesa Romana, in avvenire e senza limiti di tempo, la Messa [...] non potrà essere cantata o recitata in altro modo da quello prescritto dall'ordinamento del Messale da Noi pubblicato».

Nella stessa Costituzione Pio V ordinò anche che gli ecclesiastici

«in avvenire abbandonino del tutto e completamente rigettino tutti gli altri ordinamenti e riti, senza alcuna eccezione, contenuti negli altri messali, per quanto antichi essi siano e finora soliti ad essere usati, e cantino e leggano la Messa secondo il rito, la forma e la norma, che Noi abbiamo prescritto nel presente Messale; e, pertanto, non abbiano l'audacia di aggiungere altre cerimonie o recitare altre preghiere che quelle contenute in questo Messale».

Va tuttavia notato che il Missale Romanum fu introdotto obbligatoriamente dovunque ad eccezione delle diocesi e degli ordini religiosi che avevano un rito proprio da almeno duecento anni. Era questo il caso del rito mozarabico di Toledo, del rito di Braga, di quello di Lione e del rito ambrosiano di Milano; ma anche delle tradizioni liturgiche di ordini religiosi quali i certosini, i cistercensi, i domenicani e i carmelitani.

Se la prima editio typica del Messale Romano post-tridentino nacque per attuare i decreti di quel concilio ecumenico, quattro secoli più tardi[6], in ossequio alla richiesta di riforma liturgica fatta dal concilio Vaticano II, venne alla luce il Novus Ordo Missae.

I padri conciliari, nel solco del movimento liturgico, fissarono, infatti, alcuni principi generali che avrebbero dovuto portare ad una revisione dei libri liturgici. L'obiettivo primario che si prefissero era quello di una liturgia che fosse maggiormente comprensibile, mediante l'uso di un linguaggio rituale (simboli, gesti, parole) che potesse favorire l'actuosa participatio dei fedeli. Una prima riforma del Messale Romano vide la luce nel 1964-1965, quando fu pubblicata una versione bilingue del rito riformato della Messa. Non ci soffermiamo ora ad analizzare le possibili ragioni per cui tale Messale sia stato ritenuto non pienamente attuativo della volontà espressa dai padri del Vaticano II e sia perciò stato ritenuto necessario approntare un'ulteriore riforma del Messale.

E così, il 3 aprile 1969, nella Costituzione Apostolica Missale Romanum, Paolo VI presentò la nuova composizione dell'editio typica del Messale Romano, evidenziandone ciò che era stato rivisto e modificato rispetto all'ultima edizione (1962) del Vetus Ordo (o Usus antiquior) di san Pio V.

Un semplice confronto tra le due Costituzioni permette di notare come ambedue siano scaturite dalla volontà rinnovatrice dei Concili che avevano preceduto la loro redazione. Ambedue, quindi, sono il frutto di due contesti storico-ecclesiali in fermento: la Controriforma, da una parte, e il movimento liturgico dall'altra.

Comune ai due atti pontifici è stato anche il riferimento espresso alla volontà che i riti liturgici attingessero alla medesima fonte dell'antica tradizione dei santi Padri[7]. Tale elemento acquista un significato profondo se si pensa come la medesima traditio abbia inciso profondamente sulla composizione delle due edizioni del Messale Romano.

È ora comprensibile come i due Ordines Missae rappresentino la norma circa l'uso delle due forme celebrative di un unico rito liturgico (lex orandi), quello romano, patrimonio dell'unica ed immutata fede (lex credendi) della Chiesa. Ciò è quanto insegnava anche Benedetto XVI nel Motu proprio Summorum Pontificum (7 luglio 2007), nel quale offriva un'ampia regolamentazione giuridica sull'uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970 e mai abrogata.

Vogliamo concludere questo contributo con qualche osservazione di stampo canonistico in merito proprio alla quaestio disputata circa l'abrogazione. La Summorum Pontificum, essendo una Lettera Apostolica sotto forma di Motu proprio, ha il valore giuridico di legge universale. Essa abroga le leggi contrarie e quelle anteriori ad esse che riguardano il medesimo argomento. Nel nostro caso, le norme abrogate sono quelle prescritte da Giovanni Paolo II (1978-2005) nella Lettera Quattuor abhinc annos[8] e nel Motu proprio Ecclesia Dei Adflicta[9].

Bisogna poi distinguere tra le rubriche che regolano lo svolgimento pratico della liturgia e le leggi liturgiche che governano la disciplina liturgica in generale. Le rubriche indicano al ministro celebrante cosa deve fare durante la celebrazione del rito; esse rimangono in vigore per coloro che celebrano la Messa secondo la forma straordinaria. Tuttavia, le leggi liturgiche del Codice del 1917, così come alcune norme inserite nel Messale del 1962, sono state abrogate dalla recente legislazione ecclesiale. Pertanto queste leggi disciplinari possono non essere più osservate quando la legge in vigore permette qualcosa di diverso. Un semplicissimo esempio ci aiuterà a capire meglio la questione: nella legge vigente nel 1962, la Messa non poteva essere celebrata nel pomeriggio o alla sera senza permesso dell'Ordinario del luogo. Questa restrizione non è più valida, anche quando si celebra secondo la forma straordinaria. Possiamo quindi concludere che le leggi liturgiche, universali e vigenti, devono essere osservate anche nella celebrazione del rito in forma straordinaria, mentre rimangono chiaramente valide

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[1] A. Bugnini, La riforma liturgica, Roma 1983, p. 380.

[2] La fede cattolica era stata seriamente minacciata dall'eresia protestante nei suoi dogmi centrali quali la natura sacrificale della Messa, il sacerdozio ministeriale, la presenza reale e permanente di Cristo nelle specie eucaristiche.

[3] Per approfondire segnaliamo: M. Midali, «La tradizione liturgica alla quarta sessione del Concilio di Trento», Ephemerides Liturgicae 87 (1973), 501-525; A. Bugnini, «La liturgia dei sacramenti al Concilio di Trento», ibid. 59 (1945), 39-51.

[4] Non dimentichiamo che sin dall'XI secolo appaiono i primi libri contenenti le varie parti della Messa (il Missale, il Liber missalis o il Missale plenarium). Il più conosciuto e diffuso fu il Missale secundum consuetudinem curiae, stampato a Milano nel 1474, che riprende fedelmente il Messale del tempo di Innocenzo III.

[5] A. P. Frutas afferma che la Commissione incaricata «non creò un nuovo Messale, ma ritoccò e aggiornò il Messale della Curia, più volte stampato dopo il 1474. In genere le parti essenziali del Messale di s. Pio V differiscono poco da quelle dell'ed. del 1474, anzi talvolta ci sono le identiche varianti nei testi scritturali [...]»: (Messale, in Enciclopedia Cattolica VIII, 836).

[6] Il Messale Romano subì in questo arco di tempo lievi revisioni ad opera di alcuni Pontefici come Clemente VIII (1604); Urbano VIII (1634); Leone XIII (1884); Benedetto XV (1920) e Giovanni XXIII (1962). La modifica più rilevante fu apportata ai riti della Settimana Santa da Pio XII, nel 1955.

[7] Dopo la pubblicazione del Messale Romano del 1570, la tradizione liturgica (d'Oriente e d'Occidente) presente negli antichi libri e documenti liturgici (soprattutto romani, ambrosiani, ispanici, gallicani) fu notevolmente approfondita da studi specifici. Le ricchezze dottrinali e spirituali contenute in quelle fonti hanno offerto un contributo prezioso alla redazione del Messale Romano del 1970. Pare, tuttavia, che almeno in alcuni casi la ripresa delle fonti antiche sia avvenuta in modo creativo, o semplicemente ispirazionale, e non letterale.

