mercoledì 6 gennaio 2010

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ZENIT

Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 06 gennaio 2010

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Benedetto XVI: i Magi, maestri dell'autentica umiltà
Omelia nella solennità dell'Epifania

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- I Magi sono stati i primi di una lunghissima fila di coloro che hanno saputo trovare Cristo nella propria vita, e sono riusciti ad arrivare a Colui che è la luce del mondo perché hanno avuto umiltà e non hanno confidato solo nella propria sapienza.

Lo ha affermato Benedetto XVI questo mercoledì mattina, solennità dell'Epifania del Signore, celebrando la Messa nella Basilica vaticana.

A Betlemme, ha spiegato nella sua omelia, arrivarono “non i potenti e i re della terra, ma dei Magi, personaggi sconosciuti, forse visti con sospetto, in ogni caso non degni di particolare attenzione”.

“Quei personaggi provenienti dall'Oriente non sono gli ultimi, ma i primi della grande processione di coloro che, attraverso tutte le epoche della storia, sanno riconoscere il messaggio della stella, sanno camminare sulle strade indicate dalla Sacra Scrittura e sanno trovare, così, Colui che apparentemente è debole e fragile, ma che, invece, ha il potere di donare la gioia più grande e più profonda al cuore dell’uomo”, ha ricordato il Papa.

“In Lui, infatti, si manifesta la realtà stupenda che Dio ci conosce e ci è vicino, che la sua grandezza e potenza non si esprimono nella logica del mondo, ma nella logica di un bambino inerme, la cui forza è solo quella dell’amore che si affida a noi”.

I doni dei Magi, atto di giustizia

Il Papa ha ricordato che i Magi portarono in dono a Gesù oro, incenso e mirra. “Non sono certamente doni che rispondono a necessità primarie o quotidiane”, ha ammesso, sottolineando che “in quel momento la Sacra Famiglia avrebbe certamente avuto molto più bisogno di qualcosa di diverso dall’incenso e dalla mirra, e neppure l'oro poteva esserle immediatamente utile”.

Questi doni, tuttavia, “hanno un significato profondo”: “sono un atto di giustizia”, ha dichiarato.

Secondo la mentalità vigente a quel tempo in Oriente, infatti, “rappresentano il riconoscimento di una persona come Dio e Re”, costituendo quindi “un atto di sottomissione”.

“La conseguenza che ne deriva è immediata. I Magi non possono più proseguire per la loro strada, non possono più tornare da Erode, non possono più essere alleati con quel sovrano potente e crudele. Sono stati condotti per sempre sulla strada del Bambino, quella che farà loro trascurare i grandi e i potenti di questo mondo e li porterà a Colui che ci aspetta fra i poveri, la strada dell'amore che solo può trasformare il mondo”.

“Non soltanto, quindi, i Magi si sono messi in cammino, ma da quel loro atto ha avuto inizio qualcosa di nuovo, è stata tracciata una nuova strada, è scesa sul mondo una nuova luce che non si è spenta”. “Quella luce non può più essere ignorata nel mondo: gli uomini si muoveranno verso quel Bambino e saranno illuminati dalla gioia che solo Lui sa donare”.

L'importanza dell'umiltà

Anche se i pochi di Betlemme sono diventati molti, ha riconosciuto Benedetto XVI, i credenti in Gesù Cristo “sembrano essere sempre pochi”.

“Molti hanno visto la stella, ma solo pochi ne hanno capito il messaggio”, ha constatato.

“Qual è la ragione per cui alcuni vedono e trovano e altri no? Che cosa apre gli occhi e il cuore? Che cosa manca a coloro che restano indifferenti, a coloro che indicano la strada ma non si muovono?”, si è chiesto, individuando come ostacoli “la troppa sicurezza in se stessi, la pretesa di conoscere perfettamente la realtà, la presunzione di avere già formulato un giudizio definitivo sulle cose rendono chiusi ed insensibili i loro cuori alla novità di Dio”.

“Quello che manca è l'umiltà autentica, che sa sottomettersi a ciò che è più grande, ma anche il coraggio autentico, che porta a credere a ciò che è veramente grande, anche se si manifesta in un Bambino inerme. Manca la capacità evangelica di essere bambini nel cuore, di stupirsi, e di uscire da sé per incamminarsi sulla strada che indica la stella, la strada di Dio”.

“Il Signore però ha il potere di renderci capaci di vedere e di salvarci”, ha concluso il Papa. Per questo, ha chiesto a Dio di “darci un cuore saggio e innocente, che ci consenta di vedere la stella della sua misericordia, di incamminarci sulla sua strada, per trovarlo ed essere inondati dalla grande luce e dalla vera gioia che egli ha portato in questo mondo”.

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Benedetto XVI: i Magi hanno scoperto la regalità dell'amore
Intervento in occasione dell'Angelus nella solennità dell'Epifania

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- I Magi hanno scoperto “un nuovo volto di Dio, una nuova regalità: quella dell’amore”, ha affermato questo mercoledì Benedetto XVI recitando la preghiera mariana dell'Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini accorsi in Piazza San Pietro.

Nella solennità dell'Epifania, in cui si celebra “il mistero della Manifestazione del Signore a tutte le genti, rappresentate dai Magi, venuti dall’Oriente per adorare il Re dei Giudei”, il Papa ha ricordato come secondo il Vangelo di Matteo essi arrivarono fino a Gerusalemme seguendo una stella, “avvistata nel suo sorgere e interpretata quale segno della nascita del Re annunciato dai profeti, cioè del Messia”.

“Giunti, però, a Gerusalemme, i Magi ebbero bisogno delle indicazioni dei sacerdoti e degli scribi per conoscere esattamente il luogo in cui recarsi, cioè Betlemme, la città di Davide”.

Pur essendo “dei sapienti, che scrutavano gli astri e conoscevano la storia dei popoli” e “osservavano il cosmo ritenendolo quasi un grande libro pieno di segni e di messaggi divini per l’uomo”, “non si vergognano di chiedere istruzioni ai capi religiosi dei Giudei”, ha osservato il Pontefice.

“Avrebbero potuto dire: facciamo da soli, non abbiamo bisogno di nessuno, evitando, secondo la nostra mentalità odierna, ogni 'contaminazione' tra la scienza e la Parola di Dio”.

“Invece i Magi ascoltano le profezie e le accolgono; e, appena si rimettono in cammino verso Betlemme, vedono nuovamente la stella, quasi a conferma di una perfetta armonia tra la ricerca umana e la Verità divina, un’armonia che riempì di gioia i loro cuori di autentici sapienti”.

Il culmine del loro itinerario di ricerca, ha proseguito Benedetto XVI, fu il trovarsi davanti “il bambino con Maria sua madre” (Mt 2,11), e “prostratisi lo adorarono”.

“Avrebbero potuto rimanere delusi, anzi, scandalizzati – ha commentato –. Invece, da veri sapienti, sono aperti al mistero che si manifesta in maniera sorprendente; e con i loro doni simbolici dimostrano di riconoscere in Gesù il Re e il Figlio di Dio”.

Un ultimo particolare, ha aggiunto, conferma nei Magi “l’unità tra intelligenza e fede”: il fatto che “avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”.

Secondo il Papa, “sarebbe stato naturale ritornare a Gerusalemme, nel palazzo di Erode e nel Tempio, per dare risonanza alla loro scoperta”. I Magi, invece, “hanno scelto come loro sovrano il Bambino” e “la custodiscono nel nascondimento, secondo lo stile di Maria, o meglio, di Dio stesso e, così come erano apparsi, scompaiono nel silenzio, appagati, ma anche cambiati dall’incontro con la Verità”.

“Avevano scoperto un nuovo volto di Dio, una nuova regalità: quella dell’amore – ha concluso –. Ci aiuti la Vergine Maria, modello di vera sapienza, ad essere autentici ricercatori della verità di Dio, capaci di vivere sempre la profonda sintonia che c’è tra ragione e fede, scienza e rivelazione”.

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Auguri del Papa alle Chiese Orientali che celebrano il Natale
Il Pontefice ricorda anche la Giornata Missionaria dei Bambini

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- In occasione della solennità dell'Epifania, questo mercoledì, Benedetto XVI ha porto i propri auguri natalizi alle Chiese Orientali.

“Sono lieto di indirizzare il mio augurio più cordiale ai fratelli e alle sorelle delle Chiese Orientali che celebrano domani il santo Natale”, ha affermato dopo la recita della preghiera mariana dell'Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini riuniti in Piazza San Pietro in Vaticano.

“Il mistero di luce sia fonte di gioia e di pace per ogni famiglia e comunità”, ha aggiunto.

“Nella solennità dell’Epifania ricorre la Giornata Missionaria dei Bambini, con il motto 'I bambini aiutano i bambini'”, ha proseguito il Pontefice.

“Promossa dal Venerabile Papa Pio XII nel 1950, questa iniziativa educa i bambini a formarsi una mentalità aperta al mondo e ad essere solidali con i loro coetanei più disagiati”, ha spiegato.

In questo contesto, ha salutato “con affetto tutti i piccoli missionari presenti nei cinque continenti”, incoraggiandoli “ad essere sempre testimoni di Gesù e annunciatori del suo Vangelo”.

Nella Giornata Missionaria dei Bambini si organizzano migliaia di iniziative di solidarietà sostenute dalla Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria.

L’Infanzia Missionaria o Santa Infanzia è stata istituita dal Vescovo di Nancy, monsignor Charles de Forbin Janson, il 9 maggio 1843 a Parigi e dipende dalla Congregazione vaticana per l'Evangelizzazione dei Popoli. E' composta da milioni di “piccoli missionari” fino ai 14 anni distribuiti in parrocchie, scuole e movimenti dei cinque continenti.

