martedì 9 marzo 2010

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ZENIT

Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 09 marzo 2010

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La Chiesa decisa a far luce sugli abusi sessuali del clero
Nota del portavoce vaticano di fronte all'aumento dei Paesi coinvolti

CITTA' DEL VATICANO, martedì, 9 marzo 2010 (ZENIT.org).- La questione degli abusi sessuali che coinvolgono esponenti del clero cattolico suscita da mesi accese reazioni. Di fronte alle recenti notizie di un aumento dei Paesi implicati in situazioni di questo tipo, il portavoce vaticano ha ribadito l'impegno della Chiesa a far luce su questi crimini orrendi.

Padre Federico Lombardi, S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha commentato l'argomento in una nota riportata dalla “Radio Vaticana” nella quale ricorda che “la gravissima questione degli abusi sessuali su minori in istituzioni gestite da enti ecclesiastici e da parte di persone con responsabilità nella Chiesa, in particolare sacerdoti, ha investito la Chiesa e la società irlandese”.

Di fronte a questo, sottolinea, Benedetto XVI “ha dimostrato la sua partecipazione, in particolare con due incontri, prima con i più alti rappresentanti dell’episcopato e poi con tutti i Vescovi ordinari, e prepara la pubblicazione di una lettera sull’argomento per la Chiesa in Irlanda” (cfr. ZENIT, 16 febbraio 2010).

Nelle ultime settimane, ha osservato padre Lombardi, il dibattito sugli abusi sessuali nei confronti di minori “sta coinvolgendo la Chiesa anche in alcuni Paesi dell’Europa centrale (Germania, Austria, Olanda)”.

A questo proposito, il portavoce vaticano ha iniziato col sottolineare che “le principali istituzioni ecclesiastiche coinvolte (la Provincia dei gesuiti tedeschi – prima ad essere coinvolta per il caso del Collegio Canisius di Berlino –, la Conferenza episcopale tedesca, la Conferenza episcopale austriaca, la Conferenza episcopale olandese…) hanno affrontato il manifestarsi del problema con tempestività e con decisione”.

“Hanno dato prova di volontà di trasparenza, in certo senso hanno accelerato il manifestarsi del problema invitando le vittime a parlare anche quando si trattava di casi di molto tempo fa”.

Così facendo, ha constatato, “hanno affrontato le questioni 'con il piede giusto', perché il punto di partenza corretto è il riconoscimento di ciò che è avvenuto, e la preoccupazione per le vittime e le conseguenze degli atti compiuti contro di loro”.

Hanno inoltre “ripreso in considerazione le 'Direttive' già esistenti o hanno previsto nuove indicazioni operative per mettere a fuoco anche la strategia di prevenzione, affinché sia fatto tutto il possibile perché in futuro simili gravissimi fatti non abbiano a ripetersi”.

Questi fatti, sottolinea padre Lombardi, “mobilitano la Chiesa ad elaborare le risposte appropriate e vanno inseriti in un contesto e in una problematica più ampia che riguarda la tutela dei bambini e dei giovani dagli abusi sessuali nella società”.

Riconoscendo che “gli errori compiuti nelle istituzioni e da responsabili ecclesiali sono particolarmente riprovevoli, data la responsabilità educativa e morale della Chiesa”, il portavoce vaticano ricorda ad ogni modo che “la questione è molto più ampia, e il concentrare le accuse solo sulla Chiesa porta a falsare la prospettiva”.

I dati recentemente forniti dalle autorità competenti in Austria, ad esempio, dicono che in uno stesso periodo di tempo i casi accertati in istituzioni riconducibili alla Chiesa sono stati 17, mentre ve ne sono stati altri 510 in altri ambienti.

In Germania, invece, vengono ora ipotizzate iniziative, promosse dal Ministero della Famiglia, per “convocare una 'tavola rotonda' delle diverse realtà educative e sociali per affrontare la questione in una prospettiva complessiva e adeguata”.

“La Chiesa è naturalmente pronta a partecipare e impegnarsi”, ha dichiarato il portavoce vaticano, segnalando che “probabilmente la sua dolorosa esperienza può essere un contributo utile anche per altri”.

Anche il Cancelliere Angela Merkel, ha commentato poi, “ha giustamente dato atto alla Chiesa in Germania della serietà e della costruttività del suo impegno”.

“Per completare queste considerazioni”, ha proseguito padre Lombardi, “è bene ricordare ancora che la Chiesa vive inserita nella società civile e in essa assume le sue responsabilità, ma ha anche un suo ordinamento specifico distinto, quello 'canonico', che risponde alla sua natura spirituale e sacramentale, in cui quindi anche le procedure giudiziali e penali sono di natura diversa (ad esempio non prevedono pene pecuniarie o di privazione della libertà, ma impedimento di esercizio di ministero, privazione di diritti nel campo ecclesiastico, ecc.)”.

Nell’ambito canonico, il delitto di abuso sessuale di minori “è sempre stato considerato uno dei più gravi fra tutti”, come sottolinea la Lettera “De delictis gravioribus” del 2001, che ha rappresentato “un segnale determinante per richiamare l’episcopato sulla gravità del problema e un impulso concreto per l’elaborazione di direttive operative per affrontarlo”.

“Se non si può negare la gravità del travaglio che la Chiesa sta attraversando – ha concluso padre Lombardi –, non bisogna rinunciare a fare tutto il possibile perché se ne ottengano alla fine anche risultati positivi, di migliore protezione dell’infanzia e della gioventù nella Chiesa e nella società, e di purificazione per la Chiesa stessa”.

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Il Convegno Teologico sui sacerdoti in web TV
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 9 marzo 2010 (ZENIT.org).- Si potrà seguire in diretta via Internet sul sito www.annussacerdotalis.org il Convegno Teologico Internazionale "Fedeltà di Cristo, fedeltà del Sacerdote", promosso dalla Congregazione per il Clero e programmato a Roma l'11 e il 12 marzo.

All'incontro sono invitati principalmente i Vescovi Presidenti delle Commissioni per il Clero, tutti i Vescovi che hanno una sollecitudine particolare per il loro presbiteri, i moderatori degli istituti e delle associazioni clericali, i formatori del clero e i sacerdoti stessi, primi e principali responsabili della propria formazione permanente.

Per ulteriori informazioni, posta@cclergy.va.

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Notizie dal mondo


Nigeria: violenza etnica e non religiosa, secondo un Arcivescovo
Gli scontri hanno provocato 500 morti

ABUJA, martedì, 9 marzo 2010 (ZENIT.org).- I violenti scontri che hanno provocato, in base a stime provvisorie, 500 vittime nello Stato nigeriano di Plateau rispondono alla violenza etnica e non a quella religiosa.

Lo ha affermato questo lunedì l'Arcivescovo di Abuja, monsignor John Olorunfemi Onaiyekan, in un'intervista telefonica concessa alla “Radio Vaticana” dalla capitale nigeriana.