[8] Con questo documento il Papa accordò ai Vescovi diocesani la facoltà di permettere ai preti di celebrare la Messa seguendo il Messale romano del 1962.

[9] Cfr. anche Benedetto XVI, Summorum Pontificum, art. 1.

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Italia


Immigrati: in Italia, 8 mila i minori non accompagnati
Il rapporto dell'European Migration Network

di Mariaelena Finessi


ROMA, mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- «Nell'accogliere gli stranieri è evidente l'assenza di una risposta progettuale: il sistema è saturo e si basa solo sull'emergenza». La denuncia di padre Giovanni La Manna, direttore del Centro Astalli - il servizio dei gesuiti che fornisce assistenza ai rifugiati - arriva nel corso della presentazione a Roma, oggi, del secondo rapporto Italia dell’European Migration Network su “Minori non accompagnati, ritorni assistiti, protezione internazionale”.

Inoltre, spiega padre La Manna, il pacchetto sicurezza ha messo in luce il fallimento di certe politiche sui respingimenti, specie dopo dopo gli accordi con la Libia per il presidio delle coste meridionali: «È giusto – dice - non avere alcuna pietà per chi specula sui disgraziati ma, sia chiaro, se questi poveretti non arrivano più sulle nostre coste non è detto che abbiamo colpito i trafficanti. Loro, i trafficanti, hanno solo cambiato rotta».

I dati raccontano una realtà complessa e, purtroppo, difficile. Soprattutto per i minori che fuggono dai Paesi in guerra o in cui vige la tortura. Nella maggioranza dei casi (76,8%) hanno tra i 16 e i 17 anni e arrivano in Italia da soli, soprattutto dal Nord Africa, dal Medio Oriente e sempre più dall'Afghanistan. Sono giovani vite a cui spesso non si riesce a dare una identità: il rapporto European Migration Network - condotto dal centro studi Idos, per conto dell’Unione Europea e del ministero dell’Interno - ne registra 6.587 al terzo trimestre del 2009 mentre alla fine dell'anno precedente erano circa 8 mila.

Dunque, sembrerebbe esserci stato un calo di presenze, eppure il fenomeno si chiarisce con «le pratiche adottate dal Governo italiano in materia di contrasto all'immigrazione clandestina - è scritto nel dossier - e con gli accordi stipulati con le autorità libiche», che hanno ridotto drasticamente il numero degli sbarchi sulle coste meridionali. Ma c'è di più: «Nel calcolo - spiega Antonio Ricci, del centro studi Idos – non vanno considerati quei diciassettenni che nel corso dell’anno sono diventati maggiorenni, quindi irregolari e, da qui, espulsi per reato di clandestinità».

Infatti, una delle questioni sollevate dal rapporto ha a che fare proprio con le modifiche normative introdotte nel 2009 dal pacchetto sicurezza, che prevede il rilascio del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età, ponendo condizioni più rigide rispetto al passato. Ad ogni modo, come chiarisce lo studio, il dato delle presenze «non è esaustivo rispetto alla reale consistenza del fenomeno, in quanto non sono compresi i richiedenti asilo, le vittime di tratta, oltre a quelli che non sono mai entrati in contatto con il sistema nazionale di accoglienza e i minori provenienti da Paesi di recente ingresso nella comunità Europea, come i rumeni ad esempio, che quindi non figurano più come stranieri».

La speranza, per tutti questi ragazzi, è di arrivare in uno Stato – ed è il caso dell'Italia - di cui le tv mostrano un aspetto edulcorato. Il miraggio è quello di un lavoro stabile, di una ricchezza facile e di uno stile di vita fatto di agi e benessere. La realtà, tuttavia, è quasi sempre più amara. «In questo tempo di crisi e di precarietà - spiega monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes -, che colpisce soprattutto le famiglie e i lavoratori stranieri, se non si desidera assistere all'aumento del lavoro nero e dello sfruttamento, occorre fortemente investire sul piano sociale in misure di tutela, che comprendano anche il ritorno in patria assistito».

«Guardando i numeri - sottolinea il direttore della Migrantes - vediamo che l’Italia mediamente ogni anno vede la richiesta di protezione di 16 mila persone. Non è un numero impossibile da gestire, se il carico sociale è distribuito sugli 8 mila Comuni d’Italia, dentro un quadro di federalismo solidale». Ciò significa forse «riconoscere al Nord, per i minori, e al Sud, per i richiedenti asilo, una vocazione sociale da sostenere con politiche adeguate e risorse significative e non marginali».

E la protezione e l’accompagnamento, «più che i respingimenti – conclude monsignor Perego - sono il segno intelligente di una politica europea che legge il fenomeno globale della mobilità». Un fenomeno che non ha solo basi finanziarie o politiche ma che, anzi, deve mirare alla costituzione di un'Europa «sociale», fondata, in primis, sul «diritto di cittadinanza, così come ci hanno insegnato i maestri La Pira e Moro».

Una cittadinanza che «almeno nella visione della Chiesa - spiega padre Federico Lombardi, portavoce vaticano - non ha confini o frontiere perché quel che conta è essere persone umane in cammino». Un'espressione, quella del gesuita, che non è una mera dichiarazione di principi: in materia di immigrazione la Chiesa «è anzi coinvolta in attività concrete».

Tanto più che quello dell'accoglienza dei migranti è da sempre all'attenzione del Papa, il quale ne ha parlato durante il suo recente viaggio a Malta e anche all’odierna udienza generale, chiedendo ai Paesi «che hanno i valori cristiani nelle radici delle loro Carte Costituzionali e delle loro culture» di fare ogni sforzo per affrontare il problema con spirito umanitario, «concertando gli interventi a livello internazionale».

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La Chiesa riflette sulla propria presenza nei nuovi media
Al via a Roma, dal 22 al 24 aprile, il Convegno "Testimoni digitali"

ROMA, mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- La Chiesa in Italia prosegue il cammino di riflessione sulla propria presenza nel mondo dei nuovi media, un itinerario intrapreso nel 2002 dal congresso “Parabole mediatiche”, e lo fa con un Convegno dal titolo “Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era crossmediale”, che si terrà a Roma dal 22 al 24 aprile prossimi.

Di fronte ai rapidi e continui cambiamenti di una rete che arriva a modellare sempre più il nostro modo di informarci e di comunicare, la Chiesa si interroga sulla potenzialità che il “continente digitale” offre anche all’annuncio del Vangelo.

E proprio su questa frontiera si muoveranno le oltre 1200 persone, tra operatori della comunicazione e della cultura, responsabili e redattori dei settimanali cattolici, direttori degli uffici per le comunicazioni sociali, provenienti dalle 227 diocesi italiane.

L'incontro è promosso dalla Commissione episcopale per la Cultura e le Comunicazioni sociali e organizzato dall’Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali e dal Servizio nazionale per il Progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI).

Ad introdurre il Convegno, il 22 aprile, nella prima sessione dal titolo “Gli scenari mediatici” sarà il Vescovo Mariano Crociata, Segretario generale della CEI, che parlerà dell’impegno della Chiesa italiana nella pastorale rivolta ai nuovi media e del cammino percorso da “Parabole mediatiche” ad oggi. Seguirà la relazione di Nicholas Negroponte, fondatore e direttore del Media Lab del Massachusetts Institute of Technology, su “Essere ipermediali: vecchi e nuovi linguaggi tra integrazione e cambiamento”.