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Un 2010 intenso per Benedetto XVI
Quattro viaggi internazionali e un inedito Sinodo sul Medio Oriente

di Jesús Colina

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il 2010 si annuncia per Benedetto XVI uno dei più intensi dei suoi cinque anni di pontificato.

Il Pontefice, che il 16 aprile compirà 83 anni, dovrebbe realizzare quattro viaggi apostolici a Malta, in Portogallo, a Cipro e nel Regno Unito, presiedere un inedito Sinodo dei Vescovi del Medio Oriente e recarsi in pellegrinaggio a Torino per l'ostensione della Sacra Sindone.

Sarà un anno di decisioni attese con impazienza, come la beatificazione di Giovanni Paolo II, la redazione della seconda parte del suo libro “Gesù di Nazaret” o la pubblicazione della sua esortazione apostolica sulla Parola di Dio, in cui raccoglierà le conclusioni del Sinodo dei Vescovi del mondo dell'ottobre 2008.

Come gli anni precedenti, il 2010 potrà portare anche decisioni inaspettate su temi centrali per questo pontificato, come il progresso nell'unità con i cristiani di altre confessioni o con i credenti di altre religioni, in particolare ebrei e musulmani.

Uno degli avvenimenti che caratterizzeranno quest'anno, infatti, avverrà già il 17 gennaio, giorno in cui visiterà per la prima volta la sinagoga di Roma, un gesto di riconciliazione in un momento in cui alcuni settori ebrei hanno criticato il riconoscimento delle virtù eroiche di Pio XII.

Anno del Medio Oriente

Compiendo un bilancio del 2009 insieme ai suoi collaboratori della Curia Romana, ricordando il Sinodo dell'Africa e la sua prima visita a questo continente come Papa nel marzo scorso, Benedetto XVI ha constatato che si è trattato di un anno nel “segno dell'Africa”.

Se è così, si potrebbe dire che il 2010 si presenta “nel segno del Medio Oriente”, visto che dal 10 al 24 ottobre 2010 il Papa ha convocato i Vescovi di questa turbolenta area del pianeta sul tema “La Chiesa cattolica nel Medio Oriente: Comunione e testimonianza. 'La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un'anima sola' (Atti, 4, 32)”.

Il “Documento di lavoro” (“Instrumentum laboris”) di questa assemblea di Patriarchi, Vescovi e altri rappresentanti cristiani sarà consegnato dal Santo Padre durante la sua visita a Cipro, programmata dal 4 al 6 giugno.

Questo viaggio è strategico, perché pone anche temi centrali per questo pontificato, come il dialogo con la Chiesa ortodossa locale, che dall'elezione dell'Arcivescovo Chrisostomos II è diventata un potente motore dell'ecumenismo, e con l'islam, a causa della presenza turca nell'isola divisa.

Altri viaggi

Il primo viaggio che realizzerà Benedetto XVI avrà come destinazione Malta, il 17 e il 18 aprile, in coincidenza con il 1.950° anniversario del naufragio di San Paolo in quell'arcipelago, avvenuto secondo la tradizione nel 60, durante il suo viaggio verso Roma. L'Apostolo delle Genti venne accolto dalla popolazione locale e rimase a Malta tre mesi.

Papa Joseph Ratzinger celebrerà la festa liturgica della Madonna di Fatima in quel santuario il 13 maggio, nel 93° anniversario dell'inizio delle apparizioni ai tre pastorelli, durante il suo pellegrinaggio apostolico in Portogallo, in cui visiterà anche Lisbona e Porto.

Si tratta di una tappa del suo giro del mondo nei grandi santuari mariani - preceduto da Loreto, Altötting (Germania), Mariazell (Austria), Aparecida (Brasile), Lourdes (Francia), Mvolyé (Camerun), Pompei...

Il quarto viaggio internazionale previsto per quest'anno ha come meta il Regno Unito: anche se le date non sono ancora ufficiali, si prevede che la visita si svolga dal 17 al 19 settembre.

In questo viaggio, il Papa dovrebbe beatificare John Henry Newman (1801-1890), intellettuale anglicano che si convertì al cattolicesimo arrivando a diventare Cardinale.

La visita avrà quindi decisive ripercussioni ecumeniche, dopo la pubblicazione del "motu proprio", annunciato il 20 ottobre, che prevede la possibilità di accogliere nella Chiesa cattolica comunità anglicane che desiderano tornare alla piena comunione con il Vescovo di Roma.

Visite in Italia e altri appuntamenti

Per quest'anno, il Santo Padre ha previsto anche quattro viaggi pastorali in Italia. Il primo sarà a Torino, dove pregherà davanti alla Sacra Sindone il 2 maggio, nel contesto dell'esposizione straordinaria della reliquia prevista dal 10 aprile al 23 maggio (http://www.sindone.org).

Il 4 luglio sarà a Sulmona (L'Aquila) per l'ottavo centenario della nascita di Papa Celestino V (morto nel 1296), uno dei pochi Pontefici ad aver abdicato.

Il 5 settembre il Papa visiterà Carpineto Romano, in provincia di Roma, per il secondo centenario della nascita di Papa Leone XIII.

L'altro viaggio in Italia è previsto per domenica 3 ottobre a Palermo, per partecipare a due importanti incontri per la Chiesa nell'isola più grande del Mediterraneo: con le famiglie e con i giovani.

Tra gli avvenimenti programmati per il 2010, uno dei più importanti sarà poi la chiusura dell'Anno Sacerdotale, che avrà luogo a Roma dal 9 all'11 giugno.

A questo incontro, il Papa ha invitato non solo i presbiteri del mondo, ma anche tutti i battezzati, per testimoniare l'amore di tutta la Chiesa per i suoi sacerdoti.

Beatificazione di Giovanni Paolo II?

Nel 2010 potrebbe aver luogo anche la beatificazione di Giovanni Paolo II. Perché ciò avvenga, è necessario che avanzi il processo, che prevede il riconoscimento di un miracolo da parte di una commissione scientifica, di una di teologi, di una di Cardinali e Vescovi e infine dello stesso Papa.

Per il momento non è possibile prevedere una data precisa, perché come hanno spiegato varie fonti della Santa Sede bisogna lasciare che il procedimento segua l'iter abituale.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]



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Nel 2009 oltre 2,2 milioni i fedeli a Udienze col Papa e Angelus

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Sono oltre due milioni e 200 mila i fedeli e i pellegrini che hanno partecipato ad incontri pubblici con Benedetto XVI in Vaticano o nella residenza di Castel Gandolfo nel corso del 2009.

In particolare - secondo quanto reso noto dalla Prefettura della Casa Pontificia - sono 537 mila i fedeli che hanno partecipato alle Udienze generali, 115 mila a quelle speciali. Oltre 1 milione e 100 mila fedeli hanno invece recitato l’Angelus con il Santo Padre, mentre 470 mila hanno preso parte alle celebrazioni liturgiche.

In un comunicato, la Prefettura della Casa Pontificia sottolinea che oltre agli eventi che si sono verificati in Vaticano o a Castel Gandofo - a cui si riferiscono le statistiche - vi sono state molte altre occasioni di incontro del Papa con un gran numero di fedeli in altri luoghi.

Fra queste vanno ricordate le visite alle parrocchie romane nel corso della Quaresima, le visite pastorali in Italia (zone terremotate d’Abruzzo, Cassino, San Giovanni Rotondo, Viterbo, Brescia), gli incontri con fedeli in occasione della permanenza estiva in Valle d’Aosta.

Infine, prosegue il comunicato, “bisogna ricordare le visite pastorali all’estero (Camerun e Angola, Terra Santa, Repubblica Ceca), con le celebrazioni di Luanda, Nazareth e Brno, che sono quasi da considerare come eventi ‘storici’ per il numero straordinariamente alto di fedeli, anche in considerazione delle circostanze e dei luoghi in cui si sono svolte”.

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Il Papa spiega l'ecologia umana


di Riccardo Cascioli

ROMA, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- L’educazione a una “ampia e approfondita responsabilità ecologica” si basa “sul rispetto dell’uomo e dei suoi diritti e doveri fondamentali”. Così il Papa è tornato il 1° gennaio sulla questione del Creato, il cui rispetto aveva indicato essenziale per la pace nel messaggio per la Giornata mondiale della pace appunto.

Si tratta di una omelia molto importante perché il Papa ha esplicitato in modo molto chiaro le basi su cui si fonda l’ecologia umana che “quando è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio” (come scriveva nell’enciclica Caritas in Veritate, no. 51). Non è possibile – dice il Papa – avere un vero rispetto per l’ambiente che ci circonda se non si sa “riconoscere nel cosmo i riflessi del volto invisibile del Creatore”. 

Il mistero del volto di Dio e dell’uomo è l’orizzonte entro cui il Papa affronta la questione ambientale. “L’uomo è capace di rispettare le creature – afferma Benedetto XVI - nella misura in cui porta nel proprio spirito un senso pieno della vita, altrimenti sarà portato a disprezzare se stesso e ciò che lo circonda, a non avere rispetto dell’ambiente in cui vive, del creato”.

Quindi esiste un rapporto strettissimo tra il rispetto dell’uomo e la salvaguardia del creato: “Se l’uomo si degrada, si degrada l’ambiente in cui vive; se la cultura tende verso il nichilismo, se non teorico, pratico, la natura non potrà non pagarne le conseguenze”.

Paradossalmente perciò se ci stanno davvero a cuore i problemi dell’ambiente, la soluzione non passa da un loro approfondimento, ma dall’approfondimento della questione umana, del senso che ognuno di noi dà alla vita. Di più: dal riconoscimento che Dio abita nel nostro cuore, per usare un’espressione del Papa. “Più noi siamo abitati da Dio, e più siamo anche sensibili alla sua presenza in ciò che ci circonda: in tutte le creature, e specialmente negli altri uomini”.

