mercoledì 24 marzo 2010

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Benedetto XVI: "tra scienza e fede c'è amicizia"
Nell'Udienza generale dedicata a Sant'Alberto Magno

ROMA, mercoledì, 24 marzo 2010 (ZENIT.org).- Non c’è opposizione tra scienza e fede. Lo ha ribadito questo mercoledì Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale, presentando la figura di Sant’Alberto Magno, un grande maestro della teologia medioevale, un uomo di grande cultura che si dedicò anche alle scienze naturali.

“Tra scienza e fede c’è amicizia”, “non vi è opposizione, nonostante alcuni episodi di incomprensione che si sono registrati nella storia”, ha detto il Papa, aggiungendo che per questo anche “gli uomini di scienza possono percorrere, attraverso la loro vocazione allo studio della natura, un autentico e affascinante percorso di santità”.

A questo proposito il Papa ha richiamato l'esempio di Sant’Alberto Magno, domenicano vissuto nel XIII secolo, che seppre essere un uomo di preghiera ma anche un attento osservatore dei fenomeni della natura.

"Egli ha ancora molto da insegnare a noi”, ha detto il Santo Padre. “Un uomo di fede e di preghiera, quale fu Sant’Alberto Magno, può coltivare serenamente lo studio delle scienze naturali e progredire nella conoscenza del micro e del macrocosmo, scoprendo le leggi proprie della materia, poiché tutto questo concorre ad alimentare la sete e l’amore di Dio”.

Sant’Alberto, ha aggiunto il Pontefice, “ha contribuito alla formazione di una filosofia autonoma, distinta dalla teologia e unita con essa solo dall'unità della verità”, favorendo in tal modo la nascita nel XIII secolo di “una chiara distinzione tra questi due saperi, filosofia e teologia, che in dialogo tra loro, cooperano armoniosamente alla scoperta dell'autentica vocazione dell'uomo”.

E tanti scienziati sulla scia di questo santo domenicano “hanno portato avanti le loro ricerche, ispirati da stupore e gratitudine di fronte al mondo che, ai loro occhi di studiosi e di credenti, appariva e appare come l'opera buona di un Creatore sapiente e amorevole”.

Tra i grandi che hanno percorso le orme di Alberto Magno, il Papa ha citato l'astrofisico marchigiano Enrico Medi, del quale nel 1995 è stata aperta la causa di beatificazione.

Il Papa ha quindi evidenziato il merito del religioso domenicano, e del suo più grande allievo Tommaso d'Aquino, nel valorizzare il pensiero di Aristotele all'interno del cristianesimo: “un'autentica rivoluzione culturale per quel tempo”, quando molti “temevano la filosofia di Aristotele” ritenendola “del tutto inconciliabile con la fede cristiana”.

“Spesso, negli anni della giovinezza – ha concluso il Papa –, Dio ci parla e ci indica il progetto della nostra vita. Come per Alberto, anche per tutti noi la preghiera personale nutrita dalla Parola del Signore, la frequentazione dei Sacramenti e la guida spirituale di uomini illuminati sono i mezzi per scoprire e seguire la voce di Dio".

Ai pellegrini presenti all’udienza, Benedetto XVI ha infine fatto riferimento alla Solennità dell’Annunciazione del Signore che la Chiesa celebra il 25 marzo. A questo proposito, nel salutare i pellegrini di lingua polacca ha ricordato che la Polonia dedica questa giornata alla sacralità della vita, dono da salvaguardare dal concepimento fino alla morte naturale.

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Il Papa ai giovani: "Scoprite la vocazione all'amore"
Messaggio al X Forum Internazionale dei Giovani

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 24 marzo 2010 (ZENIT.org).- “Scoprire la vocazione all'amore” è il messaggio che Benedetto XVI ha lanciato ai partecipanti al X Forum Internazionale dei Giovani, in corso dal 24 al 28 marzo a Rocca di Papa (Roma) sul tema “Imparare ad amare”.

L'incontro, promosso dal Pontificio Consiglio per i Laici, vede riuniti rappresentanti di 90 Paesi dei cinque continenti e si inserisce nella serie dei Forum internazionali organizzati dalla Sezione Giovani del dicastero vaticano per offrire un’opportunità di confronto sui grandi temi della condizione giovanile nell’ottica della fede e in un’esperienza di autentica comunione ecclesiale.

Il punto di partenza di ogni riflessione sull'amore, spiega il Papa nel suo Messaggio, “è il mistero stesso di Dio, poiché il cuore della rivelazione cristiana è questo”. “Cristo, nella sua Passione, nel Suo dono totale, ci ha rivelato il volto di Dio che è Amore”.

Poiché Dio è amore e l'uomo è fatto a sua immagine, “l'identità profonda della persona”, “la sua vocazione” è proprio l'amore: “l'uomo è fatto per amare; la sua vita è pienamente realizzata solo se è vissuta nell'amore”.

Per questo motivo, il Pontefice ha esortato i giovani presenti al Forum “affinché cerchino con tutto il cuore di scoprire la loro vocazione all'amore, come persone e come battezzati”, perché “è questa la chiave di tutta l'esistenza”.

Diversità di forme

La vocazione all'amore, ha riconosciuto, prende forme differenti a seconda degli stati di vita.

“Nella sequela di Gesù, i sacerdoti danno la vita, affinché i fedeli possano vivere dell'amore di Cristo. Chiamate da Dio a donarsi interamente a Lui, con cuore indiviso, le persone consacrate nel celibato sono anche un segno eloquente dell'amore di Dio per il mondo e della vocazione ad amare Dio sopra ogni cosa”.

Il Papa ha anche sottolineato “la grandezza e la bellezza del Matrimonio”, ricordando che “la relazione tra l'uomo e la donna riflette l'amore divino in maniera del tutto speciale” e il vincolo coniugale assume dunque “una dignità immensa”.

“In un contesto culturale in cui molte persone considerano il Matrimonio come un contratto a tempo che si può infrangere, è di vitale importanza comprendere che il vero amore è fedele, dono di sé definitivo”, ha osservato.

L'evangelizzazione dei giovani

Benedetto XVI ha quindi chiesto ai giovani di “farsi testimoni presso i loro coetanei di ciò che hanno visto e ascoltato” nel Forum.

“Si tratta di una vera e propria responsabilità, per la quale la Chiesa conta su di loro. Essi hanno un ruolo importante da svolgere nell'evangelizzazione dei giovani dei loro Paesi, affinché rispondano con gioia e fedeltà al comandamento di Cristo: 'che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi'”.

In questo contesto e “invitando i giovani a perseverare sulla via della carità nella sequela di Cristo”, ha dato loro appuntamento per domenica prossima in Piazza San Pietro, dove si svolgerà la solenne celebrazione della Domenica delle Palme e della XXV Giornata Mondiale della Gioventù.

Recuperare il concetto di amore

Nel suo intervento introduttivo al Forum, il Cardinale Stanisław Ryłko, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, ha ricordato che “amare e sapersi amati è questione d’importanza vitale per ogni persona umana – uomo o donna –, a prescindere dall’età, dallo stato di vita, dalla condizione sociale”.

“Trattare di quest’argomento ai nostri giorni, in un mondo che dell’amore sembra essere la negazione, non è facile”, ha riconosciuto, constatando che “l’uomo postmoderno, che pare non aver più nozione dei valori fondamentali dell’esistenza umana, ha svuotato del suo reale significato il concetto stesso di amore”.

Secondo il porporato, dopo gli “effetti devastanti della 'rivoluzione sessuale' degli anni Sessanta e Settanta”, “che ha sottratto quasi totalmente la sessualità umana alla sfera etica, riducendo l’amore al sesso e il sesso a mero oggetto di piacere e di consumo usa e getta”, e “la diffusione massiva dei contraccettivi”, che “ha reciso nettamente il legame tra sessualità, affettività e procreazione, alimentando una mentalità ostile alla vita”, “si è arrivati a una spaventosa immaturità affettiva, alla banalizzazione del sesso e alla sua pericolosa regressione agli stadi infantili e pre-adolescenziali”.

Allo stesso modo, “è stata delusa anche la promessa di libertà (l’amore libero!), tanto sbandierata dai fautori della 'rivoluzione sessuale'”, e quello che negli anni Sessanta fu “rivoluzione”, nella cultura postmoderna di oggi è diventato “normalità”.