E’ quindi prevista la tavola rotonda “Media, linguaggi e crossmedialità” con la partecipazione del direttore di testata Mario Calabresi, del massmediologo Ruggero Eugeni e del semiologo Paolo Peverini; modera mons. Dario Viganò, della Lateranense.

La giornata di venerdì 23, intitolata “Intagliatori di sicomori”, inizierà con la riflessione del Vescovo Claudio Giuliodori, presidente della Commissione episcopale per la Cultura e le Comunicazioni Sociali della CEI, su “Relazioni in Rete: quale umanesimo nella cultura digitale?”. A seguire il contributo della sociologa Chiara Giaccardi dedicato alle relazioni comunicative e affettive dei giovani nello scenario digitale e una tavola rotonda animata da redattori di “Comunicazioni Sociali on-line”, che tracceranno i profili della generazione digitale.

Il dibattito continuerà con un dialogo a più voci intorno al tema “La fede nella Rete delle relazioni: comunione e connessione”; vi interverranno il sociologo Guido Gili, il P. Antonio Spadaro S.I., de La Civiltà Cattolica e don Roderick Vonhögen, esperto olandese delle nuove risorse comunicative, con il moderatore Stefano De Martis, direttore di Tv2000-Radio InBlu.

Nel pomeriggio, l’introduzione dell’Arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali, quindi una rassegna di esperienze sulla presenza ecclesiale nelle ultime frontiere mediatiche. L’argomento verrà ulteriormente approfondito da Francesco Casetti, direttore di Scienza della Comunicazione alla Cattolica e da Michele Sorice, docente di Sociologia della Comunicazione alla Luiss, nello spazio “Scenari digitali e nuove forme di presenza della Chiesa”, moderato da Paolo Bustaffa, direttore dell’Agenzia Sir. A concludere la giornata sarà il Cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, sul tema “Un’anima cristiana per il mondo digitale: comunità, strumenti, animatori”.

Al mattino di sabato 24 i lavori proseguiranno nell’Aula Paolo VI in Vaticano, per la sessione finale dal titolo “Il tempo dei testimoni digitali” e l’udienza pontificia. Interverrà in apertura mons. Domenico Pompili, sottosegretario della CEI e direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali, che spiegherà lo spirito e le finalità del Convegno nella relazione dal titolo “Vino nuovo in otri nuovi”.

Nell’agenda dei lavori figura anche una tavola rotonda, cui parteciperanno padre Federico Lombardi, S.I., direttore di Radio Vaticana, Centro Televisivo Vaticano e Sala Stampa, Lorenza Lei, vicedirettore generale della Rai e Marco Tarquinio, direttore di Avvenire; modererà Vittorio Sozzi, responsabile del Servizio nazionale per il Progetto culturale. Il Convegno si concluderà con il discorso di Benedetto XVI.

Intervenendo il 15 aprile scorso alla conferenza stampa di presentazione del Convegno presso la Radio Vaticana, mons. Mariano Crociata ha rilevato che “ci troviamo in una nuova condizione mediatica, in un mondo interconnesso, dove i media non sono più uno strumento, ma fattori di un ambiente”.

Il Convegno, ha spiegato, rappresenterà “un modo straordinario” per rispondere alla sfida dell’emergenza educativa, nella prospettiva decennale che avrà al centro proprio il tema dell’educazione.

In quell'occasione, mons. Domenico Pompili ha chiarito che il Convegno “non vuole inseguire mode tecnofile, ma si interroga sulla maniera in cui la rete cambia il nostro modo di vivere e pensare”. “Rispetto ai nuovi linguaggi, la Chiesa non ha pregiudizi. Nonostante gli aspetti problematici della rete, c’è infatti una grande apertura al fenomeno”.

Dal canto suo Chiara Giaccardi, docente di sociologia e antropologia dei media all’Università Cattolica di Milano e curatrice della ricerca “Relazioni comunicative e affettive dei giovani nello scenario digitale” che verrà presentata al Convegno, ha osservato che per i ragazzi che vivono nelle grandi città “lo spazio digitale diventa un’occasione per alimentare relazioni che altrimenti non potrebbero essere coltivate”.

Sul sito del convegno (www.testimonidigitali.it) oltre che seguire in diretta tutte le sessioni dei lavori sarà possibile accedere alle sezioni di documentazione con i materiali dei lavori, ma anche a una “community” in cui interagire e confrontarsi su temi inerenti l’evoluzione dei media, con il coordinamento di Saverio Simonelli, caporedattore di Tv2000.

Commenti e reazioni saranno ospitati anche nei Talk Blog curati da giornalisti, docenti ed esperti, tra i quali Alessandro Zaccuri e don Marco Sanavio, collaboratori di Avvenire, Chiara Giaccardi e il padre Giulio Albanese, direttore di riviste missionarie; specifici link rimandano inoltre a YouTube e alla comunità bibliofila aNobii.

Nel riquadro centrale “Mediacollegati” vengono accolti approfondimenti e notizie di Avvenire, Tv2000, Radio InBlu, dell’agenzia SIR e della FISC (Federazione Italiana Settimanali Cattolici).

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La Chiesa esorta a difendere i diritti umani di tutti i migranti
L'Arcivescovo Marchetto interviene al Seminario "Da Roma alla terza Roma"
di Roberta Sciamplicotti

ROMA, mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- La "difesa dei diritti di ogni uomo e donna" è uno dei pilastri dell'azione della Santa Sede, ha ricordato questo mercoledì a Roma l'Arcivescovo Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.

Il presule ha pronunciato in Campidoglio il discorso di apertura del XXX Seminario Internazionale di studi storici "Da Roma alla terza Roma", intervenendo sul tema "Imperi e Migrazioni. Leggi e continuità da Roma a Costantinopoli a Mosca".

Monsignor Marchetto ha voluto innanzitutto sottolineare "il carattere universalista della tradizione da Roma alla terza Roma, che riguarda l'intera umanità, poiché la storia di questa capitale, dalla sua fondazione, coincide con il superamento delle barriere etniche, è cioè, come si direbbe oggi, antirazzista".

"La cittadinanza romana non è fondata né sull'origine, né sul territorio; ogni uomo, senza distinzioni etniche o religiose, può acquisirla - ha rilevato -. È cioè sulla cittadinanza e non sul principio di territorialità che si costruiscono la nozione e la realtà dell'Impero".

In questo contesto, la strategia pastorale della Chiesa occidentale ha dovuto sperimentare grandi cambiamenti: "se nei primissimi secoli, cioè, essa si era rivolta particolarmente al mondo greco-romano con un'opera di inculturazione, successivamente, con le invasioni barbariche, la Chiesa la trasforma in acculturazione, specialmente con l'insegnamento della Sacra Scrittura e del patrimonio 'classico' che tramanda".

Respingimenti

Concentrandosi sulla situazione attuale, l'Arcivescovo ha ricordato la tendenza, tra i Paesi europei, di "delocalizzare i controlli delle frontiere, incoraggiando i loro partner delle coste meridionale del Mare nostro, Mare dei diritti, ad effettuare controlli più rigidi sui migranti, ma dando loro la possibilità di chiedervi asilo".

Connesse a questa tendenza sono però "serie questioni umanitarie", ha sottolineato, ricordando in primo luogo che le intercettazioni e i decentramenti operati dalle autorità europee in molti casi rendono impossibile "a migliaia di persone di raggiungere la costa nord del Mediterraneo, o persino di lasciare il loro Paese di origine o di transito".

"Per avere un'idea della gravità della questione basti pensare che il diritto a emigrare è incluso nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 (art. 13§2), anche senza ricorrere alla dottrina sociale della Chiesa, che pure è esplicita in materia", ha osservato.