Peraltro solo l’uomo, fra tutte le creature, è in grado di un tale sguardo e di una tale riflessione. Per questo il modo in cui la Chiesa affronta i problemi ambientali è radicalmente diverso, anzi opposto, a quello del movimento ecologista: “Se il Magistero della Chiesa – scriveva il Papa nel  messaggio per la Giornata mondiale della Pace -  esprime perplessità dinanzi ad una concezione dell’ambiente ispirata all’ecocentrismo e al biocentrismo, lo fa perché tale concezione elimina la differenza ontologica e assiologica tra la persona umana e gli altri esseri viventi.

In tal modo, si viene di fatto ad eliminare l’identità e il ruolo superiore dell’uomo, favorendo una visione egualitaristica della «dignità» di tutti gli esseri viventi. Si dà adito, così, ad un nuovo panteismo con accenti neopagani che fanno derivare dalla sola natura, intesa in senso puramente naturalistico, la salvezza per l’uomo”.

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Uomini e donne di fede


Presto beata una giovane di 18 anni scomparsa nel 1990
Chiara Luce Badano, italiana, bella e sportiva, appartenente al Movimento dei Focolari
ROMA, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- La Chiesa proclamerà presto beata una giovane scomparsa nel 1990 all'età di 18 anni: si tratta di Chiara Luce Badano.

Benedetto XVI ha infatti approvato il 19 dicembre scorso la pubblicazione del decreto che riconosce un miracolo attribuito all'intercessione di questa ragazza italiana.

È la prima appartenente al Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich, a raggiungere questo traguardo.

Nel commentare la notizia Maria Voce, Presidente dei Focolari, ha detto che questo decreto “ci incoraggia a credere nella logica del Vangelo, del chicco di grano caduto in terra che muore e che produce molto frutto”. 

“Il suo esempio luminoso ci aiuterà a far conoscere la luce del carisma e ad annunciare al mondo che Dio è Amore”, ha aggiunto il successore di Chiara Lubich.

Attesa per 11 anni dai suoi genitori, Chiara nasce a Sassello il 29 ottobre 1971 e cresce in una famiglia semplice che la educata alla fede.

A nove anni incontra il Movimento dei Focolari nel partecipare con papà e mamma a Roma al Family Fest - una manifestazione mondiale del Movimento dei Focolari: è l’inizio, per tutti e tre, di una nuova vita.

Aderisce come Gen (Generazione Nuova), dove scopre Dio come Amore e ideale della vita, e si impegna a compiere in ogni istante, per amore, la sua volontà.

Ha 17 anni quando un forte dolore alla spalla accusato durante una partita a tennis insospettisce i medici. Cominciano esami clinici di tutti i tipi per definire l’origine del male. Ben presto si rivela l’origine del grave male che l’ha colpita: tumore osseo.

Si susseguono controlli medici ed esami e a fine febbraio ’89 Chiara affronta il primo intervento: le speranze sono poche. Nell’ospedale si alternano le ragazze che condividono lo stesso ideale e altri amici del Movimento per sostenere lei e la sua famiglia con l’unità e gli aiuti concreti.

I ricoveri nell’ospedale di Torino diventano sempre più frequenti e con essi le cure molto dolorose che Chiara affronta con grande coraggio. Ad ogni nuova, dolorosa “sorpresa” la sua offerta è decisa: “Per te Gesù, se lo vuoi tu, lo voglio anch’io!”.

Presto arriva un’altra grande prova: Chiara perde l’uso delle gambe. Un nuovo doloroso intervento si rivela inutile. E’ per lei una sofferenza immensa: si ritrova come in un tunnel oscuro.

“Se dovessi scegliere fra camminare e andare in Paradiso – confida a qualcuno – sceglierei senza esitare: andare in Paradiso. Ormai mi interessa solo quello”.

Il suo rapporto con Chiara Lubich è strettissimo. Lei la chiamava “Chiara Luce”.

All’inizio dell’estate del '90 i medici decidono di interrompere le terapie: il male è ormai inarrestabile. Il 19 luglio la giovane informa Chiara Lubich della sua situazione: “La medicina ha deposto le sue armi. Interrompendo le cure, i dolori alla schiena sono aumentati e non riesco quasi più a girarmi sui fianchi. Mi sento così piccola e la strada da compiere è così ardua…, spesso mi sento soffocata dal dolore. Ma è lo Sposo che viene a trovarmi, vero? Sì, anch’io ripeto con te 'Se lo vuoi tu, lo voglio anch’io'… Sono con te certa che insieme a Lui vinceremo il mondo!”.

Chiara Lubich a giro di posta le risponde: “Non temere Chiara di dirGli il tuo sì momento per momento. Egli te ne darà la forza, siine certa! Anch’io prego per questo e sono sempre lì con te. Dio ti ama immensamente e vuole penetrare nell’intimo della tua anima e farti sperimentare gocce di cielo. 'Chiara Luce' è il nome che ho pensato per te; ti piace? È la luce dell’Ideale che vince il mondo. Te lo mando con tutto il mio affetto…”.

Chiara Luce muore il 7 ottobre 1990. Aveva pensato a tutto: ai canti per il suo funerale, ai fiori, alla pettinatura, al vestito, che aveva desiderato bianco, da sposa…Le sue ultime parole rivolte alla mamma: “Sii felice, io lo sono!”.

Il papà le aveva chiesto se era disponibile a donare le cornee: aveva risposto con un sorriso luminosissimo. Subito dopo la partenza di Chiara Luce per il Cielo arriva un telegramma di Chiara Lubich per i genitori: “Ringraziamo Dio per questo suo luminoso capolavoro”.

La causa della sua beatificazione è stata aperta nel 1999 da monsignor Livio Maritano, vescovo di Acqui. Il miracolo di guarigione riconosciuto è avvenuto a Trieste.

In questo momento, il suo profilo su Facebook (Chiara Luce Badano) conta su 2.676 fan.

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Notizie dal mondo


In Pakistan un Natale di fede e paura
Alle celebrazioni il 40% dei fedeli in meno

ROMA, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il Natale dei fedeli del Pakistan è stato caratterizzato dalla paura, al punto che i partecipanti alle celebrazioni sono stati il 40% in meno rispetto al solito.

L'Arcivescovo Lawrence Saldanha di Lahore ha sottolineato come un'imponente operazione di sicurezza organizzata dal Governo abbia interessato le chiese del Paese, mentre i cristiani temevano di essere il bersaglio di attentati suicidi.

Parlando all'associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), il presule ha espresso la propria riconoscenza nei confronti della polizia per la sua risposta alle minacce di attacchi contro i cristiani in occasione del Natale.

Anche se l'affluenza alle celebrazioni è diminuita di circa il 40% rispetto agli anni precedenti, chi è andato in chiesa è “molto forte nella fede” e non ha voluto essere fermato dai rischi alla sicurezza, ha commentato.

“Nelle chiese c'era un'atmosfera meravigliosa”, ha ammesso. “La gente era decisa a festeggiare e ha partecipato con grande entusiasmo”.

L'Arcivescovo, che presiede la Conferenza dei Vescovi Cattolici del Pakistan, ha dichiarato che in molte chiese di Rawalpindi e della capitale Islamabad è stato predisposto “un sofisticato apparato di sicurezza”.

I fedeli hanno fatto lunghe file per essere controllati dalla polizia, che usava metal detector e altri strumenti per evitare situazioni di pericolo. Altrove, i fedeli sono stati difesi da poliziotti in uniforme e in borghese che controllavano i templi.

Ad ogni modo, per ridurre i rischi sono state cancellate alcune celebrazioni, così come mercati e incontri, e su suggerimento della polizia sono state sospese anche le funzioni natalizie in edifici non religiosi come scuole e alberghi.

“Il morale era piuttosto basso – ha confessato l'Arcivescovo –. Per molte persone, l'apparato di sicurezza significava che andare a Messa era difficile”.

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Omaggio di un candidato al Nobel per la Pace, ebreo, a Giovanni XXIII
Baruj Tenembaum, un "discendente di schiavi"
ROMA, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Tra i primi candidati al Premio Nobel per la Pace, attribuito alla fine al Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, c'era anche Baruj Tenembaum, creatore della Fondazione Internazionale Raoul Wallenberg, secondo quanto ha confermato il PRIO, prestigioso e indipendente istituto accademico con base a Oslo, in Norvegia. 

Da parte sua Ladbroke, la famosa agenzia di scommesse di Londra, aveva dato a Tenembaum più possibilità di vincere il Nobel che a figure della politica internazionale come Nicolas Sarkozy o Tony Blair.

ZENIT ha chiesto a Tenembaum, ebreo di origine argentina, pioniere del dialogo interreligioso dai tempi di Paolo VI, perché a suo avviso c'è tanto interesse per la sua figura e la sua opera. “Chi sono io?”, si chiede con semplicità Baruj Tenembaum. “Non mi riferirò concretamente a quanto è accaduto perché non mi considero tanto importante”.

“In concreto sono discendente di schiavi, di quegli ebrei che lavoravano in Egitto sotto il giogo dei faraoni e che poi sono stati liberati da Mosè”.

“Sono ebreo come quelli che sono stati espulsi da Gerusalemme quando è stato distrutto il primo Tempio, e poi il secondo”, ha spiegato.

“Sono ebreo come i miei fratelli che sono stati espulsi da Portogallo e Spagna”, “come quelli che sono stati perseguitati in Europa con i pogrom, e anche come quei sei milioni annichiliti dagli Hitler, al plurale”.

“E allora, con tutta franchezza e umiltà, 'chi sono io?'”, ha continuato.

“Sono un semplice figlio di coloni che dedica la sua vita a ringraziare quegli esseri umani che hanno salvato vite, che hanno rischiato. Wallenberg, Souza Dantas, Sousa Mendes, più di 20.000 gentili, non ebrei, ai quali dobbiamo la gratitudine, il ricordo, l'educazione dei nostri discendenti”.