Imparare l'amore

Di fronte a tutto ciò, il Cardinale ha sottolineato la necessità di “imparare ad amare”, dove l'apprendimento richiama l'esortazione di Benedetto XVI a far fronte a un'“emergenza educativa” sempre più impellente.

Imparare ad amare, ha ammesso, è “un cammino esigente, che richiede capacità di sacrificio e di rinuncia, trama segreta del nostro amore per l’altro”.

Specialmente oggi, ha aggiunto, è poi “urgente riscoprire il valore e la bellezza della castità, ormai ridicolizzata e disprezzata come insensato residuo di tempi gretti e lontani”.

“Il nostro modo di amare deve crescere”, ha segnalato. “È un cammino impegnativo, da riprendere ogni giorno, per tutta la vita. Ma intraprenderlo vale la pena, perché è il solo che dà senso e valore alla nostra esistenza”.

La frammentazione dell'io

Nel suo intervento, invece, lo psicologo francese mons. Tony Anatrella, consultore del Pontificio Consiglio per la Famiglia, ha approfondito le cause della frammentazione dell'io nella società contemporanea e i rischi di una vita vissuta con superficialità, come vetrina.

"Esporre e mettere la propria vita su Internet nella speranza di generare rapporti di amicizia, non è impegnarsi concretamente per conoscere, approfondire i rapporti e cercare Dio”, ha detto.

“Volere l'amore in esilio dal proprio corpo è un'illusione”, ha detto aggiungendo poi che “la parola di Dio si è incarnata nella persona di Cristo, che è venuto a salvarci da queste illusioni. Attraverso la sua risurrezione si scopre il significato del corpo e si rivela la nostra dignità”.

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Il Papa benedice l'immagine della Madonna del Carmen che dona al Cile
"Segno di affetto" per i cileni nel bicentenario del Paese e dopo il terremoto
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 24 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il Papa ha benedetto questo mercoledì, dopo l'Udienza generale in Vaticano, l'immagine della Madonna del Carmen che dona al Cile per il bicentenario del Paese e che lo percorrerà iniziando dalle zone colpite dal sisma del 27 febbraio.

La benedizione dell'immagine è stata definita dallo stesso Pontefice, nel suo saluto in spagnolo ai pellegrini dopo la catechesi di oggi, un "segno di affetto ai figli di questo Paese, che celebra il suo bicentenario".

La Vergine Missionaria "li accompagnerà in questi momenti di difficoltà dopo il recente terremoto", ha affermato.

Davanti a migliaia di pellegrini, Benedetto XVI ha rivolto un saluto speciale "al Cardinale Francisco Javier Errázuriz Ossa e al presidente della Conferenza Episcopale del Cile, monsignor Alejandro Goić Karmelić, con la delegazione giunta per ricevere un'immagine della Madonna del Carmen".

Accanto all'immagine della Vergine Missionaria, il Papa ha benedetto le copie ufficiali del Vangelo del Cile, che accompagnerà Maria nel suo pellegrinaggio nel Paese per portare la Parola di Cristo.

A quest'opera hanno partecipato più di 9.000 cileni, che hanno scritto personalmente il Nuovo Testamento.

Lo scorso fine settimana, l'Arcivescovo di Santiago, il Cardinale Francisco Javier Errázuriz, il Vescovo di Rancagua e presidente della Conferenza, monsignor Alejandro Goic, e il Vescovo ausiliare di Valparaíso e segretario generale della Conferenza Episcopale del Cile, monsignor Santiago Silva, si sono recati a Roma.

La delegazione cilena presente questo mercoledì in Vaticano era formata anche da padre Cristián Precht, coordinatore nazionale della Missione Continentale, da padre Rodrigo Tupper, direttore di Caritas Santiago, e da Ana María Camus, direttore esecutivo del Progetto Vangelo del Cile.

Ad aprile il Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Tarcisio Bertone, si recherà in Cile per consegnare ufficialmente questa immagine della Madonna alla Chiesa e al popolo cileno in una Messa concebrata dai Vescovi del Paese sudamericano.

Il porporato arriverà a Santiago all'inizio del mese, invitato dalla Conferenza Episcopale Cilena e ospite del Governo in occasione del bicentenario, ha reso noto la "Radio Vaticana".

L'itinerario del pellegrinaggio della Madonna del Carmen insieme al Vangelo del Cile è stato modificato dopo il terremoto, che ha provocato più di 700 morti e incalcolabili danni materiali.

Dopo l'accaduto, i luoghi più colpiti dalla tragedia saranno i primi ad essere visitati dall'immagine.

Questo venerdì 26 marzo, la Basilica di Santa Maria Maggiore di Roma accoglierà una Messa per pregare per le vittime del sisma e per la ricostruzione spirituale e materiale del Cile.

Il decano del Collegio cardinalizio, il Cardinale Angelo Sodano, presiederà l'Eucaristia, concelebrata, tra gli altri, dal prefetto della Congregazione dei Vescovi e presidente della Pontificia Commissione per l'America Latina, il Cardinale Giovanni Battista Re, dal Cardinale Errázuriz e da monsignor Goic.

L'ambasciatore del Cile presso la Santa Sede, Pablo Cabrera, prevede di assistere alla celebrazione e ha ringraziato per il dono mariano del Papa al popolo cileno.

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Benedetto XVI accetta la rinuncia di un Vescovo irlandese
Monsignor John Magee, Vescovo di Cloyne
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 24 marzo 2010 (ZENIT.org).- Papa Benedetto XVI ha accettato formalmente la rinuncia al governo pastorale del Vescovo della Diocesi irlandese di Cloyne, monsignor John Magee, ha reso noto la Santa Sede. Il presule dimissionario è dallo scorso anno indagato per un possibile insabbiamento di casi di abuso avvenuti nella sua Diocesi.

Monsignor Magee aveva annunciato il 7 marzo 2009, in una dichiarazione letta nella Cattedrale di St. Colman (Cobh, Irlanda), che il Papa aveva nominato amministratore diocesano monsignor Dermott Clifford, Arcivescovo di Cashel and Emly.

Questa nomina, spiegava il Vescovo di Cloyne, è avvenuta su sua richiesta, per poter collaborare con la commissione che indaga sui casi di abusi sui minori.

Nella Diocesi di Cloyne si erano verificati casi di abusi sui minori da parte di almeno due sacerdoti cattolici, senza che il Vescovo procedesse a un'indagine.

Il 7 gennaio 2009, il Governo aveva chiesto alla Commissione d'Inchiesta che studia i casi di abuso nell'Arcidiocesi di Dublino di estendere le sue indagini alla Diocesi di Cloyne.

Nella sua dichiarazione pubblica, due mesi dopo, monsignor Magee si era detto disposto a collaborare all'indagine, aggiungendo che, visto che questo compito avrebbe richiesto tutto il suo tempo, aveva chiesto alla Santa Sede di allontanarsi dal governo normale della Diocesi.

Monsignor Magee era Vescovo di Cloyne dal marzo 1987. In precedenza era stato segretario papale, sia di Paolo VI e di Giovanni Paolo I che di Giovanni Paolo II.

Si tratta della prima rinuncia formale dopo la pubblicazione della Lettera pastorale di Benedetto XVI ai cattolici dell'Irlanda, il 20 marzo, sugli abusi sui minori avvenuti nel Paese.

Nel testo il Papa, rivolgendosi ai Vescovi, ha riconosciuto che da parte di questi "furono commessi gravi errori di giudizio e che si sono verificate mancanze di governo", e ha chiesto loro di continuare "a cooperare con le autorità civili nell'ambito di loro competenza".

La rinuncia è avvenuta accogliendo il canone 401, 2 del Codice di Diritto Canonico: "Il Vescovo diocesano che per infermità o altra grave causa risultasse meno idoneo all'adempimento del suo ufficio, è vivamente invitato a presentare la rinuncia all'ufficio".

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Divorziati risposati, un'attenzione particolare della Chiesa
Parla il Vescovo reggente del Tribunale della Penitenzieria Apostolica
ROMA, mercoledì, 24 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il Vescovo reggente del Tribunale della Penitenzieria Apostolica, monsignor Giovanni Francesco Girotti, ha affrontato il tema dell'atteggiamento dei confessori nel delicato caso delle persone divorziate che si sono sposate di nuovo.