“Facilmente la stampa internazionale è portata a dire che sono i cristiani e i musulmani ad uccidersi”, ha lamentato. “Ma non è questo il caso, perché non si uccide a causa della religione, ma per rivendicazioni sociali, economiche, tribali, culturali”.

Nelle ultime ore, pastori nomadi di etnia fulani e di religione musulmana hanno attaccato le località di Dogo Nahawa, Ratsat e Zot (vicine alla capitale dello Stato, Jos), i cui abitanti sono soprattutto di etnia berom e religione cristiana.

Secondo monsignor Olorunfemi Onaiyekan, “si tratta del classico conflitto tra pastori e agricoltori, solo che i fulani sono tutti musulmani e i berom sono tutti cristiani”.

Dopo il massacro, molti soldati vigilano sulla zona, e le autorità locali hanno arrestato 95 persone. Per l'Arcivescovo, ad ogni modo, il Governo è “molto debole” e sembra non essere in grado di garantire la sicurezza di tutti i cittadini.

Non è la prima volta che affiorano tensioni di questo tipo. Nel gennaio scorso, più di 300 persone sono morte in tre giorni di scontri tra gruppi musulmani e cristiani a Jos.

Nella capitale, spiega l'Arcivescovo di Abuja, i due gruppi si mescolano e la rivalità per controllare le terre è più forte che altrove.

“I fulani, che seguono il loro bestiame, li troviamo dappertutto nella Nigeria, ma quando si trovano in altre zone non si dicono padroni della terra – ha indicato –. A Jos, invece, pretendono di esserlo”.

Oltre a questo, sembra che i pastori musulmani fulani “abbiano sempre l’appoggio dei loro fratelli del Nord della Nigeria”.

Un fattore che non favorisce la pace è la facilità con cui le armi circolano nella zona, a causa delle guerre e della violenza che affliggono il Paese.

In questo senso, l'Arcivescovo ha confessato che “è molto facile trovare della gente che venga a combattere solo per un pugno di dollari”.

Di fronte a questa situazione, la Chiesa continua a lavorare per promuovere le buone relazioni tra cristiani e musulmani.

“Cerchiamo anche di metterci d’accordo nel tentare di domare la violenza e di impegnarci assieme per affrontare i problemi concreti, politici ed etnici”, ha sottolineato.

“Preghiamo per la pace, per il buon governo, per la verità. E preghiamo anche che la gente riconosca che l’unico modo di sopravvivere in questo Paese è che ci si riconosca come fratelli e cittadini dello stesso Paese”, ha aggiunto.

Dal canto suo l'Arcivescovo di Jos, monsignor Ignatius Ayau Kaigama, che a gennaio aveva respinto l'ipotesi che gli scontri fossero dovuti a motivi religiosi, ha denunciato la ferocia degli ultimi attacchi.

“Un gruppo di persone – non ne conosciamo l'identità – ha circondato il villaggio e l'ha attaccato. Hanno anche ucciso donne e bambini”.

“In un conflitto, in genere, si difendono i bambini – ha commentato all'associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) –, ma non hanno avuto pietà neanche dei piccoli. Gli assalitori hanno usato fucili, coltelli, machete e armi simili”.

Dopo aver mutilato e ucciso gli abitanti di Dogo-Nahawa, si sono spostati in altri tre villaggi. Per il presule, provenivano da uno Stato confinante e sono giunti eludendo i sistemi di sicurezza (dopo gli scontri di gennaio l'area che circonda Jos è soggetta al coprifuoco militare).

Questo martedì si è riunito per la prima volta un comitato di pace istituito all'inizio di quest'anno per far fronte alle tensioni in Nigeria, guidato da Solomon Lar, il primo governatore civile dello Stato di Plateau.

Gli altri 26 membri sono ex governatori, ex generali, leader religiosi e anziani che rappresentano le varie tribù.

“Questo fatto mostra che sono seri – ha commentato l'Arcivescovo Kaigama –. E' stato un segno di solidarietà, chiunque abbia parlato era molto rattristato”.

“Dobbiamo cercare delle soluzioni. E' troppo semplicistico dire che è solo una lotta religiosa tra cristiani e musulmani – ha aggiunto –. Dobbiamo andare oltre, c'è bisogno di una soluzione politica e sociale”.

Alcuni resoconti suggeriscono che gli attacchi potrebbero essere motivati dalle tensioni per il controllo dei pascoli e dalla perdita di bestiame all'inizio dell'anno.

Per auspicare la fine degli scontri, una Messa è stata organizzata per il 19 marzo, giorno in cui il Vescovo esorta tutti i cristiani a pregare per la Nigeria.

“Ci riuniremo, ma la gente ha bisogno soprattutto di pregare – ha segnalato –. Per favore, ricordateci il 19 marzo”.

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India: Vescovi arrestati perché a favore dei diritti degli "intoccabili"
La polizia arresta centinaia di persone che partecipavano a una manifestazione

CHENNAI, martedì, 9 marzo 2010 (ZENIT.org).- Tre presuli e numerosi sacerdoti, suore e laici sono stati arrestati, insieme a centinaia di persone, venerdì 5 marzo vicino Chennai per aver partecipato a una manifestazione in difesa dei diritti degli “intoccabili” cristiani.

I presuli arrestati dalla polizia sono l'Arcivescovo di Madras-Mylapore, monsignor Malayappan Chinnappa, S.D.B., l'Arcivescovo di Madurai, monsignor Peter Fernando, e il Vescovo di Chinglepet, monsignor Anthonisamy Neethinathan, secondo quanto rende noto l'agenzia Ucanews.

La polizia indiana li ha trattenuti per quattro ore in occasione di un incontro di migliaia di persone con cui culminava una marcia di 500 chilometri a favore degli “intoccabili”, evento durato quasi un mese e iniziato a Kanyakumari, nel sud del Paese.

La manifestazione aveva l'obiettivo di sensibilizzare la popolazione e le autorità indiane sulla situazione di emarginazione subita dai membri delle caste sociali più basse (in lingua locale “dalit”), in base al sistema tradizionale di divisione della società indiana.

I leader cristiani chiedono al Governo federale e ai Governi statali di mettere in pratica il Rapporto Ranganath Misra per garantire agli “intoccabili” cristiani e musulmani un aiuto per gruppi sociali svantaggiati.

Il presidente del Consiglio dei Vescovi del Tamil Nadu, l'Arcivescovo Chinnappa, ha dichiarato ai mezzi di comunicazione che i “dalit” cristiani e musulmani stanno subendo il ritardo nell'applicazione del Rapporto.

Questo documento della Commissione Mista stabilisce che non includere i cristiani e i musulmani nella lista dei beneficiari degli aiuti rappresenta una discriminazione per motivi religiosi che va contro la Costituzione dell'India.

