venerdì 12 marzo 2010

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Servizio quotidiano - 12 marzo 2010

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Si lavora a nuove misure per contrastare gli abusi del clero
I Vescovi tedeschi assicurano più prevenzione e collaborazione con le autorità giudiziarie

ROMA, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- La Congregazione per la dottrina della fede sta lavorando a una revisione delle norme vigenti nella Chiesa universale al fine di affrontare lo scandalo degli abusi sessuali sui minori. E' quanto ha rivelato questo venerdì il presidente dei Vescovi tedeschi, monsignor Robert Zollitsch, subito dopo essere stato ricevuto in udienza da Benedetto XVI.

Nel corso di un incontro con la stampa di tutto il mondo tenutosi presso il Collegio teutonico all'interno del Vaticano, l'Arcivescovo di Friburgo im Breisgau ha detto: “Nel colloquio che ho avuto con la Congregazione per la dottrina della fede è emerso che essa sta accogliendo le esperienze nei vari paesi per poi fare una valutazione complessiva ed eventualmente adeguare le proprie norme”.

In un comunicato pubblicato sul sito della Conferenza episcopale tedesca, invece, monsignor Zollitsch ha detto di aver informato in particolare il Papa sulle misure in via di adozione per arginare questo fenomeno e di aver ricevuto da lui l'incoraggimaento “a proseguire la messa in opera di questo piano di misure con tenacia e coraggio”.

“Per me è stato importante rendere chiaro che i vescovi tedeschi sono profondamente sconvolti per i soprusi che sono stati possibili nell'ambiente ecclesiale”, si legge nel comunicato.

“Vogliamo scoprire la verità – ha continuato – e arrivare a una spiegazione leale, priva di false interpretazioni, anche quando ci vengono presentati casi che risalgono a molto tempo fa. Le vittime ne hanno diritto”.

A questo proposto ha spiegato che le “Direttive” previste dalla Conferenza episcopale tedesca per questi casi “assicurano alle vittime e ai loro parenti un aiuto umano, terapeutico e pastorale, che viene adattato individualmente” e che “in ogni diocesi esiste una persona a cui rivolgersi”.

L'altro passo, sottolineato dal presule, è la prevenzione, per cui viene chiesto “alle parrocchie e, in particolare, ai responsabili delle nostre scuole e del lavoro giovanile, di promuovere una cultura di attenta osservazione”.

Tra le altre misure adottate dai Vescovi tedeschi nella loro Assemblea plenaria tenutasi a Friburgo dal 22 al 25 febbraio, c'è stata quella di istituire un apposito ufficio nazionale per le denunce degli abusi sessuali guidato da monsignor Stephan Ackermann, Vescovo di Treviri. Una iniziativa questa accolta favorevolmente dal Santo Padre.

I Vescovi sono inoltre attualmente impegnati nel cercare “un dialogo per il chiarimento e la prevenzione con il maggior numero possibile di attori della scena sociale” e “in questo rientra anche il sostegno della Chiesa alle autorità giudiziarie statali nel perseguire gli abusi sessuali contro i minori”.

A questo proposito, il presule ha fatto sapere che i Ministri tedeschi per la famiglia e per l’educazione hanno promosso per il prossimo 23 aprile una tavola rotonda incentrata proprio sugli abusi sessuali e sulle misure preventive da adottare, a cui parteciperanno anche i rappresentanti della Conferenza episcopale tedesca.

“Invitiamo i sacerdoti e gli impiegati laici delle nostre strutture ecclesiastiche, come anche i volontari, ad autodenunciarsi quando vi possano essere fatti significativi. Informeremo noi le autorità giudiziarie”, ha continuato.

“Rinunceremo a farlo – ha chiarito – solo in circostanze straordinarie, per esempio quando ciò corrisponde all'espresso desiderio della vittima”.

Il presidente dei Vescovi tedeschi ha poi precisato che “in caso di sospetto di abusi sessuali esiste una procedura penale statale e una ecclesiastica” che “riguardano diversi ambiti giuridici e sono del tutto separate e indipendenti l'una dall'altra”.

Inoltre, ha evidenziato, “il procedimento ecclesiastico non è superiore a quello statale. L'esito della procedura ecclesiastica non ha alcuna influenza sul procedimento statale, né sul sostegno della Chiesa alle autorità giudiziarie statali”.

Infine, durante l'incontro con i giornalisti, il presule ha tenuto a rimarcare che i casi di abusi sessuali verificatisi in Germania riflettono in realtà un fenomeno trasversale che non riguarda solamente la Chiesa cattolica, per cui ciò che manca è un dibattito più serio su queste tematiche all'interno della società.


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La responsabilità sul prete pedofilo a Monaco non fu di Ratzinger
Ad autoaccusarsi è l'allora vicario generale della diocesi, Gerhard Gruber

di Gisèle Plantec e Jesús Colina

ROMA, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- Non fu l'allora cardinale Joseph Ratzinger a riassegnare, agli inizi degli anni Ottanta, un sacerdote pedofilo a un incarico pastorale nell'arcidiocesi di Monaco e Frisinga, della quale era a capo.

Un comunicato diramato questo venerdì sera dalla Sala Stampa della Santa Sede chiarisce le anticipazioni del quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung “circa un sacerdote della diocesi di Essen, con precedenti di abuso sessuale, trasferito nella diocesi di Monaco di Baviera ed immesso, dopo un periodo di cura, nell’attività pastorale ai tempi in cui era arcivescovo il cardinale Joseph Ratzinger”.

La nota vaticana fa riferimento a un comunicato pubblicato dall'arcidiocesi di Monaco e Frisinga che “spiega i fatti, di cui si assume 'piena responsabilità' il vicario generale della diocesi di allora, Gerhard Gruber”.

L'arcidiocesi di Monaco spiega che il vicario generale, mons. Peter Beer, ha dato vita a una équipe il cui scopo è quello di studiare le procedure adottate in passato nell'affrontare le accuse di abusi sessuali attribuite ai sacerdoti nel corso degli anni Ottanta.

In particolare, questa équipe ha fatto sapere che un sacerdote, di cui non viene rivelata l'identità ma il cui nome viene indicato con l'iniziale “H.”, su sollecitudine della diocesi di Essen, nel Land del Nord Reno-Westfalia, venne accolto nel gennaio del 1980 dall'arcidiocesi di Monaco per essere sottoposto a una terapia.

Studiando il dossier, l'equipe dell'arcidiocesi ha dedotto che il sacerdote dovesse seguire dei trattamenti psicoterapeutici per il fatto di aver avuto rapporti sessuali con dei ragazzi. Nel 1980, prosegue il comunicato, si decise allora di permettere al sacerdote di alloggiare in una casa parrocchiale al fine di sottoporsi a psicoterapia.

“Questa decisione venne presa dall'arcivescovo”, incarico ricoperto allora dal cardinale Ratzinger. Tuttavia, spiega ancora la diocesi, “nonostante questa decisione, H. venne assegnato senza alcuna restrizione dall'allora vicario generale alla cura pastorale in una parrocchia di Monaco”.

Questa provvedimento, pertanto, non fu opera di Ratzinger, che poco tempo dopo, il 25 novembre del 1981, sarà nominato da Giovanni Paolo II prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.

Il sacerdote venne quindi rimosso dal suo ministero nel 1985, quando la diocesi venne a conoscenza di denunce di abusi sessuali a suo carico e del fatto che era al centro di una inchiesta giudiziaria.

Nel giugno del 1986, infatti, venne condannato dal Tribunale del distretto di Ebersberg con l'accusa di abusi sessuali su minori a 18 mesi di reclusione con la condizionale e al pagamento di una multa di 4000 marchi tedeschi. All'accusato venne inoltre ordinato di sottoporsi a trattamento psicoterapeutico.

Dal novembre del 1986 all'ottobre del 1987 il sacerdote divenne cappellano in una casa di risposo per anziani. Successivamente, spiega il comunicato, gli venne affidata una parrocchia di Garching sulla base di due elementi decisivi: la sentenza relativamente leggera comminatagli dal Tribunale del distretto di Ebersberg e la perizia offerta dalla psicologa che lo aveva in cura.

Dalla sentenza del 1986, le autorità diocesane non sono venute più a conoscenza di nessun altro caso di abuso a lui riferibile.

Il 6 maggio del 2008 venne rimosso dal suo incarico di amministratore parrocchiale a Garching, mentre dall'ottobre del 2008 è stato assegnato alla pastorale del Turismo, a condizione di non aver alcun contatto con bambini, giovani e chierichetti. Un dossier preparato su richiesta del nuovo arcivescovo Reinhard Marx ha confermato che non avrebbe dovuto essere reintrodotto nella parrocchia.

Secondo quanto spiegato nel comunicato dallo stesso ex vicario generale Gerhard Gruber: “La riassegnazione di H. alla cura pastorale è stato un errore grave. Mi assumo la piena responsabilità di questa azione. Mi rammarico profondamente che da questa scelta siano derivati reati che hanno coinvolto dei giovani e chiedo scusa a tutti coloro cui è stato recato danno”.

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La vocazione spirituale deve prevalere sul ruolo sociale del sacerdote
I presbiteri devono innanzitutto irradiare a Cristo, segnala un Vescovo olandese

di Carmen Elena Villa

ROMA, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il Vescovo di Utrecht (Olanda), monsignor Willem Jacobus Eijk, ha espresso la sua preoccupazione per la "mancanza di contenuto spirituale" di alcuni sacerdoti che purtroppo mettono il lavoro sociale al di sopra della propria vita spirituale.

Lo ha dichiarato in un intervento sul tema "Tra la vocazione spirituale e il ruolo sociale" durante il Congresso "Fedeltà di Cristo, fedeltà del Sacerdote", terminato questo venerdì presso la Pontificia Università Lateranense di Roma in occasione dell'Anno Sacerdotale.

Dopo aver presentato un contesto storico della situazione attuale del sacerdote, monsignor Eijk ha sottolineato che l'aspetto più prezioso della vocazione sacerdotale risiede nella "sua identità intrinseca, quella sacramentale di uomo che rappresenta Cristo in persona", ma che in molte occasioni si cade nell'errore di "essere affezionati alla loro identità estrinseca, cioè alle funzioni di leader nella società profana e delle organizzazioni cattoliche".

Una delle cause di ciò, ha osservato, "va ricercata nella crescente difficoltà di dedicarsi alla cura delle anime, attività insidiata dalla secolarizzazione".

Il Concilio Vaticano II e l'identità sacerdotale

Il Vescovo olandese ha affermato che il Concilio Vaticano II, segnalando l'identità del laico nella Chiesa, ha anche sottolineato la vocazione del sacerdote di essere un altro Cristo.

"Il Concilio non ha introdotto una discontinuità nell'identità del prete", ha spiegato, osservando tuttavia che "c'è stata comunque una tale discontinuità, fuori del contesto del Concilio, in due fasi diverse".

"La prima", ha rilevato, "è stata una modifica graduale del modo in cui i preti vivevano la loro identità intrinseca, fenomeno che si è manifestato almeno nell'Europa del nord-ovest negli anni Quaranta del secolo scorso".

Nella seconda fase, "l'immagine sociale che il prete aveva fino alla fine degli anni Cinquanta è venuta meno rapidamente nell'epoca rivoluzionaria degli anni Sessanta".

Monsignor Eijk ha quindi dichiarato che il Concilio, "fissando i paletti giusto in tempo, ha evitato che la crisi minasse in modo ancor più grave l'identità del sacerdote". In questo modo, ha detto, il presbitero avrà sempre la sfida di trovare un equilibrio tra il ruolo sociale e la vita spirituale.

Per questo, è necessario "evitare tentativi di forzare vocazioni sacerdotali, fissando l'attenzione sull'identità estrinseca del sacerdote".

I presbiteri, ha riconosciuto, sono "quotidianamente esposti alla pressione, alle tensioni e alle delusioni connesse alla proclamazione del Vangelo nella nostra società poco aperta alla fede cristiana", motivo che influisce sul fatto che non pochi di loro cadano nell'attivismo.

Per rimanere fedeli all'aspetto principale della loro vocazione, ha concluso monsignor Eijk, devono "curare il più possibile il loro rapporto con Cristo Sacerdote, Maestro e Pastore".




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Benedetto XVI: il celibato sacerdotale, "autentica profezia del Regno"
Riceve i partecipanti al Convegno "Fedeltà di Cristo, fedeltà del Sacerdote"

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- L'impegno nel “carisma della profezia”, a cominciare dal celibato, “autentica profezia del Regno”, è il compito che Benedetto XVI ha lasciato questo venerdì mattina ai partecipanti al Convegno Teologico Internazionale “Fedeltà di Cristo, fedeltà del Sacerdote”, ricevuti nell'Aula della Benedizione del Palazzo Apostolico Vaticano.