Lo ha fatto ai microfoni della "Radio Vaticana" l'8 marzo, durante il corso annuale della Penitenzieria Apostolica per giovani sacerdoti sul "Foro interno", celebrato in Vaticano dall'8 al 12 marzo.

Il presule ha sottolineato che "la dottrina e la prassi ufficiale della Chiesa, tutt'ora in atto, cerca di percorrere una via fedele al mandato rivoltole dal suo Signore, che è quello di amministrare il perdono e la misericordia".

"La Chiesa, anche di fronte a situazioni talvolta delicatissime - i casi dei divorziati risposati - e il Santo Padre ce lo ricorda molto spesso, agisce sempre secondo lo spirito di Gesù che ha compassione dei peccatori".

Il confessore, ha indicato, è "l'amministratore" di questo ministero, non "il padrone".

Per questo, "quando non può dare l'assoluzione, dà comunque delle indicazioni, offre dei mezzi per poter rimanere sempre all'interno della Chiesa".

La Chiesa "non può venir meno al suo mandato, non può nascondere i suoi principi, ma ciò nonostante la Chiesa tiene care queste persone che sono persone che non può abbandonare", ha sottolineato.

"In tutti i suoi interventi, anche recenti, ha assolutamente sempre mostrato quell'attenzione, quella premura, quell'impegno di venire incontro anche a situazioni che umanamente sono così difficili, che sembrerebbero non risolversi", ha ricordato monsignor Girotti.

E' "certo" che i divorziati risposati continuino ad appartenere alla Chiesa, ha sottolineato. Quella che si vuole riservare loro "è veramente una premura degna di ogni attenzione".



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Scandinavia: lo splendore di una Chiesa minoritaria
I Vescovi sono in visita ad limina a Roma
di Carmen Elena Villa

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 24 marzo 2010 (ZENIT.org).- Una Conferenza Episcopale per le cinque Nazioni della Scandinavia, una zona in cui i cattolici sono in aumento per l'immigrazione da Polonia, Lettonia, America Latina, Africa e Medio Oriente.

I Vescovi scandinavi si trovano a Roma in visita ad limina apostolorum. Ai microfoni della "Radio Vaticana" il loro presidente, monsignor Anders Arborelius, Vescovo di Stoccolma (Svezia), ha illustrato la realtà delle Diocesi di questa regione nordeuropea, estesa a livello territoriale ma con un esiguo numero di fedeli.

Le 12 Diocesi contano circa 300.000 fedeli. In Danimarca i cattolici rappresentano lo 0,7% della popolazione, in Finlandia lo 0,2%, in Islanda il 2,6%, in Norvegia l'1,3% e in Svezia il 2%.

"In una piccola parrocchia si possono trovare fedeli di 50 e più nazionalità", ha dichiarato il presule. "Tutto ciò, naturalmente, pone una sfida costante: quella di aiutare questi fedeli a crescere nell'unità".

Necessità di evangelizzazione

In base ai dati offerti dalla Conferenza Episcopale Scandinava, nei cinque Paesi ci sono 167 sacerdoti e 28 diaconi permanenti, 11 religiosi e 560 religiose.

Per questo il ruolo dei laici è ancor più significativo: "sono molto importanti e in numerosi luoghi sono molto attivi", ha indicato monsignor Arborelius.

"La maggior parte dei catechisti sono laici", ha aggiunto, segnalando l'opera di evangelizzazione che hanno e dicendo che grazie a loro "la Chiesa e la fede possono essere più conosciute e accettate dai non cattolici".

I laici, osserva, sono importanti anche per altri compiti, ad esempio "nella liturgia e nell'opera sociale nelle parrocchie".

Il presule si è poi riferito alla situazione vocazionale: "essendo i nostri Paesi di immigrazione, non abbiamo mai abbastanza vocazioni autoctone per assistere chi viene da noi", ha ammesso.

"Comunque, ogni anno c'è qualche sacerdote che viene ordinato e i numeri delle vocazioni nei monasteri di vita contemplativa sono abbastanza buoni". "Quanto invece agli istituti religiosi femminili di vita attiva, c'è un numero molto basso di vocazioni".

Il presidente della Conferenza Episcopale Scandinava si è inoltre riferito alle sfide che si affrontano rispetto al dialogo interreligioso: "Ad esempio, quando la Chiesa luterana di Svezia ha riconosciuto i matrimoni omosessuali è stato un momento tragico per l'ecumenismo nel nostro Paese", anche se bisogna "continuare a cercare terreni comuni di dialogo".

Circa il rapporto con la Chiesa ortodossa e con le Chiese orientali, monsignor Arborelius ha detto che "ci sono numerosi segnali positivi sul fronte ecumenico, ma dobbiamo essere coscienti del fatto che esistono molte nuove difficoltà, soprattutto su questioni etiche".

Con la comunità ebraica ci sono invece "ottime relazioni", ad esempio in Svezia, "dove cattolici ed ebrei hanno vissuto la stessa storia di minoranza e di lotta per la parità dei diritti".

La famiglia, santuario della vita

Quest'anno, la Conferenza Episcopale ha una grande sfida: il Congresso Nordico delle Famiglie Cattoliche, che si svolgerà dal 14 al 16 maggio a Jönköping, in Svezia.

"Per noi la famiglia è sempre più importante nella nostra società, dove è molto debole, e pensiamo che mettere la famiglia al primo posto sia anche un lavoro di evangelizzazione", ha detto monsignor Arborelius.

"Speriamo quindi che questo Congresso aiuti i nostri fedeli a rendersi conto del valore della visione cristiana della famiglia e del Sacramento del matrimonio in una società così segnata da un'ideologia individualista e che ha idee così diverse sul concetto di famiglia", ha concluso.

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Notizie dal mondo


Vescovi USA a Obama: mantenere le promesse sull'assistenza sanitaria
Ribadiscono le lacune su aborto, coscienza e immigrati
WASHINGTON, D.C., mercoledì, 24 marzo 2010 (ZENIT.org).- L'ordine esecutivo dell'ultimo minuto di Barack Obama di evitare che il denaro delle tasse finanzi l'aborto ha confermato ciò che i Vescovi statunitensi hanno ripetuto sul disegno di legge di riforma sanitaria: deve permettere che i fondi federali siano usati a favore della vita.

Un ordine esecutivo, purtroppo, non può sostituire le disposizioni legali, ricordano i presuli, che continuano a definire la nuova legge "profondamente carente".

Queste osservazioni sono riportate in una dichiarazione firmata dal Cardinale Francis George, Arcivescovo di Chicago e presidente della Conferenza Episcopale USA, diffusa questo martedì subito dopo la firma di Obama della disposizione.

Il Cardinale George ribadisce in primo luogo che l'accesso all'assistenza medica riconosce e afferma la dignità umana e che il discepolato cristiano chiede di lavorare per assicurare che tutti abbiano un'assistenza appropriata.

I Vescovi "hanno parlato per i più poveri e i più indifesi tra di noi", sottolinea il presule 73enne.

"Molti elementi della misura di riforma sull'assistenza sanitaria trasformata in legge dal Presidente affrontano queste preoccupazioni e aiutano così ad adempiere il compito che abbiamo l'uno nei confronti dell'altro per il bene comune".

Offuscare il bene

Il Cardinale George spiega quindi che i Vescovi si sono opposti a questa misura "qualunque bene raggiunga o intenda raggiungere questa legge", perché "c'è la prova irrefutabile che estenderebbe il ruolo del Governo federale nel finanziamento e nella facilitazione dell'aborto e dei piani che lo coprono".

"Lo legge stanzia miliardi di dollari in nuovi finanziamenti senza proibire esplicitamente che siano usati per effettuare aborti, e fornisce sussidi federali per i piani sanitari che coprono l'aborto volontario. Il suo fallimento nel preservare lo status quo legale che ha regolato il rapporto del Governo relativamente all'aborto [...] potrebbe minare quella che è stata la norma del nostro Paese per decenni e sfida l'opinione generale della maggioranza degli americani, che non vuole che i fondi federali vengano usati per gli aborti o per i piani che li coprono".

"Cosa ancor più strana, la legge costringe tutti coloro che scelgono piani finanziati a livello federale che coprono l'aborto a pagare per gli aborti di altre persone con i propri fondi. Se l'intento è far sì che questa nuova legge eviti che la gente sia complice negli aborti altrui è una contraddizione".

