giovedì 7 gennaio 2010

ZI100107

ZENIT

Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 07 gennaio 2010

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Il Papa: la Chiesa in Turchia chiede la piena libertà religiosa
Nel ricevere il nuovo ambasciatore turco, Kenan Gürsoy

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 7 gennaio 2010 (ZENIT.org).- “La Chiesa cattolica in Turchia attende il riconoscimento giuridico civile. Ciò le permetterebbe di godere della piena libertà religiosa e di apportare un contributo maggiore alla società”. E' quanto ha detto questo giovedì Benedetto XVI nel ricevere in Vaticano il nuovo ambasciatore di Ankara, Kenan Gürsoy.

“In Turchia – ha detto il Papa – i cattolici apprezzano la libertà di culto che è garantita dalla Costituzione e sono lieti di poter contribuire al benessere dei loro concittadini, in particolare attraverso l'impegno nell'attività caritativa e nella sanità”.

Parlando al nuovo ambasciatore il Pontefice ha quindi ribadito l’impegno della Chiesa cattolica “a far progredire il dialogo interreligioso in uno spirito di mutuo rispetto ed amicizia” e a rafforzare i legami tra cristiani e musulmani.

La Turchia, ha dunque affermato Benedetto XVI, può “agire come ponte tra l’Islam e l’Occidente” e “offrire un significativo contributo agli sforzi per portare pace e stabilità nel Medio Oriente”.

A questo riguardo, il Papa ha espresso l'apprezzamento della Santa Sede per “le numerose iniziative che la Turchia ha già intrapreso” e il “suo desiderio urgente di sostenere ulteriori sforzi per porre fine al conflitto in corso nella regione ormai da lungo tempo”.

Inoltre, ha continuato, la Santa Sede attribuisce un’alta priorità “alla ricerca di giuste e durature soluzioni ai conflitti nella regione”, mentre è impegnata a porre le sue risorse diplomatiche al servizio della pace e della riconciliazione.

Nel suo discorso il Papa ha infine rammentato che quest'anno si celebrerà il 50° anniversario dell’istituzione delle relazioni diplomatiche tra Turchia e Santa Sede esprimendo fiducia in un loro rafforzamento.

Dello stesso avviso anche l'ambasciatore Kenan Gürsoy, che nel suo indirizzo di saluto ha rimarcato l'importanza, in vista del cinquantenario, di una maggiore “cooperazione negli ambiti scientifici e culturali, sugli studi filosofici, etici e storici”.

“Le relazioni tra la Repubblica di Turchia e la Santa Sede sono sempre state eccellenti”, ha detto. E la visita in Turchia nel novembre del 2006 di Benedetto XVI “è ancora ricordata con calore dal popolo turco ed è considerata un'importante testimonianza dei rapporti di amicizia esistenti tra la Repubblica di Turchia e la Santa Sede”.

“È mio sincero desiderio, come ambasciatore – ha aggiunto –, cooperare nelle questioni riguardanti il dialogo interconfessionale e interculturale per rafforzare la comprensione tra i popoli. Tutte le religioni divine sono considerate inclusive e non si fondano su considerazioni esclusive. Pertanto, è impossibile che queste religioni ricorrano alla violenza e all'esclusione”.


[Per vedere il video dell'udienza: http://www.h2onews.org]

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Il Papa ringrazia i Carabinieri per il loro servizio in Vaticano
La loro presenza "vigile e discreta" dà sicurezza a pellegrini e visitatori

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 7 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Papa Benedetto XVI ha voluto ringraziare questo giovedì i Carabinieri della Compagnia Roma San Pietro, che pattugliano Piazza San Pietro e i suoi dintorni, per il loro servizio “umile, ma indispensabile” ai pellegrini.

I Carabinieri rappresentano il quarto corpo delle forze armate italiane e hanno una doppia natura, militare e di polizia. Sono stati fondati nel 1814 dal re Vittorio Emanuele I di Savoia.

La Compagna Roma San Pietro è stata ricevuta dal Papa nella Sala Clementina insieme all'Ordinario militare per l'Italia, monsignor Vincenzo Pelvi, e al Comandante Generale del Corpo, Leonardo Gallitelli.

Il Pontefice ha voluto sottolineare l'opera “vigile e discreta” dei Carabinieri per garantire la sicurezza e l'ordine pubblico nella Piazza.

“Il vostro impegno contribuisce a dare sicurezza e serenità ai pellegrini e ai visitatori che giungono presso il centro della fede cattolica e permette loro il necessario raccoglimento spirituale nella visita alla Tomba dell’apostolo Pietro e alla Basilica che la racchiude”, ha affermato.

“Come suggerisce il maestoso colonnato del Bernini – ha aggiunto –, la casa di Pietro è sempre aperta per accogliere, in un ideale abbraccio, i credenti e tutti gli uomini di buona volontà, che dal Magistero dei Pontefici romani ricevono luce e incoraggiamento per crescere nella fede e diventare costruttori di pace e di serena e civile convivenza”.

“Di questo pacifico e intenso convenire di persone diverse per età, origine e cultura, voi siete testimoni, tutori e garanti, silenziosi e diligenti, ma pur tanto necessari e preziosi”, ha spiegato ai presenti.

Il Papa ha quindi espresso apprezzamento per quest'opera “umile, ma indispensabile”, che fa sì che “il pellegrinaggio a Roma costituisca per ciascun visitatore un’occasione unica per sperimentare la gioia della fede e i valori della fratellanza, dell’accoglienza e del rispetto reciproco, sull’esempio di Colui che essendo Dio è diventato Bambino per amore nostro”.

Prima di benedire i Carabinieri, Benedetto XVI ha voluto rivolgere un pensiero particolare a quanti, “in diversi Paesi del mondo, sono impegnati in delicate missioni di pace”.

Il Corpo dei Carabinieri ha attualmente poco meno di 120.000 effettivi, uomini e donne.

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Vescovi da tutto il mondo per il dicastero vaticano delle comunicazioni

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 7 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha chiesto a vari Vescovi del mondo di assistere la Santa Sede nella pastorale della comunicazione.

A questo scopo, ha nominato membri del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali Thomas Christopher Collins, Arcivescovo di Toronto (Canada); Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij, Arcivescovo di Bangkok (Thailandia); Béchara Raï, Vescovo di Jbeil, Byblos dei Maroniti (Libano); Héctor Luis Gutiérrez Pabón, Vescovo di Engativa (Colombia); Joan Piris Frigola, Vescovo di Lleida (Spagna).

Il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, presieduto dall'Arcivescovo Claudio Maria Celli, secondo la Costituzione Apostolica Pastor Bonus “si occupa delle questioni che riguardano gli strumenti di comunicazione sociale, affinché, anche per mezzo di essi, il messaggio della salvezza e l'umano progresso possano servire all'incremento della civiltà e del costume”.

Il Segretario del Pontificio Consiglio è monsignor Paul Tighe, irlandese; il Segretario Aggiunto è monsignor Giuseppe Antonio Scotti, italiano, Presidente del Consiglio di Amministrazione della Libreria Editrice Vaticana.