A suo avviso, è "paradossale" che molti Paesi europei riconoscano come rifugiati "persone che sono arrivate nel loro territorio per via non marittima, ma provenienti dagli stessi Paesi da cui giungono i migranti intercettati e respinti nel mare nostro, nel mare dei diritti".

Per questo, il presule ha ribadito la sua "posizione di condanna" verso "chi non osserva il principio di non refoulement, che sta alla base del trattamento da farsi a quanti fuggono da persecuzione".

"Mi domando, se in tempo di pace non si riesce a far rispettare tale principio fondamentale del diritto internazionale umanitario, come si farà a richiederne l'osservanza in tempo di guerra", ha commentato.

Diritti violati

Un altro diritto violato nell'atto di intercettare e respingere i migranti sulle coste africane del Mediterraneo, ha proseguito monsignor Marchetto, è quello al "giusto processo", "che comprende il diritto a difendersi, a essere ascoltato, a fare appello contro una decisione amministrativa, il diritto ad ottenere una decisione motivata, e quello di essere informati sui fatti su cui si basa la sentenza, il diritto ad una corte indipendente ed imparziale".

Il "Codice frontiere Schengen" (n. 3), ricorda, "dichiara che tutte le persone alle quali è stato negato l'ingresso al territorio avranno il diritto di appello".

Le persone respinte non hanno tuttavia la possibilità di esercitare questo diritto. Oltre a ciò, "non sono informate su dove e come esercitare questo diritto, e ancor più, non esiste per loro nemmeno un atto amministrativo che proibisca ad essi di proseguire nel loro viaggio di disperazione per raggiungere acque internazionali e che disponga il ritorno al luogo di partenza o ad un altro destino sulla costa africana".

In questo contesto, il presule ha esortato al rispetto dei diritti di tutti i migranti.

"Ciò - ha concluso - fa parte della perenne tradizione della Chiesa, insieme alla difesa dei diritti di ogni uomo e donna, vecchio o giovane, anche nel caso dei migranti irregolari e dei richiedenti asilo che navigano nel Mare nostrum".

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Segnalazioni


"Un'economia per l'uomo": 60° Congresso Nazionale FUCI
Dal 22 al 25 aprile a Piacenza

ROMA, mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- Dal 22 al 25 aprile avrà luogo a Piacenza il 60° Congresso Nazionale FUCI sul tema “Un'economia per l'uomo. Quali sfide per il futuro?”. Circa 200 studenti universitari provenienti da tutta Italia si ritroveranno nella città emiliana per riflettere e discutere sulla attuale situazione del sistema economico e sulle prospettive future.

La sessione inaugurale di giovedì 22, intitolata “Crisi economica: cause e prospettive”, avrà inizio alle ore 17 presso Palazzo Gotico con la relazione introduttiva a cura della Presidenza Nazionale FUCI, la prolusione di Tommaso Padoa-Schioppa, già Ministro dell'Economia e delle Finanze dal 2006 al 2008, e gli interventi di padre Georg Sans, S.I., docente di Storia della filosofia contemporanea presso la Pontifica Università Gregoriana, e il prof. Marco Vivarelli, ordinario di Politica Economica presso la sede di Piacenza dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.

I lavori proseguiranno nella giornata di venerdì 23 alle 9:30 presso l'Auditorium Mazzocchi dell'Università Cattolica con la conferenza dal titolo “Sperimentare nuovi stili di vita”. Interverranno il prof. Leonardo Becchetti, ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell'Università di Roma “Tor Vergata” e Presidente Nazionale del CVX, e Alberto Fantuzzo, Presidente del Comitato Nazionale Agesci, già responsabile di Banca Etica. Nella mattinata si svolgeranno poi i laboratori.

Nel pomeriggio dalle 16:00, sempre presso l'Auditorium Mazzocchi, si terrà la tavola rotonda dal titolo “Un'economia per l'uomo. Quali sfide per il futuro?”. Interverranno: Ettore Gotti Tedeschi, Presidente dello IOR (Istituto per le Opere di Religione); il prof. Luigino Bruni, docente di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell'Università di Milano-Bicocca; Angelo Ferro, Presidente Nazionale dell'UCID (Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti); e Oscar Giannino, vicedirettore di Mercati & Finanza. Modererà Gennaro Ferrara, giornalista di Tv 2000.

Sabato e domenica saranno maggiormente dedicati alla vita della Federazione, con l'Assemblea Federale che avrà luogo nel suggestivo scenario di Palazzo Farnese. Sarà quello il momento durante il quale si discuteranno le linee guida della Federazione e in particolare durante il quale saranno votate le tesi congressuali e le mozioni che indirizzeranno l'impegno e il cammino della FUCI per il prossimo anno.

Per quanto riguarda i momenti di spiritualità venerdì 23 aprile alle 8:45 don Armando Matteo, Assistente Nazionale FUCI, presiederà le lodi presso la cappella dell'Università Cattolica. Sabato 24 aprile alle 11, presso la chiesa di Sant'Antonino, mons. Giuseppe Busani, vicario episcopale per la Pastorale della Diocesi di Piacenza-Bobbio, guiderà la lectio divina sul tema “Una impresa dalla fine tragica, un canto dagli inizi promettenti”. Infine domenica 25 aprile alle 8:45 presso la Chiesa di San Sisto mons. Gianni Ambrosio, Vescovo di Piacenza-Bobbio, presiederà la celebrazione eucaristica a conclusione dei lavori congressuali della FUCI.

“Vorremmo con il nostro Congresso - affermano Sara Martini ed Emanuele Bordello, Presidenti Nazionali della FUCI - far interagire la novità dell'incontro con Cristo Risorto che ci invita a cambiare la nostra vita, con una delle sfide più urgenti del nostro tempo, segnato dalla crisi economica e da crescenti squilibri ed ingiustizie sul piano mondiale”.

“La crisi è uno scenario che non si può ignorare – aggiungono –. Non basta dire che è passata: bisogna vedere quali sono le sue effettive dimensioni, in che misura si fa ancora sentire, quali sono le sue cause, quali sono i suoi risultati sociali, quali compiti essa ci indica come urgenti”.

“Non possiamo non affrontare queste domande, se intendiamo vivere il presente con quello sguardo vigilante e responsabile che abbiamo sempre rivendicato”, osservano poi.

[Per il programma del 60° Congresso Nazionale: www.fuci.net]

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"I Venerdì di Propaganda": l'opera e la figura di don Gnocchi
Il 23 aprile prossimo alla Libreria Internazionale Paolo VI di Roma
ROMA, mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il 23 aprile prossimo, alle ore 17.30, per “I Venerdì di Propaganda: Temi e Autori” organizzati dalla Libreria Editrice Vaticana in Via di Propaganda 4, a Roma, nella Libreria Internazionale Paolo VI, il Presidente della Fondazione Don Carlo Gnocchi, mons. Angelo Bazzari, presenterà la figura di questo nuovo beato attraverso il volume “Restaurazione della persona umana” (LEV).

A coordinare l'incontro sarà la scrittrice Neria De Giovanni, presidente dell’Associazione Internazionale dei Critici Letterari e direttrice ad Alghero del periodico “Salpare”.

Il volume presentato in questa occasione è l’opera di don Gnocchi più impegnativa dal punto di vista teorico anche se probabilmente è quella meno conosciuta a livello popolare pur meritandogli il Premio Viareggio del 1951. 

La data della pubblicazione originaria del volume è emblematica: 1946. Don Gnocchi a un popolo disincantato dalla guerra voleva proporre l’impresa assai ardua di ricostruire l’uomo, “prima e più fondamentale di tutte le ricostruzioni”.