Al Convegno, svoltosi questi giovedì e venerdì presso la Pontificia Università Lateranense e promosso dalla Congregazione vaticana per il Clero, hanno partecipato più di 50 Vescovi e oltre 500 sacerdoti, molti dei quali responsabili nazionali o diocesani del Clero e della formazione permanente.

Nel suo discorso, il Pontefice ha ricordato che “nel tempo in cui viviamo è particolarmente importante che la chiamata a partecipare all’unico Sacerdozio di Cristo nel Ministero ordinato fiorisca nel 'carisma della profezia'”.

“C’è grande bisogno di sacerdoti che parlino di Dio al mondo e che presentino a Dio il mondo – ha spiegato –; uomini non soggetti ad effimere mode culturali, ma capaci di vivere autenticamente quella libertà che solo la certezza dell’appartenenza a Dio è in grado di donare”.

Secondo il Papa, la profezia più necessaria al giorno d'oggi “è quella della fedeltà, che partendo dalla Fedeltà di Cristo all’umanità, attraverso la Chiesa ed il Sacerdozio ministeriale, conduca a vivere il proprio sacerdozio nella totale adesione a Cristo e alla Chiesa”.

Il sacerdote, infatti, “non appartiene più a se stesso, ma, per il sigillo sacramentale ricevuto, è 'proprietà' di Dio”, e “questo suo 'essere di un Altro' deve diventare riconoscibile da tutti, attraverso una limpida testimonianza”.

“Nel modo di pensare, di parlare, di giudicare i fatti del mondo, di servire e amare, di relazionarsi con le persone, anche nell’abito, il sacerdote deve trarre forza profetica dalla sua appartenenza sacramentale, dal suo essere profondo”.

L'importanza del celibato

L’orizzonte dell’appartenenza ontologica a Dio, ha proseguito il Vescovo di Roma, costituisce “la giusta cornice” per “comprendere e riaffermare, anche ai nostri giorni, il valore del sacro celibato, che nella Chiesa latina è un carisma richiesto per l’Ordine sacro ed è tenuto in grandissima considerazione nelle Chiese Orientali”.

“Esso è autentica profezia del Regno, segno della consacrazione con cuore indiviso al Signore e alle 'cose del Signore', espressione del dono di sé a Dio e agli altri”.

Quella del sacerdote, ha sottolineato, è “un’altissima vocazione, che rimane un grande Mistero anche per quanti l’abbiamo ricevuta in dono”.

“I nostri limiti e le nostre debolezze devono indurci a vivere e a custodire con profonda fede tale dono prezioso, con il quale Cristo ci ha configurati a Sé, rendendoci partecipi della Sua Missione salvifica”.

“La vita profetica, senza compromessi, con la quale serviremo Dio e il mondo, annunciando il Vangelo e celebrando i Sacramenti, favorirà l’avvento del Regno già presente e la crescita del Popolo di Dio nella fede”.

Identità

Benedetto XVI ha voluto quindi sottolineare l'importanza del tema dell’identità sacerdotale, oggetto della prima giornata di studio del Convegno e che il Papa ha definito “determinante per l’esercizio del sacerdozio ministeriale nel presente e nel futuro”.

“In un’epoca come la nostra, così 'policentrica' ed incline a sfumare ogni tipo di concezione identitaria, da molti ritenuta contraria alla libertà e alla democrazia, è importante avere ben chiara la peculiarità teologica del Ministero ordinato per non cedere alla tentazione di ridurlo alle categorie culturali dominanti”, ha constatato.

“In un contesto di diffusa secolarizzazione, che esclude progressivamente Dio dalla sfera pubblica, e, tendenzialmente, anche dalla coscienza sociale condivisa, spesso il sacerdote appare 'estraneo' al sentire comune, proprio per gli aspetti più fondamentali del suo ministero, come quelli di essere uomo del sacro, sottratto al mondo per intercedere a favore del mondo, costituito, in tale missione, da Dio e non dagli uomini”.

In questo contesto, ha invitato a “superare pericolosi riduzionismi”, che nei decenni passati, “utilizzando categorie più funzionalistiche che ontologiche”, hanno presentato il sacerdote “quasi come un 'operatore sociale', rischiando di tradire lo stesso Sacerdozio di Cristo”.

“Gli uomini e le donne del nostro tempo ci chiedono soltanto di essere fino in fondo sacerdoti e nient’altro”, ha ricordato il Papa.

“I fedeli laici troveranno in tante altre persone ciò di cui umanamente hanno bisogno – ha concluso –, ma solo nel sacerdote potranno trovare quella Parola di Dio che deve essere sempre sulle sue labbra; la Misericordia del Padre, abbondantemente e gratuitamente elargita nel Sacramento della Riconciliazione; il Pane di Vita nuova, 'vero cibo dato agli uomini'”.

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Padre Cantalamessa: l'Eucaristia deve plasmare la vita del sacerdote
Seconda predica di Quaresima alla presenza del Papa e della Curia Romana

ROMA, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il sacerdote, nel suo ministero, attinge la propria forza dal sacrificio di Cristo, per questo deve imperniare tutta la sua vita attorno all'Eucaristia e aiutare anche i fedeli a viverla.

E' quanto ha detto questo venerdì padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia in occasione della seconda predica di Quaresima tenuta nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico, alla presenza del Papa e della Curia Romana.

Il sacerdozio cristiano, ha affermato il cappuccino, non si spiega “se non in dipendenza e come partecipazione sacramentale al sacerdozio di Cristo”: “l’offerta del sacerdote e di tutta la Chiesa, senza quella di Gesù, non sarebbe né santa, né gradita a Dio, perché siamo creature peccatrici. Ma anche l’offerta di Gesù, senza quella del suo corpo che è la Chiesa, sarebbe anch’essa incompleta e insufficiente, non per procurare la salvezza, ma per riceverla”.

“Gesù quando dice ‘Prendete il mio corpo’ ci dà la sua vita concreta – ha continuato –, il suo vissuto nel tempo, le fatiche, le gioie, tutto quello che ha riempito la sua vita. Dicendo ‘Prendete questo è il mio sangue’ ci dona la sua morte. L’Eucaristia è il seme della vita e della morte di Gesù”.

Per questo un sacerdote è chiamato a “offrire il tempo, le risorse fisiche, mentali, un sorriso” ma anche “le mortificazioni, le malattie, le passività, tutto il negativo della vita”. Perché tutta la giornata e non solo il momento della celebrazione è un’Eucaristia.

“L’Eucaristia – ha aggiunto – è il frutto del lavoro dell’uomo ma non solo del lavoro agricolo, perché dal grano al pane sull’altare c’è di mezzo il trasporto, la trasformazione. Allora, il lavoratore sa che sull’altare arriva il frutto del suo lavoro, il suo sudore va nel prodotto che finisce offerta a Dio: l’Eucaristia”.

E in un mondo dove il corpo è concepito come “uno strumento di piacere e di sfruttamento”, ha sottolineato, il sacerdote può insegnare ai giovani a non “dare più in pasto” il corpo alla concupiscenza:

“Aiutandoli a vivere l’Eucaristia così, a offrire il loro corpo insieme con Gesù nella messa – ha spiegato –. Allora capiranno cosa vuole dire Paolo quando diceva: glorificate Dio con il vostro corpo”.

“Il corpo diventa non più strumento di piacere da vendere ma è dono, offerta, nel matrimonio come mezzo di dialogo, di trasmissione della vita; nella vita consacrata come sacrificio, offerta, ai fratelli. Ecco, allora, tutta la vita veramente cambia”, ha quindi concluso.

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Sudan: una Chiesa minoritaria che cerca di essere ascoltata
I suoi Vescovi sono a Roma in visita ad limina

di Carmen Elena Villa

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pur essendo il Paese più grande dell'Africa in termini di superficie, il Sudan ha solo nove Diocesi. Ha 37 milioni di abitanti, per l'80% musulmani e per il 17% cristiani. Di questi, solo il 15% è cattolico.

I suoi Vescovi sono a Roma in visita ad limina apostolorum in un momento cruciale per la storia del Paese.

Un referendum previsto per il gennaio 2011 potrebbe concedere l'indipendenza all'attuale regione autonoma del Sud del Sudan, le cui dispute con il nord hanno provocato un conflitto che ha causato circa 2 milioni di morti e 4,5 milioni di sfollati.

Il conflitto ha vissuto una recrudescenza nel 2003, quando un gruppo autodefinitosi Fronte per la Liberazione del Darfur (Darfur Liberation Front) ha rivendicato un attacco a Golo, il centro principale del distretto Yébel Marra.

In alcune dichiarazioni alla "Radio Vaticana", monsignor Cesare Mazzolari, Vescovo di Ruimbek, Diocesi del Sud del Sudan, ha sottolineato che la Chiesa "è sempre stata presente e cerca anche di portare il proprio aiuto umanitario".

Sacerdoti, religiosi e missionari che svolgono la propria azione pastorale in Sudan sono impegnati nell'assistenza alle popolazioni colpite dalla guerra, gestendo attività di sviluppo e di promozione umana. La Chiesa cura ospedali, ambulatori, case per handicappati e anziani, scuole e orfanotrofi.

Il Sudan verso una nuova direzione?

Ad aprile si svolgeranno in Sudan le elezioni presidenziali e parlamentari. Saranno le prime consultazioni elettorali dopo la fine ufficiale, nel 2005, della guerra civile tra il Governo, insediato nel nord del Paese, a maggioranza musulmana, e l'Esercito di Liberazione del Popolo del Sudan (SPLA), proveniente dal sud e a maggioranza cristiana.

Attualmente, il Governo sudanese è controllato dal Partito del Congresso Nazionale del Presidente Omar Hasan al-Bashir, accusato dalla Corte Penale Internazionale di crimini di guerra e contro l'umanità.

Monsignor Mazzolari ha sottolineato la mediazione della Chiesa nel conflitto: "Abbiamo sin dall'inizio detto al Governo il nostro parere riguardo quello che consideriamo un vero e proprio genocidio nel caso del Darfur".

"La nostra parola non è stata però seguita e quindi continuiamo a cercare di esercitare un'influenza costruttiva ma con molta difficoltà", ha segnalato.

Anche se la popolazione del Sudan è gravemente colpita dalla povertà, monsignor Mazzolari parla di una povertà maggiore: "La mancanza di identità. Un'identità che non è mai stata permessa, da secoli, in questa condizione di un Governo islamico che opprime la popolazione del Sud, una popolazione che vuole scoprire la propria identità e arrivare al punto di prendersi la responsabilità del proprio destino".

La Chiesa in Sudan, anche se esigua, ha compiuto innumerevoli sforzi per essere mediatrice del conflitto nel Paese. In questi anni di guerra ha lanciato vari appelli perché si giunga a un cessate il fuoco, e la sua Conferenza Episcopale ha rafforzato la commissione per la Giustizia e la Pace.

"Dio ci chiama a pentirci dei numerosi peccati che abbiamo commesso contro di Lui e noi stessi", ha scritto l'Arcivescovo della Diocesi di Juba, monsignor Paolino Lukudu Loro, in una lettera pastorale sulle prossime elezioni.

"In particolare nel Sud Sudan: tribù contro tribù, uccisioni, rapimenti, rapine, corruzione. Dobbiamo espiare questi peccati con preghiere e buone azioni", ha aggiunto.

La visita ad limina apre nuove prospettive ai Vescovi del Paese: "Speriamo che il Vaticano, con la sua voce, possa veramente fare un appello ai governanti del Sudan per un cammino sereno verso le elezioni e per un vero consolidamento della pace nel Sudan", ha concluso monsignor Mazzolari.

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Il Papa passerà tutto il periodo estivo a Castel Gandolfo
Quest'anno declina gli inviti a trascorrere alcuni giorni sulle Alpi
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI prevede di trascorrere l'estate nella residenza estiva dei Papi a Castel Gandolfo, senza soggiornare alcuni giorni sulle Alpi come ha fatto negli anni precedenti.

Lo indica un comunicato sul periodo di riposo estivo del Pontefice pubblicato questo venerdì dalla Sala Stampa della Santa Sede.

"Nel corso della prossima estate, il Santo Padre si recherà direttamente da Roma a Castel Gandolfo, per trascorrevi tutto il periodo estivo", segnala il testo.

"Egli ha molto apprezzato gli inviti ricevuti anche quest'anno a recarsi per alcune settimane in località alpine e ha ringraziato sinceramente i Vescovi che li avevano presentati", aggiunge.