La legge sull'assistenza sanitaria sembrava non avere il numero necessario di voti fino a quando Obama ha convinto un gruppo di democratici pro-vita promettendo un ordine esecutivo per stabilire un "adeguato meccanismo di rinforzo" per assicurare che i fondi federali non fossero usati per gli aborti.

Su questa misura, il Cardinale George osserva che "il fatto che sia necessario un ordine esecutivo per chiarire la legge sottolinea che questa ha delle carenze. Non capiamo come un ordine esecutivo, indipendentemente dalle sue intenzioni, possa sostituire delle disposizioni legali".

I gruppi pro-vita hanno già ricordato dei precedenti legali, mostrando come l'ordine probabilmente non avrà grande forza.

Ulteriori problemi

Il Cardinale George prosegue sottolineando che il pacchetto sulla riforma dell'assistenza sanitaria è "profondamente carente" anche da altri punti di vista.

"Ha fallito nell'includere il linguaggio necessario a fornire la difesa di base della coscienza - nel caso dell'aborto ma non solo. Allo stesso modo, molti lavoratori immigrati e le loro famiglie potrebbero essere tagliati fuori perché non verrà permesso loro di acquistare una copertura sanitaria".

Il porporato ha riconosciuto che molti affermano che nella legge non c'è il finanziamento federale dell'aborto e che viene assicurata la libertà di coscienza.

"Le analisi che vengono pubblicate separatamente mostrano che non è così, il che spiega perché ci oppiniamo alla sua formulazione attuale", dichiara.

"Noi e molti altri seguiremo l'implementazione governativa della riforma dell'assistenza sanitaria", conclude. "Crediamo che serva quasi sicuramente una nuova legge per far fronte a queste carenze".

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Spirito della Liturgia


Il sacerdote nella celebrazione del Triduo Pasquale
Rubrica di teologia liturgica a cura di don Mauro Gagliardi

ROMA, mercoledì, 24 marzo 2010 (ZENIT.org).- In prossimità della Settimana Santa, don Nicola Bux, professore di Liturgia Orientale e Consultore di diversi Dicasteri della Santa Sede, propone una gustosa meditazione liturgica sui principali momenti e simboli delle celebrazioni proprie alla Domenica delle Palme ed al Santo Triduo. Le riflessioni di don Bux rappresentano un valido aiuto – offerto tanto ai sacerdoti quanto agli altri fedeli, in particolare ai cooperatori nella pastorale liturgica – per accostarsi ai divini Misteri, che saranno celebrati nei prossimi giorni, con spirito di fede contemplativa e di preghiera adorante, e non di mero pragmatismo organizzativo. Cogliamo l’occasione per augurare ai nostri lettori una Santa Pasqua, che porti frutti di gioia interiore e di conversione (don Mauro Gagliardi).



* * *

Nicola Bux

La Lettera agli Ebrei è l’unico testo del Nuovo Testamento che attribuisce a nostro Signore Gesù Cristo i titoli di «sacerdote», «sommo sacerdote» e «mediatore della Nuova Alleanza», grazie all’offerta del sacrificio del suo corpo, anticipato nella Cena mistica del Giovedì Santo, consumato sulla Croce e presentato al Padre con la risurrezione e ascensione al cielo (cf. Eb 9,11-15). Tale testo viene meditato nella Liturgia delle Ore della quinta settimana di Quaresima – o di Passione, come nel calendario liturgico della forma straordinaria del Rito Romano – e nella Settimana Santa.

Noi sacerdoti cattolici dobbiamo sempre guardare a Gesù Cristo e avere gli stessi sentimenti suoi, fino all’immedesimazione con Lui; questa ascesi avviene con la conversione permanente. Come si attua la conversione in noi sacerdoti? Nel rito di ordinazione ci è chiesto di insegnare la fede cattolica, non le nostre idee, di «celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo – cioè la liturgia e i sacramenti – secondo la tradizione della Chiesa» e non secondo il nostro gusto; soprattutto di «essere sempre più strettamente uniti a Cristo sommo sacerdote, che come vittima pura si è offerto al Padre per noi», cioè di conformare la nostra vita al mistero della croce.

La Santa Chiesa onora il sacerdote e il sacerdote deve onorare la Chiesa con la santità della vita – si proponeva nel giorno d’ordinazione sant’Alfonso Maria de’ Liguori – con lo zelo, con la fatica e con il decoro. Egli offre Gesù Cristo all’Eterno Padre, perciò deve essere rivestito delle virtù di Gesù Cristo e prepararsi ad incontrare il Santo dei Santi. Quanto è importante la preparazione interiore ed esteriore alla sacra Liturgia, alla santa Messa! Si tratta di glorificare il sommo ed eterno sacerdote Gesù Cristo.

Ora, tutto questo si attua al massimo grado nella Settimana Santa, la Grande e Santa Settimana, come dicono gli Orientali. Vediamone alcuni atti principali in base al Pontificale dei Vescovi.

1. La Domenica delle Palme, il sacerdote entra con Gesù in Gerusalemme nella gioia. La Chiesa celebra in questa domenica il trionfo del Salvatore e anticipa il gaudio per la vittoria del Risorto. La processione solenne in onore di Cristo Re è il rito più caratteristico della giornata: ricorda il corteo trionfale che accompagnò Gesù nel suo ingresso a Gerusalemme, esprime l’incontro attuale della Chiesa col Salvatore nei santi misteri e rappresenta, in anticipo, l’ingresso degli eletti nella città celeste, secondo quanto dice l’Apostolo: «partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (Rm 8,17).

La liturgia delle Palme ci orienta, dunque, verso la Presenza definitiva del Signore, in greco parousía. Non si tratta soltanto di commemorare l’ingresso del Signore nella Gerusalemme celeste ma, accostandoci al banchetto eucaristico, dove verrà spezzato il Pane, di annunciare simbolicamente ciò che si compirà realmente alla fine del mondo. Allora la Croce del Signore aprirà l’ingresso della Gerusalemme celeste a quella «folla immensa» che san Giovanni contemplò nella visione profetica, «di ogni nazione, stirpe, popolo e lingua...; vestiti di bianche vesti, con le palme in mano, che gridavano con voce potente: vittoria al nostro Dio che siede sul trono, e all’Agnello» (Ap 7, 9-10).

2. Con la Missa in Cena Domini del Giovedì Santo, il sacerdote entra nei principali misteri, l’istituzione della SS. Eucaristia e del sacerdozio ministeriale, come pure il comandamento dell’amore fraterno, significato dalla lavanda dei piedi, gesto che la liturgia copta compie ordinariamente ogni domenica. Nulla meglio del canto Ubi caritas lo esprime. Dopo la comunione, il sacerdote, indossato il velo omerale, sale all’altare, genuflette e, aiutato dal diacono, prende la pisside con le mani coperte dal velo omerale. È il simbolo della necessità di mani e cuore puri per avvicinarsi ai Divini Misteri e toccare il Signore!

3. Il Venerdì Santo in Passione Domini, il sacerdote è chiamato a salire sul Calvario. Alle tre del pomeriggio, o poco più tardi, ha luogo la celebrazione della Passione del Signore, in tre momenti: la Parola, la Croce, la Comunione. Egli si reca in processione e in silenzio all’altare. Dopo aver riverito l’altare, che rappresenta Cristo nell’austero denudamento del Calvario, si prostra a terra: è la proskýnesis, come nel giorno dell’ordinazione. Così egli esprime la convinzione di essere nulla davanti alla Maestà divina, e il pentimento di aver osato misurarsi, per mezzo del peccato, con l’Onnipotente. Come il Figlio che annullò se stesso, il sacerdote riconosce il suo nulla, e ha inizio la sua mediazione sacerdotale tra Dio e il popolo, che culmina nella preghiera solenne universale.

Quindi ha luogo l’ostensione e l’adorazione della Santa Croce: il sacerdote va all’altare con i diaconi e lì, stando in piedi, la riceve e la scopre in tre momenti successivi, o la mostra già scoperta, e invita ciascuna volta i fedeli all’adorazione con le parole: Ecco il legno della Croce. Nella sua scarna solennità, qui, nel cuore dell’anno liturgico, la tradizione ha resistito tenacemente più che in altri momenti dell’anno. Il sacerdote, dopo aver deposto la casula, possibilmente a piedi scalzi, si avvicina per primo alla Croce, genuflette davanti ad essa e la bacia. La teologia cattolica non teme di dare qui alla parola adorazione il suo vero significato. La vera Croce, bagnata dal sangue del Redentore, fa, per così dire, una sola cosa con Cristo e riceve l’adorazione. Perciò prostrandoci davanti al sacro legno, è al Signore che ci rivolgiamo: «Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo, perché con la tua Santa Croce hai redento il mondo!».