Durante l'incontro mons. Angelo Bazzari avrà anche modo di presentare le finalità e le attività della Fondazione che ha tratto nuovi stimoli dalla recente beatificazione di don Gnocchi.

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Interviste


L'assurdo destino degli embrioni congelati
Intervista al docente di Diritto Brian Scarnecchia
di Andrea Kirk Assaf

ROMA, mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- Giovanni Paolo II ha chiesto ai tecnici della fertilità di smettere di produrli. La Donum Vitae, pubblicata nel 1997 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, ha parlato della "sorte assurda" alla quale erano stati condannati. Il programma Baby Snowflake, lanciato nello stesso anno, ne ha facilitato l'adozione o il "riscatto".

Oggi esistono circa 400.000 piccoli embrioni umani creati attraverso la fecondazione in vitro, con le loro vite sospese in recipienti di nitrogeno liquido, che il defunto presidente della Pontificia Accademia per la Vita, il dottor Jerôme Lejeune, chiamava "latte di concentramento".

Visto che la richiesta della Chiesa cattolica di non creare questo dilemma bioetico non è stata rispettata da molte compagnie biofarmaceutiche, il Vaticano si vede ora costretto ad emettere un giudizio morale su centinaia di migliaia di vite congelate.

Brian Scarnecchia, presidente dell'International Solidarity and Human Rights Institute e docente di Diritto presso la Ave Maria Law School, ha pronunciato di recente al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace una conferenza su questo argomento sempre più complesso.

In questa intervista rilasciata a ZENIT, il docente spiega le complesse questioni morali implicate nel dibattito sul destino degli embrioni congelati.

Com'è giunto ad essere invitato a parlare degli embrioni congelati in Vaticano?

Scarnecchia: Sono stato qui al Forum di Roma, un congresso di organizzazioni non governative cattoliche patrocinato dalla Segreteria di Stato del Vaticano e da vari dicasteri. Avevano previsto un piano di studi che includeva conferenze su economia, sviluppo, diritti umani e bioetica. Dovevo presentare due conferenze sui diritti umani fondamentali.

La segretaria del Forum, la dottoressa Fermina Álvarez, mi ha chiesto di pronunciare una conferenza presso il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, a Palazzo San Calisto, e ha invitato anche varie persone che lavorano in Congregazioni e Pontifici Consigli del Vaticano in questo palazzo. Quando mi sono reso conto che avrei parlato soprattutto a persone che già lavorano nella Santa Sede, ho voluto indagare e ottenere informazioni su un tema che comporta l'analisi di varie questioni dottrinali.

E' tutto ancora sottoposto a dibattito, visto che la questione non è ancora stata chiusa dalla Congregazione per la Dottrina della Fede?

Scarnecchia: No, sicuramente no - da quando la Donum Vitae è stata presentata nel 1987 sono stati condannati il congelamento di embrioni umani, la fertilizzazione in vitro e la maternità surrogata, che è stata anche dichiarata illecita. Si poteva pensare che questo avrebbe risolto il problema, ma naturalmente non si affrontavano tutte le questioni.

Ad esempio, la Donum Vitae si rivolgeva principalmente all'arrivo di un essere umano attraverso un concepimento che non è stato frutto di un atto d'amore coniugale tra marito e moglie, ma è stato prodotto in vitro, cioè in una piastra di Petri di vetro. Questo procedimento è stato chiaramente condannato, come anche il congelamento degli embrioni "extra" o "soprannumerari".

Ad ogni modo, sono state create migliaia di embrioni congelati, e la domanda che parte da molte persone ben intenzionate è se una donna diversa dalla madre possa portare un embrione congelato dentro di sé senza diventare una madre surrogata.

Alcuni esperti di Bioetica fedeli al Magistero, e che non sono assolutamente teologi dissidenti, hanno affermato, preoccupati per il destino di questi embrioni congelati, che il riscatto o l'adozione di un embrione congelato non è maternità surrogata. Una surrogazione, questa è l'argomentazione, sarebbe il caso in cui qualcuno, per amore o per denaro, accoglie un embrione nel suo ventre con l'intenzione di darlo a un'altra persona - "Lo sto facendo per mia sorella, lo sto facendo per mia figlia, lo faccio per 20.000 dollari". Una donna non diventa una madre sostitutiva se non ha l'intenzione di dar via il bambino dopo la nascita, ma lo vuole adottare.

Ho parlato con una monaca che ha detto che, nel caso di approvazione del trasferimento eterologo di embrioni, sarebbe stata tentata di fondare un nuovo Ordine di religiose dedite al riscatto di questi embrioni congelati.

Questo approccio è stato criticato perché farebbe collassare i motivi nell'atto morale. Bioeticisti critici nei confronti dell'adozione di embrioni si sono opposti e hanno detto che più importante della motivazione personale è l'atto morale, che intendono come l'atto di restare incinta del bambino di un'altra persona.

Questi esperti di Bioetica hanno sostenuto che, se il trasferimento di un embrione congelato nel ventre di una donna è una surrogazione in sé, sarebbe intrinsecamente negativo e non potrebbe essere fatto per alcun buon motivo, neanche per salvare la vita dell'embrione congelato.

Nella Chiesa c'è stata qualche risoluzione su questo dibattito?

Scarnecchia: Questo dibattito è andato avanti per vent'anni, dal 1987 al 2008. La Congregazione per la Dottrina della Fede ha poi pubblicato la Dignitas Personae, che nel paragrafo 19 offre una risoluzione del dibattito. Il mio intervento tornava dove la Dignitas Personae si era interrotta e su ciò che ancora non contemplava.

Il paragrafo 19 dice che le persone geneticamente estranee all'embrione, coloro che attraverso il trasferimento eterologo di embrioni rimangono incinta di un bambino che non è geneticamente loro, hanno partecipato ad atti simili alla fecondazione in vitro eterologa e/o all'affitto di uteri, e quindi non si tratta di un atto lecito. Per questo non è lecito adottare un embrione per aumentare la propria famiglia.

Negli Stati Uniti esiste il Programma Baby Snowflake, promosso dal National Right to Life come alternativa alla ricerca distruttiva su questi embrioni. Era sicuramente un movimento dalle buone intenzioni. In quel momento, tra la Donum Vitae e la Dignitas Personae, i cattolici potevano, in buona coscienza, dopo aver soppesato entrambi i lati del dibattito, adottare un embrione congelato. Dopo la pubblicazione della Dignitas Personae, questa non sembra essere più un'opzione che un cattolico può assumere in buona fede.

Alcuni esperti di Bioetica che si sono opposti al trasferimento eterologo di embrioni hanno detto che sarebbe equivalente a un adulterio tecnologico, e che il fatto che una donna resti incinta del figlio di un'altra coppia violerebbe il valore unitivo del matrimonio.

Quali questioni sono rimaste senza soluzione in questi due documenti?

Scarnecchia: Alcuni casi di "riscatto" altruista di embrioni congelati. Al paragrafo 19 si afferma che, nonostante la nobile intenzione di salvarne la vita, riscattare gli embrioni congelati non sarebbe molto diverso dalla fecondazione in vitro eterologa (che combina i gameti dei coniugi) e dalla surrogazione.

Il mio intervento ha riguardato la situazione di una madre che si pente del peccato della fertilizzazione in vitro e vuole recuperare o riscattare i propri embrioni congelati. Quando mi è stato chiesto di esprimermi sulla questione in un caso legale, Evans v. UK, pendente presso il Tribunale Europeo dei Diritti Umani dal 2006, la mia risposta è stata che la madre genetica poteva riscattare i propri embrioni congelati senza che ci fosse una surrogazione, e così i membri cattolici del Parlamento Europeo potevano sostenere questo risultato in buona fede. Non dimentichiamo che già negli anni Novanta il dottor Jerôme Lejeune testimoniò davanti al tribunale che la madre genetica ha il dovere di adottare misure ragionevoli per salvare i suoi "figli piccoli" congelati nelle "latte di concentramento".