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Notizie dal mondo


Massacro in una chiesa copta nel sud dell'Egitto
Sette le persone uccise in un violento attacco

IL CAIRO, giovedì, 7 gennaio 2010 (ZENIT.org).- La notte di Natale celebrata in una chiesa ortodossa copta egiziana è finita in tragedia per la morte di sette persone, tra cui un agente di sicurezza musulmano, durante un attacco sferrato da tre persone su un veicolo.

L'attentato è avvenuto dopo la fine della Messa di Natale (che secondo il calendario della Chiesa ortodossa copta si celebra la notte del 6 gennaio) nella città di Nagaa Hamadi, nella provincia di Quena, a circa 65 chilometri dalle rovine di Luxor, in Egitto. I fedeli stavano uscendo dalla chiesa della Vergine Maria. Oltre alle vittime, ci sono stati anche nove feriti.

I cristiani residenti in questa località avevano già ricevuto varie minacce nei giorni precedenti la celebrazione del Natale. Il Vescovo di Kirollos, nella Diocesi di Nag Hamadi, aveva ricevuto un messaggio sul suo telefono cellulare in cui si diceva: “Ora è il suo turno”. A causa di queste minacce, ha detto che si era visto costretto a terminare la Messa di Natale un'ora prima del solito.

“Non ne ho fatto nulla (del messaggio). Anche i miei fedeli hanno ricevuto minacce per la strada, e alcuni hanno gridato loro: 'Non lasceremo che abbiate delle feste'”, ha segnalato il Vescovo di Kirollos in alcune dichiarazioni all'agenzia AP.

I cristiani d'Egitto, in maggioranza copti, rappresentano circa il 10% della popolazione del Paese. Su più di 83 milioni di abitanti, infatti, il 90% è rappresentato da musulmani.

Secondo quanto ha reso noto il Ministro degli Interni egiziano, la causa dell'attacco è stata la vendetta per la violenza perpetrata da un cristiano ai danni di una bambina musulmana a novembre. Dopo questo fatto ci sono stati disordini nella località, tra cui l'incendio di proprietà di alcuni cristiani.

Padre Rafic Greiche, direttore dell'ufficio informazioni cattolico locale, ha affermato come riporta “L'Osservatore Romano”: “Anche noi cattolici, come il resto dei cristiani siamo preoccupati. L'atmosfera, soprattutto nell'Alto Egitto, è più pesante. Al Cairo ci sentiamo tutti più sicuri, ma nei villaggi il clima è diverso. Gli incidenti, gli attacchi nascono sempre da una miscela di odio religioso e pretesti occasionali”.

I cristiani si lamentano sempre più della discriminazione che subiscono a causa del fondamentalismo islamico, soprattutto dal punto di vista lavorativo, perché i cittadini egiziani devono portare sempre con sé un documento che identifichi la religione alla quale appartengono, e molti non sono accettati in alcuni posti di lavoro perché sono cristiani.

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Cristiani in Iraq: se la vita è impossibile, non resta che l'emigrazione
Si rifugiano nel nord curdo, ma mancano lavoro e servizi

ROMA, giovedì, 7 gennaio 2010 (ZENIT.org).- In Iraq, molti cristiani che vivevano nel sud si sono rifugiati nel nord curdo sperando di trovarvi migliori condizioni di vita, ma di fronte alle enormi difficoltà che devono affrontare si vedono sempre più spesso costretti ad abbandonare definitivamente il Paese.

L'Arcivescovo Louis Sako di Kirkuk ha riferito all'associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) che gli scarsi rifornimenti di elettricità e la mancanza di acqua potabile, scuole, occupazione e assistenza sanitaria nel Kurdistan aumentano l'emigrazione cristiana dall'Iraq.

Nell'ultimo censimento, del 1987, i cristiani iracheni erano 1,4 milioni; oggi non arrivano a 300.000. Gli attacchi contro i cristiani e le chiese nella zona di Mosul, che continuano a verificarsi e hanno flagellato anche il periodo natalizio (cfr. ZENIT, 25 dicembre 2009), non fanno altro che peggiorare la situazione.

L'Arcivescovo Sako si è detto “confuso” sulla causa dei recenti attacchi di Mosul, dove tre cristiani sono stati uccisi e uno studente universitario è stato rapito.

“Chi c'è dietro questi attacchi? – si è chiesto –. Non ci sono prove”.

Per l'Arcivescovo, i politici nel nord del Paese dovrebbero concentrarsi sulla crisi umanitaria e non essere distratti dalle prossime elezioni.

“Il Governo centrale e locale dovrebbe difendere i cittadini – ha dichiarato –. Ora tutti i gruppi politici sono impegnati nelle elezioni. C'è una vera lotta per il potere”.

Nella città a prevalenza cristiana di Bartilla, a circa 30 chilometri a nord di Mosul, nella piana di Ninive, questo lunedì è esplosa un'autobomba in un mercato. Secondo il presule, le motivazioni dell'attentato sono di natura politica.

La deflagrazione ha provocato una dozzina di feriti e ha danneggiato numerose case e vari negozi.

“Alcuni attacchi vogliono rimandare le elezioni o cancellarle, o perfino determinarne il risultato”, ha dichiarato il presule.

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Rabbini ortodossi di Israele: sputare sui sacerdoti è peccato
Reazioni alle molestie ad opera di "giovani irresponsabili"

di Jesús Colina

ROMA, giovedì, 7 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Uno dei più alti tribunali rabbinici ortodossi di Israele ha condannato come contrarie alla fede e alla morale le “molestie” subite da fedeli e sacerdoti cristiani, in particolare gli sputi, da parte di alcuni giovani ultraortodossi ebrei a Gerusalemme.

La condanna è stata formulata solennemente in una lettera dal Beth Din Tzedek, il Tribunale della Comunità ebraica ortodossa e la più alta istanza della comunità ebraica ultraortodossa a Gerusalemme.

Alcune settimane fa, sacerdoti non solo cattolici avevano denunciato di essere costantemente bersaglio di sputi da parte di giovani ebrei.

Padre Athanasius Macora, di origine statunitense, che guida il Christian Information Center all'interno della Porta di Jaffa, ha denunciato ad esempio nelle scorse settimane di essere stato offeso e di aver ricevuto sputi in molte occasioni da parte di giovani ultraortodossi o anche di bambini.

Anche padre Samuel Aghoyan, sacerdote armeno ortodosso, ha denunciato di essere stato colpito da sputi circa venti volte, soprattutto nel mese di novembre.

Di fronte alle numerose denunce, il Consigliere del sindaco di Gerusalemme per le comunità religiose, Jacob Avrahmi, ha promosso un incontro tra i rappresentanti del Ministero degli Affari Esteri e il Rabbino Shlomo Papenheim, della comunità ultraortodossa degli Haredim, per formulare una condanna degli attacchi contro i gentili.

Secondo il Tribunale, “oltre a dissacrare il Santo Nome, che già di per sé rappresenta un peccato assai grave, provocare i gentili, secondo i nostri saggi (benedetta sia la loro santa e virtuosa memoria), è proibito e può portare tragiche conseguenze sulla nostra comunità, possa Dio avere pietà”.