“Nella Fondazione Wallenberg lavoriamo intensamente per scoprire le gesta eccezionali di questi esseri umani eroici”.

In questo modo, confessa, ha potuto “scoprire” “negli archivi, nei musei, nelle chiese, nelle sinagoghe, nelle biblioteche, tra i loro frequentatori” la portata della figura di Angelo Roncalli, che durante la Seconda Guerra Mondiale, come rappresentante diplomatico di Pio XII in vari Paesi, ha svolto una coraggiosa opera d'aiuto agli ebrei perseguitati.

“Ogni volta non possiamo evitare di emozionarci con lacrime che ci cadono dagli occhi quando ci rendiamo conto delle azioni che questo figlio del popolo italiano, semplice, umile, grande, ha compiuto in circostanze totalmente avverse per salvare, ad esempio, bambini esposti all'ombra dell'inferno; spezzando, distruggendo pregiudizi, andando al di là di ciò che si pensa indichino le regole”.

“In ogni momento immaginiamo Roncalli che prega, anche alla presenza di terzi, chiedendo al suo autista di fermarsi di fronte alla sinagoga di Roma per pregare 'per i miei fratelli ebrei'”, ha spiegato Tenembaum.

“O come quando ha ricevuto in Vaticano una delegazione di ebrei, ha alzato le braccia e ha esclamato dallo scranno papale, citando la Bibbia, 'Sono Giuseppe, vostro fratello'”.

“Allora, ancora una volta, 'Chi sono io?'”, si chiede Baruj Tenembaum. “Ciò che sopravvive, ciò che resta, ciò che conta, che è nobile, è sottolineare quello che sopravvive, ad esempio Angelo Roncalli”.

Per questo, ha concluso, “ci sono cose nella vita che sono più importanti della vita stessa”.

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Stati Uniti: aumentano i crimini contro religiosi e luoghi di culto
Secondo un rapporto del Christian Security Network

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Negli Stati Uniti, durante lo scorso anno sono stati commessi più di 1.200 crimini contro organizzazioni cristiane. Il dato è stato diffuso da un rapporto recente intitolato “Crimes Against Christians Organizations in the United States” (“Crimini contro Organizzazioni Cristiane negli Stati Uniti”), presentato dal Christian Security Network.

Tra i più gravi crimini registrati, ci sono 12 omicidi e altri 38 casi di violenza, che includono anche tre tentativi di stupro e tre sequestri. Nel rapporto sono citati 98 incendi dolosi e 700 furti con scasso.

Il direttore esecutivo del Christian Security Network, Jeff Hawkins, ha dichiarato durante la presentazione del rapporto a Cincinnati che “è veramente scoraggiante scorrere il lungo elenco dei crimini del 2009 sapendo comunque che anche nel 2010 la situazione non è destinata a migliorare”.

Secondo Hawkins, esperto di sicurezza da più di 30 anni, i delinquenti considerano gli edifici di culto e le organizzazioni cristiane un obiettivo relativamente facile.

Il rapporto è il primo a enumerare in modo esaustivo i crimini commessi contro le persone e le chiese cristiane.

Anche il Federal Bureau Investigation (FBI) dispone di statistiche per crimini caratterizzati dall'odio per la religione, ma i dati non sono del tutto completi perché risulta difficile stabilire le motivazioni di certe azioni delittuose. C'è poi il problema che molti crimini di minore gravità spesso non vengono denunciati dalle vittime. Molti ministri di culto cristiani ritengono che il perdono dei colpevoli sia il modo migliore per evitare ulteriori offese.

Secondo il responsabile del Christian Security Network, crimini gravi come omicidi e incendi dolosi sono facili da registrare, mentre i furti di entità limitata non vengono comunicati alla polizia. Ad ogni modo, secondo Hawkins sarebbe possibile evitare la reiterazione di molti crimini se tutte le chiese fossero dotate di efficaci dispositivi di sicurezza.

“Gli officiali di culto cristiani devono iniziare a pensare in modo diverso e a considerare l'incremento di misure di sicurezza sia per proteggere la propria persona sia i beni contenuti nei luoghi di culto”, ha dichiarato.



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Interviste


Malaysia: la legge dà ragione alla Chiesa sull'uso del termine "Allah"
Intervista a mons. Paul Tan Chee Ing, vescovo di Melaka-Johor

di Mariaelena Finessi

ROMA, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Lo scorso 31 dicembre l'alta Corte di Kuala Lumpur ha annullato l'ordinanza del Ministero dell'Interno che impediva alla Chiesa cattolica di pubblicare la parola “Allah” per riferirsi al Dio cristiano nel settimanale cattolico, Herald.

Sulla polemica ancora in corso (messa in atto da numerose organizzazioni musulmane e da gruppi nati su Facebook) interviene il vescovo Paul Tan Chee Ing della diocesi di Melaka-Johor concedendo una intervista a ZENIT.

Il gesuita, 69 anni, ritiene che la Chiesa in Malesia debba continuare a lottare per i diritti dei non-musulmani promuovendo il dialogo interreligioso nel Paese.

Per molti secoli musulmani e cristiani hanno convissuto in pace in Malaysia e l'utilizzo della parola “Allah” non è mai stato motivo di contrasto. Cosa pensa del divieto fatto ai cristiani di dire "Allah" per chiamare il proprio Dio? E' solo una battaglia linguistica?

Mons. Paul Tan Chee Ing: «Lei ha ragione ed è solo in tempi recenti che non solo “Allah” ma anche altre parole e frasi di origine araba - ad esempio “rasul”, “baitullah” ecc. - sono state vietate ai fedeli non musulmani. Non è allora una battaglia linguistica. É invece una battaglia per i voti, dunque politica. L'UMNO - United Malays National Organisation - teme di perdere contro il partito d'opposizione PAS (Islamic Party) il quale si è espresso invece a favore dei non musulmani e sull'uguale diritto che essi hanno di usare la parola “Allah”. L'UMNO, partito malese musulmano dominante all'interno della coalizione Barisan Nazional, ha cioè paura di perdere il voto dei malesi i quali rappresentano circa il 60% della popolazione. E in Malesia, purtroppo, i malesi si identificano con i musulmani - unico paese al mondo in cui, nella Costituzione, si lega la religione alla etnia.

Nel Sacro Corano, alla Sura 5,69 e alla Sura 22,17, anzi più esplicitamente alla Sura 2,62 si dice che gli ebrei, i cristiani, i sabei e i musulmani hanno il culto di Allah. Come può dunque un musulmano andare contro il suo Sacro Corano? Non è possibile. E se lo fa è per mera ignoranza o per ragioni di opportunità politica. Qualsiasi studioso obiettivo può infatti confermare che la parola "Allah" è pre-islamica ed ha la sua radice nella lingua semitica. Musulmani arabi e musulmani indonesiani ricorrono tutti al termine "Allah”. Non si pensi però che tutti i malesi musulmani siano contrari a che i cristiani facciano uso del termine “Allah”, anzi. Ad esempio, il consigliere spirituale del PAS, Datuk Abdul Aziz Nik Mat, si è espresso così sul The New Straights Times: "Fino a quando la parola non viene abusata, i non-musulmani possono farne uso”.

I malesi-musulmani sono dunque divisi sulla questione e, secondo un commentatore politico, questo è esattamente ciò che vuole l'UMNO, cioè è questa la sua strategia per vincere le prossime elezioni generali. L'UMNO si trova tra l'incudine e il martello, come si suol dire. Se permette ai non-musulmani di usare il termine “Allah”, potrebbe perdere i voti Malesi; se non consente ai non-musulmani di usare il termine “Allah”, perderà il voto di coloro che invece non sono malesi ma che sono tuttavia importanti in alcune circoscrizioni».

Diverse organizzazioni non governative e gruppi nati su Facebook hanno protestato contro la decisione della Corte di permettere l'uso del termine “Allah” nell'Herald, il settimanale cattolico. Che opinione si è fatto in merito a queste crescenti campagne atte a fare pressioni sul Governo perché intervenga?

Mons. Paul Tan Chee Ing: «Ma chi sono queste 26 organizzazioni musulmane non governative, chiamate Wehnah, ecc? Non sono allineate con la posizione dell'UMNO? Se esse sono sincere, allora la mia risposta alla prima delle sue domande vale per loro: a muoverli è l'ignoranza, i pregiudizi politici o meri interessi personali».

Nonostante la decisione della Corte, il National Fatwa Council ha emesso una fatwa in cui è detto che il nome di “Allah” è esclusivo all'Islam. Suona come una contraddizione...

Mons. Paul Tan Chee Ing: «Anche la dichiarazione pubblica del PAS (Islamic Party) secondo cui i non musulmani possono far ricorso alla parola "Allah" è una contraddizione rispetto a ciò che il National Fatwa Consiglio ha stabilito. Contraddire è un altro gioco per fare politica».

Il Ministero dell'Interno è ricorso in appello contro la sentenza del giudice Lau Bee Lan. Qual è la risposta della Chiesa?

Mons. Paul Tan Chee Ing: «Il Ministero non solo ha già fatto appello alla Corte Suprema, ma ha persino presentato la richiesta di sospensione dell'ordinanza emessa dall'Alta Corte. Quanto alla Chiesa, essa deve dirsi tranquilla, ferma nella difesa dei diritti dei non-musulmani, così come sancito nella nostra Costituzione federale, e collaborare con tutte le persone ragionevoli, cercando di mantenere l'armonia, non provocando l'altro con parole o azioni e non lasciandosi abbattere. Certo, si tratta di un cammino difficile».

Qual è lo "stato di salute" della Chiesa locale in Maslaysia e il suo ruolo nel futuro della Chiesa universale?