4. La Pasqua del Regno Dio si è compiuta in Gesù: offerta e consumata la Cena, «nella notte in cui fu tradito»; immolata sul Calvario il Venerdì Santo, quando «s’era fatto buio su tutta la terra», ancora di notte riceve la consacrazione dell’approvazione divina, nella risurrezione di Cristo Signore: da Giovanni sappiamo che Maria di Magdala si recò al sepolcro «mentre era ancora buio»; quindi era avvenuta nelle ultime ore della notte dopo il sabato pasquale.

Nel Novus Ordo il sacerdote, fin dall’inizio della Veglia, indossa le vesti di colore bianco come per la Messa. Benedice il fuoco e accende il cero pasquale al nuovo fuoco, se ritiene, dopo aver inciso, come nella liturgia antica, una croce. Quindi traccia sopra il lato verticale della croce la lettera greca alfa e sotto, invece, la lettera omega; entro i bracci della croce traccia quattro cifre per indicare l’anno corrente, dicendo: Cristo ieri e oggi. Poi, fatta l’incisione della croce e degli altri segni, può infiggere nel cero cinque grani di incenso, dicendo: Per mezzo delle sue sante piaghe. Quindi, al canto di Lumen Christi, guida la processione verso la chiesa. Il sacerdote è a capo del popolo dei fedeli qui in terra, per poterlo guidare in cielo.

È il sacerdote a intonare solennemente l’Alleluia. Lo canta tre volte elevando gradualmente il tono della voce: il popolo dopo ogni volta, lo ripete nel medesimo tono.

Nella liturgia battesimale, il sacerdote, stando in piedi presso il fonte, benedice l’acqua cantando l’orazione: O Dio, per mezzo dei segni sacramentali; mentre invoca: Discenda, Padre, in quest’acqua, può immergere in essa il cero pasquale, una o tre volte. Il significato è profondo: il sacerdote è l’organo fecondatore del grembo ecclesiale, simboleggiato dalla vasca battesimale. Davvero nella persona di Cristo Capo egli genera figli che, come padre, fortifica col crisma e nutre con l’Eucaristia. Anche in ragione di tali funzioni maritali nei confronti della Chiesa sposa, il sacerdote non può che essere uomo. Tutto il senso mistico della Pasqua si manifesta nell’identità sacerdotale, raggiungendo la pienezza, il plếroma, come dice l’Oriente. Con esso l’iniziazione sacramentale raggiunge il culmine e la vita cristiana il centro.

Dunque, il sacerdote, salito con Gesù sulla croce il Venerdì e sceso nel suo sepolcro il Sabato Santo, la Domenica di Pasqua può affermare realmente con la sequenza: «Sappiamo che Cristo è veramente risorto dai morti».

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Italia


Vescovi italiani: difficile trasmettere la fede ai giovani
L'iniziazione cristiana non può essere ridotta a una generica esperienza

ROMA, mercoledì, 24 marzo 2010 (ZENIT.org).- “La trasmissione della fede alle giovani generazioni registra oggi inedite difficoltà a motivo del clima culturale che non aiuta la maturazione delle coscienze e lo sviluppo della libertà”. E' quanto hanno osservato i Vescovi italiani riuniti in questi giorni a Roma per il Consiglio permanente.

Durante i lavori, ha dichiarato mons. Domenico Pompili, portavoce della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), “si è pure sottolineata la necessità di maggiore attenzione nel presentare la dottrina cattolica per non ridurre l’iniziazione cristiana ad una generica esperienza”.

“La convinzione che il soggetto della catechesi sia la comunità nel suo insieme, pur grazie alle diverse ministerialità, rappresenta una feconda acquisizione che deve essere fatta crescere ancora di più”, ha sottolineato.

Inoltre, ha aggiunto, “il decennio sull’educazione sarà auspicabilmente l’occasione per riproporre una adeguata riflessione sull’iniziazione cristiana”.

Mons. Domenico Pompili ha fatto sapere poi che i Vescovi hanno approvato la Lettera, a quarant’anni dalla pubblicazione del Documento Base “Il rinnovamento della catechesi”.

A questo proposito, è stata “riconfermata l’opzione di fondo del Documento Base, ravvisata in quella scelta antropologica per cui 'chiunque voglia fare all’uomo d’oggi un discorso efficace su Dio, deve muovere dai problemi umani e tenerli sempre presente nell’esporre il messaggio'” (n. 77).

Si è proceduto all’invio ai Vescovi dei testi della seconda parte della terza edizione italiana del Messale Romano. Quindi è stata approvata la bozza del Documento preparatorio della prossima Settimana Sociale, che si svolgerà dal 14 al 17 ottobre a Reggio Calabria sul tema “Cattolici nell'Italia di oggi. Un'agenda di speranza per il futuro del Paese”.

I Vescovi italiani, ha continuato mons. Pompili, ha indicato nella Caritas in veritate “l’intervento magisteriale da tener presente, specie nella individuazione dei problemi da inserire nell’Agenda, ricordando che la questione sociale è sempre questione antropologica: mercato del lavoro e impresa, emergenza educativa, immigrazione, università, ricerca e professioni, riforme e partecipazione democratica”.

“Un’altra questione che ha attirato l’attenzione dei membri del Consiglio permanente è lo stato della presenza di sacerdoti stranieri in Italia”, ha poi aggiunto.

Infatti, ha spiegato, “in questi anni è cresciuto sensibilmente il loro numero fino agli attuali 2636 presbiteri (cioè il 5% del clero operante nel nostro Paese), divisi tra servizio pastorale a tempo pieno, cappellani per comunità di lingua non italiana, studenti in cura d’anime”.

A questo proposito, ha fatto sapere, “si è convenuto sul fatto che la logica del dono che sta dietro a questa presenza, deve garantire uno stretto rapporto con le Chiese di provenienza (sotto forma di gemellaggi) e valorizzare la presenza del prete straniero nell’ottica della cooperazione missionaria tra le Chiese, favorendone l’inserimento nell’attività pastorale diocesana e accompagnandone il ministero”.

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Segnalazioni


"I Venerdì di Propaganda": Piero Sapienza e la politica che non c'è

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 24 marzo 2010 (ZENIT.org).- Venerdì 26 marzo, alle ore 17.30, per “I Venerdì di Propaganda: Temi e Autori” organizzati dalla Libreria Editrice Vaticana in Via di Propaganda 4, a Roma, nella Libreria Internazionale Paolo VI, Piero Sapienza presenterà un suo volume dal titolo “La politica che non c'è. Da cittadini attivi nella polis” (LEV) .

A coordinare l'incontro sarà la scrittrice Neria De Giovanni, presidente dell’Associazione Internazionale dei Critici Letterari e direttrice ad Alghero del periodico “Salpare”.

Piero Sapienza è stato docente di Etica, Logica e Storia della Filosofia antica e medievale presso lo Studio teologico S. Paolo di Catania, dove attualmente insegna Dottrina sociale della Chiesa. Ha insegnato Filosofia, Pedagogia e Psicologia nelle Scuole superiori statali. E' autore di diversi articoli su riviste scientifiche e scrive per “Prospettive”, un settimanale regionale di attualità.

Sempre con la LEV, nel 2008, ha pubblicato il volume “Eclissi dell'educazione? La sfida educativa nel pensiero di Rosmini”.

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Interviste


La tradizione liturgica della Chiesa di Roma (I)
Intervista a don Manlio Sodi, Presidente della Pontificia Accademia di Teologia

di Antonio Gaspari

ROMA, mercoledì, 24 marzo 2010 (ZENIT.org).- Diverse Istituzioni hanno promosso un Simposio che si terrà in occasione dei 40 anni del Missale Romanum di Paolo VI e in concomitanza dei 440 anni di quello di san Pio V.

La Pontificia Accademia di Teologia, la Rivista Liturgica, il Centro di Azione Liturgica, la Vita in Cristo e nella Chiesa, la Rivista di Pastorale Liturgica, le riviste Armonia di voci, Chiesa oggi, Ephemerides Liturgicae, Temi di Predicazione – Omelie, unitamente all’Associazione dei Professori di Liturgia hanno organizzato a Roma (Istituto S. Cuore - via Marsala 42) il 25-26 marzo un convegno per approfondire alcuni aspetti che il liber princeps della Chiesa presenta e sollecita.