“Noi, quindi invochiamo chiunque abbia il potere di porre fine a questi vergognosi incidenti, attraverso la persuasione, di attivarsi per rimuovere questi pericoli, affinché la nostra comunità possa vivere in pace”, affermano i membri del Tribunale nella loro lettera, “scritta in un ebraico piuttosto originale”, come ha spiegato l'ambasciata di Israele presso la Santa Sede.

“Possa il Santissimo, che sia benedetto il Suo Nome, diffondere il tabernacolo di una vita misericordiosa e pacifica su di noi e sulla Casa d'Israele e Gerusalemme, poiché noi aspettiamo la venuta del Messia prontamente e nel nostro tempo, Amen”, conclude il documento, firmato il 30 dicembre 2009 dal Tribunale di Giustizia della comunità Haredim di Gerusalemme.

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Card. Brady: la Chiesa in Irlanda attraversa un "momento cruciale"
Al funerale del Cardinale Daly chiede un "rinnovamento ecclesiale"

ARMAGH, gennaio 2010 2010 (ZENIT.org).- La Chiesa in Irlanda si trova in un “momento cruciale” per la crisi provocata dai casi di abusi sui minori da parte di sacerdoti e la loro presunta copertura ad opera dell'Arcidiocesi di Dublino.

“Nessuno può dubitare del fatto che la Chiesa cattolica in Irlanda si trovi in un momento cruciale della sua storia”, ha affermato il 5 gennaio il Cardinale Seán Brady, Arcivescovo di Armagh e Primate d'Irlanda, nell'omelia pronunciata al funerale del Cardinale Cahal Brendan Daly nella Cattedrale di St. Patrick di Armagh.

Il Cardinale Daly, Arcivescovo emerito di Armagh, è morto il 31 dicembre a Belfast per un blocco cardiaco all'età di 92 anni.

Il Cardinale Brady ha presieduto la Messa esequiale a nome di Papa Benedetto XVI, che ha inviato un messaggio di condoglianze per la morte del Cardinale Daly, per il quale provava “grande affetto e stima”.

Nell'omelia, della quale si è fatto eco il quotidiano irlandese Irish Independent, il Cardinale Brady afferma che la Chiesa in Irlanda “deve andare avanti sulla strada – iniziata dal defunto Cardinale Daly – della collaborazione con le autorità civili e le comunità per garantire le buone pratiche, la cooperazione e la trasparenza nella salvaguardia dei bambini in tutte le attività ecclesiali”.

Il porporato ha aggiunto che il Cardinale Daly “sarebbe stato ben consapevole di quali devono essere i prossimi passi per la Chiesa cattolica in Irlanda, in uno dei momenti più critici e più difficili della sua storia”.

Gli scandali per gli abusi sui minori hanno provocato “l'ira giustificata e l'indignazione” dei fedeli, e hanno “danneggiato profondamente la fiducia nei leader della Chiesa”, ha ammesso.

“L'unica via per un autentico rinnovamento consiste nell'umile servizio al popolo di Dio” e nel garantire che i bambini “siano al sicuro in ogni ambiente ecclesiale”.

Pace in Ulster

Il Cardinale Brady ha voluto anche ricordare l'“instancabile lavoro” del Cardinale Daly per la pace nell'Irlanda del Nord.

“Un futuro stabile, sostenibile e riconciliato per il Nord sarebbe il miglior monumento da costruire in memoria del Cardinale Daly”, ha riconosciuto.

Il porporato defunto, ha sottolineato, è stato “una figura profetica e innovatrice in un momento di grandi cambiamenti nella storia dell'Irlanda”, una missione che “non si è limitata agli aspetti sociali e politici della sua attività”.

“E' stato soprattutto un uomo di fede, di preghiera, un uomo di Dio”, ha concluso.


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Natale ortodosso: il Patriarca di Mosca presenta il rimedio alla crisi
"La verità è il valore fondamentale dell'esistenza"

MOSCA, giovedì, 7 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il Patriarca ortodosso di Mosca ha presentato in occasione del Natale ortodosso, che si è celebrato questo giovedì (secondo l'antico calendario giuliano), il rimedio alla crisi globale che vive l'umanità: “La verità è il valore fondamentale dell'esistenza”.

E' questo il messaggio che Sua Beatitudine Kirill ha lasciato in questo periodo di crisi, che ha colpito seriamente la Russia e che, come ha spiegato, non è solo economica, ma anche e soprattutto morale.

L'atto centrale delle celebrazioni natalizie si è celebrato questo mercoledì sera nella Cattedrale di Cristo Salvatore, dove il Patriarca ha celebrato la sua prima Divina Liturgia di Natale (è stato eletto Patriarca il 27 gennaio 2009), trasmessa in diretta dalla televisione statale.

All'atto liturgico hanno partecipato il Presidente russo Dmitri Medvedev e sua moglie Svetlana, insieme ai seimila fedeli che affollavano il tempio.

In base ai sondaggi, due russi su tre hanno celebrato il Natale. Circa 135.000 credenti hanno assistito alle celebrazioni religiose nelle chiese di Mosca, il cui numero solo negli ultimi otto anni è aumentato passando da 400 a 800, e hanno anche celebrato Messe nei 30.000 templi della Chiesa ortodossa in tutta la Russia e in altri Paesi del mondo.

Il Primo Ministro ed ex Presidente russo Vladimir Putin ha approfittato delle feste per annunciare la restituzione alla Chiesa ortodossa russa dell'emblematico monastero di Novodevichiy, nel cui cimitero giacciono i resti dei più illustri personaggi russi e che attualmente è una filiale del Museo Storico Statale.

Nel messaggio che ha scritto per questo Natale, il Patriarca spiega che “la verità è il valore fondamentale dell'esistenza. Se alla base della nostra vita c'è la falsità, l'errore, allora la nostra vita non è realizzata”.

“E' la sostituzione dei veri valori con dei valori falsi che spiega ampiamente il significato sempre crescente del cosiddetto 'fattore umano' nei tragici eventi che si portano via centinaia di vite?”, si è chiesto il capo della Chiesa ortodossa russa.

“E' questo che spiega la crisi che ha avuto un impatto globale sull'economia, la politica, l'ambiente, la vita familiare, il gap generazionale e molti altri aspetti?”, ha aggiunto lasciando un messaggio che si ispira alle stesse radici evangeliche dell'ultima Enciclica di Benedetto XVI, la Caritas in Veritate.

Questo mercoledì, solennità dell'Epifania, il Papa ha porto i propri auguri alle Chiese ortodosse in occasione del Natale. Lo stesso Patriarca Kirill aveva presentato i suoi auguri a Benedetto XVI per il Natale occidentale e l'anno nuovo.

“Mi congratulo di cuore con voi nella grande festa della Natività di Cristo e dell'Anno Nuovo! Nelle condizioni della civiltà moderna, in cui molti perdono la bussola morale e spirituale, la Stella di Betlemme mostra ancora la via verso il Signore a tutti coloro che cercano la luce della Verità Divina”, ha detto il Patriarca nel suo messaggio, citato sul sito web ufficiale del Dipartimento per le Relazioni Ecclesiastiche Esterne del Patriarcato di Mosca.