Credo che il principio che sottolinea l'obiezione della Donum Vitae alla fertilizzazione in vitro sia il carattere relazionale della persona umana e, in particolare, il dono di sé che gli sposi si fanno reciprocamente e che hanno il dovere di rispettare.

Questa donazione reciproca dei genitori ha tre fasi. In primo luogo, la dedizione reciproca è concessa e garantita nella fase genetica quando i coniugi, con gioia e libertà, si donano l'uno all'altro in un atto di intimità coniugale, che continua attraverso il concepimento naturale: ogni bambino ha il diritto di essere concepito accanto al cuore della madre, in virtù di un atto libero di donazione reciproca dei coniugi. La seconda fase della dedizione dei genitori si produce tra il concepimento e la nascita. Può essere chiamata fase di gestazione: ogni bambino ha il diritto di essere allevato nel grembo materno. La fase finale è quella della formazione: ogni bambino, dopo la nascita, ha il diritto di essere allevato dai propri genitori fino alla maturità.

Nel mio libro di prossima pubblicazione "Bioetica, Diritto e Pensiero Sociale Cattolico" (Scarecrow Press, 2010) si sostiene che quando la madre genetica riprende il suo embrione congelato nel proprio grembo, attraverso il trasferimento omologo dell'embrione, questo atto afferma il diritto del bambino alla paternità gestazionale accanto al cuore della madre. Dall'altro lato, se un estraneo genetico fa questo, il bambino soffre una seconda violazione dei suoi diritti attraverso il trasferimento eterologo di embrioni, che per la Dignitas Personae è chiaramente analoga alla fecondazione in vitro eterologa e alla surrogazione.

Altri esperti di bioetica sostengono, al contrario, che se ogni concepimento deve essere il risultato di un atto coniugale tra marito e moglie, come afferma la Donum Vitae, allora anche ogni gravidanza deve sorgere da un atto di unione coniugale tra gli sposi. Per questo, se la madre genetica resta incinta attraverso atti tecnici, sostengono che questo trasferimento dell'embrione omologo presupporrebbe una seconda violazione dei diritti dell'embrione, e che la madre, paradossalmente, diventerebbe una madre surrogata del proprio figlio.

Mi sembra che se, per analogia, una gravidanza ectopica tubarica si potesse risolvere con successo trasferendo l'embrione dal suo luogo di impianto nelle trombe di Falloppio della madre all'utero materno, pochi obietterebbero che il bambino ha subito una violazione dei suoi diritti, perché la sua vita si sarebbe salvata attraverso una gravidanza uterina iniziata da terzi attraverso un atto di trasferimento embrionale omologo.

Questo aspetto, la liceità del trasferimento omologo dell'embrione, rimane una questione aperta e rappresenta una lacuna importante che la Congregazione per la Dottrina della Fede deve affrontare e risolvere in un modo o nell'altro.



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Tutto Libri


SimonEthica, un percorso etico per nuovi modelli d'impresa
di Emmanuele Di Leo

ROMA, mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- "Le prassi manageriali di domani dovranno concentrarsi sul conseguimento di obiettivi nobili e socialmente rilevanti". Così si evince dal Manifesto proposto da Gary Hamel, professore alla London Businnes School: "Fare in modo che il management serva per un fine più elevato".

Partendo da questa considerazione, il libro SimonEthica (Eurispes&Link, 2010), tramite il suo autore, Francesco Pastore, propone una nuova visione d'impresa come stimolo allo stato attuale di atrofizzazione del management e delle sue teorie che mostrano tutti i limiti di una mancata innovazione culturale.

Pastore, per molti anni Partner di una delle maggiori società leader globale della consulenza, docente universitario e fondatore nel 2008 del "Laboratorio Etico d'Impresa", società che si occupa delle tematiche di Corporate Governance e Business Ethics, propone un modello di azienda perfettamente capace di esercitare un forte autocontrollo qualitativo e quantitativo.

L'autore di SimonEthica afferma che "essendo il futuro sempre meno prevedibile, è necessario anche puntare ad organizzazioni con un anima e con un cuore pulsante dove la ricchezza del capitale umano, che oggi non sembra rientrare nella hit parade del pensiero degli economisti, potrebbe rappresentare la vera differenza di domani e la base giusta per una necessaria semplificazione dell'architettura complessiva di controllo interno aziendale".

In questi ultimi anni il termine etica appare inflazionato: si moltiplicano i convegni, gli incontri tematici, gli approcci e le metodologie in tema di "Responsabilità Sociale" dove, la parola "etica" può addirittura avere un contenuto ideologicamente discriminatorio, lasciando intendere che non sarebbero etiche le iniziative che non si fregiassero formalmente di questa qualifica.

Da qui il "Simon" del titolo, che riprende il concetto di simonia. Infatti tale termine, che risale ad epoche medioevali, è ancora oggi presente nel tessuto societario. Quindi, il manager si rivolge al "valutatore" etico per l'attribuzione del "rating" etico inteso come panacea, quasi scudo protettivo, a fronte di ogni rischio reputazionale anche quando, a volte, la realtà aziendale nella prospettiva del comportamento etico può essere diversa. Quando ciò si verifica viene generata una situazione che si è definita sinteticamente "SimonEthica" ossia il "peccato" di voler acquistare uno status etico per la propria azienda pretendendo di comprare la rispettabilità tramite un bollino.

"Ethica", che volutamente esposta nel titolo del libro, in latino, sta a simboleggiare una tendenza importante che si va manifestando in questi ultimi anni: il ritorno ai "fondamentali" e, conseguentemente, ai valori come vero asse portante di quel movimento di rinascita culturale che guarda in maniera critica ma costruttiva, i concetti basilari su cui operano l'impresa, il mercato, la finanza ed il mondo dei controlli.

Questo libro, concepito a metà tra un saggio ed un testo in materia di business ethics, vuole stimolare una profonda riflessione da cui può scaturire un modo diverso di pensare e vedere le cose.

Nella prefazione a SimonEthica, l'Arcivescovo di Trieste, mons. Giampaolo Crepaldi, afferma: "occorre riprendere un cammino di formazione ed educazione delle persone alle virtù morali ed intellettuali proponendo, come suggerisce anche la Caritas in veritate, una nuova visione dell'attività imprenditoriale, in continuità con quanto già affermato dalla Centesimus annus di Giovanni Paolo II e liberandola dalla apparente contrapposizione profit/non profit".

"La proposta di un vero e proprio percorso etico per l'azienda, ispirato dall'autore, si pone in sintonia con il concetto di una nuova democrazia d'impresa, che sia orientato ad integrare realmente l'etica nei comportamenti e nell'agire quotidiano riconoscendo il pericolo dell'ideologia tecnocratica come forma di totalitarismo che tenta 'di sradicare il bisogno di Dio, dal cuore dell'uomo'", sottolinea il presule.

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Forum


Un fallimento, il Pontificato di Benedetto XVI?
Neanche secondo i parametri di questo mondo

di Carl Anderson*

NEW HAVEN (Connecticut), mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- Agli inizi di aprile, la rivista tedesca Der Spiegel ha rincarato la dose, nella recente ondata di attacchi alla Chiesa, con il seguente titolo: “La fallita missione di Joseph Ratzinger”.

Missione fallita? Al contrario.