I “dalit” vivono in sobborghi e possono aspirare solo a lavori faticosi e umili, ma dal 1950 il Governo indiano ha avviato programmi di promozione e inclusione sociale che prevedono vie preferenziali nell'istruzione e nel pubblico impiego per i membri di questa categoria.

Tali programmi, inizialmente rivolti ai “dalit” indù e poi aperti a quelli di religione sikh e ai buddisti, continuano tuttavia a escludere i cristiani e i musulmani, che rappresentano la maggior parte degli “intoccabili”.



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Anglicani degli Stati Uniti chiederanno un ordinariato cattolico
Si pensa che in 5.200 entreranno in comunione con la Chiesa
ORLANDO, martedì, 9 marzo 2010 (ZENIT.org).- I leader della Chiesa anglicana negli Stati Uniti della Comunione Anglicana Tradizionale hanno risposto all'invito di Benedetto XVI a entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica.

La Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus, pubblicata nel novembre scorso, ha offerto ai gruppi di anglicani un modo di entrare nella Chiesa cattolica attraverso l'istituzione di ordinariati personali, un nuovo tipo di struttura canonica.

In questo modo possono conservare alcuni elementi delle loro tradizioni liturgiche e spirituali, essendo allo stesso tempo uniti sotto l'autorità del Papa.

Mercoledì scorso, la Casa dei Vescovi della Chiesa Anglicana negli Stati Uniti ha annunciato di aver avuto un incontro a Orlando "con il nostro Primate, il reverendo Christopher Phillips della parrocchia 'di uso anglicano' di Nostra Signora dell'Espiazione (San Antonio, Texas), e altri".

"In questo incontro - si spiega in un comunicato - è stata presa la decisione formale di richiedere l'applicazione delle disposizioni della Costituzione Apostolica 'Anglicanorum Coetibus' negli Stati Uniti d'America da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede".

La Anglican Church in America (Chiesa Anglicana in America, ACA), che ha circa 5.200 membri in 100 congregazioni, è diversa dalla Chiesa Episcopaliana.

Non fa parte della Comunione Anglicana che ha come Primate principale l'Arcivescovo di Canterbury.

L'ACA è stata creata nel 1991 quando alcuni membri della Chiesa cattolica anglicana (il ramo della Chiesa anglicana più vicino a quella cattolica) e della Chiesa americana episcopaliana si sono uniti formando una nuova Chiesa.

L'attuale presidente della Casa dei Vescovi dell'ACA è l'Arcivescovo Louis Falk.

La Comunione Tradizionale Anglicana, che ha circa 400.000 membri in tutto il mondo, ha come Primate l'Arcivescovo John Hepworth, della Chiesa cattolica anglicana in Australia.

I leader di questa Comunione hanno inviato una lettera alla Santa Sede nell'ottobre 2007 per chiedere la piena unità con la Chiesa cattolica.

Hanno dichiarato la propria adesione alla dottrina cattolica, ma hanno anche espresso il desiderio di conservare alcune tradizioni anglicane.

La Congregazione per la Dottrina della Fede ha risposto nel luglio 2008 impegnandosi a prendere in considerazione questa possibilità.

L'anno dopo, il 20 ottobre 2009, il Prefetto della Congregazione, il Cardinale William Levada, ha annunciato l'intenzione di Benedetto XVI di creare una forma che permettesse a questi gruppi anglicani di entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica.

Alcuni giorni dopo, il 9 novembre, è stata pubblicata la "Anglicanorum Coetibus".

 



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Le migrazioni, una sfida della fede e della carità
Inaugurato a Istanbul l'incontro annuale del Comitato congiunto CCEE/KEK

ROMA, martedì, 9 marzo 2010 (ZENIT.org).- La questione delle migrazioni in Europa richiede una risposta congiunta da parte di tutti i cristiani le cui direttrici devono essere la giustizia e il rispetto della dignità umana. E' quanto ha detto questo lunedì il Cardinale Péter Erdo, Arcivescovo di Esztergom-Budapest e Primate d'Ungheria, nell'inaugurare un incontro in corso a Istanbul (Turchia).

La capitale europea della cultura 2010 ospita, infatti, fino all'11 marzo l’incontro annuale del Comitato congiunto della Conferenza delle Chiese Europee (KEK) e del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE) che si svolge su invito del Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, che questo martedì ha ricevuto in udienza i partecipanti.

Al centro dei lavori assembleari le attività, le esperienze e i progetti delle Chiese e Conferenze episcopali nel campo delle migrazioni e un dibattito sui temi di attualità presso le istituzioni europee.

ll tema delle migrazioni è stato scelto in occasione dell’anno delle Chiese europee che rispondono alle migrazioni promosso dalla KEK per il 2010. L’obiettivo dell’anno è di promuovere la visibilità dell’impegno delle Chiese a favore degli stranieri, in risposta al messaggio della Bibbia, e di promuovere una politica di integrazione dei migranti attraverso il lavoro per e con i migranti stessi, i rifugiati e le minoranze etniche a livello europeo e nazionale.

Nel suo discorso introduttivo il Cardinale Péter Erdo ha posto da subito l'accento sulla sfida che accomuna tutti i cristiani del Vecchio Continente e cioè quella di “rendere testimonianza con parola esplicita e con vita attiva e coerente del Cristo crocifisso e risorto che è e sarà sempre fonte di forza, gioia, felicità e salvezza per tutti gli uomini e quindi anche per tutta l’Europa”.

Ma oltre ad accompagnare tutti nel cammino verso Dio, ha continuato, la Chiesa deve essere anche “un aiuto per lo sviluppo umano e per la promozione della giustizia”. Specialmente nei confronti di quelle persone costrette a emigrare non solo a causa di guerre e discriminazioni, ma anche “per motivi prevalentemente economici”, conseguenze spesso “dell’egoismo sfrenato di gruppi economici internazionali e dell’attività dei loro complici all’interno dei singoli paesi”.

Quindi, ha aggiunto, “deve essere riconosciuto ovunque la dignità personale di tutti, anche degli immigrati illegali”, anche se “ciò non significa l’abolizione di tutta la regolamentazione giuridica nell’ambito delle migrazioni”.

“Deve essere tutelato allo stesso tempo anche l’ordine legale di tutti i paesi – ha poi precisato –, una obbligazione non trascurabile del potere pubblico di fronte alla propria popolazione, perchè, specialmente qui nella nostra Europa, i criteri richiesti dalla dignità umana di tutti, possono e devono essere garantiti mediante il funzionamento dello Stato di diritto”.

“La legalità e la giustizia quindi da una parte – ha ribadito –, il riconoscimento doveroso e assoluto della dignità umana di tutti e la misericordia verso i più bisognosi dall’altra, formano un insieme organico”.