Per comprendere il senso e le finalità di tale simposio, ZENIT ha rivolto alcune domande al prof. don Manlio Sodi, Presidente della Pontificia Accademia di Teologia e Direttore della Rivista Liturgica.

Perché un Simposio su “La tradizione liturgica della Chiesa di Roma”?

Sodi: Il rincorrersi degli appuntamenti nella storia ha sempre un fascino… ma l’anniversario di eventi che hanno inciso nel tessuto ecclesiale richiama maggiormente l’attenzione e soprattutto costituisce un invito a conoscere sempre meglio ciò di cui si fa “memoria”.

La precisa coincidenza dei 40 anni dalla pubblicazione del Missale Romanum di Paolo VI (il Decretum porta la data del 26 marzo 1970) è stata all’origine dell’evento e della scelta dei giorni. Un anniversario che si pone in un momento preciso della vita della Chiesa che mentre è proiettata verso il 50° del Concilio Ecumenico Vaticano II, è pure alle prese con la traduzione e l’adattamento dell’editio typica tertia del Missale Romanum (2002 e 2008).

È in questo contesto che si pone il Simposio con l’unico intento di cogliere il significato profondo del Missale e il valore teologico-spirituale dei suoi contenuti.

Per il significato del Missale è presto detto: è il libro per eccellenza – ma non l’unico! – per esprimere la fede comune della Chiesa di Rito romano. In esso la lex orandi costituisce il luogo di incontro tra i contenuti della lex credendi e l’agire etico cristiano solitamente indicato con lex vivendi. Ogni approfondimento di titpo teologico non è altro, pertanto, che un passo in più per cogliere le ricchezze che il linguaggio liturgico può offrire in vista di una sintesi che coinvolge in modo permanente e variegato le attese del fedele.

In ordine ai contenuti è doveroso ricordare che molti attendono di essere conosciuti e compresi. Oggi più che in passato si è posto e si pone questo problema. La partecipazione in lingua viva permette di incontrare nel linguaggio della lex orandi temi e concetti che rinviano essenzialmente al linguaggio e al messaggio biblico. Ma questo è un lavoro enorme, che richiede attenzioni pastorali e catechistiche, che domanda sensibilità e professionalità coinvolgendo chi presiede e tutti coloro che svolgono una ministerialità.

Approfondire pertanto in prospettiva teologica l’anello più recente della tradizione liturgica della Chiesa di Roma è svolgere un servizio a questo inesauribile “dono” che i Padri del Vaticano II hanno voluto approvando il dettato di Sacrosanctum Concilium 50: «Il rito della messa sia riveduto in modo che appaiano più chiaramente la natura specifica delle singole parti e la loro mutua connessione, e sia resa più facile la partecipazione pia e attiva dei fedeli…». I Padri che hanno votato questo testo – al di là di vacue e fumose polemiche di questi nostri tempi – celebravano con l’antico rito, e quindi si rendevano ben conto di ciò che stavano approvando, e del capitolo nuovo che si stava delineando nella partecipazione liturgica nella Chiesa di Rito romano.

Quali sono gli obiettivi del Simposio?

Sodi: “Teologia ed ermeneutica della continuità”. È il sottotitolo che determina la specifica angolatura del Simposio. Con grande realismo, e tenendo conto di come è stata accolta e recepita la riforma liturgica nella Chiesa di Rito romano, si coglie il bisogno di rispondere all’urgenza di attese che invitano a conoscere prima di parlare!

Il Missale, edito nel 1970 e riedito recentemente, non è ancora abbastanza conosciuto nei suoi contenuti. Basti verificare quanti, a cominciare dai sacerdoti e dai vescovi, ne hanno letto l’Introduzione! Eppure, è da quelle pagine – iniziando dalla Costituzione apostolica Missale Romanum di Paolo VI – che si è progressivamente condotti ad una onesta e oggettiva comprensione della celebrazione e dei suoi linguaggi.

In questo orizzonte si pone la sfida di una conoscenza teologica del Missale e del Lectionarium. Solo a partire da una corretta ermeneutica di questi due “libri” si coglie cosa sia la celebrazione dell’Eucaristia, l’ascolto della Parola, la partecipazione alla mensa del Corpo e del Sangue di Cristo, la partecipazione piena attiva devota consapevole… ai santi misteri. Ed è ancora all’interno di tale approfondimento che si può fare una corretta ermeneutica della continuità!

Quando si afferma che il Messale di Paolo VI è veramente “tradizionale” viene da domandarsi: possibile? davvero? ma allora tutto quello che si dice attorno al Messale così detto di Pio V?

Se non si conosce la storia, non si può fare ermeneutica; se non si coglie il senso teologico-pastorale delle decisioni conciliari in re liturgica (sia di Trento che del Vaticano II), non si può fare ermeneutica; se non si sanno leggere in profondità i contenuti di teologia liturgica racchiusi nei testi eucologici, non si può fare ermeneutica; se non si coglie l’intimo rapporto tra mensa della Parola e mensa eucaristica, non si può fare ermeneutica (si pensi ancora all’episodio di Emmaus!); se non si sa che quasi tutti i testi eucologici del Missale di Pio V si trovano nell’attuale Missale, non si può fare ermeneutica; se non si sa che l’attuale Missale è il più tradizionale perché racchiude un’abbondanza incredibile di testi della tradizione che la Commissione tridentina non conosceva, non si può fare ermeneutica; se non si comprende che il linguaggio rituale è finalizzato all’esperienza del mistero, non si può fare ermeneutica; se non si percepisce il concetto di partecipazione che il Vaticano II (e la conseguente riforma liturgica) ha fatto suo dopo un insieme di sollecitazioni portate avanti dal movimento liturgico, non si può fare ermeneutica…

Il discorso potrebbe continuare. Gli esempi addotti cercano di far comprendere che la così detta “ermeneutica della continuità” è un percorso estremamente serio che non va affrontato in modo giornalistico ma solo attraverso un confronto con le fonti e senza preconcetti.

E oggi siamo particolarmente fortunati perché abbiamo a disposizione tutte le fonti relative all’inizio e alla fine della riforma tridentina. Mi riferisco alle collane edite dalla Libreria Editrice Vaticana – «Monumenta Liturgica Concilii Tridentini» (6 volumi, 1997-2005) e «Monumenta Liturgica Piana» (5 volumi dal 2007; gli Indices sono in stampa) – che hanno avuto l’obiettivo di aiutare a conoscere le fonti e a saperle valutare con sapienza.

Obiettivo del Simposio dunque è quello di cogliere l’essenza del Missale non al di là di ciò che appare (= ritualità) ma per dare fondamento a ciò che i sensi percepiscono in modo da favorire e realizzare un’esperienza sempre più profonda del Mistero della salvezza attraverso la celebrazione del memoriale.

Molti fedeli si lamentano perché le letture del Lezionario della Messa di Paolo VI sono a volte troppo lunghe. Lei cosa ne pensa?

Sodi: Che il “lamento” sia parte del nostro esprimersi pressoché quotidiano è un dato di fatto. La liturgia non è esclusa… almeno in certi contesti in cui la velocità e la fretta sembrano essere una lex per condizionare anche la liturgia. Quando però si osservano altre prassi in luoghi in cui la liturgia è la festa della comunità allora una celebrazione che duri anche tre ore non risente di questo clima di fretta; la stessa esperienza della Divina Liturgia delle Chiese d’Oriente può essere di ulteriore conferma.

Al di là del rapporto con altre esperienze – che talvolta è doveroso tener presenti – il Lezionario è la risposta eloquentissima ad un insieme di dettati conciliari (si pensi soprattutto alla Sacrosanctum Concilium e alla Dei Verbum) in cui i Padri chiedevano di mettere a disposizione dei fedeli una mensa più abbondante della Parola di Dio. Ecco la risposta oggettiva al volere di un Concilio. Ed ecco la ricchezza del Lezionario che offre un’abbondanza di Parola di Dio mai prima realizzata nella vita delle Chiese.