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"L'unico modo di sistemare il mondo è sistemare la famiglia"
Parole del Cardinale López Rodríguez, Primate d'America

SANTO DOMINGO, giovedì, 7 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Con una toccante celebrazione eucaristica, l'Arcidiocesi di Santo Domingo (Repubblica Dominicana) ha celebrato il giorno della Sacra Famiglia domenica 27 dicembre nella Cattedrale primaziale d'America.

La celebrazione è stata presieduta dal Cardinale Arcivescovo di Santo Domingo, Nicolás de Jesús López Rodríguez, e dal vicario episcopale di Famiglia e Vita, padre Vladymir Pérez, così come da altri sacerdoti e diaconi.

Nella sua omelia, il Cardinale ha chiesto con insistenza che i genitori recuperino la tradizione di dare la benedizione ai propri figli come facevano i loro genitori, sottolineando come questo aiuti a mantenere una vita di fede ancorata ai valori familiari.

“Dobbiamo affrontare questa corrente moderna che arriva anche alle barbarie, agli spropositi e alle perversioni peggiori. Dobbiamo vedere come presentiamo al XXI secolo un modello di famiglia che è ciò che è stato sempre conservato nella tradizione giudaico-cristiana”, ha affermato.

La famiglia, ha aggiunto, deve essere ciò che è, non quello che gli altri vogliono che sia. In questo senso, il porporato ha dichiarato: “Crediamo nella famiglia, la difendiamo e la promuoviamo”.

“Se vogliamo ricostruire la famiglia che si sta deteriorando, non possiamo saltare le cose fondamentali. Ci sono già Paesi che sono un completo disastro perché i genitori non hanno ricevuto un'educazione familiare, sono cresciuti come meglio volevano e ora hanno una famiglia che è una banderuola”.

Allo stesso modo, il Cardinale ha sottolineato il lavoro svolto dai gruppi che operano per la famiglia.

“Invito le famiglie a sentirsi convocate, esortate sempre a vivere tutto ciò che questi gruppi possono offrirci. L'unico modo di sistemare il mondo è sistemare la famiglia. Non ci sono altre vie, tutto il problema si gioca in questa sede”.

Concludendo la sua omelia, il porporato ha invitato i cattolici a recuperare le tradizioni familiari cristiane. “Non voglio che si continui a permettere che il paganesimo si insinui ovunque. Bisogna salvare e riscattare la famiglia cristiana; spetta a voi e a me, a tutti”, ha dichiarato.

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Dottrina Sociale e Bene Comune


La relazione tra umanità e creato
ROMA, giovedì, 7 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Per la rubrica di Dottrina Sociale riportiamo quanto detto il primo gennaio dal Cardinale Carlo Caffarra, nella cattedrale di Bologna, in occasione della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e della Giornata Mondiale della Pace.



* * *

1. «In quei giorni sarà infuso in noi uno spirito dall’alto: allora il deserto diventerà un giardino e il giardino sarà considerato una selva». La parola profetica preannuncia che l’opera del Messia, l’opera di Gesù il nostro Redentore, riguarderà anche la creazione, non solo l’uomo. Il destino dell’uomo e di tutta la creazione sono inscindibilmente connessi.

L’apostolo Paolo infatti scrivendo ai cristiani di Roma dice: «la creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità … e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» [Rom 8,19-20].

Cari fratelli e sorelle, il S. Padre in questa XLVIII giornata della pace ci chiede di riflettere su questo intimo legame e comunanza di destino fra noi e la creazione tutta. E ci aiuta a farlo col suo Messaggio.

Il punto di partenza è un’osservazione di … vocabolario. Il vocabolario cristiano non parla di “natura”, ma di “creazione”. La differenza è sostanziale. Il termine “creazione” dice che il mondo, l’intero universo ha avuto origine dall’atto creativo di Dio: è, appunto, creatura; non semplicemente natura. Il mondo, dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, «non è il prodotto di una qualsivoglia necessità, di un destino cieco o del caso… Il mondo trae origine dalla libera volontà di Dio» [n° 295].

Non solo. La creazione è stata ordinata da Dio creatore secondo una vera e propria gerarchia. Essa è rivelata stupendamente da un Salmo colle seguenti parole: «quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi» [Sal 8, 4-7]. La creazione dunque, nel disegno di Dio, ha un signore, ha un re cui tutto è sottoposto: l’uomo.

Cari fratelli e sorelle, queste due verità – il mondo è creatura di Dio; l’uomo è il centro ed il vertice – sono i pilastri su cui si costruisce unarelazione vera e buona tra il Creatore, l’essere umano e il creato: relazione che genera una retta coscienza ecologica.

Seguendo il Messaggio del S. Padre, possiamo esprimere il contenuto di quella relazione, in maniera telegrafica nel modo seguente. Poiché il mondo, la creazione è opera di Dio, l’uomo non ne è il padrone assoluto, ma colui che la deve “custodire e coltivare”: la terra va coltivata non sfruttata; le energie del cosmo usate non dilapidate.

Poiché l’uomo è collocato in un grado dell’essere infinitamente superiore a tutta la creazione, egli ha il dovere di governarla studiandone gli ordinamenti intrinseci e ordinandola all’uso della persona umana.

Se la relazione tra il Creatore, l’essere umano e il creato è costruita nel modo suddetto, la coscienza ecologica sarà ispirata nei suoi giudizi, e la libertà governata nelle sue scelte, da quello che il S. Padre chiama il principio della solidarietà intra-generazionale e inter-generazionale. Cioè: la custodia, la coltivazione, l’uso della creazione deve tenere conto dell’uguale diritto di tutte le persone e di tutti i popoli a godere ed usufruire dei beni della creazione [solidarietà, intra-generazionale]. Deve tenere conto delle esigenze e dell’uguale diritto delle generazioni future [solidarietà inter-generazionale].

2. Cari fratelli e sorelle, la relazione vera e buona tra il Creatore, l’umanità e il creato è stata infranta dal peccato, fin dalle origini.

Come si manifesta questa falsificazione e rottura? Mi limito a richiamare la manifestazione più importante e drammatica. Ci aiuta ancora a vederla l’apostolo Paolo: «poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna, e hanno venerato e adorato la creatura al posto del Creatore» [Rom 1,15].

L’uomo, oggi, non raramente ha «cambiato la verità di Dio con la menzogna», non ha più riconosciuto la creazione come opera Sua, si è attribuito su di essa un dominio assoluto, comportandosi come un egoistico sfruttatore della medesima.

Il risultato è stato il capovolgimento della situazione: «hanno venerato e adorato la creatura al posto del Creatore». Al posto della creazione è subentrata la Natura, come la pensa l’ideologia ecologista: una nuova dea, Gaia, la grande madre che deve essere venerata e come adorata.

Siamo giunti ad una conclusione assai importante: il problema ecologico è in realtà un problema antropologico, e la sua soluzione dipende in ultima analisi dalla coscienza vera o falsa  che l’uomo ha di se stesso.