Mons. Paul Tan Chee Ing: «Poiché sono malese, potrei essere di parte. Ma ho grandissima esperienza maturata in molti Paesi al mondo, compreso l'Italia dove ho soggiornato per 10 anni. Personalmente ritengo la Chiesa malese molto stabile, unita e forte. Il nostro movimento ecumenico e la cooperazione interreligiosa finora sono stati buoni, nonostante qualche difficoltà qua e là.

Le statistiche della popolazione cattolica hanno mostrato una stagnazione numerica per molte ragioni:
1 - I cattolici cinesi e indiani tendono ad avere meno figli rispetto ai malesi.
2 - I loro bambini vengono mandati a studiare all'estero a causa della discriminazione nei loro confronti nelle università, e molti di essi non tornano in Malesia proprio per via della paura di essere discriminati.
3 - Molti genitori seguono i figli che hanno scelto di sposare una persona di un altro Paese, e vanno a vivere lì, dove si sentono a proprio agio e possono salvarsi.

A dispetto di tutto questo, le chiese sono in genere piene di uomini, donne e bambini. Si tratta di una Chiesa vibrante. La Chiesa locale ha cercato di aiutare altre diocesi più povere in altri paesi. Faccio l'esempio della nostra diocesi di Melaka-Johor: abbiamo accantonato ogni anno, a dispetto del fatto che non siamo ricchi, 100.000 ringgit malesi da dare alla Chiesa in Kenya, alla Chiesa in Myanmar soprattutto all'Arcidiocesi Taunggyi e alla Chiesa in Loas. Questo imitando la prima chiesa cattolica del tempo degli Apostoli.

Abbiamo anche collaborato con i protestanti, i buddisti, i sikh e gli indù. Il contributo che noi malesi possiamo offrire alla Chiesa universale è la difesa della verità e dei diritti delle persone contro ogni pronostico, perché sappiamo che Dio, che è il Signore della storia, vede e sa ogni cosa. E la comprensione di ciò che è sbagliato non tarderà ad arrivare, secondo i Suoi tempi e seguendo le Sue vie. Occorre avere pazienza!».

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Più famiglie e più figli per superare la crisi (parte I)
Il prof. Tommaso Cozzi risponde ai sostenitori delle tesi malthusiane

di Antonio Gaspari

ROMA, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Per oltre un trentennio istituzioni internazionali, economisti di fama, politologi ed esperti hanno indicato la crescita della popolazione e delle famiglie come la più grande minaccia allo sviluppo e all’ambiente naturale. La crescita demografica è stata definita più minacciosa della bomba atomica. Per questo motivo libri come “La bomba demografica” di Paul Ehrlich sono stati stampati in più lingue e diffusi nel mondo intero.

Oggi, nel bel mezzo di un inverno demografico che non ha precedenti nella storia dell’umanità, con la fertilità femminile ridotta al minimo, il Pontefice Benedetto XVI, premi Nobel per l’economia, economisti e demografi spiegano che le politiche malthusiane di riduzione delle nascite hanno provocato un vero disastro, economico e civile, da cui si può uscire solo riscoprendo una cultura dell’accoglienza alla vita nascente e un sostegno alle famiglie basate sul matrimonio tra un uomo e una donna.

Per cercare di comprendere e approfondire un dibattito di grandissima attualità, ZENIT ha intervistato il prof. Tommaso Cozzi, docente presso la Facoltà di Scienze della Formazione di “Economia e Gestione delle Imprese” all’Università di Bari nonché cootitolare, nella medesima Facoltà, del Modulo di insegnamento europeo Jean Monnet su “Allargamento per lo Sviluppo Sociale ed Economico dell’UE”.

Nella Caritas in veritate il Pontefice Benedetto XVI afferma che non ci può essere sviluppo senza crescita demografica e rispetto per la vita nascente e la famiglia naturale. Eppure fin dall’inizio degli anni Settanta il pensiero dominante nelle istituzioni internazionali è stato quello malthusiano, secondo cui lo sviluppo passava per una riduzione e selezione delle nascite e un sovvertimento della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Lei cosa ne pensa?

Cozzi: In primo luogo devo esprimere la mia ammirazione per la chiarezza e la immediatezza del pensiero di Benedetto XVI. Mi sembra non solo coraggioso, ma soprattutto fondato in senso etico e scientifico affermare senza perifrasi che: “i Governi e gli Organismi internazionali possono allora dimenticare l'oggettività e l'«indisponibilità» dei diritti. Quando ciò avviene, il vero sviluppo dei popoli è messo in pericolo. Comportamenti simili compromettono l'autorevolezza degli Organismi internazionali, soprattutto agli occhi dei Paesi maggiormente bisognosi di sviluppo. Questi, infatti, richiedono che la comunità internazionale assuma come un dovere l'aiutarli a essere «artefici del loro destino», ossia ad assumersi a loro volta dei doveri. La condivisione dei doveri reciproci mobilita assai più della sola rivendicazione di diritti. La concezione dei diritti e dei doveri nello sviluppo deve tener conto anche delle problematiche connesse con la crescita demografica. Si tratta di un aspetto molto importante del vero sviluppo, perché concerne i valori irrinunciabili della vita e della famiglia. Considerare l'aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo è scorretto, anche dal punto di vista economico: basti pensare, da una parte, all'importante diminuzione della mortalità infantile e al prolungamento della vita media che si registrano nei Paesi economicamente sviluppati; dall'altra, ai segni di crisi rilevabili nelle società in cui si registra un preoccupante calo della natalità”.

Mi limiterò a dire che l’approccio malthusiano, oltre che errato dal punto di vista economico, è stato smentito dalla storia e mi sembra che sia ancora oggi in corso una ampia manipolazione di convenienza nel rifarsi a teorie o modelli ampiamente superati e smentiti da altri studi che davvero hanno segnato la scienza economica (Keynes, Mill, ecc).

L'economia è una parte della multiforme attività umana e, in essa, come in ogni altro campo, vale il diritto alla libertà come il dovere di fare un uso responsabile di essa. Così come accade per la vita nascente: vale il diritto alla libertà di generare, ma anche il dovere fare un uso responsabile della genitorialità. Se questi due ambiti, economia e vita, non vengono interpretati in modo integrato, ma anzi se ne produce una contrapposizione, il destino dell’umanità è segnato.

Fine della vita; fine dell’economia. Chi consumerà, chi produrrà, chi userà beni, strumenti, tecnologia? Chi genererà innovazione? Chi condurrà la lotta contro le malattie, le discriminazioni, l’impoverimento culturale se affermiamo che l’uomo è il male della società e come tale è meglio ridurne il numero? Analizzando gli approcci neo maltusiani, mi sembra di intravedere una strisciante dittatura sull’umanità.

Ma è importante notare che ci sono differenze specifiche tra queste tendenze della moderna società e quelle del passato anche recente. Se un tempo il fattore decisivo della produzione era la terra e più tardi il capitale, inteso come massa di macchinari e di beni strumentali, oggi il fattore decisivo è sempre più l'uomo stesso, e cioè la sua capacità di conoscenza che viene in luce mediante il sapere scientifico, la sua capacità di organizzazione solidale, la sua capacita di intuire e soddisfare il bisogno dell'altro, soddisfacendo al tempo stesso il suo stesso bisogno di donazione e cioè di felicità.

Ma se impediamo all’uomo “di esserci”, come potremo sviluppare tali processi? Probabilmente saranno ugualmente sviluppati, ma da parte di pochi che decideranno per tutti. E’ da rilevare, inoltre, come, di fatto, oggi molti uomini, forse la grande maggioranza, non dispongono di strumenti (tecnologie) che consentono di entrare in modo effettivo ed umanamente degno all'interno di un sistema di impresa, nel quale il lavoro occupa una posizione davvero centrale.

Essi non hanno la possibilità di acquisire le conoscenze di base (tecniche e metodi dei "saperi"), che permettono di esprimere la loro creatività e di sviluppare le loro potenzialità, né di, entrare nella rete di conoscenze ed intercomunicazioni, che consentirebbe di vedere apprezzate ed utilizzate le loro qualità. E’ un modo per disinnescare l’umanità. Essi insomma, se non proprio sfruttati, sono ampiamente emarginati, e lo sviluppo economico si svolge, per cosi dire, sopra la loro testa, quando non restringe addirittura gli spazi già angusti delle loro antiche economie di sussistenza.

Incapaci di resistere alla concorrenza di merci prodotte in modi nuovi ed in territori emergenti (nei quali a loro volta si assiste all'esasperante abuso delle tecnologie a tutto discapito dell'umanizzazione del lavoro), che prima essi solevano fronteggiare con forme organizzative tradizionali, allettati dallo splendore di un'opulenza ostentata ma per loro irraggiungibile e, al tempo stesso, stretti dalla necessità, questi uomini affollano le città del Terzo Mondo, dove spesso sono culturalmente sradicati e si trovano in situazioni di violenta precarietà senza possibilità di integrazione e di sviluppo di legami affettivi familiari; senza possibilità di generare nuova vita guardando al futuro con occhio di speranza.

“La cooperazione internazionale ha bisogno di persone che condividano il processo di sviluppo economico e umano, mediante la solidarietà della presenza, dell'accompagnamento, della formazione e del rispetto. Da questo punto di vista, gli stessi Organismi internazionali dovrebbero interrogarsi sulla reale efficacia dei loro apparati burocratici e amministrativi, spesso troppo costosi”. Credo che tali affermazioni del Papa non necessitino di ulteriore commento.

Perchè più famiglie e più figli sono una condizione economica per suscitare sviluppo e progresso?

Cozzi: Credo che nel sottovalutare (o svalutare) il ruolo della famiglia, si stia commettendo un grave errore di prospettiva; un errore che gli economisti definiscono come “mancanza di vision” Tale errore consiste nella incapacità (oppure nella mancanza di volontà) di cogliere l’essenzialità di ciò che la famiglia significa dal punto di vista antropologico, sociale ed economico.