Le migrazioni, inoltre, riguardando spesso fedeli di confessioni cristiane diverse sono anche “un richiamo per approfondire il dialogo e cercare l’unità dei cristiani”, in uno spirito di solidarietà animato da “un vero e sincero ecumenismo senza relativismo o proselitismo”.

Tuttavia, ha continuato il porporato, “la carità deve avere sempre la precedenza nel dialogo ecumenico e potrà avere anche delle risposte nella stessa carità cristiana nei paesi dove invece i cattolici si trovano in posizione di immigranti o di diaspora”.

“Come cristiani, 'migranti per vocazione' – ha detto –, non possiamo mai guardare un migrante semplicemente come un rifugiato, uno studente straniero, un lavoratore temporale, ma non possiamo guardare neanche le società che accolgono i migranti come delle realtà comunque esistenti senza dover combattere per la loro propria stabilità, giustizia e cultura”.

“Tutti cerchiamo Dio e per tutti noi Gesù Cristo è venuto come la nostra 'Via'. Tanto più fedele sarà la nostra sequela, tanto più sentiremo la gioia di camminare insieme, uniti nel Suo Spirito verso la casa del Padre eterno”, ha quindi concluso.

Nel suo intervento Doris Peschke, Direttrice della Commissione delle Chiese per i migranti in Europa (CCME), ha osservato che “le cause del fenomeno migratorio sono complesse e molteplici. Spesso la reazione delle società ospitanti è principalmente incentrata sulle paure e sulle sfide che tale fenomeno pone, tralasciando le opportunità offerte ai migranti e alle società ospitanti”.

“ll ruolo della Chiesa – ha poi proseguito – dovrebbe quindi essere quello di stare accanto ai fratelli e alle sorelle migranti e di sostenere i loro diritti e la loro dignità. Ciò dovrebbe essere fortemente radicato nella convinzione che i cristiani in realtà nell’incontro con i migranti non incontrano solo fratelli e sorelle, ma Gesù stesso, specialmente laddove si tratti di persone in difficoltà. Le Chiese possono altresì giocare un ruolo cruciale nell’educare le società ospitanti nel loro incontro con i migranti”.

Dal canto suo, Johan Ketelers, Segretario Generale dell'ICMC (Commissione Internazionale Cattolica per le Migrazioni), ha ricordato “come sia necessario riconoscere che i migranti non sono semplici produttori di mano d’opera e di opportunità economiche, ma prima di tutto esseri umani”.

“Bisogna inoltre riconoscere che solo una situazione di sicurezza e di stabilità per i migranti e le loro famiglie, anche per i migranti senza documenti, permetterà loro di sviluppare pienamente il loro potenziale in quanto attori dello sviluppo”, ha poi aggiunto.

Il Comitato congiunto, istituito nel 1972, ha come compito quello di supervisionare la cooperazione fra la KEK - una comunione di 120 Chiese ortodosse, protestanti, anglicane e vecchio-cattoliche di tutti i paesi europei, e di 40 organizzazioni associate -, e il CCEE che riunisce invece i membri delle attuali 33 Conferenze episcopali presenti in Europa.

Comprende, oltre i Segretari generali dei due organismi, sette membri della KEK e sette membri nominati dal CCEE. 

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Le Olimpiadi donano più unità cristiana alle Chiese di Vancouver
Mobilitazione generale per accogliere atleti, allenatori e visitatori
ROMA, martedì, 9 marzo 2010 (ZENIT.org).- Grazie al coinvolgimento nelle Olimpiadi invernali, le Chiese di Vancouver (Canada) sono più unite. E' la valutazione che una delegazione britannica ha compiuto dell'iniziativa More than Gold, che si ritiene aiuterà le Chiese a dare il massimo ai Giochi Olimpici estivi di Londra 2012.

La delegazione del Regno Unito, guidata dal chief executive officer David Wilson, ha verificato che la risposta delle Chiese canadesi ha coinvolto circa 350 chiese, che hanno collaborato per aiutare atleti, allenatori e visitatori giunti nella zona per l'evento sportivo.

Il coinvolgimento della Chiesa ha previsto più di una dozzina di programmi, come fornire cappellani per i villaggi in cui alloggiavano gli atleti. Questo aspetto è stato particolarmente importante dopo la tragica morte dell'atleta georgiano dello slittino Nodar Kumaritashvili, che ha offuscato la gioia per l'apertura dei Giochi.

Le chiese hanno anche fornito a tutti bevande calde nelle principali fermate dei mezzi di trasporto di Vancouver.

"Abbiamo visto la storia dispiegarsi mentre centinaia di chiese si univano come mai prima per accogliere e servire gente di ogni parte del pianeta - ha detto David Wilson -. Abbiamo testimoniato come attorno a noi crollassero barriere e fraintendimenti di lunga data".

La delegazione britannica includeva rappresentanti della Chiesa d'Inghilterra, dell'Esercito della Salvezza, della Chiesa cattolica, della Chiesa pentecostale e del Vineyard.

"Questa visita", ha detto un delegato, "ha portato chiarezza a quanti di noi rappresentano la comunità cristiana in Gran Bretagna. Il 2012 ci offre l'opportunità di essere un esempio dei valori olimpici di fiducia, onore, correttezza, rispetto, che sono ovviamente i nostri valori evangelici".

Dave Wells, Sovrintendente Generale delle Assemblee Pentecostali di Dio che ha guidato il team dei cappellani a Vancouver, ha affermato che "la cura pastorale è il filo spesso nascosto che tiene tutto insieme ai Giochi Olimpici".

"In pochi altri luoghi il risultato di anni di disciplina intensa e concentrata può provocare uno schiacciante senso di perdita o di gioia in base al risultato di un evento come in questo caso. Ciò vale sia per l'atleta che per l'allenatore. Siamo qui per offrire sostegno a quanti richiedono un'assistenza spirituale per portare avanti ogni parte di questo viaggio".

Dopo aver verificato l'esperienza canadese, David Wilson ha affermato che la Gran Bretagna spera che almeno tremila chiese del Regno Unito si mobiliteranno per i Giochi del 2012, un evento che dovrebbe avere dimensioni cinque volte maggiori rispetto a quello di Vancouver.

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Segnalazioni


Ricordo di Giovanni Paolo II all'Università Europea di Roma

ROMA, martedì, 9 marzo 2010 (ZENIT.org).- A quasi cinque anni dalla morte di Papa Giovanni Paolo II, l’Università Europea di Roma ha organizzato un incontro per ricordarlo, attraverso le immagini del suo pontificato e la testimonianza di persone che lo hanno seguito e conosciuto.

L’incontro, che si terrà domani, mercoledì 10 marzo 2010, alle ore 18.00 a Roma, in via degli Aldobrandeschi 190, si aprirà con la proiezione del film documentario “Credo: Giovanni Paolo II”, realizzato dal giornalista Alberto Michelini, con Arie Sacre interpretate da Andrea Bocelli.