Quest'anno, tuttavia, "preferisce iniziare subito il periodo estivo di riposo e di studio senza l'impegno di ulteriori trasferimenti".

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La sentenza sull'immigrazione non rispetta l'umanesimo cristiano
L'Arcivescovo Marchetto commenta la decisione della Cassazione
ROMA, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- La sentenza della Cassazione che prevede l'espulsione degli immigrati irregolari anche se i loro figli frequentano la scuola è contraria all'umanesimo cristiano, avverte il segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.

L'Arcivescovo Agostino Marchetto ha commentato ai microfoni della "Radio Vaticana" la decisione, affermando che non tiene conto del "bene comune universale".

"Certo, bisogna parlare e pensare anche ad un bene comune nazionale, ma credo che tutti dobbiamo incamminarci verso una visione universale del bene comune, come del resto è evidente nell'Enciclica del Santo Padre Caritas in Veritate", ha spiegato.

"Mi pare che in questo modo non si faccia onore ad un umanesimo di cui l'Italia si è fatta sempre propugnatrice, ad un umanesimo che io dico 'cristiano' e che altri potrebbero qualificare in altro modo, ma che di umanesimo si tratta", ha aggiunto.

In questa situazione, si tratta in fondo di "diritti fondamentali dell'uomo in cui risulta evidente che è importante la formazione, l'istruzione, l'educazione e la scuola per le giovani generazioni", che sono "la nostra speranza".

"Mi pare che questo progetto che guarda alla gioventù del futuro sia certamente monco, che gli siano state tarpate le ali", ha commentato, ricordando come in Francia un'interpretazione simile abbia creato "dei grossi movimenti di opinione pubblica", perché "anche i compagni di scuola dei ragazzi che per analoghe ragioni avrebbero dovuto andarsene hanno levato la voce, insieme con le loro famiglie, proprio per dimostrare e sottolineare l'aspetto umano della situazione".

Allo stesso modo, i Vescovi degli Stati Uniti d'America chiedono "che anche gli studenti irregolari, se sono tali, possano concludere i loro studi in pace".

Secondo l'Arcivescovo, "finché si punta solamente ad una sicurezza - e purtroppo questa è stata la legge sulla sicurezza - si perde di vista quello che è fondamentale, e cioè l'accoglienza".

"E' un binomio che deve restare unito: sicurezza e accoglienza. Fondamentale per l'accoglienza è l'integrazione e per l'integrazione è fondamentale che ci sia questa educazione, formazione".

La legislazione, ha aggiunto, rappresenta una retrocessione per quanto riguarda la visione dell'unità familiare, della famiglia.

"Se c'è una sensibilità, credo, particolare oltre alla dignità della persona umana da parte della Chiesa è la dignità della famiglia, l'unità della famiglia, che è poi fattore di integrazione e mezzo per aiutare a non essere cedere al crimine, perché tutti sappiamo che la famiglia è un fattore di equilibrio sociale, quindi è una conferma di quanto si diceva", ha dichiarato.

"Non è una questione, dunque, di partiti, non una questione ideologica, è questione di umanesimo, è questione di bene comune universale, è questione di cristianesimo".

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Le celebrazioni del Papa in Portogallo, "grandi manifestazioni di fede"
Monsignor Marini definisce i dettagli del viaggio di Benedetto XVI

LISBONA, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- Le celebrazioni presiedute dal Papa in Portogallo saranno “grandi manifestazioni di fede e della vita della Chiesa”.

Lo ha affermato questo martedì in alcune dichiarazioni all'agenzia Ecclesia il maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, monsignor Guido Marini, che ha visitato il Portogallo per definire i dettagli delle celebrazioni che avranno luogo durante il viaggio papale nel Paese dall'11 al 14 maggio.

Il responsabile vaticano ha indicato che a Fatima si vive un “clima unico”, ma che anche gli eventi previsti a Lisbona e Porto saranno speciali.

“In tutti i casi la caratteristica è che si tratta di grandi piazze, per cui saranno celebrazioni con una partecipazione molto alta”, ha segnalato.

Monsignor Marini sostiene che Fatima ha un aspetto “singolare”, perché il Santuario è “molto importante, molto significativo in Portogallo e anche fuori dal Paese”.

A Fatima, Benedetto XVI presiederà la recita del Rosario. La preghiera inizierà in latino e le risposte saranno in altre lingue, “sicuramente con preponderanza del portoghese”.

“Credo che il momento del Rosario sarà molto bello e toccante, perché avrà luogo accanto alla Cappellina, dove c'è un clima unico”, ha confessato monsignor Marini.

Per il 13 maggio è previsto a Fatima un intervento papale destinato specificatamente ai malati. Il Pontefice esprimerà la sua attenzione, oltre che con le parole, con i “gesti” e “nel momento molto toccante della benedizione eucaristica, al termine della Messa”.

Dopo la celebrazione, Benedetto XVI avrà un momento di “preghiera personale e silenziosa” accanto alla tomba dei tre pastorelli, Lúcia, Francisco e Jacinta.

Nel frattempo, il sito ufficiale della Chiesa cattolica in Portogallo per la visita del Papa - www.bentoxviportugal.pt - ha annunciato l'inno della visita pontificia.

“Benvenuto, Santo Padre” è il titolo del testo, composto da padre Heitor Morais, gesuita, e messo in musica da padre António Cartageno, compositore della Diocesi di Beja.

Il testo allude alla presenza del Papa nel Paese per “rafforzare” la fede e “benedire” il Portogallo, richiamando anche il tema della visita, “Con te camminiamo nella speranza – Saggezza e Missione”.

Testo e musica sono già disponibili, anche in versione audio, su www.bentoxviportugal.pt e su www.fatima.pt.

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Notizie dal mondo


I Domenicani preoccupati per la comunità dell'Iraq
Suore anziane difendono la Casa Generalizia dai terroristi

ROMA, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- I Domenicani di vari Paesi sono preoccupati per le consorelle in Iraq e per gli altri cristiani sotto attacco nel Paese.

Questo martedì il sacerdote domenicano Philip Neri Powell, della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università San Tommaso d'Aquino di Roma, ha inserito sul suo blog una lettera in cui sottolinea la “terribile situazione delle nostre sorelle domenicane in Iraq e dell'intera comunità cristiana a Mosul”.

Il testo, scritto da suor Donna Markham, priora delle Domenicane di Adrian del Michigan (Stati Uniti), riferisce “notizie decisamente tragiche sulla situazione in Iraq”.

La religiosa spiega di aver incontrato molte suore irachene che si trovano attualmente negli USA e afferma che i cristiani stanno abbandonando Mosul.

“Ci sono stati molti omicidi e stupri di fedeli, e per il momento si stanno rifugiando nei villaggi cristiani”, continua.

“Suor Maria [priora delle suore irachene] è molto preoccupata per la sicurezza delle suore e della popolazione cristiana”.

“In questo momento, le cinque suore anziane che si trovano nella Casa Generalizia vogliono rimanere per non lasciare la Casa ai terroristi”, ha aggiunto.

Evacuazione

Suor Maria, prosegue suor Donna Markham, ha riferito che “la maggior parte dei cristiani sta progettando di fuggire dall'Iraq, e quindi non sa cosa accadrà alla sua Congregazione”.

“Ha detto che le suore seguiranno i fedeli cristiani ovunque andranno, anche se non si conosce il luogo”, spiega la lettera. “Le famiglie delle religiose sono in grave pericolo”.

Suor Markham ha lamentato il fatto che molti mezzi di comunicazione “non riportino nulla” a questo proposito.

Parlando a nome delle sue consorelle irachene, ha chiesto ad altri di diffondere la notizia e di pregare per i cristiani sofferenti dell'Iraq.

Nelle ultime settimane, una serie di omicidi è costata la vita a varie persone. Tra queste, otto cristiani sono stati uccisi nell'arco di dieci giorni.

Circa 15.000 cristiani restano nella città a maggioranza musulmana di Mosul, dove le loro famiglie vivono da 2.000 anni.

Per questa ragione, l'Arcivescovo Louis Sako di Kirkuk ha indetto all'inizio del mese una giornata di digiuno e preghiera per la fine delle violenze (cfr. ZENIT, 1° marzo 2010).

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Il Card. Schönborn non ha messo in dubbio il celibato nella Chiesa
Chiarisce il portavoce dell'arcidiocesi di Vienna

VIENNA, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il Cardinale Christoph Schönborn, OP, “non ha messo in dubbio in alcun modo il celibato nella Chiesa cattolica di rito latino”, ha dichiarato Erich Leitenberger, portavoce dell’arcidiocesi di Vienna, smentendo le interpretazioni dei media su alcune dichiarazioni del porporato.

Secondo l’agenzia di stampa cattolica Kathpress, nell’ultima edizione di “thema kirche”, periodico dei collaboratori dell’arcidiocesi, il Cardinale Schönborn aveva affermato che sugli abusi “deve esserci solo la via della verità ed è assolutamente necessario mettere al primo posto le vittime". La sua smentita è stata anche ripresa dalla Radio Vaticana.

Riprendendo le parole esatte dell'Arcivescovo, l'agenzia di stampa precisa che il porporato aveva auspicato un esame delle cause di abuso, tra cui: “la questione della formazione dei sacerdoti, così come la questione di quanto è accaduto con la 'rivoluzione sessuale' della generazione del '68. Ne fanno parte il tema del celibato, così come il tema dello sviluppo della personalità. E ci vuole anche una buona porzione di sincerità, nella Chiesa, ma anche nella società”.

Schönborn chiedeva inoltre un “cambiamento”: “per ogni nuovo caso di abuso, avvenuto nella Chiesa o altrove, mi chiedo: 'E tu, hai davvero fatto qualcosa per il cambiamento?”.

Riallacciandosi alle parole del Cardinale Schönborn, Leitenberger ha concluso: “La sincerità è auspicabile anche nei resoconti sulle dichiarazioni di personalità della Chiesa".

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"Pane, vita, pace e libertà": IV Incontro continentale africano Fiac
ROMA, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- “Pane, vita, pace e libertà”: questi i temi al centro del IV incontro continentale dei Movimenti di Azione cattolica dell’Africa orientale in corso a Kigali, in Rwanda, per iniziativa del Forum internazionale di Azione cattolica (Fiac).

All’ordine del giorno dei lavori l’approfondimento della riflessione sulla situazione della Chiesa in Africa dopo la II Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi «La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace» (svoltasi dal 4 al 25 ottobre scorsi) e le prospettive di indirizzo futuro alla luce dello specifico contributo dei laici.

“Per trasformare le strutture di ingiustizia e ottenere riconciliazione, giustizia e pace effettive nella nostra regione – ha affermato mons. Simon Ntamwana, arcivescovo di Gitega e presidente dell’ dell’Associazione delle conferenze episcopali dell’Africa centrale (Aceac) - occorre insegnare ai nostri responsabili della politica e dell’economia la Dottrina sociale della Chiesa, la Bibbia e il catechismo per permettere loro di vivere la propria fede in ciò che fanno”.

Mons. Ntamwana ha ricordato le priorità per il 2010 fissate dai vescovi dell’Aceac nella fase post-sinodale: “la divulgazione della Dottrina sociale della Chiesa e la formazione dei formatori secondo i suoi orientamenti; l’accompagnamento delle popolazioni della regione dei Grandi Laghi verso le elezioni politiche; la presa di posizione contro lo sfruttamento delle risorse naturali denunciato dai rapporti d’inchiesta delle Nazioni Unite e la preparazione di una conferenza regionale sulla pace”.

“Per educare alla pace e coltivare la pace – ha aggiunto Ntamwana nella prospettiva di un peculiare impegno laicale – occorre rafforzare la capacità delle nostre popolazioni di lottare contro i disvalori, in particolare la corruzione e il tribalismo, e stimolare un maggior impegno dei fedeli cristiani nella vita politica”.

“Al fine di rafforzare la riconciliazione, la giustizia e la pace all’interno delle nostre stesse strutture – ha concluso il presidente dell’Aceac – occorre intensificare l’impegno nella catechesi e organizzare incontri per i giovani che diventino luoghi di catechesi a livello diocesano, provinciale, nazionale e dell’Aceac”.

All’incontro del Fiac partecipano le delegazioni dei Movimenti di Azione cattolica di Rwanda, Burundi, Repubblica democratica del Congo, Sudan, Kenya, Uganda e Tanzania e quelle dei paesi osservatori Congo Brazzaville e Repubblica centrafricana. Sono presenti, inoltre, rappresentanti delle associazioni di Azione cattolica di Spagna, Romania e Italia.