Persino secondo i parametri del mondo, questo papato risulta straordinario. Papa Benedetto XVI ha guidato la Chiesa avvicinandola, con amore, alla cultura in cui siamo immersi. Le sue due encicliche sulla carità, quella sulla speranza e la sua lettera sull’Eucarestia – Cristo al centro della nostra fede – ci hanno riportato al messaggio più fondamentale e profondo del Cristianesimo: fede, speranza e carità. Il Cristianesimo di Benedetto è il Cristianesimo delle Beatitudini.

Il motivo per cui alcuni vedono questo pontificato come un “fallimento” è perché lo vorrebbero vedere così. Sono molti in Europa che vorrebbero vedere fallire questo papato – come ogni altro papato – perché la posizione della Chiesa contrasta con i loro programmi laicisti.

Ciò che alcuni non possono tollerare è quella visione profonda, presente nell’ultima enciclica di Benedetto XVI, “Caritas in veritate”, in cui il Papa ci ricorda che: “Senza Dio l'uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia” (n. 78).

Domenica scorsa abbiamo ascoltato il Vangelo in cui Cristo chiede a Pietro: “Mi ami tu?”. E Pietro risponde di amarlo. Ma egli è in grado di rispondere così solo perché Cristo lo ha amato per primo. Il laicista, invece, volta le spalle all’amore di Dio e respinge l’invito di Cristo di contraccambiare il suo amore.

Non dobbiamo dimenticare che i due grandi comandamenti di Cristo sono di amare Dio con tutto il cuore e il nostro fratello come noi stessi. Ma è il primo che conduce al secondo. Eliminando il primo comandamento, il secondo non sarà più in grado di realizzare ciò che promette.

Il sogno di una società secolarizzata non è altro che un’utopia.

Nella “Caritas in veritate”, Papa Benedetto XVI ribadisce quanto già affermato nella “Deus caritas est”, ovvero che nessuno Stato potrà mai essere così perfetto da non avere bisogno della carità. “Quando la carità lo anima, l'impegno per il bene comune ha una valenza superiore a quella dell'impegno soltanto secolare e politico”, scrive il Papa (n. 7).

L’idea che le soluzioni ai problemi di questo mondo si trovino nel Vangelo e non nel secolarismo è un tema che questo Papa propone da lungo tempo. Egli sottolinea costantemente che la Chiesa si differenzia dalla società secolare in quanto non cerca un messia politico, ma chiama incessantemente le persone alla conversione.

Una società che non lascia spazio a Dio – anche nelle sue forme di comunicazione sociale – non riserva alcuno spazio neanche al suo messaggio, e alcuni tentano di eliminare il suo messaggero, attaccandosi a tutto pur di screditarlo.

Il Papa, che ci chiama alla carità nella verità, che ci mette in guardia dal collasso economico causato dall’esclusione dei valori religiosi dal mercato, che si impegna al massimo per affrontare e rimediare alle azioni di quei preti che hanno causato scandalo, questo uomo è bersagliato, perché crede che noi possiamo amare autenticamente il nostro prossimo solo se prima abbiamo permesso a Dio di amarci.

Questa idea, a prescindere da quante volte possa essere comprovata dai fatti, è un qualcosa che la mente laicista proprio non riesce a tollerare. Si tende quindi subito a dare un giudizio preconcetto e a tentare di screditare il Papa.

Il campione della carità nella verità non ha ricevuto né carità, né verità, da molte persone che lavorano nei media.

Esiste oggi una cultura del sospetto contro la Chiesa cattolica, in cui ad ogni accusa mossa dai detrattori della Chiesa viene data credibilità, mentre ogni spiegazione in difesa della Chiesa sembra essere insufficiente.

Come si può spiegare altrimenti la frenesia attuale dei media contro l’uomo che ha fatto più di chiunque altro per gestire efficacemente coloro che hanno commesso abusi sui minori?

Lo Spirito Santo continuerà a guidare Papa Benedetto XVI nel suo grande impegno che lo contraddistingue, a testimonianza dell’amore di Cristo.

Spetta a noi seguire la testimonianza del nostro Papa. Dobbiamo schierarci con Papa Benedetto e dire sì all’amore di Cristo, e poi portare quell’amore al nostro prossimo, alla nostra società. Dobbiamo evangelizzare attraverso la nostra testimonianza.

Il cattivo esempio di alcuni – i loro abusi e le loro manipolazioni – è stato ulteriormente strumentalizzato da parte di altri, nel tentativo di screditare l’autentico messaggio cristiano. È per questo che gli scandali sono così dannosi, ma è anche per questo che la nostra testimonianza è così importante.

Nel 2000, l’allora cardinale Ratzinger ebbe a dire che l’arte di vivere “la può comunicare solo chi ha la vita - colui che è il Vangelo in persona”.

Noi dobbiamo essere il Vangelo in persona e dire sì all’amore di Cristo, sì ad amare Cristo. Dobbiamo poi estendere l’autentica carità nella verità al nostro prossimo. Allora il mondo vedrà che siamo cristiani perché ci amiamo l’un l’altro e che il modo in cui ci amiamo riflette il modo in cui siamo stati per primi amati da Dio.


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*Carl Anderson è il Cavaliere supremo dei Cavalieri di Colombo e autore di bestseller secondo la classifica del New York Times.


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Udienza del mercoledì


Come san Paolo, sono stato accolto con calore dai maltesi
Catechesi di Benedetto XVI per l'Udienza generale del mercoledì
ROMA, mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale in piazza San Pietro, dove ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato sul suo recente Viaggio Apostolico a Malta in occasione del 1950° anniversario del naufragio di San Paolo sull’isola.

 



* * *

Cari fratelli e sorelle!

Come sapete, sabato e domenica scorsi ho compiuto un viaggio apostolico a Malta, sul quale oggi vorrei brevemente soffermarmi. Occasione della mia visita pastorale è stato il 1950° anniversario del naufragio dell’apostolo Paolo sulle coste dell’arcipelago maltese e della sua permanenza in quelle isole per circa tre mesi. E’ un avvenimento collocabile attorno all’anno 60 e raccontato con abbondanza di particolari nel libro degli Atti degli Apostoli (capp. 27-28). Come accadde a san Paolo, anch’io ho sperimentato la calorosa accoglienza dei Maltesi – davvero straordinaria - e per questo esprimo nuovamente la mia più viva e cordiale riconoscenza al Presidente della Repubblica, al Governo e alle altre Autorità dello Stato, e ringrazio fraternamente i Vescovi del Paese, con tutti coloro che hanno collaborato a preparare questo festoso incontro tra il Successore di Pietro e la popolazione maltese. La storia di questo popolo da quasi duemila anni è inseparabile dalla fede cattolica, che caratterizza la sua cultura e le sue tradizioni: si dice che a Malta vi siano ben 365 chiese, "una per ogni giorno dell’anno", un segno visibile di questa profonda fede!

