martedì 2 novembre 2010

Springsteen-day delirio per il Boss Bruce Springsteen a Roma per il docomentario "The Promise: the Making of Darkness on the Edge of Town"

La nascita di un mito raccontata in prima persona da protagonista e comprimari,
quelli che trent'anni fa erano ragazzi ribelli stregati dalla musica e che
oggi, tra le rughe del tempo, mostrano le facce tranquille di chi ha fatto la
cosa giusta. Applausi, commozione, bagarini scatenati, in sala Valeria
Solarino, Silvio Orlando, Carlo Verdone, Daniele Luchetti, Neri Marcorè, Pino
Daniele, fuori la folla in estasi sotto la pioggia battente: tutto per Bruce
Springsteen, al Festival per presentare The Promise: the Making of «Darkness on
the Edge of Town». «È il ritratto ancora attuale - dice lui - di uomini al
margine, sul confine tra perdersi e incontrare se stessi. Uomini in cerca di
una terra promessa. Io non so bene chi sono, sono ancora alla ricerca di me
stesso. Forse per questo ci metto tanto a incidere un album». Anche il suo
presidente, in questi giorni, è sul confine... «Obama deve affrontare una
brutta crisi economica - dice Springsteen - per questo dobbiamo stargli ancora
più vicino». E la pace? «Gli uomini - sorride - dovrebbero essere più
tranquilli. Ma non mi risulta che lo siano».

Nell'incontro che segue la proiezione, il Boss parla di tutto: «Quel disco? Ci
rendemmo conto che stavamo facendo qualcosa d'importante. E che ci avrebbe
portato un sacco di ragazze». Erano ancora i tempi in cui si incideva su
nastro... «Sì, non sono un patito del vecchio. Però il nasstro aveva qualcosa
di particolare: aveva anima e cuore». E l'Italia? «I fan italiani sono
caldissimi. Quando sono a Roma passeggio per la città e mi chiedo: ma dopo un
po', ci si fa ancora caso, a tutta questa bellezza?».

Firmato dal pluripremiato Thom Zinny, presentato all'ultimo Festival di
Toronto, il documentario racconta la genesi dell'album del '78. Una cronaca
appassionata, fatta di immagini di repertorio, musica e scritti originali, in
cui rivive lo spirito del tempo e prende corpo, lucida e coerente, la poetica
dell'autore: «Non puoi perdere quello che hai nel profondo di te stesso...
Volevo che il disco avesse un senso di implacabilità». Tra il bianco e nero
lattiginoso delle riprese in studio, con il Boss in jeans e maglietta bianca e
i colori sfocati dei paesaggi americani fatti di grandi spazi e strade senza
fine, parlano in tanti. I componenti della E-Street Band, i produttori
discografici, il manager John Landau, l'ex-compagna del musicista Patti
Scialfa, la rockstar Patti Smith che racconta come è nata Because the Night.

Ma soprattutto parla lui, spiegando come fece a eludere i pericoli del
successo, a mantenere viva e pura l'ispirazione, a conservare il legame con le
radici: «Vedevo che molte persone si allontanavano, diventando famose, dalle
cose importanti». Per evitare la trappola, dice l'autore, «dovetti ignorare il
mio cambiamento». Far finta di niente, anche quando, da un giorno all'altro, il
ragazzo muscoloso con la testa piena di riccioli si ritrovò sulle copertine di
Time e Newsweek. L'importante era avere ben chiaro il valore delle cose. A
cominciare dalla riconoscenza per i genitori: «Mio padre lavorava in fabbrica,
ricordo quando lo andavo a trovare, con in mano il sacchetto con il suo pranzo.
Il rumore era talmente forte che non riusciva a sentirmi, a quei tempi non
esistevano le cuffie, non c'era modo di proteggersi».

Tra una prova e l'altra di Darkness on the Edge of Town, Springsteen
continuava a scrivere, a fermare impressioni, a mettere una in fila all'altra
le sensazioni da cui sarebbero nati nuovi brani. Il lavoro era interminabile:
«Il nostro era un approccio messianico, pensavamo di salvare il mondo... Volevo
che il disco fosse un poema di tonalità dalla grandiosità apocalittica».

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