Oltre a quello di mons. Ntamwana, sono previsti gli interventi dell’arcivescovo di Kigali, mons. Thaddée Ntihinyurwa; di mons. Evariste Ngoyagoye, arcivescovo di Bujumbura, presidente della Conferenza dei vescovi del Burundi e della Commissione episcopale per l’apostolato dei laici e di mons. Servilien Nzakamwita, vescovo di Byumba e presidente della Commissione episcopale africana per l’apostolato dei laici (Ceal).
 
L’incontro di Kigali, che si concluderà domenica 14 marzo, è il primo di una serie di appuntamenti continentali organizzati dal Fiac che si svolgeranno quest’anno – Europa/Mediterraneo a Cracovia (Polonia) dal 6 al 9 maggio; America a Città del Messico dall’8 all’11 luglio; Africa occidentale a Dakar (Senegal) dal 17 al 21 novembre – in preparazione della VI Assemblea ordinaria del Fiac prevista per il 2012.

 

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Italia


Che immagine mi sono fatto di Dio?
Commento al Vangelo del 14 marzo 2010

di padre Piero Gheddo*

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- La parabola del figliuol prodigo è una delle più belle e commoventi che si leggono nel Vangelo. Gesù parlava in parabole, cioè raccontava fatti di vita quotidiana che erano comprensibili ai suoi ascoltatori. Non faceva teorie o teologie, raccontava fatti, presentava persone che incarnavano e rappresentavano ai suoi seguaci la verità che il Signore voleva annunziare.

Il dramma familiare di un padre il cui figlio prende una via sbagliata è comune anche ai nostri tempi. Quante volte sentiamo dire da genitori credenti: “Abbiamo educato bene il nostro figlio, ma poi è andato fuori strada e ci fa soffrire”. Il padre della parabola è esemplare: anche i genitori d’oggi dovrebbero essere come lui in situazioni simili: amare ancor più il figlio ribelle, dargli il buon esempio di un amore gratuito, pregare per lui, attendere con fiducia e pazienza il suo ritorno.

Ma Gesù voleva soprattutto rivelarci il volto del Padre che sta nei cieli. Il Creatore di tutti gli uomini è un Padre pieno di bontà e di misericordia, che ci vuol bene sempre, anche quando noi non comprendiamo il suo amore. In questa parabola vediamo uno sceneggiato simbolico del mondo “post-cristiano” in cui viviamo. I popoli cristiani sono il figliuol prodigo lontano dal Padre e si ritrovano meno uomini, sono diventati “guardiani dei porci”, mangiano le ghiande dei porci.

Gli uomini secolarizzati del nostro tempo si rendono conto che lontano da Dio non c’è vero umanesimo, la vita non ha senso. Non parlo di casi personali, mi riferisco alla cultura che tutti respiriamo: molti hanno perso il senso della vita, non sanno perché vivono. C’è in giro molto pessimismo, disperazione, aumentano i suicidi, tanti non vorrebbero più vivere perché la vita lontano dal Padre non ha senso. Due riflessioni:

1) La prima domanda che mi faccio oggi è questa: che immagine io mi sono formato di Dio? Vivo la presenza di Dio in ogni momento della mia vita? La nostra vita spirituale dipende in buona parte da come pensiamo e sentiamo Dio presente nella nostra vita. Tutti i popoli credono in Dio Creatore e Giudice, lo adorano, lo pregano: non esistono popoli atei! Ma quelli che non hanno ricevuto la rivelazione di Cristo non sanno chi è Dio, come agisce, cosa pensa, cosa vuole da noi; lo immaginano come un personaggio misterioso, lontano dall’uomo e dalle vicende umane, che punisce i crimini degli uomini. Pensano che la vita è sotto il dominio di spiriti buoni e cattivi, che vanno propiziati con atti di magia, sortilegi, superstizioni.

Care sorelle e cari fratelli, nel mondo attuale rischiamo anche noi credenti di finire nel gorgo di una visione pagana di Dio. Ebbene, oggi Gesù ci presenta il Padre nostro che sta nei Cieli, quello che preghiamo ogni giorno: è un Padre, una mamma che amano il figlio, lo guidano, lo perdonano, lo proteggono.

Nel 1974 ero nel Vietnam del sud durante la guerra. Scendevo dai monti verso la pianura, da Pleiku a Qui Nhon, su un camion militare, assieme a numerosi vietnamiti. Una giornata intera di viaggio, su strade dissestate, in un paese in guerra: abbiamo attraversato zone dove si combatteva, villaggi bruciati e bombardati, mitragliamenti, profughi che scappavano a piedi e con ogni mezzo. Tutto questo è un’immagine del mondo in cui viviamo anche oggi!

Gli altri profughi ed io eravamo seduti su delle panche nel cassone scoperto del camion. Di fronte a me una giovane mamma vietnamita teneva in braccio il suo bambino che aveva pochi mesi. Lo cullava, lo allattava, lo coccolava. Ad un certo punto, passando vicino ad un villaggio in fiamme dove molti gridavano il bambino, sentendo quel trambusto, si è messo a piangere, avvertiva anche lui il pericolo. La mamma ha steso su di lui un asciugamano ed ha continuato a cullarlo. Dopo un po’ il bambino dormiva placidamente. Attorno a noi crollava il mondo e lui dormiva: non sapeva niente, non aveva paura di nulla, si fidava dell’amore di sua madre. Ecco, quando penso a Dio mi vengono in mente quella dolce mammina vietnamita e il suo bambino. Se noi viviamo questa immagine di Dio e nella nostra piccola vita, non possiamo più essere pessimisti, scontenti, scoraggiati, timorosi di chissà cosa. Qualunque cosa mi capiti, io sono sempre nelle braccia del Padre!

2) Noi cristiani, e specialmente noi preti e suore, rappresentiamo Dio e Cristo agli occhi degli uomini. Chi è riconosciuto come cristiano deve sentire la responsabilità di essere, agli occhi di chi ci conosce e osserva, un testimone a tempo pieno. Non per assumere volutamente atteggiamenti significativi e dire parole opportune. Oggi conta soprattutto essere autentici, non falsi. Anzi, i devoti manierati danno fastidio, sono una contro-testimonianza. Il nostro tempo ci invita ad un esame di coscienza: se io sono duro, scontroso, egoista, avaro, freddo, chiuso ai problemi degli altri, non sono come il Padre della parabola di Gesù: non do una bella immagine della fede e della vita cristiana.

Molti anni fa, nel 1966, sono andato la prima volta in Amazzonia e nella capitale dell’Amazzonia brasiliana, Manaus, ho visitato il lebbrosario di Aleixo. Mi accompagnava il mio confratello padre Mario Giudici, che era stato cappellano del lebbrosario e tornava dall'Italia dopo un’assenza di quattro anni. Era un uomo di grande umanità, dopo un po’ che stavi con lui pensavi: “Chissà com’è buono Dio, se ha fatto un uomo così buono come padre Mario!”. I lebbrosi gli si avvicinavano e volevano salutarlo, abbracciarlo, parlargli. Io me ne stavo un po’ defilato ed entrando in un reparto di donne, vedo un’ammalata cieca con due moncherini al posto delle mani. Appena sente da lontano la voce di padre Mario, la riconosce, si mette a gridare un saluto e le viene istintivo di battere i moncherini perché non aveva più le mani.

Piangeva e si è calmata solo quando sono andato a prendere Mario e l’ho portato da lei. Mi sono commosso anch’io nel vedere che per quella povera lebbrosa quel prete era forse l’unico che rappresentava in concreto la bontà di Dio. Tutti l’avevano abbandonata, i parenti non venivano a trovarla, ma quel prete era ancora lì a darle un abbraccio e la benedizione di Dio. Mi sono chiesto più volte: chissà se io prete, a tutti quelli che mi conoscono da vicino, do questa immagine forte e amorosa di Dio, che è un Padre pieno di amore e non ci abbandona mai?


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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l'Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.

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Interviste


Il Cardinale Majella Agnelo ricorda Zilda Arns Neumann
La fondatrice della Pastorale del Bambino è morta nel terremoto di Haiti
ROMA, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- Nella sua edizione del 4 marzo, "France Catholique" ha proposto un ricordo della fondatrice della Pastorale del Bambino, Zilda Arns Neumann, da parte del Cardinale Geraldo Majella Agnelo, Arcivescovo di São Salvador da Bahia (Brasile).

Zilda Arns Neumann, pediatra e fondatrice di questa Pastorale che aiuta 1.900.000 bambini e donne in gravidanza nelle comunità svantaggiate del Brasile e di altri Paesi del mondo, è morta tragicamente a 75 anni durante il terremoto che ha devastato Haiti il 12 gennaio scorso. Aveva fondato anche la Pastorale dell'Anziano.

Riportiamo di seguito l'intervista di "France Catholique" al porporato.

Eminenza, lei è cofondatore della Pastorale del Bambino, che è un'organizzazione ecumenica della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile. Come ha reagito alla notizia della morte di Zilda?

Cardinal Majella: Nella notte del 12 gennaio ultimo scorso, ho seguito le prime notizie sullo spaventoso terremoto ad Haiti quasi fino all'alba. Ho provato un'immensa costernazione vedendo quel popolo eroico, messo così tanto alla prova e così discriminato, che vive amaramente tanta povertà, fame e sofferenza. Le prime notizie riguardanti le vittime sono arrivate la mattina e, fra le prime, quella della morte della dott.ssa Zilda Arns Neumann. Ho subito pensato a quale segnale voleva darci Dio del Suo disegno.

La Pastorale del Bambino è nata da un piccolo seme lanciato a Florestópolis, nello Stato del Paraná, nell'Arcidiocesi di Londrina, ventisette anni fa. Oggi è presente in tutti i Paesi dell'America Latina, in vari Paesi africani, in Asia a Timor Ovest. L'albero è alquanto frondoso. In tutto il percorso vi è amore, ardore missionario, l'allegria di fare del bene a coloro che soffrono di più, di migliorare la qualità della vita degli altri, soprattutto dei bambini. La dott.ssa Zilda aveva già dato tutto di sé. Il Signore l'ha trovata matura per chiamarla a Sé. Lei aveva da tempo pensato alla continuità del suo percorso. Aveva preparato équipes di vari livelli che potessero sostituirla. Ho sperimentato la speranza come se fosse una certezza. Conservo questa credenza anche dopo quanto successo ad Haiti. La sua vita e la sua morte sul campo di battaglia saranno un incentivo costante.

Che accoglienza hanno riservato i brasiliani in occasione dei suoi funerali, che omaggio le è stato reso?

Cardinal Majella: Tutti i brasiliani la conoscevano, e i mezzi di comunicazione non hanno smesso di ricordare frequentemente la sua memoria. La veglia funebre si è tenuta nella sede del Governo del Paraná, nel Palazzo delle Araucarie. Sono arrivate delegazioni da ogni parte del Brasile. Ho officiato la concelebrazione eucaristica in presenza del feretro. Eravamo cinque Vescovi e qualche sacerdote. I figli e i nipoti, i fratelli e altri familiari hanno partecipato insieme alla moltitudine che pregava e cantava. Le folle sono accorse e, disponendosi in fila, hanno reso omaggio al feretro. Una caratteristica di questa veglia è stata il fatto che non vi è stata dimostrazione di fallimento, bensì di vittoria. Una vita interamente dedicata a coloro che soffrono. Hanno partecipato molti politici: il Presidente della Repubblica, governatori dello stato del Paraná e di São Paulo, Ministri di Stato, senatori, deputati federali e statali, militari e altre autorità civili, magistrati. Sono arrivate carovane della Pastorale del Bambino da vari Stati.

La signora Arns aveva raggiunto un ruolo universale: era stata proposta per il Nobel per la Pace e aveva ricevuto vari premi per i Diritti Umani, ma lei è un testimone privilegiato degli inizi: com'è cominciata l'avventura?

Cardinal Majella: Il progetto della Pastorale del Bambino può essere così riassunto: il Presidente dell'UNICEF internazionale diede al Cardinale Paulo Evaristo Arns strumenti per preparare un siero casalingo indicato in caso di diarrea. La scoperta del siero sembra essere stata di ispirazione divina. Un'infermiera del Bangladesh che affrontava un'epidemia di diarrea che aveva fatto migliaia di vittime tra i bambini, senza mezzi o potere, utilizzò le uniche risorse che le restavano: un po' d'acqua e un po' di sale. Riempì un bicchiere d'acqua e aggiunse un cucchiaio di zucchero e un cucchiaino di sale, mescolò bene e lo diede da bere ad un bambino quasi morto ed in poco tempo la diarrea fu sconfitta. Venne così scoperta la più semplice delle cure per una situazione gravissima! Il dottor James Grant chiese al Cardinale Arns di realizzare un progetto affinché il siero casalingo e altre misure santarie di base potessero essere portate alle comunità più sofferte, visto che soltanto la Chiesa era in condizioni di arrivare fino a loro. Il Cardinale Arns indicò sua sorella, la dottoressa Zilda Arns Neumann, pediatra specializzata in salute pubblica, impiegata presso la Segreteria Statale della Sanità, perché pilotasse il progetto nella mia antica Diocesi nel Paraná.