Siamo così riportati dentro al Mistero del Natale; il Mistero di Dio che si fa uomo, perché l’uomo non smarrisca la sua verità, la sua identità, la sua dignità.

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Italia


Quando i fascisti irruppero nell'Abbazia Ostiense alla ricerca di ebrei

ROMA, giovedì, 7 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un articolo a firma di dom Edmund Power, Abate di San Paolo fuori le Mura, apparso sul numero di gennaio di Paulus, dedicato al tema “Paolo l'orante” e contenente un dossier centrale sulla Lettera a Tito.




* * *

Durante la Seconda guerra mondiale ci fu un incidente legale significativo per le sue implicazioni riguardo ai rapporti fra i monaci di San Paolo fuori le Mura e gli ebrei. Tanto da diventare una causa celebre. Cito il primo, conciso avviso che ne diede L’Osservatore Romano del 7-8 febbraio 1944: «Nella notte tra il tre e il quattro febbraio guardie armate, qualificate come reparti della polizia repubblicana, al comando del dottor Pietro Caruso – del quale i giornali italiani pubblicarono alcuni giorni fa la nomina a Questore di Roma – penetrarono di viva forza negli edifici della Patriarcale Basilica di San Paolo, violando i diritti di extraterritorialità garantiti da solenne Trattato». La Santa Sede, naturalmente, elevò formale protesta.

La testimonianze dell’irruzione

Ciò che avvenne è raccontato nella relazione scritta a mano dall’abate Ildebrando Vannucci e depositata in Vaticano il 6 febbraio. Eccone alcuni passaggi: «Verso mezzanotte e mezzo venni svegliato da ripetuti colpi alla porta della camera e compresi subito che qualcosa di grave succedeva in monastero. Mi vestii in fretta e, uscito sul corridoio, un converso mi avverte che erano entrati vari poliziotti per arrestare il generale Monti, zio di un nostro monaco, D. Bernardo Mollari, che da qualche mese dimorava in San Paolo [...] Un gruppo di agenti aveva scavalcato il muro di cinta dell’orto, penetrando per la scala delle soffitte della Basilica, in un corridoio del monastero, sfondando una porta e minacciando con le rivoltelle in pugno i fratelli conversi che dormivano nelle loro celle [...] Intanto era incominciata l’invasione del monastero e molti poliziotti bussavano violentemente alle celle dei monaci ordinando di uscire. Sono state fatte perquisizioni in varie celle [...] sia abitate da monaci [...], sia specialmente abitate da ospiti [...] Una delle prime accuse che c’è stata fatta è stata quella di aver trovato manifesti e giornali comunisti [...] nelle celle dei monaci e degli ospiti. I monaci e gli ospiti venivano costretti ad andare nei saloni della portineria. Nei saloni fu fatto l’interrogatorio degli ospiti [...], i monaci furono lasciati nel primo salone e non interrogati. Mentre si faceva questo interrogatorio, continuavano queste perquisizioni in monastero [...] devastando ed esportando oggetti, cibarie e biancheria. Sono poi entrati, sempre con violenza, nel salone della parrocchia, dove erano alloggiate circa una cinquantina di persone e, sparando alcuni colpi di rivoltella, hanno ingiunto con insulti e minacce di seguirli nelle sale del parlatorio [...] Questi rifugiati furono schiaffeggiati, colpiti da staffilate e da calci in modo che molti sanguinavano [...] Riassumendo: la polizia entrò con violenza e con inganno senza presentare nessun mandato che, del resto, non potevano avere. Furono aggrediti monaci e conversi a mano armata, mentre ancora dormivano nelle loro celle; anche i monaci furono fatti scendere in parlatorio come requisiti, gli ospiti furono trattati con violenza, con insulti e con minacce [...] L’Abate, mentre sembrava che volessero usargli qualche riguardo, venne apostrofato con insulti. Le accuse non hanno alcun fondamento [...] L’accusa di banda comunista non è appoggiata da nessuna prova. Gli ospiti erano o parenti di monaci o sfollati o ebrei o persone della parrocchia che si ritenevano più sicuri in monastero». È suggestivo come l’abate Vannucci scriva di sfuggita «o ebrei», quasi che tale presenza fosse normale per l’ospitalità monastica, come motiva subito dopo: «che si ritenevano più sicuri in monastero». Nelle loro deposizioni, altri monaci suggeriscono che fra i poliziotti italiani ci fosse almeno un tedesco: «Faccio qui notare che credo di non sbagliarmi sulla provenienza tedesca

di tale individuo. Ho avuto molti amici tedeschi, sono poi professore di musica e ho studiato con particolare interesse la fonetica del discorso» (D. Cesario Amato osb). Un’altra deposizione, da parte del parroco della vicina parrocchia del Buon Pastore, che venne per caso all’Abbazia presto la mattina e fu ritenuto per un periodo, scrive: «Un certo Cav. Cocco [...] a spinte mi cacciò verso l’uscio del corridoio dicendo: “Voi preti e le vostre case siete un covo di ebrei e di traditori da fare a pezzi!”» (Sac. Pierluigi Occelli, 4 febbraio 1944).

Il dibattito sulla stampa nazionale

La presenza di ebrei viene ripresa parecchie volte dalla stampa. La versione ufficiale dell’evento viene raccontata in un articolo comparso su La Tribuna dell’8 febbraio: «La polizia repubblicana della Capitale ha compiuto un’importante operazione [...] circondato l’edificio, gli agenti [...] sono penetrati dentro e vi hanno trovato nascosti il generale dell’Aviazione Monti, quattro altri ufficiali, nove ebrei, due funzionari della P.S. e quarantotto giovani renitenti alla leva. Tutti sono tratti in arresto». Un articolo del Piccolo (9-10 febbraio) c’informa: «L’art. 22 del Trattato dice infatti: “La Santa Sede consegnerà allo Stato italiano le persone che si fossero rifugiate nella Città del Vaticano, imputate di atti commessi nel territorio italiano, che siano ritenuti delittuosi dalle leggi di ambedue gli Stati”». Secondo l’autore, poiché «ora le leggi italiane dichiarano gli ebrei “nemici della Patria”», la permanenza di ebrei a San Paolo sarebbe contraria al Trattato Lateranense... il quale, invece, specificava attentamente che gli “atti delittuosi” devono essere ritenuti tali dalle leggi «di ambedue gli Stati». E lo Stato della Città del Vaticano non riteneva «atto delittuoso» l’essere ebreo. Il solo Giornale d’Italia (10 febbraio) distingue gli ebrei dagli altri cosiddetti “criminali”: «Nel collegio di San Paolo non sono stati trovati, infatti, dei rifugiati politici e, a parte un gruppo di ebrei, dei “perseguitati”». Se non altro, si riconosce che gli ebrei sono “perseguitati”. Essi sono «Fiorentino Carlo, Soliani Umberto fu Isacco, nato a Lugano, domiciliato a Gardone e Arturo Spagnoletto Leonardo fu Mosè, Spagnoletto Aurelio di Leonardo, Spagnoletto Leonardo di Mario». A questi nomi, un po’ confusi, seguono quelli di tre minorenni: Mauro Alfredo, Gasparrini Franco e Pulzoni Mauro. Se anche costoro fossero stati ebrei, avremmo ricostruito il gruppo cui accennava La Tribuna. L’ultimo articolo da segnalare è quello del Popolo (20 febbraio), che afferma l’integrità delle persone arrestate a San Paolo: «Non si tratta piuttosto di perseguitati dall’odio di parte? Infatti, gli ufficiali accusati di diserzione sono invece dei patrioti [...] e gli ebrei? Sono anch’essi perseguitati in ragione delle leggi razziste contro le quali la Santa Sede ha sempre protestato con tanto vigore». Gli avvenimenti di quella notte dimostrano che l’Abbazia di San Paolo era tra gli istituti ecclesiastici di Roma che offrirono rifugio ai perseguitati – ebrei compresi – durante la guerra. E per finire, una curiosità: sui camminamenti superiori intorno alla Basilica – un’intercapedine muraria inaccessibile al pubblico – sono tutt’oggi visibili alcuni graffiti a matita, scritti in ebraico. Sarebbe stato un luogo perfetto per fornire un nascondiglio. Possiamo, dunque, concludere che gli ebrei furono accolti più volte a San Paolo durante il corso della guerra.