In primo luogo la famiglia rappresenta l’ambiente naturale in cui si sviluppa equilibrio e stabilità psicologica, emotiva, affettiva; capacità di aggregazione e relazione con altre persone; conoscenza delle dinamiche che sovraintendono al rispetto delle regole e delle dinamiche diritti/doveri; sviluppo dei processi motivazionali nelle scelte che ogni persona compirà nell’arco della propria vita.

Naturalmente ciò presuppone due condizioni: 1) che si faccia riferimento ad una famiglia eterosessuale sacramentalmente fondata ed istituzionalizzata affinché la Grazia possa operare; 2) che ogni componente della famiglia, in primis i genitori, assuma la responsabilità del ruolo che essi stessi si sono assunti e cioè essere padri e madri, ma prima ancora essere uomo e donna nel senso pieno di tali accezioni.

Tale ultima affermazione ritengo sia fondamentale: infatti non è sufficiente che esista una famiglia formalmente individuata come tale. E’ indispensabile che il nucleo familiare ponga in campo tutte le risorse e le potenzialità di cui, anche in natura, è capace. Mi riferisco alla necessità di aprirsi all’altro, in primo luogo al coniuge e contemporaneamente ai figli; mi riferisco alla capacità di porre in campo i talenti che in altri campi (v. ad esempio il lavoro) vengono profusi in maniera copiosa ma che in famiglia, a volte, sembrano improvvisamente sterilizzarsi.

E’ molto facile che, se si assume una idea “plastica” di famiglia che non si incarna nell’altro e per l’altro, si viva quella che un recente romanzo ha definito “la solitudine dei numeri primi”: numeri vicini ma che non si toccano mai; persone che viaggiano sullo steso binario ma non si incontrano mai; universi implosi che non solo non si incontrano, ma che sono incapaci di aprirsi al mondo.

Se le famiglie non funzionano, si bloccano i meccanismi elementari delle dinamiche civili; le relazioni sociali diventano problematiche. Il paradigma è semplice: le leggi fisiche governano l’ordine naturale, mentre l’ordine sociale può essere sostenuto dalla forza morale.

Il sistema valoriale, o morale, si modellizza e si apprende in primo luogo nella famiglia. Da tale orientamento scaturiscono, di conseguenza, le scelte effettuate da ciascuno nel quotidiano, anche quelle di carattere economico. Qual è il processo che conduce il consumatore ad effettuare una scelta di tipo commerciale? Qual è l’analisi che ciascuno di noi sviluppa quando deve decidere se e cosa acquistare, oppure deve decidere come impostare il proprio rapporto con il denaro? Se analizziamo cosa c’è alla base delle scelte, troveremo il sistema valoriale e, effettuando il cammino a ritroso, arriveremo al “punto zero”: la famiglia.

[Giovedì, la seconda parte dell'intervista]

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Parola e vita


Epifania: la vita nel grembo è luce del mondo
Solennità della Epifania del Signore, 6 gennaio 2010


di padre Angelo del Favero*

ROMA, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: 'Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo' (…). Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: 'Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo'. Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finchè giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese” (Mt 2,1-12).

Esattamente quaranta giorni dopo aver guidato i Magi fino a Betlemme, accadde come una seconda epifania, e la stella “riapparve” per guidare un altro personaggio all’incontro con il bambino Gesù. Questa volta si fermò sopra la Città santa, Gerusalemme; si fermò sul tempio, proprio nel punto e nel momento in cui Maria e Giuseppe stavano entrando con il Bambino. Fu allora che il vecchio Simeone, sopraggiunto in quell’istante, lo prese tra le braccia radioso di gioia e si mise a benedire Dio che gli aveva finalmente concesso di riconoscere ed incontrare il Messia tanto atteso: “Luce per illuminare le genti e gloria di Israele” (Lc 2,32).

Fantasia evangelica? Sì, ma con verosimile contenuto. Chi era stato, infatti, il regista nascosto dell’incontro del laico Simeone con il bambino Gesù al tempio? L’evangelista Luca narra che lo Spirito già da tempo aveva acceso la stella del Messia nel cuore di Simeone, ma essa, per così dire, era rimasta immobile nel suo cielo interiore, fino al giorno della presentazione al tempio di Gesù, quando “mosso dallo Spirito” Simeone, ignaro, decise di andarvi anche lui (Lc 2,26-27).

E’ verosimile che l’eco della manifestazione celeste ai pastori di Betlemme fosse giunta alle orecchie di Simeone, il quale, conoscendo la legge di Mosè (che prescriveva la rituale purificazione al tempio della puerpera quaranta giorni dopo il parto), sentì come un’imminenza meravigliosa della grazia attesa da tutta la sua vita. Fu così che la stella dello Spirito nel cielo interiore di Simeone, si mosse e lo mosse con infallibile tempismo all’incontro con il santo Bambino, mentre Egli varcava la soglia del tempio tra le braccia di Maria.

Ho voluto collegare l’epifania dei Magi con quella del giusto Simeone per giungere più facilmente alla terza epifania da contemplare oggi, duemila e dieci anni dopo i fatti descritti dall’evangelista Matteo.

La corrispondenza si fa davvero chiara se guardiamo al comune sfondo morale/ spirituale di allora e di oggi: “Nell’interno del racconto e in contrappunto si oppongono luce e tenebre, rappresentazione del bene e del male, dei due campi della storia. Sul bimbo Gesù e sua madre si proietta il grande duello della vicenda umana, tipizzato in Erode e nei Magi. A Betlemme, la città di Davide, si oppone Gerusalemme, la città di Erode; alla ricerca omicida di Erode si contrappone quella amorosa dei Magi; alla paura succede la gioia; all’interrogativo: “Dov’è il re dei Giudei?” subentra il gioioso: “Videro il bambino e sua madre”; alla notte si sovrappone la stella che illumina l’oscurità; la stella indica, ma anche scompare; i sommi sacerdoti egli scribi conoscono la verità sul Messia, ma non lo sanno riconoscere. Emerge, allora, accanto all’accoglienza, il rifiuto, incarnato in Erode, nei sacerdoti e in “tutta Gerusalemme” (G.Ravasi, “I volti di Maria nella Bibbia”, p. 211s).

Ma ora dobbiamo chiederci: “Dov’è - oggi - colui che è nato?” (Mt 2,2). Prima di rispondere esplicitamente ascoltiamo, al riguardo, l’annuncio dell’evangelista Giovanni: la stella della sua parola ci guiderà con certezza. “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,9-12). L’ultimo versetto del vangelo odierno di Matteo mette a fuoco storicamente questo rifiuto omicida di Cristo: “Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese” (Mt 2,12).

Avvertimento che ha salvato Gesù e tutti noi dalla morte! Erode, infatti, stava congiurando contro il Bambino e l’informazione dei Magi avrebbe guidato la sua spada dentro la stalla di Betlemme, vanificando l’opera divina della nostra salvezza.

A duemila anni di distanza, anche a noi è dato un avvertimento riguardante il Bambino, non certo per tornarcene a casa, ma per rimanere a difenderne la vita. Eccolo: “Al di là delle intenzioni, che possono essere varie e magari assumere forme suadenti persino in nome della solidarietà, siamo in realtà di fronte a una oggettiva “congiura contro la vita” che vede implicate anche Istituzioni internazionali, impegnate a incoraggiare e programmare vere e proprie campagne per diffondere la contraccezione, la sterilizzazione e l’aborto” (Enciclica “Evangelium vitae”, anno1995, n. 17).

Avvertimento chiaro, ma a congiurare contro la vita del bambino non sono solamente gli Organismi internazionali, le Multinazionali farmaceutiche, gli Stati (in Italia, legge 194: diritto d’aborto; legge 40: fecondazione omicida assistita; RU486: ruspa sul bambino; pillola dei giorni dopo: morte per asfissia; ecc.). Stanno congiurando anche: Ospedali, Cliniche, Consultori, Servizi sociali, medici, personale e strutture sanitarie, internet, televisione, stampa, insegnanti, catechisti, famiglie, sacerdoti, laici,..: si congiura, infatti, sia direttamente, con la spada in mano, sia indirettamente dando ad Erode l’informazione desiderata.

Ma forse è ancora più estesa, subdola ed efficace la congiura per omissione, quando non si fa nulla o troppo poco per consentire ai bimbi di nascere, aiutando con ogni mezzo ogni gravidanza inattesa o indesiderata, e annunciando con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.

Un Vangelo per tutti che Giovanni annuncia in un solo versetto: “A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome” (Gv 1,12).

Commenta infatti Giovanni Paolo II, a conclusione della sua enciclica: “Con la sua incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo. Proprio nella “carne” di ogni uomo, Cristo continua a rivelarsi – (epifania!) – e ad entrare in comunione con noi, così che il rifiuto della vita dell’uomo, nelle sue diverse forme, è realmente rifiuto di Cristo: “Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt 18,5); “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40) (E.V. 104).

Queste parole permettono di affermare che la gravidanza umana, pur se all’inizio nascosta alla stessa madre, fin dal concepimento è epifania della Vita davanti al mondo intero.

Ogni volta che è concepito un uomo si rinnova sulla terra la venuta del Salvatore e risuona per tutti l’annuncio sfolgorante dato oggi dal profeta Isaia: “Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te, verrà a te la ricchezza della genti. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madia e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore” (Is 60,1-6).


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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.


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La festa del Natale precede quella pagana del Sole Invitto

di Michele Loconsole*

ROMA, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Fonti diverse confermano che la festa del Sole Invitto fu posta al 25 dicembre per tentare di “oscurare” quella del Natale cristiano. Non il contrario!

Sovente si sente affermare che la festa del Natale posta dalla Chiesa al 25 dicembre nel suo calendario liturgico soltanto agli inizi del IV secolo non è storicamente fondata. Ossia che non è possibile sapere con certezza in quale giorno sia nato, a Betlemme, Gesù di Nazaret.