Così, nel settembre del 1983, iniziammo ad avviare il progetto con la collaborazione dei tecnici UNICEF e di altri provenienti dalle segreterie statali e municipali di Londrina. In un primo momento, venne deciso che le madri dei bambini dovessero essere il soggetto di promozione sociale delle proprie famiglie. Per ogni gruppo di dieci madri decidemmo di formarne una, con doti di leadership, affinché formasse le altre. L'obiettivo da raggiungere era la diminuzione drastica della mortalità infantile, in una comunità in cui le statistiche parlavano di 131 morti per ogni mille nascite. L'anima del nostro lavoro è che l'amore delle persone deve manifestarsi tra di loro. Le azioni di base scelte furono la formazione della futura madre, l'allattamento materno, l'accompagnamento mensile del peso, i vaccini, il siero casalingo per la reidratazione orale.

Papa Giovanni Paolo II ha detto che non si può capire il male se non "dall'interno": sembra che questa osservazione si possa applicare alla signora Arns...

Cardinal Majella: La dottoressa Zilda proveniva da una famiglia numerosa, contraddistinta dall'accesso alla specializzazione universitaria. Scelse medicina pediatrica e sanità pubblica. La formazione religiosa è un'altra caratteristica di famiglia: due sacerdoti, tre suore e altri professionisti, tutti competenti ed entusiasti. Zilda si distinse per la preoccupazione per la formazione della famiglia, in particolar modo dei bambini, non solo dei suoi figli, ma anche di quelli dei familiari e dei vicini.

Giovanni Paolo II affermava che non si può comprendere bene una persona se non a partire dalla sua interiorità. Scelse la medicina come missione e si incamminò per la strada della sanità pubblica. La sua attività quotidiana era di medico pediatra presso l'ospedale dei Bambini César Pernetta a Curitiba e, successivamente, come direttrice dell'Area Materna - infantile della Segreteria della Salute dello Stato del Paraná. Si era specializzata presso diverse università e organizzazioni brasiliane ed estere, e questo le aveva dato solide basi teoriche.

Il cuore della dott.ssa Zilda era carico di doni per il prossimo, una missione, una grande sensibilità nel trattare le persone, un'apertura speciale verso la comprensione, pazienza e attenzione nei riguardi del mondo dei bambini. Lei stessa attraversò drammi familiari: la perdita di un neonato, il marito deceduto nel tentativo di salvare un adolescente, che non era un suo parente, in mare, successivamente una figlia scomparsa in un incidente stradale che lasciò un figlio alle cure della nonna Zilda. Aveva un intenso dialogo con i suoi figli, che consultava nei momenti importanti della sua vita, soprattutto quando dove fare lunghi viaggi. La forza dei suoi antenati ha contrassegnato la sua vita, si ricordava di loro con affetto. Mi ricordo che la sua vita seguì un crescendo di entusiasmo e formazione nella sua funzione. La sua sensibilità la portò ad occuparsi dei bambini di tutto il Brasile e all'estero, a cominciare dall'America Latina, fino a giungere in Africa e a Timor Ovest. Posso dire che dedicava molto spazio all'azione del suo lavoro nelle conversazioni con la famiglia e gli amici.

Attualmente, come viene considerata l'opera di Zilda Arns e dei suoi collaboratori?

Cardinal Majella: L'educazione delle madri da parte di leader comunitari formati si è rivelata la migliore forma di lotta alle malattie facilmente prevenibili e all'emarginazione dei bambini. Dopo 27 anni, la Pastorale guida oltre 1,9 milione di donne incinte e di bambini sotto i sei anni e 1,4 milioni di famiglie povere, in 4.063 municipi brasiliani. Gli oltre 260.000 volontari portano la fede e la vita alle comunità meno abbienti sotto forma di solidarietà e conoscenze sulla salute, l'alimentazione, l'istruzione e la cittadinanza.

Nel 2004, la dott.ssa Zilda ha ricevuto dalla Conferenza Nazionale dei Vescovi brasiliani un'altra missione simile: fondare, organizzare e coordinare la Pastorale dell'Anziano. Ad oggi, oltre 129.000 anziani sono accompagnati tutti i mesi da 14.000 volontari.

Per il suo lavoro di grande portata sociale ha ricevuto premi e riconoscimenti internazionali.

Nel suo ultimo discorso ad Haiti, sembra che Zilda Arns abbia lasciato una sorta di testamento spirituale... Cosa dire di questo messaggio postumo?

Cardinal Majella: Considero il discorso ai religiosi e alle religiose di Haiti un testamento spirituale e, como suggerito dall'Ambasciatore presso la Santa Sede, dr. Luiz Felipe de Seixas Corrêa, la sua stessa preghiera funebre. Sottolineerei, in modo speciale, "il nostro obiettivo è ridurre la mortalità infantile e promuovere lo sviluppo dei bambini fino all'età di sei anni. La prima infanzia è la tappa decisiva per la salute, l'educazione ed il consolidamento di valori culturali e religiosi". Può sembrare molto semplice e ambizioso al tempo stesso, ma è importante sognare un futuro migliore con azioni anch'esse semplici e riconosciute come scientificamente valide.

Più volte, ad esempio nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale dell'Alimentazione 2007, lo stesso Benedetto XVI ha indicato questa priorità dei bambini denutriti...

Cardinal Majella: Vale la pena ricordare l'insegnamento di Benedetto XVI in merito: "Una campagna efficace contro la fame richiede dunque molto di più di un semplice studio scientifico per far fronte ai cambiamenti climatici o per destinare in primo luogo la produzione agricola all'uso alimentare. È necessario, prima di tutto, riscoprire il significato della persona umana, nella sua dimensione individuale e comunitaria, a partire dal fondamento della vita familiare, fonte di amore e di affetto da cui proviene il senso della solidarietà e della condivisione. Questo quadro risponde alla necessità di costruire relazioni fra i popoli basate su una costante e autentica disponibilità, di rendere ogni paese capace di soddisfare le necessità delle persone nel bisogno, ma anche di trasmettere l'idea di relazioni fondate sullo scambio di conoscenze reciproche, di valori, di assistenza rapida e di rispetto".

"Si tratta di un impegno per la promozione di una giustizia sociale effettiva nelle relazioni fra i popoli, che richiede a ognuno di essere consapevole che i beni del creato sono destinati a tutti e che nella comunità mondiale la vita economica dovrebbe essere orientata verso la condivisione di questi beni, verso il loro uso duraturo e la giusta ripartizione dei benefici che ne derivano" (Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale dell'Alimentazione 2008).

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Parola e vita


La Misericordia e la vita, in diretta
IV Domenica di Quaresima, 14 marzo 2010
di padre Angelo del Favero*

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- Si avvicinarono a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. Ed egli disse loro questa parabola: “Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: 'Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta'. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. (…) Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: 'Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati'”. Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. (…) Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato (Lc 15,1-3.11-32).

Benedetto XVI, nella conclusione del suo magistrale commento alla “parabola dei due fratelli e del padre buono”, sottolinea il valore del “cammino che ha purificato il fratello più giovane e gli ha fatto conoscere che cosa significa la libertà, che cosa significa essere figlio” (in “Gesù di Nazaret”, p. 249). Non trovo parole migliori per interpretare anche la storia di Adrienne, giovanissima mamma che la Misericordia di Dio ha visitato quando meno se l’aspettava, assieme a chi scrive. Vi racconto il fatto, come “in diretta”.

Lunedì 1 marzo, ore 22,20: ascolto in segreteria telefonica: “Pronto, Angelo, sono Graziella. Volevo dirti che domattina vado all’ospedale per accompagnare Adrienne ad abortire. Ho cercato di convincerla a tenere il bambino, ma non c’è stato niente da fare. Tu prega per noi”. L’improvvisa notizia di questo accompagnamento al patibolo mi gela il cuore, ma comprendo il motivo che lo rende necessario: farsi prossimo fino in fondo di due persone disperatamente sole, nella speranza di salvare la loro vita: quella fisica del bambino e quella spirituale della sua mamma.

Martedì 2 marzo, ore 6.30: al risveglio, non ho che il pensiero di Adrienne. Mentre con il Rosario in mano sto supplicando Maria per il miracolo, ronza il telefonino: “Pronto, ciao Angelo. Guarda, sono qui con Adrienne. E’ talmente sconvolta che ho telefonato all’ospedale spostando l’appuntamento per l’aborto a martedì prossimo”. M’invade un certo qual sollievo: è forse la caparra della grazia supplicata? Rispondo subito: “Dobbiamo incontrarci!”.

Ore 9.00: eccomi con Adrienne.

I suoi occhi, non più in pianto, stanno fissando con un mesto sorriso l’angioletto in legno che le ho portato da casa: un dolce volto radioso, opera di un artista della Val Gardena. Le parlo della bellezza della vita e del progetto specialissimo di felicità che Dio ha per ogni figlio che Lui mette al mondo nel grembo di una donna. Dal giorno in cui ha saputo di essere incinta, Adrienne è entrata nell’angoscia, un turbine che non ha certo perduto la sua forza quando ha avuto in mano il certificato per abortire. Qualche giorno dopo, non per fortuna ma per grazia, un’amica di Graziella l’ha indirizzata al Centro di Aiuto alla Vita.

Venerdì 5 marzo, ore 20.40: una telefonata come un raggio di sole: Adrienne è decisa a proseguire la gravidanza.

Sabato 6 marzo, ore 20.30: sms come un’eclissi totale da parte di Graziella: Adrienne ha incontrato sua madre ed ha cambiato decisione. Mi lascia il suo cellulare. Le telefono: mi ascolta e tace, ma capisco che la sua volontà resta nel baratro.

Lunedì 8 marzo, ore 20.10: nessuna nuova: Adrienne è “tranquillamente” decisa per l’appuntamento di domani. La madre, che vive in città, è irreperibile. Si sono date appuntamento nell’atrio dell’ospedale per domattina, alle 7.30. Raggiungo Adrienne per telefono dalla psicologa del CAV, ma non voglio opprimerla…è solo per farle udire una parola buona da parte del Dio della vita. Silenzio totale da parte sua Graziella mi richiama: “Cosa facciamo Angelo?”. Rispondo: “domattina dobbiamo essere là anche noi, mezz’ora prima”.

Martedì 9 marzo, ore 6.40: seduto vicino al bar, sto pregando il Rosario, mentre l’inserviente delle pulizie fatica a tenere fuori gli impazienti che chiedono il caffè. Uno di loro alza la voce. Graziella arriva alla terza decina. Continuiamo la preghiera, finiamo, parliamo, aspettiamo.

Ore 7.35: oltre la vetrata dell’ingresso, a passo svelto sta arrivando Adrienne. E’ accompagnata. Ci alziamo e le andiamo incontro lentamente. Si accorge di noi e immediatamente fa un deciso cenno di no, indicando la persona che è con lei. Stoppati, la seguiamo con gli occhi, mentre si allontana inesorabilmente verso l’ascensore in fondo al corridoio. Sconsolato, mi rivolgo a Graziella: “Non c’è niente da fare..”. Tuttavia, pur indugiando, dico: “Andiamo su anche noi!”. Conosciamo casi di aborti evitati “in extremis”.

Ore 7.40: entriamo in Ginecologia: accettazione, ambulatorio di ecografia, studio del Primario e studio medici. Adrienne è là, seduta, e ci vede. Chiama, sorride e si scusa a voce alta: “Ero con una zia incontrata per caso che non sa nulla, non volevo far sapere..”. Alquanto rianimato dal suo atteggiamento, mi siedo accanto a lei. La prima cosa che mi viene da dirle è questa: “Adrienne, siamo venuti per salvare due vite, quella fisica del tuo bambino e la vita della tua anima”. Mi ascolta, mentre cerco con affetto di aiutarla a vedere le conseguenze del gesto che è tentata di compiere.

Ore 8.10: Adrienne è chiamata dall’infermiera per l’accettazione del ricovero. Quando esce torna a sedersi vicino a me. So che è credente e ritengo giusto informarla anche della pena della scomunica latae sententiae, conseguenza automatica di ogni aborto volontario, spiegandogliene la ragione “terapeutica”. Non fa commenti né domande.