Questa è la grande ricchezza e la vera novità. E anche qui si deve inserire la logica dell’ermeneutica della continuità in modo da far vedere questo cammino che si apre sempre di più verso ulteriori traguardi. Se non si sottolinea che la Liturgia della Parola è essenziale, non si riesce a comprendere come gli occhi si possano aprire al momento dello spezzare il pane…

La lunghezza delle letture, pertanto, è uno pseudoproblema per chi vuol realizzare un percorso di fede e di vita nel contesto della rinnovazione dell’alleanza all’interno della celebrazione del memoriale di salvezza.

Ed è doveroso aggiungere: più si attuerà la comprensione del linguaggio biblico e dei contenuti “pedagogici” della Liturgia della Parola più la vita cristiana sarà permeata di vita eucaristica, di vita cioè che è costantemente chiamata a rendere grazie a Dio per tutto e in ogni cosa.

[Giovedì 25 marzo, la seconda parte dell'intervista]

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Il messaggio di padre Maria Eugenio di Gesù Bambino
Parla il vicepostulatore della causa di beatificazione

di Anita S. Bourdin

ROMA, mercoledì, 24 marzo 2010 (ZENIT.org).- La Libreria Editrice Vaticana ha pubblicato di recente una nuova traduzione dell’opera “Je veux voir Dieu” (“Voglio vedere Dio”), di padre Maria Eugenio di Gesù Bambino, carmelitano scalzo e fondatore dell’Istituto Nostra Signora della Vita.

Padre Louis Menvielle, vicepostulatore della causa di beatificazione di padre Maria Eugenio, ha accettato di presentare l’autore e la sua opera ai lettori di ZENIT.

Chi è Padre Maria Eugenio di Gesù Bambino?

Padre Louis Menvielle: E’ un carmelitano scalzo francese della prima metà del XX secolo (1894-1967). Henri Grialou (il suo nome secolare) nasce in una modesta famiglia di minatori dell’Aveyron, nel centro della Francia. Attirato da Dio fin da piccolo, desidera essere sacerdote. Nel seminario minore scopre la piccola Teresa di Gesù Bambino. Siamo nel 1908, ha 13 anni: rimane toccato in modo determinante da questa amicizia sovrannaturale, che influirà sulla sua vita e sulla sua missione. Un padre carmelitano scriverà che egli è uno dei migliori specialisti della piccola Teresa.

Al seminario maggiore scopre san Giovanni della Croce e si sente fortemente colpito dal riformatore carmelitano spagnolo del XVI secolo: capisce di essere chiamato a camminare alla sua sequela e di somigliare a lui. Sul letto di morte confesserà: “In fondo all’anima, è con san Giovanni della Croce che io vivo”.

E’ così che egli entra al noviziato dei Carmelitani appena dopo la sua ordinazione sacerdotale, nel febbraio 1922.

Impara a conoscere Teresa d’Avila, la grande riformatrice del Carmelo, e trova in lei la madre degli spirituali, che descrive “ardente e luminosa (…), sublime ed equilibrata, anima regale, materna e divina, genio umano in ciò che ha più di concreto e di più universale” (“Voglio vedere Dio”, 443). Fin dal noviziato, egli fa delle elevate esperienze mistiche che segneranno tutta la sua vita.

1923, 1925, 1926, è il periodo della beatificazione e canonizzazione di Teresa di Lisieux, poi della proclamazione di Giovanni della Croce Dottore della Chiesa. Il nostro giovane carmelitano (28-31 anni) predica molto in diversi ambienti francesi e percepisce ovunque, in particolare nei laici, una sete spirituale che trova una risposta adeguata nell’insegnamento del Carmelo. Capisce allora che la sua missione è quella di “condurre le anime a Dio” e di formarle all’unione della contemplazione e dell’azione, mostrando loro il cammino dell’orazione e della vita nello Spirito.

1929. Alcune giovani donne che vogliono donarsi a Dio gli chiedono di guidarle. Esse realizzano a poco a poco il pensiero che lui aveva, di formare un gruppo dove si univano azione e contemplazione nel mondo, per portare Dio dove gli uomini non lo conoscono. La donazione del santuario di Notre-Dame de Vie, in Provenza (Venasque), gli consente di cominciare la sua opera. L’Istituto Nostra Signora della Vita è nato (1923).

1937: padre Maria Eugenio viene eletto Consigliere Generale dei Carmelitani a Roma e lo resterà per 17 anni. Alla morte del Padre Generale dirige l’Ordine per 18 mesi, fino al Capitolo del 1955. E’ durante questo periodo romano che Pio XII lo nomina Visitatore Apostolico delle Monache Carmelitane di Francia e gli chiede di unirle in federazione. Lavoratore infaticabile, trova anche il tempo di pubblicare in due tomi la sua opera maestra “Voglio vedere Dio” (1949-1951).

Nel 1955 rientra in Francia, dove potrà occuparsi più da vicino della sua fondazione, senza dimenticare la sua provincia carmelitana di Avignone, poiché sta esercitando il suo terzo mandato come provinciale dei Carmelitani quando muore, il 27 marzo 1967.

A quale tappa è giunta la causa di beatificazione?

Padre Louis Menvielle: La sua causa di beatificazione è aperta dal 1985 e le inchieste diocesane sulle virtù eroiche e sul miracolo attualmente sono in attesa di giudizio alla Congregazione per le Cause dei Santi a Roma. Le testimonianze rivelano che, nel mondo, coloro che lo scoprono trovano in lui un padre che si preoccupa di tutte le miserie che gli vengono presentate, e un maestro che fa entrare, con la fede, nel mistero di Dio, portando alla santità per mezzo di un cammino di orazione e di apostolato, sotto la guida dello Spirito Santo.

Nella Prefazione della traduzione italiana di “Voglio vedere Dio”, il Cardinale Cottier op, Pro-teologo emerito della Casa Pontificia, vede in lui un precursore del Concilio Vaticano II.

Prima di parlare di “Voglio vedere Dio”, finiamo di presentare l’autore. Che cosa è divenuto l’Istituto che fondato?

Padre Louis Menvielle: Di fatto, “Voglio vedere Dio” è nato dall’insegnamento che ha presieduto alla fondazione di Nostra Signora della Vita. Nell’Introduzione del libro, egli spiega come impartì questo insegnamento del Carmelo per molti anni a un gruppo di professori di scuola secondaria e dell’università. E’ alla fine di queste conferenze che le giovani donne, già menzionate in precedenza, gli parlarono della loro disponibilità a realizzare il pensiero che offriva loro.

“Notre-Dame de Vie” oggi è un istituto secolare, di diritto pontificio, composto da tre rami autonomi: sacerdoti diocesani e laici, uomini e donne. Ai 600 membri dell’Istituto, ripartiti nei diversi continenti, si aggiungono un centinaio di coppie. Oltre ai sacerdoti diocesani, alcuni sacerdoti incardinati nell’Istituto rispondono ai bisogni più immediati, ad esempio nello Studium di Notre-Dame de Vie, a Venasque, una struttura internazionale di formazione teologica, spirituale e sacerdotale che rilascia diplomi di licenza e di master (riconosciuti da Roma e corrispondenti agli accordi di Bologna).

Veniamo all’opera “Voglio vedere Dio”...

Padre Louis Menvielle: Condurre gli uomini a Dio, ecco lo scopo del libro. Il titolo lo esprime bene: Voglio vedere Dio.

Questo libro è innanzitutto il grido di Teresa d’Avila bambina, la quale spiegò ai suoi genitori perché voleva andare a farsi decapitare dai Mori: “Voglio vedere Dio, e per vederlo bisogna morire”. Questo grido è l’espressione della sete, cosciente o non, di tutte le donne e di tutti gli uomini creati da Dio. Notiamo che il Catechismo della Chiesa Cattolica inizia con un paragrafo sul desiderio di Dio e termina la parte morale con questo grido: “Voglio vedere Dio”.

Prima di vedere Dio, faccia a faccia in Cielo, si è chiamati ad incontrarlo fin da adesso nella fede. Vivendo del carisma del Carmelo e plasmato dal suo insegnamento, che ha assimilato grazie alla propria esperienza mistica, padre Maria Eugenio prende il lettore per mano dalle prime pagine del libro e lo conduce, attraverso i capitoli, sul cammino della crescita spirituale, che porta alla pienezza della nostra vocazione battesimale, ciò che si chiama “la santità”.

Un quadro generale, all’inizio dell’opera, indica bene la struttura della vita spirituale e la ripartizione dei capitoli del libro.

