MARIO GIACOMELLI | Fotografare l'Italia fino all'ultima ruga | MASSIMO RAFFAELI | | Può sorprendere che, fuori dall'Italia, al nome di Fellini si associ volentieri quello di un fotografo, Mario Giacomelli (1925-2000), in patria certamente riconosciuto, persino venerato dagli addetti ai lavori, e però mai entrato nel senso comune del grande pubblico, anche se molti ricordano almeno i suoi «pretini» Anni 60, sulle pagine del Mondo di Pannunzio. Un bel paradosso per un uomo che non è mai uscito dal chilometro quadro del centro di Senigallia, tra la piccola e anacronistica tipografia (biglietti da visita, annunci funebri) dove aveva messo piede a tredici anni, portato da un destino di orfano e di autodidatta, e il caffè lungo il Corso in cui capitava tre o quattro volte al giorno nella silhouette che lo faceva subito notare anche dai profani: il sigaro, la chioma bianca e lanuginosa, la camicia e la giacca di pelle rigorosamente nera. Laconico, schivo, nel carattere somigliava ad un altro artista che del bianco-e-nero della terra e delle rughe che vi sono incise aveva tratto una poetica, Alberto Burri... | | | |
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