Ore 8.35: sopraggiunge la giovane mamma di Adrienne. Le parlo col cuore in mano, e dopo pochi minuti lascio il posto a Graziella che sta in piedi da un’ora. Esco a telefonare alla chiesa dell’Annunziata, dove avrei dovuto celebrare la santa Messa per la vita alle 9.00: “Mi trovo all’ospedale e non mi è possibile arrivare in tempo; ma devo assolutamente rimanere. Avvisi la gente, grazie!”.

Riprendo il colloquio con la mamma di Adrienne: “Prenda sua figlia, signora, e andiamo via. E’ ancora in tempo. Non vi lasceremo sole, dopo. Dio vuole che questa vita non sia tolta. Vi benedirà!”.

Ore 9.20: Adrienne è chiamata in ambulatorio per l’ecografia: la speranza è appesa a un filo, ma...il filo della fede regge il mondo intero.

Ore 9.28: Adrienne esce in lacrime: “Il cuore non batte più, il bambino è morto!”. Chiedo: “Morto?”. Allora racconta: “Lo pensavo che qualcosa sarebbe successo. L’altro ieri, in casa, un grosso peso mi è caduto addosso sulla pancia, e quasi mi sentivo soffocare dal male. Poi c’è stata una piccola perdita di sangue...”.

Ore 9.45: Saluto Adrienne che si avvia in reparto con la mamma e le dico : “Grazie a Dio, Adrienne, non hai abortito. Coraggio! Le tue lacrime ora sono pure. Dio ha salvato il tuo bambino portandolo con Sé, e ha anche salvato la tua anima dalla morte. Le sue vie non sono le nostre vie! Dagli un nome. Ciao, sta in pace. Stasera ti mando un messaggio”.

Uscendo dall’ospedale con Graziella, penso a voce alta al Vangelo di oggi: “perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,32).

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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I Vescovi tedeschi di fronte ai casi di abuso sessuale
Comunicato del presidente della Conferenza episcopale dopo l'udienza con il Papa
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il comunicato del presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, monsignor Robert Zollitsch, arcivescovo di Freiburg im Breisgau, dopo l'udienza di questo venerdì con Benedetto XVI in Vaticano.



* * *


Come ogni anno, dopo l'assemblea plenaria di primavera della Conferenza episcopale tedesca, ho avuto oggi un colloquio con Papa Benedetto XVI per informarlo sui temi più importanti. Perciò ho informato il Santo Padre dei casi, divenuti noti nelle settimane scorse, di trattamento pedagogicamente violento e di abuso sessuale verso minorenni nella Chiesa cattolica in Germania. Con grande tristezza e profonda emozione il Santo Padre ha preso conoscenza del mio resoconto.
Per me è stato importante rendere chiaro che i vescovi tedeschi sono profondamente sconvolti per i soprusi che sono stati possibili nell'ambiente ecclesiale. Proprio alcune settimane fa ho chiesto scusa alle vittime, cosa che oggi ripeto ancora una volta a Roma. Ho informato il Santo Padre delle misure che abbiamo adottato. Gli sono grato per avermi incoraggiato a proseguire la messa in opera di questo piano di misure con tenacia e coraggio.

Vogliamo scoprire la verità e arrivare a una spiegazione leale, priva di false interpretazioni, anche quando ci vengono presentati casi che risalgono a molto tempo fa. Le vittime ne hanno diritto.
Seguiamo le "Direttive della Conferenza episcopale tedesca sulla procedura in casi di abusi sessuali su minori perpetrati da ecclesiastici". Nessun Paese ha queste direttive. Esse assicurano alle vittime e ai loro parenti un aiuto umano, terapeutico e pastorale, che viene adattato individualmente. In ogni diocesi esiste una persona a cui rivolgersi. Attualmente stiamo studiando come migliorare la scelta di queste persone.

Inoltre, rafforziamo la prevenzione. Chiediamo alle parrocchie e, in particolare, ai responsabili delle nostre scuole e del lavoro giovanile, di promuovere una cultura di attenta osservazione. Sono lieto del fatto che il ministro per la Famiglia e quello per la Cultura abbiano organizzato una grande tavola rotonda con i più rilevanti gruppi sociali, il 23 aprile 2010, a Berlino, per affrontare il problema dell'abuso sessuale, non da ultimo anche in vista di possibili misure di prevenzione. Naturalmente la Conferenza episcopale sarà presente. Due settimane fa ho espresso apprezzamento, nel corso di un'intervista a un giornale, per questa grande tavola rotonda.

Un quarto punto delle misure da noi adottate riguarda la responsabilità che noi percepiamo. Per questo abbiamo nominato il vescovo di Trier, Stephan Ackermann, incaricato speciale della Conferenza episcopale tedesca per tutte le questioni collegate agli abusi sessuali. Anche il Santo Padre ha accolto favorevolmente questa decisione.

Permettetemi di ribadire ancora una volta chiaramente:  non sfuggiamo alle nostre responsabilità e non possiamo scusare nessuno dei casi accaduti. Tuttavia, attualmente in Germania stiamo venendo a conoscenza di un numero notevole di azioni di sopruso, in ambito pedagogico, e di casi di abusi del passato, che vanno ben oltre l'ambito della Chiesa cattolica. Ciò rafforza noi vescovi nel nostro intento di cercare un dialogo per il chiarimento e la prevenzione con il maggior numero possibile di attori della scena sociale.

In questo rientra anche il sostegno della Chiesa alle autorità giudiziarie statali nel perseguire gli abusi sessuali contro i minori. Invitiamo i sacerdoti e gli impiegati laici delle nostre strutture ecclesiastiche, come anche i volontari, ad autodenunciarsi quando vi possano essere fatti significativi. Informeremo noi le autorità giudiziarie. Rinunceremo a farlo solo in circostanze straordinarie, per esempio quando ciò corrisponde all'espresso desiderio della vittima. Poiché le competenze riguardanti il procedimento penale statale e il procedimento ecclesiastico vengono continuamente rappresentate in modo errato, desidero ancora una volta precisare:  in caso di sospetto di abusi sessuali esiste una procedura penale statale e una ecclesiastica. Riguardano diversi ambiti giuridici e sono del tutto separate e indipendenti l'una dall'altra. Evidentemente il procedimento ecclesiastico non è superiore a quello statale. L'esito della procedura ecclesiastica non ha alcuna influenza sul procedimento statale, né sul sostegno della Chiesa alle autorità giudiziarie statali.

Sono grato a Papa Benedetto XVI per il suo espresso sostegno all'azione decisa della Conferenza episcopale tedesca. Egli ci incoraggia a proseguire con coerenza la via intrapresa per un chiarimento completo e rapido. In particolare ci chiede di seguire in modo continuo gli orientamenti adottati e - laddove è necessario - di migliorarli. Papa Benedetto XVI ha anche espressamente apprezzato il nostro piano di misure. Esco rafforzato dal colloquio odierno e sono fiducioso che stiamo procedendo sul cammino per guarire le ferite del passato.

 
[Traduzione dal testo originale in tedesco a cura de L'Osservatore Romano]

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Mons. Gerhard Ludwig Müller sulla questione degli abusi sessuali
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il vescovo  di  Ratisbona,  monsignor Gerhard Ludwig Müller, ha diffuso la seguente dichiarazione a proposito dei presunti silenzi della Chiesa di fronte alle accuse di abusi sessuali.

 



* * *



Il ministro della Giustizia, Sabine Leutheusser-Schnarreberger, accusa la Chiesa cattolica in Germania di ostacolare le sanzioni penali previste nei casi di abuso sessuale. Secondo il ministro, in particolare nelle scuole cattoliche esisterebbe un muro di silenzio che renderebbe difficile od ostacolerebbe le indagini sui reati.

L'affermazione del ministro è falsa e diffamatoria. Per la diocesi di Ratisbona la rifiuto nella maniera più assoluta. Chiedo al ministero di presentare la prova dell'accusa secondo la quale la Chiesa ostacolerebbe le indagini. Se non può portare questa prova, le chiedo di non strumentalizzare la sua autorità per soprusi del genere.

Nella diocesi di Ratisbona così come nelle altre diocesi della Germania, secondo le direttive della Conferenza episcopale tedesca, qualsiasi segnalazione di un reato di abuso viene esaminata immediatamente e con accuratezza. Se si rafforza il sospetto, chiediamo al reo presunto di autodenunciarsi. Se il presunto colpevole non lo fa, la diocesi informa il pubblico ministero.

La Chiesa cattolica si prefigge lo scopo di rendere giustizia alla vittima. Se, contro la nostra raccomandazione, una vittima decide di non denunciare, agiamo secondo la volontà della vittima. Un obbligo di denuncia non esiste.

[Traduzione de L'Osservatore Romano]

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Seconda predica di padre Cantalamessa per la Quaresima 2010
"Cristo offrì se stesso a Dio"
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la seconda predica di Quaresima che padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap., ha tenuto questo venerdì mattina nella cappella Redemptoris Mater, alla presenza di Benedetto XVI e dei suoi collaboratori della Curia romana.

Il tema delle meditazioni di quest'anno è "Dispensatori dei misteri di Dio. Il sacerdote, ministro della Parola e dei sacramenti", in continuità con la riflessione sul ministero episcopale e presbiterale iniziata in Avvento.

La prima predica è stata pronunciata il 5 marzo, quella successiva avrà luogo il 26 marzo.

* * *

 


1. La novità del sacerdozio di Cristo

In questa meditazione vogliamo riflettere sul sacerdote come amministratore dei misteri di Dio, intendendo, questa volta, per "misteri" i segni concreti della grazia, i sacramenti. Non possiamo soffermarci su tutti i sacramenti,  ci limitiamo al sacramento per eccellenza che è l'Eucaristia. Così fa anche la Presbyterorum Ordinis che, dopo aver parlato dei presbiteri come evangelizzatori, prosegue dicendo che " il loro servizio, che comincia con l'annuncio del Vangelo, deriva la propria forza e la propria efficacia dal sacrificio di Cristo" che essi rinnovano misticamente sull'altare[1].

Questi due compiti del sacerdote sono quelli che anche gli apostoli riservarono a se stessi: "Quanto a noi -dichiara Pietro negli Atti -, continueremo a dedicarci alla preghiera e al ministero della Parola" (At 6,4). La preghiera di cui egli parla non è la preghiera privata; è la preghiera liturgica comunitaria che ha al suo centro la frazione del pane. La Didaché permette di vedere come l'Eucaristia nei primi tempi veniva offerta proprio nel contesto della preghiera della comunità, come parte di essa e suo culmine[2].

Come il sacrificio della Messa non si concepisce se non in dipendenza dal sacrificio della croce, così il sacerdozio cristiano non si spiega se non in dipendenza e come partecipazione sacramentale al sacerdozio di Cristo. È da qui che dobbiamo partire per scoprire la caratteristica fondamentale e i requisiti del sacerdozio ministeriale.

La novità del sacrificio di Cristo rispetto al sacerdozio dell'antica alleanza (e, come oggi sappiamo,  rispetto a ogni altra istituzione sacerdotale anche fuori della Bibbia) è messa in rilievo nella Lettera agli Ebrei da diversi punti di vista: Cristo non ha avuto bisogno di offrire vittime anzitutto per i propri peccati, come ogni sacerdote (7,27); non ha bisogno di ripetere più volte il sacrificio, ma "una volta sola, alla pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso" (9, 26). Ma la differenza fondamentale è un'altra. Sentiamo come essa viene descritta:

"Cristo, sommo sacerdote dei beni futuri [...] è entrato una volta per sempre nel luogo santissimo, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue. Così ci ha acquistato una redenzione eterna. Infatti, se il sangue di capri, di tori e la cenere di una giovenca sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano, in modo da procurar la purezza della carne, quanto più il sangue di Cristo, che mediante lo Spirito eterno offrì se stesso puro di ogni colpa a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente!" (Eb 9, 11-14).

Ogni altro sacerdote offre qualcosa fuori di sé, Cristo ha offerto se stesso; ogni altro sacerdote offre delle vittime, Cristo si è offerto vittima! Sant'Agostino ha racchiuso in una formula celebre questo nuovo genere di sacerdozio, in cui sacerdote e vittima sono la stessa cosa: "Ideo victor, quia victima, et ideo sacerdos, quia sacrificium": vincitore perché vittima, sacerdote perché vittima"[3].