Da qui l’ipotesi - oggi molto accreditata - che la scelta del 25 dicembre sarebbe il risultato del calcolo di un’operazione ideologica messa in atto dalla Chiesa antica per sovrapporsi e infine assorbire la festività pagana del dio Sole; la cerimonia cultuale-astronomica che veniva officiata in diverse civiltà, e non solo dell’area mediterranea, ben prima della nascita di Gesù, in coincidenza col solstizio d’inverno.

Fenomeno, quello operato dalla Chiesa di Roma, altrettanto noto agli studiosi di fenomenologia delle religioni come d’inculturazione o di cristianizzazione dell’Impero romano.

Fin qui il pensiero dominate. Mentre, alla luce delle fonti, sembra sia andato esattamente al contrario. È infatti la festa pagana del Sole Invitto che è stata posta - o ancora meglio spostata - al 25 dicembre per tentare di “oscurare” quella cristiana del Natale, le cui attestazioni documentali sono di gran lunga più antiche della prima. Solo per citarne una: Ippolito di Roma già nel 204 riferiva che la Chiesa festeggiava la nascita di Gesù il 25 dicembre.

Ricorrenza liturgica nota a quella parte della Chiesa universale che era venuta in contatto con la primitiva tradizione giudeo-cristiana, che questa festa faceva dipendere da quella ancora più antica dell’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele a Zaccaria, fissata nel calendario liturgico orientale al 23 settembre.

Sulle relazioni tra le due feste cristiane ho già riferito in un precedente articolo pubblicato da ZENIT il 21 dicembre scorso, dove ho riportato anche il fondamento storico-archeologico della storicità della nascita di Gesù al 25 dicembre; evidenza possibile grazie alla scoperta del Libro dei Giubilei tradotto e commentato dal prof. Shemarjahu Talmon dell’Università di Gerusalemme, all’indomani del ritrovamento del 1947 dei Rotoli di Qumran.

E allora, tornando alla questione: quale delle due feste celebrate il 25 dicembre, del Sole Invitto o del Natale cristiano, è la più antica? Quale delle due ha tentato di prevalere sull’altra?

Sull’antichità del Natale ho già detto sopra. Passando invece ad analizzare le fonti che attestano le date della festività pagana, domando: a quando risalirebbe la prima fonte documentata che la festività del dio Sole veniva celebrata il 25 dicembre?

Riposta: l’unico documento che abbiamo oggi a disposizione è il Chronographus anni 354. Per farsene un’idea si confronti la parte VI, dal titolo Calendario con testi e illustrazioni per i dodici mesi.

La notizia, però, sembra piuttosto tardiva: siamo infatti oltre la metà del IV secolo d.C. e all’indomani del primo Concilio di Nicea. Ricordo, di contro, che la prima attestazione del Natale al 25 dicembre è del 204, esattamente 150 anni più antica.

Prima del 354, per ritornare alle fonti della festa del Sole Invitto, ancora durante il regno di Licinio (imperatore dal 308 al 324 d.C.) il culto al dio solare veniva celebrato il 19 dicembre, e non il 25! (cfr. l’iscrizione citata da Allan S. Hoey, Official Policy towards Oriental Cults in the Roman Army, Transactions and Proceedings of the American Philological Association (70) 1939, pp 456-481, a p. 480, nota 128).

Si aggiunga, poi, che questa antica festa astronomica veniva celebrata anche in diverse altre date dell’anno, tra cui spesso veniva scelto il periodo compreso tra il 19 e il 22 ottobre (a tal proposito si veda M. R. Salzman, New Evidence for the Dating of the Calendar at Santa Maria Maggiore in Rome, Transactions of the American Philological Association (111) 1981, pp. 215-227, a p. 221).

Il culto del dio Sole, solo per fare ulteriore chiarezza, era stato introdotto a Roma da Eliogabalo (imperatore dal 218 al 222) e ufficializzato per la prima volta da Aureliano nel 274, che il 25 dicembre dello stesso anno consacrava il Tempio del Sol Invictus. La festa prese il nome di “Giorno di nascita del Sole Invitto”. Una ricorrenza, quindi, che potrebbe aver visto le sue origini occidentali sul finire del III secolo d.C.

Si tenga anche conto che i romani, già ai tempi di Adriano (imperatore dal 117 al 138), ritenevano che i cristiani adorassero il sole. In realtà commentavano gli usi liturgici cristiani che si sarebbero consolidati grazie all’opera di Giustino (morto a Roma tra il 162 e il 168), che imposterà i capisaldi della teologia cristiana (domenica, Eucaristia, Risurrezione, Natale, etc) proprio sul simbolo del sole: siamo appena nella prima metà del II secolo.

In conclusione, alla luce di quanto abbiamo detto credo sia possibile affermare almeno due cose importanti. La prima, che la festività del Sole Invitto non veniva celebrata soltanto il 25 dicembre - e che questa data si è imposta sulle altre soltanto dopo la metà del IV secolo d.C.

La seconda, che in Occidente questa festa pagana ha attestazioni documentali ben più recenti rispetto a quella del Natale cristiano, che come abbiamo visto sono più antiche.

E allora: non nasce il legittimo dubbio che l’ingresso della festa del Sole Invitto nel calendario romano del III secolo d.C. potrebbe corrispondere alla volontà da parte dall’establishment imperiale di “oscurare” la festa cristiana, che era certamente celebrata a Roma il 25 dicembre da almeno settant’anni?

Del resto questa nuova ipotesi sarebbe probabilissima se pensiamo al clima persecutorio in cui la religione di Cristo ha dovuto esistere in quasi ogni regione dell’Impero romano dalle sue origini fino alla venuta di Costantino (imperatore dal 306 al 337 d.C.) e ancor più all’indizione del Concilio di Nicea (325 d.C.).

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*Michele Loconsole è dottore in Sacra Teologia Ecumenica, giornalista pubblicista e scrittore. Autore di una decina di volumi sulla storia del cristianesimo è attualmente presidente ENEC (Europe-Near East Centre).

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Benedetto XVI: c'è sintonia tra ragione e fede, scienza e rivelazione
Discorso introduttivo alla preghiera dell'Angelus
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito le parole pronunciate questo mercoledì da Benedetto XVI prima della preghiera mariana dell'Angelus, recitata insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti in piazza San Pietro, in occasione della Solennità dell’Epifania del Signore.





* * *



Cari fratelli e sorelle!

Celebriamo oggi la grande festa dell’Epifania, il mistero della Manifestazione del Signore a tutte le genti, rappresentate dai Magi, venuti dall’Oriente per adorare il Re dei Giudei (cfr Mt 2,1-2). L’evangelista Matteo, che racconta l’avvenimento, sottolinea come essi arrivarono fino a Gerusalemme seguendo una stella, avvistata nel suo sorgere e interpretata quale segno della nascita del Re annunciato dai profeti, cioé del Messia. Giunti, però, a Gerusalemme, i Magi ebbero bisogno delle indicazioni dei sacerdoti e degli scribi per conoscere esattamente il luogo in cui recarsi, cioè Betlemme, la città di Davide (cfr Mt 2,5-6; Mic 5,1). La stella e le Sacre Scritture furono le due luci che guidarono il cammino dei Magi, i quali ci appaiono come modelli degli autentici cercatori della verità.

Essi erano dei sapienti, che scrutavano gli astri e conoscevano la storia dei popoli. Erano uomini di scienza in un senso ampio, che osservavano il cosmo ritenendolo quasi un grande libro pieno di segni e di messaggi divini per l’uomo. Il loro sapere, pertanto, lungi dal ritenersi autosufficiente, era aperto ad ulteriori rivelazioni ed appelli divini. Infatti, non si vergognano di chiedere istruzioni ai capi religiosi dei Giudei. Avrebbero potuto dire: facciamo da soli, non abbiamo bisogno di nessuno, evitando, secondo la nostra mentalità odierna, ogni "contaminazione" tra la scienza e la Parola di Dio. Invece i Magi ascoltano le profezie e le accolgono; e, appena si rimettono in cammino verso Betlemme, vedono nuovamente la stella, quasi a conferma di una perfetta armonia tra la ricerca umana e la Verità divina, un’armonia che riempì di gioia i loro cuori di autentici sapienti (cfr Mt 2,10). Il culmine del loro itinerario di ricerca fu quando si trovarono davanti "il bambino con Maria sua madre" (Mt 2,11). Dice il Vangelo che "prostratisi lo adorarono". Avrebbero potuto rimanere delusi, anzi, scandalizzati. Invece, da veri sapienti, sono aperti al mistero che si manifesta in maniera sorprendente; e con i loro doni simbolici dimostrano di riconoscere in Gesù il Re e il Figlio di Dio. Proprio in quel gesto si compiono gli oracoli messianici che annunciano l’omaggio delle nazioni al Dio d’Israele.

Un ultimo particolare conferma, nei Magi, l’unità tra intelligenza e fede: è il fatto che "avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese" (Mt 2,12). Sarebbe stato naturale ritornare a Gerusalemme, nel palazzo di Erode e nel Tempio, per dare risonanza alla loro scoperta. Invece, i Magi, che hanno scelto come loro sovrano il Bambino, la custodiscono nel nascondimento, secondo lo stile di Maria, o meglio, di Dio stesso e, così come erano apparsi, scompaiono nel silenzio, appagati, ma anche cambiati dall’incontro con la Verità. Avevano scoperto un nuovo volto di Dio, una nuova regalità: quella dell’amore. Ci aiuti la Vergine Maria, modello di vera sapienza, ad essere autentici ricercatori della verità di Dio, capaci di vivere sempre la profonda sintonia che c’è tra ragione e fede, scienza e rivelazione.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Sono lieto di indirizzare il mio augurio più cordiale ai fratelli e alle sorelle delle Chiese Orientali che celebrano domani il santo Natale. Il mistero di luce sia fonte di gioia e di pace per ogni famiglia e comunità.