Dopo il film interverranno: padre Paolo Scarafoni LC, Rettore dell’Università Europea di Roma; Alberto Michelini; l’on. Rocco Buttiglione, Vice Presidente della Camera dei Deputati; e Aldo Maria Valli, giornalista del TG1 che ha seguito il Pontefice in tanti viaggi internazionali, tracciandone un ritratto sincero e affascinante nel libro “Il mio Karol”, pubblicato dalle Paoline.

Sarà proiettato anche un filmato di saluto di Andrea Bocelli.

[Per informazioni: tel. 06 665431.Sito: www.unier.it]

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Convegno internazionale a Roma sul rapporto tra identità e dialogo
Dal 26 al 28 aprile alla Pontificia Università della Santa Croce

ROMA, martedì, 9 marzo 2010 (ZENIT.org).- Responsabili di uffici di comunicazione ecclesiali e professionisti provenienti da tutto il mondo si riuniranno a Roma dal 26 al 28 aprile prossimo per discutere del rapporto tra identità e dialogo nelle strategie di comunicazione della Chiesa.

La settima edizione del Seminario professionale sugli Uffici di comunicazione della Chiesa, promosso dalla Facoltà di Comunicazione Istituzionale della Pontificia Università della Santa Croce, vedrà tra i partecipanti rappresentanti di diocesi, conferenze episcopali ed altre realtà ecclesiali di circa 70 paesi.

Tra i relatori si alterneranno esponenti della Chiesa, tra cui Helen Osman, portavoce della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, e mons. Giovanni D’Ercole, Vescovo ausiliare de L’Aquila, e addetti ai lavori del mondo della comunicazione come Michael Levy, fondatore della Brand Strategy Consulting di New York, e Marco Pogliani della Moccagatta, Pogliani e associati di Milano.

Saranno presentati diversi casi di studio come la campagna “Catholic Come Home” negli Stati Uniti e la “Tournée Bioethique” in Francia. Ci saranno inoltre sessioni pratiche con gli esperti Lorenzo Cantoni, che parlerà di “Nuovi media e identità cristiana”, e Norberto González, che analizzerà gli effetti del viaggio del Papa sull’opinione pubblica americana.

Alla teologa tedesca Jutta Burggraf sarà affidata la trattazione del tema “Comunicare l’identità cristiana in una società postmoderna”, mentre il rev. prof. José María La Porte analizzerà la questione dal punto di vista della comunicazione istituzionale: “La voce della Chiesa nei dibattiti pubblici: una proposta strategica”. Altre sessioni tratteranno: “La Chiesa sugli schermi: TV, internet e dispositivi mobili” oppure “Identità e dialogo interreligioso in Benedetto XVI: spunti per gli uffici di comunicazione”.

Sul tema “Capire e far capire la Chiesa” si confronteranno in due diverse tavole rotonde da una parte i portavoce delle Conferenze Episcopali (Italia, Stati Uniti, Slovacchia) e, dall’altra, i giornalisti vaticanisti di diverse testate (Frankfurter Allgemeine Zeitung, The New York Times, De Telegraaf, Corriere della Sera).

Il programma prevede anche un incontro presso la Sala Stampa della Santa Sede con il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi.

La conclusione del Convegno sarà invece affidata a mons. Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali.

“L’intento di questo seminario professionale – ha spiegato il prof. La Porte, presidente del comitato organizzatore – è di mostrare che un’identità chiara e definita, come quella della Chiesa cattolica, non è un ostacolo ma un punto di forza nella comunicazione”. “Cercheremo di farlo – ha proseguito – sia attraverso le voci degli addetti ai lavori della Chiesa sia con l’aiuto di esperti che si occupano di comunicazione in altri campi”.

Nel corso dei lavori è prevista la presentazione di Comunicazioni, che seguiranno la formula tradizionale di papers accademici o l’esposizione di esperienze, progetti ed iniziative di particolare utilità per gli uffici di comunicazione della Chiesa.

Il programma dettagliato del Seminario, le comunicazioni accettate e il curriculum dei relatori sono disponibili in: http://www.pusc.it/csi/conv/conv10/

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"I Venerdì di Propaganda": Licia Colò presenta un libro sugli animali
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 9 marzo 2010 (ZENIT.org).- Venerdì 12 marzo, alle ore 17.30, per “I Venerdì di Propaganda: Temi e Autori” organizzati dalla Libreria Editrice Vaticana in Via di Propaganda 4 a Roma nella Libreria Internazionale Paolo VI, Licia Colò proporrà il suo ultimo volume “L’ottava vita. I nostri animali vivono per sempre” (Mondadori).  Coordina Neria De Giovanni.

Licia Colò, nota al grande pubblico per le sue rubriche televisive in particolare “Alle falde del Kilimangiaro” che cura da dieci anni su Rai Tre, si è sempre impegnata nella difesa dei diritti degli animali e nella salvaguardia dell’ambiente: nel 2000 all’interno di un progetto in collaborazione con l’Unicef ha pubblicato “Il sogno”.

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Interviste


Il celibato sacerdotale è psicologicamente pericoloso?
Intervista ad Aquilino Polaino Lorente, docente di Psicopatologia


di Carmen Elena Villa

ROMA, martedì, 9 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il 5 marzo scorso si è concluso presso la Pontificia Università della Santa Croce di Roma il Congresso “Il celibato sacerdotale: teologia e vita”, organizzato dalla Facoltà di Teologia dell'ateneo e patrocinato dalla Congregazione per il Clero, nel contesto dell'Anno Sacerdotale.

Uno degli interventi più apprezzati dal pubblico, composto soprattutto da diaconi e sacerdoti, è stato “La realizzazione della persona nel celibato sacerdotale”, del professore spagnolo Aquilino Polaino Lorente.

Polaino è medico presso l'Università di Granada. Ha poi studiato Psicologia Clinica all'Università Complutense di Madrid ed è dottore in Medicina presso l'Università di Siviglia. E' anche laureato in Filosofia presso l'Università di Navarra.

Ha quindi ampliato i suoi studi in vari istituti di istruzione superiore europei e americani. Dal 1978 al 2004 è stato docente di Psicopatologia alla Complutense di Madrid, e attualmente insegna la stessa materia all'Università San Pablo della capitale spagnola.

Ha scritto molti articoli e libri, soprattutto sui problemi psicologici infantili e giovanili e su quelli familiari. E' membro di accademie di medicina di varie città spagnole, collaboratore di numerosi organismi e per il suo lavoro e il suo bagaglio culturale gli sono stati conferiti molti premi.