Nel passaggio dai sacrifici antichi al sacrificio di Cristo si osserva la stessa novità che nel passaggio dalla legge alla grazia, dal dovere al dono, illustrata in una meditazione precedente. Da opera dell'uomo per placare la divinità e riconciliarla a sé, il sacrificio passa ad essere dono di Dio per placare l'uomo, farlo desistere dalla sua violenza e riconciliarlo a sé (cf. Col 1,20). Anche nel suo sacrificio, come in tutto il resto, Cristo è "totalmente altro".

2. "Imitate ciò che compite"

La conseguenza di tutto ciò è chiara: per essere sacerdote "secondo l'ordine di Gesù Cristo", il presbitero deve, come lui, offrire se stesso. Sull'altare, egli non rappresenta soltanto il Gesù "sommo sacerdote", ma anche il Gesù "somma vittima", essendo ormai le due cose inseparabili. In altre parole non può accontentarsi di offrire Cristo al Padre nei segni sacramentali del pane e del vino, deve anche offrire se stesso con Cristo al Padre. Raccogliendo un pensiero di sant'Agostino, la istruzione della S. Congregazione dei riti, Eucharisticum mysterium, scrive: "La Chiesa, sposa e ministra di Cristo, adempiendo con lui all'ufficio di sacerdote e vittima, lo offre al Padre e, insieme, offre tutta se stessa con lui" [4].

Quello che qui si dice della Chiesa intera, si applica in modo tutto speciale  al celebrante. Al momento dell'ordinazione, il vescovo rivolge agli ordinandi l'esortazione: "Agnoscite quod agitis, imitamini quod tractatis": "Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai". In altre parole: fai anche tu ciò che fa Cristo nella Messa, cioè offri te stesso a Dio in sacrificio vivente. Scrive san Gregorio Nazianzeno:

"Sapendo che nessuno è degno della grandezza di Dio, della Vittima e del Sacerdote, se non si è prima offerto lui stesso come sacrificio vivente e santo, se non si è presentato come oblazione ragionevole e gradita (cf Rom 12, 1) e se non ha offerto a Dio un sacrificio di lode e uno spirito contrito - l'unico sacrificio di cui l'autore di ogni dono domanda l'offerta -, come oserò offrirgli l'offerta esteriore sull'altare, quella che è la rappresentazione dei grandi misteri?"[5].

Mi permetto di dire come io stesso ho scoperto questa dimensione del mio sacerdozio perché può forse aiutare a capire meglio. Dopo la mia ordinazione, ecco come io vivevo il momento della consacrazione: chiudevo gli occhi, chinavo il capo, cercavo di estraniarmi da tutto ciò che mi circondava per immedesimarmi in Gesù che, nel cenacolo, pronunciò per la prima volta quelle parole: "Accipite et manducate...", "Prendete, mangiate...".

La liturgia stessa favoriva questo atteggiamento, facendo pronunciare le parole della consacrazione a voce bassa e in latino, chinati sulle specie, rivolti all'altare e non al popolo. Poi, un giorno, ho capito che tale atteggiamento, da solo, non esprimeva tutto il significato della mia partecipazione alla consacrazione. Chi presiede invisibilmente a ogni Messa è il Gesù risorto e vivo, il Gesù, per essere esatti, che era morto, ma ora vive per sempre (cf. Ap 1, 18). Ma questo Gesù è il "Cristo totale", Capo e corpo inscindibilmente uniti. Dunque, se è questo Cristo totale che pronuncia le parole della consacrazione, anch'io le pronuncio con lui. Dentro l'"Io" grande del Capo, c'è nascosto il piccolo "io" del corpo che è la Chiesa, c'è anche il mio piccolissimo "io".

Da allora,  mentre, come sacerdote ordinato dalla Chiesa, pronuncio le parole della consacrazione "in persona Christi", credendo che, grazie allo Spirito Santo, esse hanno il potere di cambiare il pane nel corpo di Cristo e il vino nel suo sangue, allo stesso tempo, come membro del corpo di Cristo,  non chiudo più gli occhi, ma guardo i fratelli che ho davanti, o, se celebro da solo, penso a coloro che devo servire durante il giorno e, rivolto a essi, dico mentalmente, insieme con Gesù: "Fratelli e sorelle, prendete, mangiate: questo è il mio corpo; prendete, bevete, questo è il mio sangue".

In seguito ho trovato una singolare conferma negli scritti della venerabile Concepciòn Cabrera de Armida, detta Conchita, la mistica messicana, fondatrice di tre ordini religiosi, di cui è in corso il processo di beatificazione. Al suo figlio gesuita, in procinto di essere ordinato sacerdote, ella scriveva: "Ricordati, figlio mio, quando terrai in mano l'Ostia Santa, tu non dirai: Ecco il corpo di Gesù, ecco il suo sangue, ma dirai: Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue: cioè deve operarsi in te una trasformazione totale, devi perderti in lui, essere un altro Gesù"[6].

L'offerta del sacerdote e di tutta la Chiesa, senza quella di Gesù, non sarebbe né santa, né gradita a Dio, perché siamo solo creature peccatrici, ma l'offerta di Gesù, senza quella del suo corpo che è la Chiesa, sarebbe anch'essa incompleta e insufficiente: non, s'intende, per procurare la salvezza, ma  perché noi la riceviamo e ce ne appropriamo. È in questo senso che la Chiesa può dire con san Paolo: "Completo nella mia carne ciò che manca alla passione di Cristo" (cf. Col 1, 24).

Possiamo illustrare con un esempio ciò che avviene ad ogni Messa. Immaginiamo che in una famiglia c'è uno dei figli, il primogenito, affezionatissimo al padre. Per il suo compleanno vuole fargli un regalo. Prima però di presentarglielo chiede, in segreto, a tutti i fratelli e le sorelle di apporre la loro firma sul dono. Questo arriva dunque nelle mani del padre come l'omaggio indistinto di tutti i suoi figli e come un segno della stima e dell'amore di tutti loro, ma, in realtà, uno solo ha pagato il prezzo di esso.

E ora l'applicazione. Gesú ammira ed ama sconfinatamente il Padre celeste. A lui vuol fare ogni giorno, fino alla fine del mondo, il dono più prezioso che si possa  pensare, quello della sua stessa vita. Nella Messa egli invita tutti i suoi "fratelli", che siamo noi, ad apporre la loro firma sul dono, di modo che esso giunge a Dio Padre come il dono indistinto di tutti i suoi figli, "il mio e vostro sacrificio", lo chiama il sacerdote nell'Orate fratres. Ma, in realtà, sappiamo che uno solo ha pagato il prezzo di tale dono. E quale prezzo!

3. Il corpo e il sangue

Per capire le conseguenze pratiche che derivano per il sacerdote da tutto questo, è necessario tener conto del significato della parola "corpo" e della parola "sangue". Nel linguaggio biblico, la parola corpo, come la parola carne, non indica, come per noi oggi, una terza parte della persona come nella tricotomia greca (corpo, anima, nous); indica tutta la persona, in quanto vive in una dimensione corporea.( "Il Verbo si fece carne", significa si fece uomo, non ossa, muscoli, nervi!). A sua volta, "sangue" non indica una parte di una parte dell'uomo. Il sangue è sede della vita, perciò l'effusione del sangue è segno della morte.

Con la parola "corpo" Gesù ci ha donato la sua vita, con la parola sangue ci ha donato la sua morte. Applicato a noi, offrire il corpo significa offrire il tempo, le risorse fisiche, mentali, un sorriso che è tipico di uno spirito che vive in un corpo; offrire il sangue significa offrire la morte. Non soltanto il momento finale della vita, ma tutto ciò che già fin da ora anticipa la morte: le mortificazioni, le malattie, le passività, tutto il negativo della vita.

Proviamo a immaginare la vita sacerdotale vissuta con questa consapevolezza. Tutta la giornata, non solo il momento della celebrazione, è una eucaristia: insegnare, governare, confessare, visitare i malati, anche il riposo, anche lo svago, tutto. Un  maestro spirituale, il gesuita francese Pierre Olivaint, diceva: "Le matin, moi prêtre, Lui victime; le long du jour Lui prêtre, moi victime: il mattino (a quel tempo la Messa si celebrava solo di mattina) io sacerdote, Lui (Cristo) vittima ; lungo la giornata, Lui sacerdote, io vittima. "Come fa bene un prete -diceva il Santo curato d'Ars - a offrirsi a Dio in sacrificio tutte le mattine"[7].

Grazie all'Eucaristia, anche la vita del sacerdote anziano, malato, e ridotto all'immobilità, è preziosissima per la Chiesa. Lui offre "il sangue". Feci visita una volta a un sacerdote malato di tumore. Si stava preparando per celebrare una delle sue ultime Messe con l'aiuto di un sacerdote giovane. Aveva anche una malattia agli occhi per cui lacrimava in continuazione. Mi disse: "Non avevo mai capito l'importanza di dire anche a nome mio nella Messa: "Prendete, mangiate; prendete bevete...". Adesso l'ho capito. È tutto quello che mi resta e lo dico in continuazione pensando ai miei parrocchiani. Ho capito cosa vuol dire essere "pane spezzato" per gli altri.

4. A servizio del sacerdozio universale dei fedeli

Una volta scoperta questa dimensione esistenziale, dell'Eucaristia, è compito pastorale del sacerdote aiutare a viverla anche al resto del popolo di Dio. L'anno sacerdotale non dovrebbe rimanere una opportunità e una grazia solo per i preti, ma anche per i laici. La Presbyterorum ordinis afferma chiaramente che il sacerdozio ministeriale è a servizio del sacerdozio universale di tutti battezzati, affinché essi " possano offrire se stessi come  ostia viva, santa, accettabile da Dio (Rom 12,1). Infatti:

"È attraverso il ministero dei presbiteri che il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto nell'unione al sacrificio di Cristo, unico mediatore; questo sacrificio, infatti, per mano dei presbiteri e in nome di tutta la Chiesa, viene offerto nell'eucaristia in modo incruento e sacramentale, fino al giorno della venuta del Signore"[8].

La costituzione Lumen gentium del Vaticano II, parlando del "sacerdozio comune" di tutti i fedeli,  scrive:

"I fedeli, in virtù del regale loro sacerdozio, concorrono all'oblazione dell'Eucaristia...Partecipando al sacrificio eucaristico, fonte e culmine di tutta la vita cristiana, offrono a Dio la Vittima divina e se stessi con Essa; così tutti, sia con la oblazione che con la santa comunione, compiono la propria parte nell'azione liturgica, non però ugualmente, ma chi in un modo e chi in un altro" [9] .

L'Eucaristia è dunque l'atto di tutto il popolo di Dio, non solo nel senso passivo, che ridonda a beneficio di tutti, ma anche attivamente, nel senso che è compiuto con la partecipazione di tutti. Il fondamento biblico più chiaro di questa dottrina è Romani 12, 1: "Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente santo e gradito a Dio, è questo il vostro culto spirituale" .

Commentando queste parole di Paolo, san Pietro Crisologo, diceva:

"L'Apostolo vede così innalzati tutti gli uomini alla dignità sacerdotale per offrire i propri corpi come sacrificio vivente. O immensa dignità del sacerdozio cristiano! L'uomo è divenuto vittima e sacerdote per se stesso. Non cerca più fuori di sé ciò che deve immolare a Dio, ma porta con sé e in sé ciò che sacrifica a Dio per sé... Fratelli, questo sacrificio è modellato su quello di Cristo...Sii dunque, o uomo, sii sacrifico e sacerdote di Dio"  [10].

Proviamo a vedere come il modo di vivere la consacrazione che ho illustrato potrebbe aiutare anche i laici a unirsi all'offerta del sacerdote. Anche il laico è chiamato, abbiamo visto, a offrirsi a Cristo, nella Messa. Può farlo usando le stesse parole di Cristo: "Prendete, mangiate, questo è il mio corpo"? Penso che nulla si opponga a ciò. Non facciamo la stessa cosa quando, per esprimere il nostro abbandono alla volontà di Dio, usiamo le parole di Gesù sulla croce: "Padre, nelle tue mani affido il mio spirito", o quando, nelle nostre prove, ripetiamo: "Passi da me questo calice", o altre parole del Salvatore? Usare le parole di Gesù aiuta ad unirsi ai suoi sentimenti.

La mistica messicana, ricordata sopra, sentiva rivolte anche a se, non solo al figlio sacerdote, le parole di Cristo: "Voglio che, trasformato in me per la sofferenza, per l'amore e per la pratica di tutte le virtù, salga verso il cielo questo grido della tua anima in unione con me: Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue" [11].

