mercoledì 24 settembre 2008

Omicidio Abdul, i Vescovi italiani superano a sinistra il PD / IL RAZZISMO COME RABBIA OSCURA DALLE VISCERE

Omicidio Abdul, i Vescovi italiani superano a sinistra il PD


Editoriale Avvenire, 16 settembre 2008:

ABDUL, NOSTRO FRATELLO.
IL RAZZISMO COME RABBIA OSCURA DALLE VISCERE

di Marina Corradi

Tre ragazzi che alla fine di un sabato not­te portano via due pacchi di biscotti da un bar. I proprietari che li inseguono, loro che afferrano dalla spazzatura bottiglie, e u­na scopa per difendersi. Ma uno dei tre ca­de, e il barista gli è addosso. Con una spran­ga gli spacca il cranio e lo ammazza. Poi, lui e suo figlio se ne tornano a casa.

Sembra Bronx, ma è Milano, in un'alba in via Zuretti, una strada come tante, parallela al­la massicciata dei binari che entrano alla Sta­zione Centrale. E chi ascolta si dice che que­sta storia è assurda e folle, com'è possibile ammazzare come un cane un ragazzo, per dei biscotti? Com'è possibile che a farlo, in­sieme, siano il genitore e suo figlio, senza che l'uno sappia - senta il dovere - di neutraliz­zare l'altro? Ci deve essere un'altra ragione, per spiegare cosa è successo a Milano, e do­vrebbe rifletterci, chi assicura che è stato so­lo un tragico, esecrabile omicidio per futili motivi. L''altra' ragione, è che quei ragazzi erano neri, e nero, benché cittadino italia­no, era Abdul, 19 anni. I due baristi urlava­no «Negri di m. ve la diamo noi una lezione», e li han sentiti in molti, tra quanti, svegliati dal baccano, si sono affacciati alle finestre. Se a insinuarsi nel bar fossero stati tre ragaz­zi bianchi, come sa­rebbe andata? Due in­sulti, uno spintone, e poi quel «va' a lavurà» brusco, ma non mali­gno, che si gridava a chi pretendeva qual­cosa senza guada­gnarselo, una volta, a Milano.

Già, c'era una volta Milano. Omicidi e ra­pine, sempre stati, ma inseguire con una spranga un ragazzo per dei biscotti, sfa­sciargli la faccia e andarsene lasciandolo mo­ribondo, no, questa non è mai stata cronaca abituale, a Milano. È una storia impazzita questa di via Zuretti, a meno che non si pren­da sul serio quel «sporchi negri, vi insegnia­mo noi» urlato da due uomini - padre e fi­glio - stravolti. Che giurano, ora, di non essere razzisti. Però, la moglie e madre dei due, da dietro il ban­co, ammette, riferiscono le cronache: «Sì, io sono razzista. Lo sono diventata, vedendo quello che succede nel quartiere».
Dove, per carità, trovandoci dietro la Stazione Centra­le di sera si cammina in fretta e inquieti, che pare d'essere, dopo anni di incuria, nelle re­trovie di un porto, in un approdo di ogni fu­ga e miseria e espediente. Ma proprio per questa paura dello straniero che si respira qui e altrove, occorre avere il coraggio di di­re che il razzismo, con la fine di Abdul Guie­bre, c'entra. Non lo hanno ucciso per due pacchi di bi­scotti. La ferocia è scoppiata alla vista di un branco di ragazzi neri che acciuffavano, co­me padroni, qualcosa dal banco. Una rabbia oscura allora dalle viscere è risalita, veloce come il sangue, alla testa dei due italiani, in un corto circuito esplosivo: e una mano ha afferrato una spranga, ed è partita la caccia. Non era con 'quel' nero che ce l'avevano, non solo. In un istante, in un'alba di asfalto tra i semafori lampeggianti, un rigurgito di ferocia tribale, una faida da foresta, come ne scoppiano fra tribù primitive quando il pro­prio territorio è minacciato, o invaso. E allo­ra giù colpi su Abdul, 19 anni, da Cernusco sul Naviglio, Abdul che in camera teneva il poster del milanista Ronaldinho.

Non c'entra il razzismo, ripetono in molti o­ra, e preoccupa questo non voler vedere qua­le ombra si va insinuando fra noi. Dal palco del raduno della Lega, a Venezia, proprio do­menica il prosindaco di Treviso ha gridato: «Che gli immigrati vadano a pregare e p. nel deserto». E certo ha parlato l'anima più be­cera del partito: ma ci sarebbe piaciuto che qualcuno, dello staff leghista, se ne fosse dis­sociato. No, non è stato razzismo a Milano, dicono in molti, è stato un furto: due biscot­ti e una sconsiderata reazione. Sfortunato ragazzo, ha scelto il bar sbagliato. Quanta an­sia di rassicurarsi che non è successo nien­te. Di non voler vedere il segnale di un livido incanaglimento in una città che, una volta, per due pacchi di biscotti, benevola avreb­be borbottato: ragazzo, va a lavurà.

http://www.socialpress.it/article.php3?id_article=2234

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