ZENIT ha intervistato il professor Polaino, che spiega come una corretta visione della sessualità, in cui si devono integrare amore, apertura alla vita e piacere, possa comprendere anche il senso del celibato al quale sono chiamate alcune persone per essere più disponibili all'apostolato e a vivere l'amore universale. “Dio non chiede cose impossibili a una persona che chiama al suo servizio”, ha detto nel suo intervento riferendosi al tema centrale del Congresso.

Il celibato sacerdotale è psicologicamente pericoloso?

Prof. Polaino: Non è affatto pericoloso, perché forse è ben compatibile con quella che è la struttura antropologica realista della condizione umana. Ha le sue difficoltà, com'è logico, visto che la natura umana è un po' deteriorata e bisogna integrare tutte le dimensioni. A me sembra più pericoloso il comportamento sessuale aperto, non normativo, in cui tutto vale. Credo che questo abbia conseguenze più destrutturanti per la personalità rispetto al celibato ben vissuto in pienezza, senza rotture.

Di quali mezzi si deve avvalere il sacerdote per essere fedele al voto del celibato tutti i giorni della sua vita?

Prof. Polaino: La tradizione della Chiesa ha una moltitudine di consigli che si possono mettere in pratica e sono efficaci, ad esempio la custodia del cuore e quella della vista. Ciò che non si vede non si sente. Non bisogna neanche guardare per terra, ma si può vedere senza guardare. Ciò assicura la pulizia del cuore, e il vivere il primo comandamento, che è amare Dio al di sopra di tutte le cose. In una pentola a pressione le mosche non entrano. Un cuore soddisfatto non si perde in meschinità o in frammentazioni.

Crede che la cultura edonista di questo nuovo secolo, così diffusa nei mezzi di comunicazione, influisca sul fatto che alcuni sacerdoti non sono fedeli al voto del celibato?

Prof. Polaino: E' possibile, perché anche i sacerdoti hanno la fragilità della condizione umana. Credo che ci si debba concentrare maggiormente sull'immenso numero di sacerdoti fedeli alla loro vocazione. Una cosa eccezionale avviene anche nella vita sacerdotale, ma è appunto un'eccezione. Anche se a livello giornalistico è corretto guardare all'eccezione, non possiamo essere ciechi di fronte alla stragrande maggioranza dei sacerdoti che sono leali, vivono la loro vocazione in pienezza, sono felici. E' un aspetto da sottolineare.

Una retta visione della sessualità può dare una retta visione della vita nel celibato?

Prof. Polaino: Sì. Credo che la sessualità sia oggi una realtà molto confusa, una facoltà sulla quale ci sono più errori che punti di accordo rispetto a quella che è la natura umana, e forse è un programma da insegnare a impartire a tutte le età perché, essendo uno degli assi fondamentali della vita umana, se non è ben compresa, se la gente non è ben formata, vivrà una grande confusione. Ciò interessa sia i seminaristi che i giovani o le coppie di fidanzati. E' un'educazione per la vita. E' una materia che a volte si insegna male perché si insegnano gli errori, e questo fa confondere ancor di più. Bisogna spiegare questa materia con un rigore scientifico fondato sulla natura umana.

Che cosa significa che il sacerdote è chiamato ad essere padre spirituale?

Prof. Polaino: Credo che questo sia uno dei temi che sono stati poco approfonditi. La paternità spirituale la devono vivere anche i padri biologici, e molti di loro non ne hanno mai sentito parlare. La paternità spirituale è, in qualche modo, vivere tutte le opere di misericordia, consolare chi è triste, redimere il prigioniero, essere ospitali, confermare l'altro in ciò in cui vale, evitargli i problemi, esortarlo e motivarlo perché sperimenti una crescita personale, stimolare la comparsa di valori che ha già perché derivano dalla sua natura, ma forse non si è stati capaci di trovarli o farli crescere. Credo che questo mondo sia orfano di questa paternità spirituale e della maternità spirituale, e penso che sia una dimensione che il sacerdote vive quasi senza rendersene conto.

La vita nel celibato può rendere più feconda questa paternità spirituale?

Prof. Polaino: Necessariamente sì, perchè c'è più tempo, c'è più disponibilità. Se l'obiettivo finale è l'unione con Dio, la paternità spirituale acquista più senso perché è la migliore immagine della paternità divina nel mondo contemporaneo. Per questo ci si pone come mediatori, e nella misura in cui vive la filiazione divina vivrà anche la paternità spirituale.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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Caravaggio, né eretico né maledetto
Intervista a Rodolfo Papa, autore di un libro sull'artista

di Marialuisa Viglione

ROMA, martedì, 9 marzo 2010 (ZENIT.org).- Caravaggio non è per nulla rivoluzionario, né eretico, e piaceva moltissimo ai suoi contemporanei proprio come a noi. I prìncipi facevano a gara per avere anche solo un suo quadro.

Lo sostiene da sempre lo storico dell’arte Rodolfo Papa, docente alla Pontificia Università Urbaniana di Roma, e lo riconferma nella sua recente pubblicazione “Caravaggio. Le origini, i modelli”, un dossier monografico uscito con la rivista Arte Dossier della Giunti.

Che Caravaggio piaccia molto anche oggi lo si vede dalle code alle Scuderie del Quirinale, con record di biglietti venduti, a 400 anni dalla morte.

Quindi non è vero niente di tutto quello che si dice di Caravaggio: che i suoi quadri erano rifiutati, che era eretico, che non piaceva a nessuno perché aveva rivoluzionato l’arte?

Papa: Caravaggio, pur essendo amatissimo, è vittima di una serie di fraintendimenti che rischiano di offuscarne il vero valore artistico.

Primo tra tutti il “maledettismo”, quell’aura di artista maledetto che ricopre le sue opere di una coltre fuligginosa. Quando i mass media parlano di Caravaggio lo fanno usando un linguaggio che lo assimila a comportamenti decadenti dell’epoca bohémien della Parigi di inizio ‘900. Ed è una falsità storica, oltre ad essere storiograficamente scorretto. Caravaggio è uomo del suo tempo e non del nostro.

Anche se tanto ci piace, perché ci vediamo riflessi nei suoi dipinti, o almeno così ci sembra, Caravaggio è un uomo del tardo Cinquecento, immerso innanzitutto nella sua cultura cattolica, mentre noi siamo “post-moderni” rassicurati nel nostro vuoto relativismo. Ma la questione più importante non è quella biografica - anche se è un punto di partenza sbagliato per osservarne l’opera - quanto quella teoretica, che produce disastri ben maggiori.

Qual è allora questa questione teoretica che produce disastri così grandi? Non è vero che fu rivoluzionario dal punto di vista artistico?

Papa: Oltre al “maledettismo”, c’è il fraintendimento del termine usato per gli artisti pre-contemporanei che, quando li si vuole esaltare, si definiscono “rivoluzionari”. Quindi Caravaggio viene detto artista bohémien e rivoluzionario.