Il fedele laico deve solo essere consapevole che queste parole dette da lui, nella Messa o durante il giorno, non hanno il potere di rendere presente il corpo e il sangue di Cristo sull'altare. Egli non agisce, in questo momento, in persona Christi; non rappresenta Cristo, come fa il sacerdote ordinato, ma solo si unisce a Cristo. Perciò, non dirà le parole della consacrazione a voce alta, come il sacerdote, ma nel proprio cuore, pensandole, più che pronunziandole.

Proviamo a immaginare cosa avverrebbe se anche i laici, al momento della consacrazione, dicessero silenziosamente: "Prendete, mangiate: questo è il mio corpo. Prendete, bevete: questo è il mio sangue". Una mamma di famiglia celebra così la sua Messa, poi va a casa e comincia la sua giornata fatta di mille piccole cose. La sua vita è letteralmente sbriciolata; apparentemente non lascia traccia alcuna nella storia. Ma non è cosa da niente quello che fa: è un'eucaristia insieme con Gesù! Una suora dice anche lei, nel suo cuore, al momento della consacrazione: "Prendete, mangiate..."; poi va al suo lavoro giornaliero: bambini, malati, anziani. L'Eucaristia "invade" la sua giornata  che diventa come un prolungamento dell'Eucaristia.

Ma vorrei soffermarmi in particolare su due categorie di persone: i lavoratori e i giovani. Il pane eucaristico "frutto della terra e del lavoro dell'uomo",  ha qualcosa di importante da dire sul lavoro umano, e non solo su quello agricolo. Nel processo che porta dal chicco seminato in terra al pane sulla mensa, interviene l'industria con le sue macchine, il commercio, i trasporti e un'infinità di altre attività, in pratica tutto il lavoro umano. Insegniamo al lavoratore cristiano a offrire, nella Messa, il suo corpo e il suo sangue, cioè il tempo, il sudore, la fatica.  Il lavoro non sarà più alienante come nella visione marxista in cui esso finisce nel prodotto che viene venduto, ma santificante.

E cosa ha da dire l'Eucaristia ai giovani? Basta che pensiamo una cosa: cosa vuole il mondo dai giovani e dalle ragazze, oggi? Il corpo, nient'altro che il corpo! Il corpo, nella mentalità del mondo, è essenzialmente uno strumento di piacere e di sfruttamento. Qualcosa da vendere, da spremere finché è giovane e attraente, e poi da buttare via, insieme con la persona, quando non serve più a questi scopi. Specialmente il corpo della donna è divenuto una merce di consumo.

Insegniamo ai giovani e alle ragazze cristiane a dire, al momento della consacrazione: "Prendete, mangiate, questo è il mio corpo, offerto per voi". Il corpo viene così consacrato, diventa cosa sacra, non si può più "dare in pasto" alla  concupiscenza propria ed altrui, non si può più vendere, perché si è donato. E' diventato eucaristia con Cristo. L'apostolo Paolo scriveva ai primi cristiani: "Il corpo  non è per l'impudicizia, ma per il Signore...Glorificate dunque Dio con il vostro corpo (1 Cor 6, 13.20). E spiegava subito i due modi in cui si può glorificare Dio con il proprio corpo: o con il matrimonio o con la verginità, a secondo del carisma e della vocazione  di ognuno (cf. 1 Cor 7, 1 ss.).

5. Con l'opera dello Spirito Santo

Dove trovare la forza, sacerdoti e laici, per fare questa offerta totale di sé a Dio, per prendersi e sollevarsi, per così dire, da terra con le proprie mani? La risposta è: lo Spirito Santo! Cristo, abbiamo ascoltato all'inizio dalla Lettera agli Ebrei, offrì se stesso al Padre in sacrificio, "nello Spirito eterno" (Eb 9, 14), cioè grazie allo Spirito Santo. Fu lo Spirito Santo che come suscitava nel cuore umano di Cristo l'impulso alla preghiera (cf. Lc 10,21), così suscitò in lui l'impulso e anzi il desiderio di offrirsi al Padre in sacrificio per l'umanità.

Papa Leone XIII, nella sua enciclica sullo Spirito Santo, dice che "Cristo ha compiuto ogni sua opera, e specialmente il suo sacrificio, con l'intervento dello Spirito Santo (praesente Spiritu)"[12] e nella Messa, prima della comunione, il sacerdote prega dicendo: "Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che per volontà del Padre e con l'opera dello Spirito Santo (cooperante Spiritu Sancto), morendo hai dato la vita al mondo...". Questo spiega perché nella Messa ci sono due "epiclesi", cioè due invocazioni dello Spirito Santo: una, prima della consacrazione, sul pane e sul vino, e una, dopo la consacrazione, sull'intero corpo mistico.

Con le parole di una di queste epiclesi (Preghiera eucaristica III), chiediamo al Padre il dono del suo Spirito per essere a ogni Messa, come Gesù, sacerdoti e insieme sacrificio: "Egli (lo Spirito Santo) faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno  promesso insieme con i tuoi eletti: con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con i tuoi santi apostoli, i gloriosi martiri e tutti i santi nostri intercessori presso di te".

[1] PO, 2.

[2] Didachè, 9-10.

[3] Agostino, Confessioni, 10,43.

[4] Eucharisticum mysterium, 3; cf. Agostino, De civitate Dei, X, 6 (CCL 47, 279).

[5] Gregorio Nazianzeno, Oratio 2, 95 (PG 35, 497).

[6] In Diario spirituale di una madre di famiglia, a cura di M.-M. Philipon, Roma, Città Nuova, 1985, p. 117.

[7] Citato da Benedetto XVI nella Lettera di indizione dell'anno sacerdotale.

[8] PO, 2.

[9] Lumen gentium, 10-11.

[10] Pietro Crisologo, Sermo 108 (PL 52, 499 s.).

[11] Diario, cit., p. 199.

[12] Leone XIII, Enc. "Divinum illud munus", 6.

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Il Papa ai partecipanti al Convegno "Fedeltà di Cristo, fedeltà del Sacerdote"
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI nel ricevere questo venerdì in udienza i partecipanti a un Convegno teologico internazionale sul tema "Fedeltà di Cristo, fedeltà del Sacerdote", promosso dalla Congregazione vaticana per il Clero e in corso dall'11 al 12 marzo presso la Pontificia Università Lateranense.




* * *

Signori Cardinali,

Cari confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

Gentili convenuti,

sono lieto di incontrarvi in questa particolare occasione e vi saluto tutti con affetto. Rivolgo un particolare pensiero al Cardinale Cláudio Hummes, Prefetto della Congregazione per il Clero, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto. La mia gratitudine va all’intero Dicastero, per l’impegno con cui coordina le molteplici iniziative dell’Anno Sacerdotale, tra le quali questo Convegno Teologico, dal tema: "Fedeltà di Cristo, Fedeltà del Sacerdote". Mi rallegro per questa iniziativa che vede la presenza di più di 50 Vescovi e di oltre 500 sacerdoti, molti dei quali responsabili nazionali o diocesani del Clero e della formazione permanente. La vostra attenzione ai temi riguardanti il Sacerdozio ministeriale è uno dei frutti di questo speciale Anno, che ho voluto indire proprio per "promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi" (Lettera per l’indizione dell’Anno Sacerdotale).

Il tema dell’identità sacerdotale, oggetto della vostra prima giornata di studio è determinante per l’esercizio del sacerdozio ministeriale nel presente e nel futuro. In un’epoca come la nostra, così "policentrica" ed incline a sfumare ogni tipo di concezione identitaria, da molti ritenuta contraria alla libertà e alla democrazia, è importante avere ben chiara la peculiarità teologica del Ministero ordinato per non cedere alla tentazione di ridurlo alle categorie culturali dominanti. In un contesto di diffusa secolarizzazione, che esclude progressivamente Dio dalla sfera pubblica, e, tendenzialmente, anche dalla coscienza sociale condivisa, spesso il sacerdote appare "estraneo" al sentire comune, proprio per gli aspetti più fondamentali del suo ministero, come quelli di essere uomo del sacro, sottratto al mondo per intercedere a favore del mondo, costituito, in tale missione, da Dio e non dagli uomini (cfr Eb 5,1). Per tale motivo è importante superare pericolosi riduzionismi, che, nei decenni passati, utilizzando categorie più funzionalistiche che ontologiche, hanno presentato il sacerdote quasi come un "operatore sociale", rischiando di tradire lo stesso Sacerdozio di Cristo. Come si rivela sempre più urgente l’ermeneutica della continuità per comprendere in modo adeguato i testi del Concilio Ecumenico Vaticano II, analogamente appare necessaria un’ermeneutica che potremmo definire "della continuità sacerdotale", la quale, partendo da Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, e passando attraverso i duemila anni della storia di grandezza e di santità, di cultura e di pietà, che il Sacerdozio ha scritto nel mondo, giunga fino ai nostri giorni.

Cari fratelli sacerdoti, nel tempo in cui viviamo è particolarmente importante che la chiamata a partecipare all’unico Sacerdozio di Cristo nel Ministero ordinato fiorisca nel "carisma della profezia": c’è grande bisogno di sacerdoti che parlino di Dio al mondo e che presentino a Dio il mondo; uomini non soggetti ad effimere mode culturali, ma capaci di vivere autenticamente quella libertà che solo la certezza dell’appartenenza a Dio è in grado di donare. Come il vostro Convegno ha ben sottolineato, oggi la profezia più necessaria è quella della fedeltà, che partendo dalla Fedeltà di Cristo all’umanità, attraverso la Chiesa ed il Sacerdozio ministeriale, conduca a vivere il proprio sacerdozio nella totale adesione a Cristo e alla Chiesa. Infatti, il sacerdote non appartiene più a se stesso, ma, per il sigillo sacramentale ricevuto (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, nn.1563; 1582), è "proprietà" di Dio. Questo suo "essere di un Altro" deve diventare riconoscibile da tutti, attraverso una limpida testimonianza.

Nel modo di pensare, di parlare, di giudicare i fatti del mondo, di servire e amare, di relazionarsi con le persone, anche nell’abito, il sacerdote deve trarre forza profetica dalla sua appartenenza sacramentale, dal suo essere profondo. Di conseguenza, deve porre ogni cura nel sottrarsi alla mentalità dominante, che tende ad associare il valore del ministro non al suo essere, ma solo alla sua funzione, misconoscendo, così, l’opera di Dio, che incide nell’identità profonda della persona del sacerdote, configurandolo a Sé in modo definitivo (cfr ibid., n.1583).

L’orizzonte dell’appartenenza ontologica a Dio costituisce, inoltre, la giusta cornice per comprendere e riaffermare, anche ai nostri giorni, il valore del sacro celibato, che nella Chiesa latina è un carisma richiesto per l’Ordine sacro (cfr Presbyterorum Ordinis, 16) ed è tenuto in grandissima considerazione nelle Chiese Orientali (cfr CCEO, can. 373). Esso è autentica profezia del Regno, segno della consacrazione con cuore indiviso al Signore e alle "cose del Signore" (1Cor 7,32), espressione del dono di sé a Dio e agli altri (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n.1579).

Quella del sacerdote è, pertanto, un’altissima vocazione, che rimane un grande Mistero anche per quanti l’abbiamo ricevuta in dono. I nostri limiti e le nostre debolezze devono indurci a vivere e a custodire con profonda fede tale dono prezioso, con il quale Cristo ci ha configurati a Sé, rendendoci partecipi della Sua Missione salvifica. Infatti, la comprensione del Sacerdozio ministeriale è legata alla fede e domanda, in modo sempre più forte, una radicale continuità tra la formazione seminaristica e quella permanente. La vita profetica, senza compromessi, con la quale serviremo Dio e il mondo, annunciando il Vangelo e celebrando i Sacramenti, favorirà l’avvento del Regno di Dio già presente e la crescita del Popolo di Dio nella fede.

Carissimi sacerdoti, gli uomini e le donne del nostro tempo ci chiedono soltanto di essere fino in fondo sacerdoti e nient’altro. I fedeli laici troveranno in tante altre persone ciò di cui umanamente hanno bisogno, ma solo nel sacerdote potranno trovare quella Parola di Dio che deve essere sempre sulle sue labbra (cfr Presbyterorum Ordinis, 4); la Misericordia del Padre, abbondantemente e gratuitamente elargita nel Sacramento della Riconciliazione; il Pane di Vita nuova, "vero cibo dato agli uomini" (cfr Inno dell’Ufficio nella Solennità del Corpus Domini del Rito romano). Chiediamo a Dio, per intercessione della Beata Vergine Maria e di San Giovanni Maria Vianney, di poterLo ringraziare ogni giorno per il grande dono della vocazione e di vivere con piena e gioiosa fedeltà il nostro Sacerdozio. Grazie a tutti per questo incontro! Ben volentieri imparto a ciascuno la Benedizione Apostolica.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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