Tutto ebbe inizio con quel naufragio: dopo essere andata alla deriva per 14 giorni, spinta dai venti, la nave che trasportava a Roma l’apostolo Paolo e molte altre persone si incagliò in una secca dell’Isola di Malta. Per questo, dopo l’incontro molto cordiale con il Presidente della Repubblica, nella capitale La Valletta - che ha avuto la bella cornice del gioioso saluto di tanti ragazzi e ragazze - mi sono recato subito in pellegrinaggio alla cosiddetta "Grotta di San Paolo", presso Rabat, per un momento intenso di preghiera. Lì ho potuto salutare anche un folto gruppo di missionari maltesi. Pensare a quel piccolo arcipelago al centro del Mediterraneo, e a come vi giunse il seme del Vangelo, suscita un senso di grande stupore per i misteriosi disegni della Provvidenza divina: viene spontaneo ringraziare il Signore e anche san Paolo, che, in mezzo a quella violenta tempesta, mantenne la fiducia e la speranza e le trasmise anche ai compagni di viaggio. Da quel naufragio, o, meglio, dalla successiva permanenza di Paolo a Malta, nacque una comunità cristiana fervente e solida, che dopo duemila anni è ancora fedele al Vangelo e si sforza di coniugarlo con le complesse questioni dell’epoca contemporanea. Questo naturalmente non è sempre facile, né scontato, ma la gente maltese sa trovare nella visione cristiana della vita le risposte alle nuove sfide. Ne è un segno, ad esempio, il fatto di aver mantenuto saldo il profondo rispetto per la vita non ancora nata e per la sacralità del matrimonio, scegliendo di non introdurre l’aborto e il divorzio nell’ordinamento giuridico del Paese.

Pertanto, il mio viaggio aveva lo scopo di confermare nella fede la Chiesa che è in Malta, una realtà molto vivace, ben compaginata e presente sul territorio di Malta e Gozo. Tutta questa comunità si era data appuntamento a Floriana, nel Piazzale dei Granai, davanti alla Chiesa di San Publio, dove ho celebrato la Santa Messa partecipata con grande fervore. E’ stato per me motivo di gioia, ed anche di consolazione sentire il particolare calore di quel popolo che dà il senso di una grande famiglia, accomunata dalla fede e dalla visione cristiana della vita. Dopo la Celebrazione, ho voluto incontrare alcune persone vittime di abusi da parte di esponenti del Clero. Ho condiviso con loro la sofferenza e, con commozione, ho pregato con loro, assicurando l’azione della Chiesa.

Se Malta dà il senso di una grande famiglia, non bisogna pensare che, a causa della sua conformazione geografica, sia una società "isolata" dal mondo. Non è così, e lo si vede, ad esempio, dai contatti che Malta intrattiene con vari Paesi e dal fatto che in molte Nazioni si trovano sacerdoti maltesi. Infatti, le famiglie e le parrocchie di Malta hanno saputo educare tanti giovani al senso di Dio e della Chiesa, così che molti di loro hanno risposto generosamente alla chiamata di Gesù e sono diventati presbiteri. Tra questi, numerosi hanno abbracciato l’impegno missionario ad gentes, in terre lontane, ereditando lo spirito apostolico che spingeva san Paolo a portare il Vangelo là dove ancora non era arrivato. E’ questo un aspetto che volentieri ho ribadito, che cioè "la fede si rafforza quando viene offerta agli altri" (Enc. Redemptoris missio, 2). Sul ceppo di questa fede, Malta si è sviluppata ed ora si apre a varie realtà economiche, sociali e culturali, alle quali offre un apporto prezioso.

E’ chiaro che Malta ha dovuto spesso difendersi nel corso dei secoli – e lo si vede dalle sue fortificazioni. La posizione strategica del piccolo arcipelago attirava ovviamente l’attenzione delle diverse potenze politiche e militari. E tuttavia, la vocazione più profonda di Malta è quella cristiana, vale a dire la vocazione universale della pace! La celebre croce di Malta, che tutti associano a quella Nazione, ha sventolato tante volte in mezzo a conflitti e contese; ma, grazie a Dio, non ha mai perso il suo significato autentico e perenne: è il segno dell’amore e della riconciliazione, e questa è la vera vocazione dei popoli che accolgono e abbracciano il messaggio cristiano!

Crocevia naturale, Malta è al centro di rotte di migrazione: uomini e donne, come un tempo san Paolo, approdano sulle coste maltesi, talvolta spinti da condizioni di vita assai ardue, da violenze e persecuzioni, e ciò comporta, naturalmente, problemi complessi sul piano umanitario, politico e giuridico, problemi che hanno soluzioni non facili, ma da ricercare con perseveranza e tenacia, concertando gli interventi a livello internazionale. Così è bene che si faccia in tutte le Nazioni che hanno i valori cristiani nelle radici delle loro Carte Costituzionali e delle loro culture.

La sfida di coniugare nella complessità dell’oggi la perenne validità del Vangelo è affascinante per tutti, ma specialmente per i giovani. Le nuove generazioni infatti la avvertono in modo più forte, e per questo ho voluto che anche a Malta, malgrado la brevità della mia visita, non mancasse l’incontro con i giovani. E’ stato un momento di profondo e intenso dialogo, reso ancora più bello dall’ambiente in cui si è svolto – il porto di Valletta – e dall’entusiasmo dei giovani. A loro non potevo non ricordare l’esperienza giovanile di san Paolo: un’esperienza straordinaria, unica, eppure capace di parlare alle nuove generazioni di ogni epoca, per quella radicale trasformazione seguita all’incontro con Cristo Risorto. Ho guardato dunque ai giovani di Malta come a dei potenziali eredi dell’avventura spirituale di san Paolo, chiamati come lui a scoprire la bellezza dell’amore di Dio donatoci in Gesù Cristo; ad abbracciare il mistero della sua Croce; ad essere vincitori proprio nelle prove e nelle tribolazioni, a non avere paura delle "tempeste" della vita, e nemmeno dei naufragi, perché il disegno d’amore di Dio è più grande anche delle tempeste e dei naufragi.

Cari amici, questo, in sintesi, è stato il messaggio che ho portato a Malta. Ma, come accennavo, è stato tanto ciò che io stesso ho ricevuto da quella Chiesa, da quel popolo benedetto da Dio, che ha saputo collaborare validamente con la sua grazia. Per intercessione dell’apostolo Paolo, di san Giorgio Preca, sacerdote, primo santo maltese, e della Vergine Maria, che i fedeli di Malta e Gozo venerano con tanta devozione, possa sempre progredire nella pace e nella prosperità.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i parroci e gli altri sacerdoti della diocesi di Roma, accompagnati dal Cardinale Agostino Vallini e dai Vescovi Ausiliari, qui convenuti di ritorno dal pellegrinaggio ad Ars, promosso in occasione dell’Anno Sacerdotale. Cari sacerdoti romani, vi ringrazio della vostra presenza, segno di affetto e di vicinanza spirituale. Colgo questa opportunità per esprimere la mia stima e la mia viva riconoscenza a voi e ai sacerdoti che in tutto il mondo si dedicano con zelo apostolico al servizio del popolo di Dio, testimoniando la carità di Cristo. Sull’esempio di san Giovanni Maria Vianney, siate pastori pazienti e solleciti del bene delle anime. Saluto le postulanti e le novizie partecipanti all’incontro promosso dall’USMI ed auguro che cresca in ciascuna il desiderio di servire con gioia Gesù e il Vangelo.

Saluto i tanti studenti di ogni ordine e grado, che ringrazio per la loro così numerosa partecipazione, con un pensiero particolare per l’Istituto "Nazareth" di Roma, e li incoraggio a perseverare nel generoso impegno di testimonianza cristiana nel mondo della scuola. Uno speciale pensiero va, infine, agli altri giovani, ai malati ed agli sposi novelli. Domenica prossima, quarta del tempo di Pasqua, si celebra la Giornata di preghiera per le vocazioni. Auguro a voi, cari giovani, di trovare nel dialogo con Dio la vostra personale risposta al suo disegno di amore; invito voi, cari malati, ad offrire le vostre sofferenze perché maturino numerose e sante vocazioni. E voi, cari sposi novelli, attingete dalla preghiera quotidiana la forza per costruire un'autentica famiglia cristiana.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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