Edmund Power

Abate di San Paolo fuori le Mura

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Interviste


Più famiglie e più figli per superare la crisi (parte II)
Intervista al prof. Tommaso Cozzi

di Antonio Gaspari

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 7 gennaio 2010 (ZENIT.org).- “La famiglia ha in sé le potenzialità e le risorse che non sono di nessun’altra agenzia”. E' quanto ha detto a ZENIT il prof. Tommaso Cozzi, docente di Economia e Gestione delle Imprese presso l'Università di Bari.

La prima parte dell'intervista è stata pubblicata il 6 gennaio.

Perchè aborto, contraccezione, limitazione delle nascite e divorzio limitano lo sviluppo economico e sociale delle civiltà?

Cozzi: Lentamente si sta facendo strada tra sociologi, economisti, psicologi, antropologi, l’idea che il matrimonio e la famiglia costituiscano le fondamenta non solo del successo individuale, ma anche di una società orientata verso valori positivi e di bene comune.

L’antropologa Margaret Mead (cfr. ricerca elaborata dagli Educatori Alan and June Saunders dal titolo: “La Centralità del Matrimonio e della Famiglia nella Creazione di un Mondo di Pace”) ha recentemente affermato: “Per quanto indietro la nostra conoscenza ci possa portare, gli esseri umani hanno vissuto in famiglie. Non conosciamo periodo in cui non fosse così. Sappiamo che nessuna persona sia riuscita per lungo tempo a dissolvere la famiglia o a rimuoverla… Ancora e ancora, a dispetto di proposte di cambiamento ed esperimenti reali, le società umane hanno riaffermato la loro dipendenza dalla famiglia come l’unità base del vivere umano - la famiglia composta da padre, madre e figli”.

Il deterioramento della famiglia contribuisce al declino della società. Dati schiaccianti (v. sopra) confermano che la famiglia composta da un padre, una madre e figli biologici, che vivono insieme ed sono coinvolti positivamente nelle loro vite reciproche, rappresenta la condizione ottimale per la flessibilità e il successo della generazione futura.

I bambini che vivono con un solo genitore hanno più problemi emotivi e comportamentali rispetto ai bambini che vivono nelle famiglie tradizionali, composte da due genitori. I bambini dei genitori singoli e delle famiglie allargate mostrano più sintomi di aggressione, usano alcool o altre droghe, sviluppano un comportamento criminale, problemi psicologici, come la depressione, la scarsa stima di se stessi e pensieri suicidi.

Anche trascorrere del tempo a casa di un solo genitore è un fattore di rischio: “I bambini che trascorrono del tempo o tutto il tempo a casa di un solo genitore sono esposti ad alto rischio di conseguire risultati scarsi riguardo la sfera comportamentale e cognitiva, i bambini che vengono cresciuti a casa di un solo genitore si trovano sempre, fin dalla nascita a maggior rischio… Confrontati con i bambini che crescono insieme ai loro genitori, hanno un alto livello di problemi legati al comportamento e punteggi bassi nei test cognitivi” (cfr. Waite-Gallagher “The case of Marriage” Ist. dei Valori Americani).

Fino alla metà degli anni '80 gli aspetti intra-familiari e di genere della distribuzione del reddito e dello sviluppo economico non avevano ricevuto sufficiente attenzione nelle decisioni di politica economica. Nell’ultimo decennio, grazie in parte alla teoria economica e al miglioramento nella qualità dei micro dati, l'importanza di conoscere in modo più approfondito gli aspetti legati alla allocazione del potere e delle risorse all’interno della famiglia è stata sempre più riconosciuta.

Nel saggio A Treatise on the Family G.S.Becker, ad esempio, descrive la famiglia e la sua "produzione" quotidiana di beni – dall’assistenza all’infanzia alla preparazione dei pasti – come "una piccola azienda" che produce "beni essenziali". All’interno di questo modello, considera prevedibili i mutamenti verificatisi all’interno della struttura familiare per quanto riguarda l’allocazione del tempo, il numero di figli, la scelta dell’istruzione, la frequenza dei divorzi, e così via.

Rispetto all’analisi basata sulla tradizionale dicotomia lavoro/tempo libero, il modello di Becker fornisce una teoria generale per l’allocazione del tempo da parte delle famiglie, come quella esemplificata nel saggio "A Theory of the Allocation of Time" ("Una teoria dell’allocazione del tempo", 1965).

Quando i salari reali crescono, parallelamente alla possibilità di sostituire, nei lavori domestici, il capitale al lavoro manuale, diventa sempre più anti-economico che uno dei membri della famiglia si dedichi totalmente a qualche forma di lavoro domestico, per esempio alla cura dei bambini.

Di conseguenza, alcune delle funzioni sociali ed economiche un tempo attribuite alla famiglia vengono trasferite ad altre istituzioni, come aziende, scuole e altri enti pubblici.

Nel suo articolo "An Economic Analysis of Marital Instability" ("Un’analisi economica dell’instabilità matrimoniale", con E.M. Landes e R.T. Michael, 1977), Becker ipotizza che questi processi spieghino non solo il maggior coinvolgimento delle donne sposate in occupazioni extradomestiche, ma anche il crescente ricorso al divorzio. Ecco uno dei tipici errori di prospettiva o di “vision”. Il problema viene spostato dalla interpretazione del senso del matrimonio e della famiglia, alle pure dinamiche di tipo economico.

Secondo il pensiero liberale, il capitale umano e quello sociale sono alla base di ogni economia che si sviluppa. Ma nella dottrina sociale della Chiesa cattolica, vita e famiglia hanno un valore che va oltre il capitale, per questo si auspica una condivisione fraterna dei problemi indicando lo sviluppo come una vocazione che si realizza attraverso la creazione di una civiltà dell’amore. Può illustrarci il passaggio dalla concezione liberale della persona e delle famiglie alla concezione cattolica?