Questo accade perché si applicano categorie critiche novecentesche ad artisti che non sono contemporanei, e tantomeno hanno mai avuto la volontà di esserlo. Chiariamo: il termine “rivoluzione” indica un cambiamento radicale, un azzeramento di tutto il passato e l’apertura a qualcosa di totalmente diverso e soprattutto di antitetico al sistema precedente.

Faccio un esempio. Vasilij Kandinskij con il suo testo teorico Punto, linea, superficie, esce in maniera rivoluzionaria dall’impostazione teorica delle Belle arti, creando un sistema antitetico, anti-cristiano. Riposando sulle idee esoteriche della teoria teosofica elaborata da Madame H.P. Blavatszky e sulle teorie dell’empatia di Worringer Kandinskij, azzera tutta la tradizione cristiana, che era riuscita, attraverso secoli, a costruire un sistema teoretico attorno al concetto di corpo e di bellezza. E si pone fuori dalla tradizione cristiana, negandola. Lui è davvero un rivoluzionario.

Caravaggio, al contrario di Kandinskij, è un artista che conosce e comprende tutta la tradizione al punto da seguirla sia nelle finalità che nelle istanze. Anzi ci aggiunge qualcosa per potenziarla, per migliorarla. E’ un innovatore perché non distrugge nulla, anzi compie e completa il lavoro di quelli che lo hanno preceduto. E non si tratta solo di una banale questione di stile.

In che senso non è solo una questione di stile? Che cosa intende per stile?

Papa: Lo stile non corrisponde all’arte. L’arte è una cosa più completa. Lo stile è una categoria dell’arte, un sottinsieme. Il termine “stile” - introdotto da alcuni storici dell’arte “filologi” alla metà del XIX secolo - è ormai poco chiaro, sopravvalutato e invadente.

Addirittura in alcuni casi viene equivocato con arte. E‘ il come si dipinge. E’ l’insieme delle convenzioni figurative che distinguono le personalità artistiche e le accomunano tra di loro, maestri, scolari, collaboratori, imitatori. Con Burckhardt diventa un’astrazione storiografica, che schematizza periodi storici sotto l’insegna di un unico comune denominatore, ignorando le peculiarità specifiche delle singole personalità, in una indistinta sequenza di periodi stilistici chiusi in compartimenti, come il Rinascimento, il Barocco, il Gotico.

Se la nozione è utile per generali ricostruzioni storiografiche, è d’impaccio per l’analisi di un’opera d’arte, in quanto appare troppo rigida e poco duttile. Servirebbe una nozione che, pur sottolineando gli elementi comuni a un gruppo di artisti, fosse capace di rimanere aperta ai contributi delle singole personalità.

Allora quale termine proporrebbe per sostituire l’uso equivoco di “stile”?

Papa: Al tempo di Caravaggio si usava il termine schola, per intendere la cifra artistica di un gruppo di artisti o di una singola bottega, o di un artista e i suoi seguaci. Questo termine proprio per il suo carattere descrittivo, usato tra Cinquecento e Seicento, garantisce una certa aderenza a quello che si vuole dire, senza cadere in generalizzazioni e schematismi fuorvianti.

La comprensione di questo passaggio nodale della questione artistica è utile per capire anche le questioni d’arte contemporanee.

Ci può fare un esempio di questa applicazione in ambito contemporaneo?

Papa: La più importante questione artistica contemporanea che io conosco è quella che si muove attorno all’interpretazione di un articolo della Sacrosanctum Concilium, ovvero la Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II, ed esattamente il numero 123 del capitolo VII, in cui viene affrontata la questione stilistica.

Qui si legge: «La Chiesa non ha mai avuto come proprio un particolare stile artistico, ma, secondo l'indole e le condizioni dei popoli e le esigenze dei vari riti, ha ammesso le forme artistiche di ogni epoca, creando così, nel corso dei secoli, un tesoro artistico da conservarsi con ogni cura. Anche l'arte del nostro tempo e di tutti i popoli e paesi abbia nella Chiesa libertà di espressione, purché serva con la dovuta riverenza e il dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti. In tal modo essa potrà aggiungere la propria voce al mirabile concerto di gloria che uomini eccelsi innalzarono nei secoli passati alla fede cattolica».

Come si può notare i termini della questione vengono affrontati correttamente e con una proprietà di linguaggio esemplare. Il termine “stile” è evidentemente sottoinsieme del concetto di arte. Infatti viene affermato che esistono molti stili - molte schole - all’interno dell’unica tradizione artistica che nel corso dei secoli si è andata definendo come arte, e in particolare come arte cristiana.

Infatti l’arte cristiana comprende vari stili. Per citarne alcuni: bizantino, gotico, romanico, rinascimentale, barocco, neoclassico...

Papa: La questione essenziale non si gioca mai nel “sottoinsieme” del fattore stilistico, che è e rimane sempre una questione di risultato, ma la faccenda è da sempre una questione teoretica, che riguarda l’ “insieme”, ovvero l’arte.

L’arte che usa la Chiesa non può essere un’arte qualsiasi, ma deve invece rispondere alle esigenze fondative dipendenti dal Magistero. In altre parole, l’arte deve essere capace di valore veritativo attraverso la bellezza, non arbitraria e non relativista. Così gli artisti l’hanno concepita nel corso dei secoli, in accordo alle esigenze della Chiesa. L’arte cristiana ha un suo statuto peculiare, perché è fondata esattamente nell’incontro tra fede e ragione.

Il pensiero cattolico che si sviluppa tra Medioevo, Rinascimento e Barocco è un grande tesoro, responsabile della produzione di innumerevoli capolavori che narrano la nostra fede, come nel caso di Caravaggio. Se correttamente utilizzato, è capace ancora oggi di costruire nuove schole, al servizio della verità e della bellezza, al passo con i tempi.

Questa è la vera sfida del nostro tempo, l’ambito di ricerca sul quale scommettere ed investire. Solo un manipolo di eroici artisti cattolici si sono impegnati con pochi mezzi, nel disinteresse generale. Purtroppo senza mecenati il laboratorio dell’arte dà poco frutto, perché la ricerca è priva di mezzi.

Quindi tra Caravaggio e noi c’è un filo che ci lega e solo attraverso un’analisi più approfondita comprendiamo perché Caravaggio ci piace tanto. E questo non perché maledetto o rivoluzionario o moderno, ma perché aderisce ai valori dell’arte cristiana: la bellezza, la verità e il realismo. In sostanza l’arte di Caravaggio ci piace perché profondamente cristiana e quindi eterna?

Papa: Esattamente. I principi dell’arte cristiana sono stati concepiti appositamente per dire Cristo, e tutti gli artisti che li hanno pienamente utilizzati ancora oggi, dopo secoli, sanno incantarci attraverso la bellezza, che noi dovremmo saper riprendere e tradurre nella nostra epoca.