Nella solennità dell’Epifania ricorre la Giornata Missionaria dei Bambini, con il motto "I bambini aiutano i bambini". Promossa dal Venerabile Papa Pio XII nel 1950, questa iniziativa educa i bambini a formarsi una mentalità aperta al mondo e ad essere solidali con i loro coetanei più disagiati. Saluto con affetto tutti i piccoli missionari presenti nei cinque continenti e li incoraggio ad essere sempre testimoni di Gesù e annunciatori del suo Vangelo.

Infine, saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i giovani del Movimento "Tra Noi" e i partecipanti al consueto corteo storico-folcloristico, ispirato quest’anno alle tradizioni delle città di Alatri, Fiuggi e Vico nel Lazio. Mentre rivolgo un pensiero affettuoso ai bambini di Roma, auguro a tutti una buona festa dell’Epifania.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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Messa del Papa nella Basilica Vaticana per la Solennità dell'Epifania

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo dell’omelia che Benedetto XVI ha pronunciato questo mercoledì nel celebrare la Santa Messa nella Basilica Vaticana, in occasione della Solennità dell’Epifania del Signore.





* * *

Cari fratelli e sorelle!

Oggi, Solennità dell’Epifania, la grande luce che irradia dalla Grotta di Betlemme, attraverso i Magi provenienti da Oriente, inonda l’intera umanità. La prima lettura, tratta dal Libro del profeta Isaia, e il brano del Vangelo di Matteo, che abbiamo poc’anzi ascoltato, pongono l’una accanto all'altro la promessa e il suo adempimento, in quella particolare tensione che si riscontra quando si leggono di seguito brani dell’Antico e del Nuovo Testamento. Ecco apparire davanti a noi la splendida visione del profeta Isaia il quale, dopo le umiliazioni subite dal popolo di Israele da parte delle potenze di questo mondo, vede il momento in cui la grande luce di Dio, apparentemente senza potere e incapace di proteggere il suo popolo, sorgerà su tutta la terra, così che i re delle nazioni si inchineranno di fronte a lui, verranno da tutti i confini della terra e deporranno ai suoi piedi i loro tesori più preziosi. E il cuore del popolo fremerà di gioia.

Rispetto a tale visione, quella che ci presenta l’evangelista Matteo appare povera e dimessa: ci sembra impossibile riconoscervi l’adempimento delle parole del profeta Isaia. Infatti, arrivano a Betlemme non i potenti e i re della terra, ma dei Magi, personaggi sconosciuti, forse visti con sospetto, in ogni caso non degni di particolare attenzione. Gli abitanti di Gerusalemme sono informati dell'accaduto, ma non ritengono necessario scomodarsi, e neppure a Betlemme sembra che ci sia qualcuno che si curi della nascita di questo Bambino, chiamato dai Magi Re dei Giudei, o di questi uomini venuti dall’Oriente che vanno a farGli visita. Poco dopo, infatti, quando il re Erode farà capire chi effettivamente detiene il potere costringendo la Sacra Famiglia a fuggire in Egitto e offrendo una prova della sua crudeltà con la strage degli innocenti (cfr Mt 2,13-18), l'episodio dei Magi sembra essere cancellato e dimenticato. E’, quindi, comprensibile che il cuore e l'anima dei credenti di tutti i secoli siano attratti più dalla visione del profeta che non dal sobrio racconto dell'evangelista, come attestano anche le rappresentazioni di questa visita nei nostri presepi, dove appaiono i cammelli, i dromedari, i re potenti di questo mondo che si inginocchiano davanti al Bambino e depongono ai suoi piedi i loro doni in scrigni preziosi. Ma occorre prestare maggiore attenzione a ciò che i due testi ci comunicano.

In realtà, che cosa ha visto Isaia con il suo sguardo profetico? In un solo momento, egli scorge una realtà destinata a segnare tutta la storia. Ma anche l’evento che Matteo ci narra non è un breve episodio trascurabile, che si chiude con il ritorno frettoloso dei Magi nelle proprie terre. Al contrario, è un inizio. Quei personaggi provenienti dall'Oriente non sono gli ultimi, ma i primi della grande processione di coloro che, attraverso tutte le epoche della storia, sanno riconoscere il messaggio della stella, sanno camminare sulle strade indicate dalla Sacra Scrittura e sanno trovare, così, Colui che apparentemente è debole e fragile, ma che, invece, ha il potere di donare la gioia più grande e più profonda al cuore dell’uomo. In Lui, infatti, si manifesta la realtà stupenda che Dio ci conosce e ci è vicino, che la sua grandezza e potenza non si esprimono nella logica del mondo, ma nella logica di un bambino inerme, la cui forza è solo quella dell’amore che si affida a noi. Nel cammino della storia, ci sono sempre persone che vengono illuminate dalla luce della stella, che trovano la strada e giungono a Lui. Tutte vivono, ciascuna a proprio modo, l’esperienza stessa dei Magi.

Essi hanno portato oro, incenso e mirra. Non sono certamente doni che rispondono a necessità primarie o quotidiane. In quel momento la Sacra Famiglia avrebbe certamente avuto molto più bisogno di qualcosa di diverso dall’incenso e dalla mirra, e neppure l'oro poteva esserle immediatamente utile. Ma questi doni hanno un significato profondo: sono un atto di giustizia. Infatti, secondo la mentalità vigente a quel tempo in Oriente, rappresentano il riconoscimento di una persona come Dio e Re: sono, cioè, un atto di sottomissione. Vogliono dire che da quel momento i donatori appartengono al sovrano e riconoscono la sua autorità. La conseguenza che ne deriva è immediata. I Magi non possono più proseguire per la loro strada, non possono più tornare da Erode, non possono più essere alleati con quel sovrano potente e crudele. Sono stati condotti per sempre sulla strada del Bambino, quella che farà loro trascurare i grandi e i potenti di questo mondo e li porterà a Colui che ci aspetta fra i poveri, la strada dell'amore che solo può trasformare il mondo.

Non soltanto, quindi, i Magi si sono messi in cammino, ma da quel loro atto ha avuto inizio qualcosa di nuovo, è stata tracciata una nuova strada, è scesa sul mondo una nuova luce che non si è spenta. La visione del profeta si realizza: quella luce non può più essere ignorata nel mondo: gli uomini si muoveranno verso quel Bambino e saranno illuminati dalla gioia che solo Lui sa donare. La luce di Betlemme continua a risplendere in tutto il mondo. A quanti l’hanno accolta Sant’Agostino ricorda: "Anche noi, riconoscendo Cristo nostro re e sacerdote morto per noi, lo abbiamo onorato come se avessimo offerto oro, incenso e mirra; ci manca soltanto di testimoniarlo prendendo una via diversa da quella per la quale siamo venuti" (Sermo 202. In Epiphania Domini, 3,4).

Se dunque leggiamo assieme la promessa del profeta Isaia e il suo compimento nel Vangelo di Matteo nel grande contesto di tutta la storia, appare evidente che ciò che ci viene detto, e che nel presepio cerchiamo di riprodurre, non è un sogno e neppure un vano gioco di sensazioni e di emozioni, prive di vigore e di realtà, ma è la Verità che s'irradia nel mondo, anche se Erode sembra sempre essere più forte e quel Bambino sembra poter essere ricacciato tra coloro che non hanno importanza, o addirittura calpestato. Ma solamente in quel Bambino si manifesta la forza di Dio, che raduna gli uomini di tutti i secoli, perché sotto la sua signoria percorrano la strada dell’amore, che trasfigura il mondo. Tuttavia, anche se i pochi di Betlemme sono diventati molti, i credenti in Gesù Cristo sembrano essere sempre pochi. Molti hanno visto la stella, ma solo pochi ne hanno capito il messaggio. Gli studiosi della Scrittura del tempo di Gesù conoscevano perfettamente la parola di Dio. Erano in grado di dire senza alcuna difficoltà che cosa si poteva trovare in essa circa il luogo in cui il Messia sarebbe nato, ma, come dice sant'Agostino: "è successo loro come le pietre miliari (che indicano la strada): mentre hanno dato indicazioni ai viandanti in cammino, essi sono rimasti inerti e immobili" (Sermo 199. In Epiphania Domini, 1,2).

Possiamo allora chiederci: qual è la ragione per cui alcuni vedono e trovano e altri no? Che cosa apre gli occhi e il cuore? Che cosa manca a coloro che restano indifferenti, a coloro che indicano la strada ma non si muovono? Possiamo rispondere: la troppa sicurezza in se stessi, la pretesa di conoscere perfettamente la realtà, la presunzione di avere già formulato un giudizio definitivo sulle cose rendono chiusi ed insensibili i loro cuori alla novità di Dio. Sono sicuri dell’idea che si sono fatti del mondo e non si lasciano più sconvolgere nell'intimo dall'avventura di un Dio che li vuole incontrare. Ripongono la loro fiducia più in se stessi che in Lui e non ritengono possibile che Dio sia tanto grande da potersi fare piccolo, da potersi davvero avvicinare a noi.

Alla fine, quello che manca è l'umiltà autentica, che sa sottomettersi a ciò che è più grande, ma anche il coraggio autentico, che porta a credere a ciò che è veramente grande, anche se si manifesta in un Bambino inerme. Manca la capacità evangelica di essere bambini nel cuore, di stupirsi, e di uscire da sé per incamminarsi sulla strada che indica la stella, la strada di Dio. Il Signore però ha il potere di renderci capaci di vedere e di salvarci. Vogliamo, allora, chiedere a Lui di darci un cuore saggio e innocente, che ci consenta di vedere la stella della sua misericordia, di incamminarci sulla sua strada, per trovarlo ed essere inondati dalla grande luce e dalla vera gioia che egli ha portato in questo mondo. Amen!

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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