Cozzi: Nella società dei consumi la comunità non esiste. In essa i membri costituiscono un’entità molto più simile ad uno sciame che ad un gruppo. Ogni elemento dello sciame ripete singolarmente i movimenti degli altri, dall’inizio alla fine. Lo scambio, la cooperazione, la complementarietà tipiche di una comunità si dissolvono miseramente in favore di una semplice prossimità fisica e di una generale direzione di movimento.

Nei templi del consumo non si sviluppa interazione ma azione pura e semplice. La cooperazione non viene richiesta, non è necessaria, ed è decisamente superflua. Lo sciame dei consumatori è nella sua costituzione, molto lontano dall’idea di una totalità o di una congregazione; esso è piuttosto una massa multiforme.

L’interesse personale prevale su tutto; arrivare prima di qualcun altro alla conquista dell’ultimo esemplare del prodotto in offerta, rappresenta un successo senza eguali; avere l’esclusiva su un prodotto è un fattore di orgoglio, che alimenta la propria autostima, che permette di mostrare la propria superiorità rispetto al resto dello sciame. Appare utile, a questo punto, riprendere l’idea di capitale sociale in termini “collettivistici” come proposta dal sociologo Robert Putnam (1993). Putnam definisce il capitale sociale come “la fiducia, le norme che regolano la convivenza, le reti di associazionismo civico, elementi che migliorano l’efficienza dell’organizzazione sociale promuovendo iniziative prese di comune accordo”.

La famiglia ha in sé le potenzialità e le risorse che non sono di nessun’altra agenzia. E’ una forza sistemica e dovrebbe usare il suo potere di forza propositiva di valori: valori della vita, della solidarietà, della gratuità, della condivisione, che sono valori di umanizzazione per ogni suo componente e per tutta la società.

La famiglia detiene una “soggettività sociale” che non le deriva da altri, perché è inscritta nella sua natura ed è frutto di quelle relazioni che stanno all’origine di ogni società.

E, proprio per questo, ha la capacità di ridefinire i processi di socializzazione dell’individuo incidendo su quelli che sono i fenomeni che lo possono portare al suo impoverimento o addirittura all’annientamento di sé. E si rileva che il divario tra ciò che esiste e ciò che ci dovrebbe essere è ancora molto ampio. Le politiche familiari sono ancora agli inizi.

Le varie politiche, come fino ad oggi sono state concepite, sono rivolte più ai bisogni di un individuo che è considerato destinatario unico dei diversi interventi di welfare. Un individuo solo, prescindendo dal contesto in cui esso vive, dal suo habitat familiare, dalle sue relazioni e reti di riferimento.

E’ diverso parlare di tempi di lavoro pensando solo alla produttività o pensando, si, alla produttività, ma allo stesso tempo tenendo conto anche dei tempi delle famiglie, dei tempi destinati ai bisogni della relazione tra genitori e figli. Un tale capitale sociale non è tanto una risorsa da trovarsi nelle relazioni sociali, quanto piuttosto una risorsa che nasce dalle relazioni sociali.

La famiglia, pertanto, è lo specifico del dono, dell’amore, dell’affettività, tutte caratteristiche che la fanno essere “tipico del Capitale Sociale”: una relazione tra i membri diversi (generi e generazioni) della famiglia che valorizza la relazione stessa producendo concretamente cura, tutela del minore o di chi è in difficoltà, azione economica crescita, dono, accoglienza, educazione, solidarietà…..Ribaltata appare l’ottica di chi adotta un approccio “individualistico”.

Le definizioni di capitale sociale proposte da chi segue tale approccio hanno quali protagonisti i singoli individui e le competenze e le capacità relazionali che essi posseggono. Il rapporto che intercorre tra la famiglia e la vita economica è particolarmente significativo.

Da una parte, infatti, l'economia è nata dal lavoro domestico: la casa è stata per lungo tempo, e ancora continua ad essere, unità di produzione e centro di vita. Il dinamismo della vita economica, d'altra parte, si sviluppa con l'iniziativa delle persone e si realizza, secondo cerchi concentrici, in reti sempre più vaste di produzione e di scambio di beni e di servizi, che coinvolgono in misura crescente le famiglie.

La famiglia, dunque, va considerata, a buon diritto, come una protagonista essenziale della vita economica, orientata non dalla logica del mercato, ma da quella della condivisione e della solidarietà tra generazioni. Un rapporto del tutto particolare lega la famiglia e il lavoro.

Il lavoro è essenziale in quanto rappresenta la condizione che rende possibile la fondazione di una famiglia, i cui mezzi di sussistenza si acquistano mediante il lavoro. L'apporto che la famiglia può offrire alla realtà del lavoro è prezioso, e per molti versi, insostituibile.

Il titolo del Messaggio della Conferenza Episcopale Italiana per la 32a Giornata Nazionale per la vita (7 febbraio 2010) è “La forza della vita una sfida nella povertà”, ma secondo quanto lei sostiene potrebbe diventare “La forza della vita per vincere la povertà”…. Abbiamo compreso bene?

Cozzi: Partirei dal commento di un recente avvenimento che, apparentemente, non ha alcun legame con il tema della prossima giornata della vita. Mi riferisco al recente Summit di Copenaghen sul clima. Pongo alcune domande: l’Occidente è davvero interessato a risolvere i problemi del pianeta? Al centro delle discussioni c’era realmente la necessità di difendere la vita e l’umanità? Stilwell dell’Institute for Governance and Sustainable Development ha affermato che i negoziati non hanno riguardato la possibilità di scongiurare il cambiamento del clima, ma sono stati soltanto una battaglia indiretta per accaparrarsi una risorsa inestimabile: il diritto ad avere un cielo.

Ed ancora, A. Njamnshi del Pan African Climate Justice Alliance ha dichiarato “Non si può affermare di proporre una soluzione al cambiamento del clima se questa soluzione comporterà la morte di milioni di africani e se a pagare per il cambiamento del clima saranno i poveri e non i responsabili dell’inquinamento”.

Nel documento della CEI per la prossima Giornata della Vita, vengono evidenziati, tra gli altri, due concetti: quello “della condivisione e della capacità di prenderci cura gli uni degli altri” e l’altro che riguarda la necessità di essere “solidali con quelle madri che, spaventate dallo spettro della recessione economica, possono essere tentate di rinunciare o interrompere la gravidanza”.

Cosa è la forza della vita? E’ in primo luogo credere nella capacità delle vite già esistenti (quelle degli uomini e soprattutto delle donne che abitano il pianeta e che incontriamo nel nostro quotidiano) di essere naturalmente portate a generare la vita per rigenerare l’umanità.

Ma tale orientamento, già insito nella coscienza umana, resta pura aspirazione se non siamo pragmaticamente capaci di condividere beni materiali e morali, se non siamo capaci di prenderci cura gli uni degli altri, direi di compatire (patire-con gli altri); in una parola, e non siamo solidali.