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Le sorti dell'uomo tra il primato della Liturgia e il suo crollo

di Alessandro Cesareo

ROMA, martedì, 9 marzo 2010 (ZENIT.org).- Non è infrequente che oggi si percepisca una certa emarginazione delle questioni attinenti alla liturgia, come argomenti di non urgente pertinenza nel quadro pastorale. Si dice che altri sono i problemi emergenti ed improrogabili. In questo modo, la liturgia finisce per non essere praticamente mai dibattuta nei programmi pastorali.

Inoltre, si nota un certo dilettantismo e una qualche superficialità nel parlare di argomenti liturgici, quasi come se fosse una cosa di debole contenuto e per lo più ridotta a ‘formalità’. Così, si apre la strada ad un’impostazione ‘pastorale’ prevalentemente sociologica e la parrocchia tende a diventare una ‘azienda’, priva della sua dimensione sacramentale e del suo carattere soprannaturale .

Introducendo questo studio, si è ben definito il significato del termine ‘liturgia’ a cui in tutta la trattazione si è inteso far riferimento. E in particolare si è affermato che per ‘liturgia’ si doveva intendere quell’adorazione lieta e quell’obbediente sottomissione che la creatura deve al Creatore, atteggiamento così profondo da essere previo ad ogni specificazione rituale storica propria delle varie espressioni religiose.

Tuttavia, questo sguardo che coglie la natura religiosa profonda dell’essere umano in quanto tale, non deve avvallare una impostazione spiritualistica del problema, divaricando dalla ritualità concreta che si esprime nelle forme storiche e che è connaturale ad ogni manifestazione dello spirito religioso dei popoli e delle culture. Tale prospettiva potrebbe sostenere e giustificare uno spiritualismo irreale, senza l’ancoraggio al rito che lo traduce e lo esprime in forma corporea. Per questa via si arriverebbe a giustificare una vita religiosa senza pratica rituale.

Le sorti dell’uomo e del mondo tra il primato della Liturgia e il suo crollo: così Enrico Finotti, presbitero dell’Arcidiocesi di Trento e parroco in Rovereto, presso la Parrocchia di Santa Maria del Carmine, ricostruisce l’interessante percorso compiuto dalla liturgia a partire dall’origine del vocabolo, per poi delineare le cause del suo crollo, laddove quest’ultimo vocabolo è chiaramente da non intendersi immediatamente la caduta di un particolare sistema di riti e di ordinamenti tradizionali, quanto piuttosto ciò che essi contengono ed esprimono, ossia quella dimensione spirituale, che costituisce la loro ‘anima’ e che li giustifica dall’interno, come manifestazioni visibili della libera scelta dell’uomo, che vuole adorare Dio e obbedire alla sua parola, riconoscendolo Creatore, Signore e Padre.

Quando questa ‘liturgia interiore’ viene meno, da subiti i riti diventano vuoti e la loro celebrazione solo formale. Ma, in seguito, gradualmente, si corrompono anche nella loro forma materiale e le parole e i gesti che li costituiscono, non essendo più interiormente alimentati e dottrinalmente controllati, assumono inevitabilmente, anche nella loro espressione rituale, gli errori, le incertezze e i compromessi, propri di quell’idolatria, che ha preso il posto della religione vera e che, ormai, guida le facoltà spirituali dell’uomo depravato.

Vi è, quindi, una Liturgia di contrasto, che è parodia della vera Liturgia e che si pone al servizio del culto blasfemo dell’angelo delle tenebre, che si oppone a Dio. Nel crollo della Liturgia, allora, si verifica normalmente una sorta di sostituzione: la Liturgia si corrompe e cede il posto all’idolatria ; in questo modo, l’autore rivela una notevole capacità interpretativa ed analitica degli inquietanti fenomeni del nostro tempo, dei quali indaga le cause e definisce gli ambiti, muovendosi con disinvoltura in ambiti concettuali complessi e dimostrando altresi di saper leggere a fondo i segni dei tempi.

La sapienza cristiana, abbellita e canonizzata dai modelli della classicità, che Finotti dimostra di conoscere a menadito, è quanto emerge con nitida chiarezza nel punto in cui si parla, nel libro in oggetto, di crollo della Liturgia con Antioco Epifane e di Ellenismo, mentre in precedenza si era parlato della Liturgia del Tempio con Davide e Salomone, ma anche di Crollo della Liturgia e di Esilio Babilonese, mentre il nesso inscindibile tra ritorno degli esiliati e ripresa delle celebrazioni cultuali è l’oggetto precipuo di riflessione del par. IX , cui segue appunto l’approfondimento sull’Ellenismo. Seguono dunque, caratterizzati da uno stile assai incisivo ed efficace, i paragrafi dedicati alla Purificazione del Tempio ed alla sua dedicazione ad opera dei Maccabei, fino ad arrivare all’analisi, dettagliata ed approfondita, delle motivazioni che hanno causato e determinato il Crollo dello spirito della liturgia. La risposta a questa situazione d’incertezza e di sottile confusione tra le regole cultuali viene però prontamente fornita dalla luminosità diffusa del Mistero Pasquale di Cristo nella pienezza del tempo.

E come non parlare della redenzione? O della santificazione? Così, l’autore prosegue nella dimostrazione di come una coerente ed efficace prassi liturgica non possa che essere un intenso riflesso di un procedimento di conversione in atto, per rendere efficace e trasparente il quale si ha bisogno soltanto della Verità, condizione indispensabile in cui è importante venirsi a trovare prima ancora di accostarsi alla ricerca stessa di ciò che è Verità.

In questo senso, ad esempio, risultano più chiari e più significativi i contributi offerti alla causa della Liturgia da Colonne della Liturgia stessa, quali possono essere ritenuti Benedetto e Gregorio Magno, mentre la via maestra del percorso da compiere per arrivare a Dio è quella dell’Adorazione, vissuta, concepita ed illustrata come un consapevole ritorno alla pratica di una Liturgia autentica e vissuta, concreta espressione di un approccio adulto e consapevole alla dimensione della fede vissuta e messa in pratica.

Dodici capitoli, dunque, seguiti da una dossologia finale, e da una serie di riflessioni conclusive, il tutto inserito in una più ampia cornice descrittiva ed esperienziale, contribuiscono a rendere oltremodo vincente questo ultimo lavoro di Enrico Finotti, le cui abilità di scrittore consapevole e maturo erano peraltro già emerse con estrema chiarezza nelle sue precedenti pubblicazioni, tra le quali sarà bene ricordare almeno il seguente: L’anno liturgico. Mistero, grazia e celebrazione – Sussidio per la catechesi e la celebrazione dell’Anno Liturgico (Trento 2001). Un libro, quello qui recensito, che si presenta dunque come un valido strumento didattico per teologi in formazione.

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