Tali atteggiamenti permettono alla vita di avere forza per vincere la povertà materiale, ma anche la povertà interiore che in molti casi è figlia della prima. E’ necessario pensare alla vita nascente ed alla vita che si estingue nel suo naturale ciclo vitale, guardando in primo luogo alla vita che è già in essere, alla vita che è già presente in noi e tra noi.

Non si tratta solo di raggiungere il benessere, ma in primo luogo di interpretare cosa si intenda con tale termine. Essere bene (ben-essere) significa rafforzare in senso morale e materiale quanto è già presente nella nostra società, ma che non viene condiviso e solidarizzato tra tutti e cioè consentire di provvedere a sé e ai propri cari una casa; possedere quanto necessario per il sostentamento, le cure mediche, l’istruzione, la realizzazione nel proprio ambito lavorativo.

Ai giovani offre la sicurezza di poter costruire una nuova famiglia. Il benessere economico, così, inteso va di pari passo con una vita sobria. La sobrietà se riscoperta in ambito familiare, significa ricentrare l'attenzione sulla vita di relazione più che sui beni di consumo.

Laddove la sobrietà non è vissuta, facilmente la qualità della vita e quella dei rapporti interpersonali risultano influenzate da eccessi di carrierismo, da attaccamento ai beni, da competitività - fin dai primi anni –, da stress da consumo, da frustrazione per senso di inadeguatezza alle aspettative e quindi da impoverimento delle persone e mancanza di fiducia nella vita attuale, in quelle future da generare, in quelle che si stanno consumando dopo aver profuso la forza di cui erano capaci e su cui è fondata la società contemporanea.

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Discorso di Benedetto XVI al nuovo ambasciatore di Turchia
La Chiesa cattolica nel Paese attende il riconoscimento giuridico civile

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 7 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo giovedì da Benedetto XVI nel ricevere in udienza il sign. Kenan Gürsoy, ambasciatore di Turchia presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle lettere credenziali.




* * *



Signor Ambasciatore,

sono lieto di accoglierla in Vaticano e di accettare le Lettere che la accreditano quale Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario  della Repubblica di Turchia presso la Santa Sede. La ringrazio per le parole cordiali e per i saluti che mi porge da parte del suo Presidente, sua Eccellenza Abdullah Gül. La prego di trasmettergli i miei buoni auspici e di assicurarlo delle mie preghiere costanti  per il benessere  e la prosperità di tutti i cittadini del suo Paese.

Come Lei, Eccellenza, ha osservato, ci avviciniamo rapidamente al cinquantesimo anniversario dell'instaurazione di relazioni diplomatiche fra la Turchia e la Santa Sede, un frutto del pontificato del mio predecessore Papa Giovanni xxiii, che fu Delegato Apostolico a Istanbul e il cui affetto per il popolo turco è ben noto. Negli ultimi  cinquant'anni si è ottenuto molto nelle aree di interesse comune che Lei ha indicato, e confido nel fatto che queste relazioni cordiali possano divenire più profonde e più solide in seguito alla collaborazione costante in molte e importanti questioni che attualmente  sorgono negli affari multilaterali.

Ricordo con grande piacere la mia visita nel vostro Paese, nel 2006, quando ho potuto porgere i miei omaggi al popolo turco e ai membri del suo Governo. Colgo quest'opportunità per rinnovare il mio apprezzamento per l'accoglienza calorosa che ho ricevuto. Uno dei momenti salienti di quella visita è stato il mio incontro con il Patriarca Bartolomeo I presso il Fanar. Nella Repubblica laica di Turchia, accanto alla popolazione musulmana predominante, le comunità cristiane sono orgogliose di svolgere il proprio ruolo, consapevoli  della loro antica eredità e del contributo significativo che hanno reso alla civiltà,  non solo del suo Paese, ma anche di tutta l'Europa. Durante le recenti celebrazioni del bimillenario della nascita di Paolo di Tarso, tale eredità cristiana è divenuta un punto focale di particolare attenzione nel mondo, e desidero esprimere l'apprezzamento  dei cristiani ovunque per i progressi compiuti per facilitare pellegrinaggi e celebrazioni liturgiche nei siti associati al grande Apostolo.

La mia visita in Turchia mi ha anche offerto la gradita opportunità di salutare i membri della comunità musulmana. Infatti, è stata la mia prima visita come Pontefice in un Paese a predominanza islamica.

Sono stato lieto di poter esprimere stima ai musulmani e di poter  reiterare l'impegno della Chiesa cattolica per far progredire il dialogo interreligioso in uno spirito di rispetto  e di amicizia reciproci, recando  testimonianza congiunta della salda fede in Dio che caratterizza cristiani e musulmani, lottando  per conoscerci meglio reciprocamente al fine di rafforzare i vincoli di affetto fra noi (cfr. Discorso, Incontro con il Presidente  del Dipartimento per gli Affari Religiosi, Ankara, 28 novembre 2006). Prego con fervore affinché questo processo conduca a una maggiore fiducia fra individui, comunità e popolazioni, in particolare nelle aree turbolente del Medio Oriente.

In Turchia i cattolici apprezzano la libertà di culto che è garantita dalla Costituzione e sono lieti di poter contribuire al benessere dei loro concittadini, in particolare attraverso l'impegno nell'attività caritativa e nella sanità. Sono giustamente orgogliosi dell'assistenza offerta ai poveri dagli ospedali La Paix e Saint Georges a Istanbul. Affinché questi degni sforzi possano prosperare, sono certo che il Governo continuerà a fare il possibile perché essi ricevano tutto il sostegno necessario. Inoltre, la Chiesa cattolica in Turchia attende il riconoscimento giuridico civile. Ciò le permetterebbe di godere della piena libertà religiosa e di apportare un contributo maggiore  alla società.

In quanto Stato democratico laico, tagliato in due dal confine fra Europa e Asia, la Turchia è nella posizione giusta per fungere da ponte fra l'islam e l'Occidente e per rendere un contributo importante  allo sforzo di portare pace e stabilità in Medio Oriente. La Santa Sede apprezza le numerose iniziative che la Turchia ha già intrapreso a questo proposito ed è orgogliosa di sostenere sforzi ulteriori  per porre fine a conflitti annosi nella regione. Come la storia ha spesso dimostrato, le dispute territoriali e le rivalità etniche si possono risolvere in maniera soddisfacente soltanto quando le aspirazioni legittime di ciascuna parte sono doverosamente prese in considerazione, le ingiustizie passate riconosciute e, se possibile, riparate. L'assicuro, Eccellenza, dell'alta priorità che la Santa Sede assegna alla ricerca di soluzioni giuste e durature  a tutti i conflitti  della regione e della sua disponibilità a porre le risorse diplomatiche  al servizio della pace e della riconciliazione.

Nel porgerle i miei migliori auspici per il successo  della sua missione, desidero assicurarla del fatto che i vari dicasteri della Curia Romana saranno sempre lieti di offrirle aiuto e sostegno nello svolgimento dei suoi compiti. Su di lei, Eccellenza, sulla sua famiglia e su tutto il popolo della Repubblica di Turchia invoco di cuore le benedizioni abbondanti dell'Onnipotente.



[Traduzione dal testo in inglese a cura de “L'Osservatore Romano”]

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