Le prime due parti caratterizzano i fondamenti della vita spirituale e descrivono le prime tappe che oltrepassano coloro che si mettono in cammino. Vi si scopre l’orazione, questo “scambio d’amore, dove ci si intrattiene spesso da soli con Dio, dal quale ci si sente amati” (Teresa d’Avila); si prende l’abitudine di ricercare questo Dio vivente, che chiama in segreto; si impara la fedeltà a Cristo.

Ci si prepara, così, alle ascesi seguenti, che sono un puro dono di Dio. Esse portano alla somiglianza d’amore con Cristo e alla disponibilità, sotto la mozione dello Spirito, per costruire la Chiesa con Lui: è il tema delle ultime tre parti. Segnalo in particolare la terza, che dà i principi essenziali di questa via “spirituale”, e la quinta, che descrive la pienezza dell’amore. “Voglio vedere Dio” descrive come si cresce nell’amore, come ci si abbandona all’azione dello Spirito, come ci si unisce all’azione e alla contemplazione, come si diviene apostolo della Chiesa.

A chi è indirizzata quest’opera?

Padre Louis Menvielle: Padre Maria Eugenio ha sempre voluto raggiungere tutto il mondo. Esclamò un giorno: “Persone che cercano Dio, sono ovunque. Ah, se potessi raggiungerle tutte e parlare loro dell’Amore infinito!”. “Voglio vedere Dio” è un mezzo per raggiungerle, per parlare loro dell’Amore infinito. Questo libro parla di Dio e di come incontrarlo per abbandonarsi alla sua azione trasformante. Da questo punto di vista, è accessibile a tutti. E’ un vademecum per il cammino verso la santità. Le testimonianze dei laici senza una formazione speciale, o di giovani in formazione spirituale o di formatori abbondano. Ognuno può trovare il nutrimento che ricerca nel pregare e partecipare alla missione della Chiesa.

Nella Prefazione, il Cardinale Cottier scrive che “Voglio vedere Dio” non è soltanto una “guida spirituale”, ma anche un “trattato teologico mistico”. In effetti, la competenza spirituale dell’autore, l’ampiezza e la precisione del soggetto ne fanno anche un’opera di riferimento insostituibile in teologia spirituale. Dei professori lo utilizzano per i loro corsi, gli studenti lo prendono come base per i lavori di tesi. Ma i sapienti siano attenti: in questo libro i principi sono al servizio della vita. La parola “pratico” compare 223 volte. E’ questa la priorità di padre Maria Eugenio: l’insegnamento più rigoroso deve portare alla realizzazione concreta della crescita verso la santità.

Perché fare una nuova traduzione italiana?

Padre Louis Menvielle: La prima edizione francese (1949-1951) era in due volumi: Je veux voir Dieu e Je suis fille de l’Eglise. Padre Maria Eugenio si è subito reso conto che la presentazione della crescita spirituale è un tutto che non può essere diviso in due opere separate. Ha quindi riunito i due tomi in un solo volume con il titolo generale “Voglio vedere Dio”. Una prima traduzione era stata fatta nel 1950 e pubblicata con i titoli “Voglio vedere Dio” e “Sono figlia della Chiesa”, che corrispondono ai due volumi apparsi all’inizio. Dato che la prima edizione italiana è esaurita, una nuova traduzione è stata realizzata da Maria Rosaria Del Genio, ed è stata appena pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana.

La Prefazione del Cardinale Cottier mostra come questo libro rimanga attuale. Qualche anno fa, il Generale dei Carmelitani Scalzi lo ha definito un “capolavoro”, una “somma di vita spirituale”, che colloca il suo autore “tra i grandi maestri di spiritualità che Dio ha dato alla Chiesa per mezzo del Carmelo”.

Il successo di quest’opera è stato infatti immediato. Le riedizioni si sono moltiplicate in diverse lingue. “Voglio vedere Dio” è diffuso oggi in più di 100.000 copie, in sei lingue. E' in corso l'edizione in lingua portoghese, cinese, coreana, lettone e lituana. La diffusione ininterrotta del libro e l’interesse che esso suscita confermano l’affermazione del Padre Generale.

Per concludere, posso citare un altro apprezzamento, quello di un gesuita docente di Teologia, che ha scritto a padre Maria Eugenio al momento della pubblicazione dell’opera. Sintetizza bene ciò che i lettori trovano leggendo “Voglio vedere Dio”:

“Ho singolarmente gustato la Sua opera, per tanti motivi: dottrina certa, nel complesso ricca e sfumata, esposizione densa, positiva, sempre serena e così rispettosa delle anime; tracciato luminoso sull’itinerario di santa Teresa, di san Giovanni della Croce e di santa Teresa di Gesù Bambino. Sobria e calda allo stesso tempo, sempre giusta e benevola; orientazioni sagge e decisive nei punti delicati o nei problemi più spinosi. Non dubito che la fatica che dissimulano queste pagine si riveli molto feconda; che molte anime vi intravedano la freschezza della fonte viva e vi attingano uno slancio rinnovato, per incamminarsi verso di essa e parteciparvi nella misura del dono di Dio”.

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Udienza del mercoledì


Benedetto XVI riflette sulla figura di Sant'Alberto Magno
Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 24 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale in piazza San Pietro, dove ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sulla cultura cristiana nel Medioevo, si è soffermato sulla figura di Sant’Alberto Magno.

 



* * *

Cari fratelli e sorelle,

uno dei più grandi maestri della teologia medioevale è sant’Alberto Magno. Il titolo di "grande" (magnus), con il quale egli è passato alla storia, indica la vastità e la profondità della sua dottrina, che egli associò alla santità della vita. Ma già i suoi contemporanei non esitavano ad attribuirgli titoli eccellenti; un suo discepolo, Ulrico di Strasburgo, lo definì "stupore e miracolo della nostra epoca".

Nacque in Germania all’inizio del XIII secolo, e ancora molto giovane si recò in Italia, a Padova, sede di una delle più famose università del Medioevo. Si dedicò allo studio delle cosiddette "arti liberali": grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, geometria, astronomia e musica, cioè della cultura generale, manifestando quel tipico interesse per le scienze naturali, che sarebbe diventato ben presto il campo prediletto della sua specializzazione. Durante il soggiorno a Padova, frequentò la chiesa dei Domenicani, ai quali poi si unì con la professione dei voti religiosi. Le fonti agiografiche lasciano capire che Alberto maturò gradualmente questa decisione. Il rapporto intenso con Dio, l’esempio di santità dei Frati domenicani, l’ascolto dei sermoni del Beato Giordano di Sassonia, successore di san Domenico nella guida dell’Ordine dei Predicatori, furono i fattori decisivi che lo aiutarono a superare ogni dubbio, vincendo anche resistenze familiari. Spesso, negli anni della giovinezza, Dio ci parla e ci indica il progetto della nostra vita. Come per Alberto, anche per tutti noi la preghiera personale nutrita dalla Parola del Signore, la frequenza ai Sacramenti e la guida spirituale di uomini illuminati sono i mezzi per scoprire e seguire la voce di Dio. Ricevette l’abito religioso dal beato Giordano di Sassonia.

Dopo l’ordinazione sacerdotale, i Superiori lo destinarono all’insegnamento in vari centri di studi teologici annessi ai conventi dei Padri domenicani. Le brillanti qualità intellettuali gli permisero di perfezionare lo studio della teologia nell’università più celebre dell’epoca, quella di Parigi. Fin da allora sant’Alberto intraprese quella straordinaria attività di scrittore, che avrebbe poi proseguito per tutta la vita.

Gli furono assegnati compiti prestigiosi. Nel 1248 fu incaricato di aprire uno studio teologico a Colonia, uno dei capoluoghi più importanti della Germania, dove egli visse a più riprese, e che divenne la sua città di adozione. Da Parigi portò con sé a Colonia un allievo eccezionale, Tommaso d’Aquino. Basterebbe solo il merito di essere stato maestro di san Tommaso, per nutrire profonda ammirazione verso sant’Alberto. Tra questi due grandi teologi si instaurò un rapporto di reciproca stima e amicizia, attitudini umane che aiutano molto lo sviluppo della scienza. Nel 1254 Alberto fu eletto Provinciale della "Provincia Teutoniae" – teutonica - dei Padri domenicani, che comprendeva comunità diffuse in un vasto territorio del Centro e del Nord-Europa. Egli si distinse per lo zelo con cui esercitò tale ministero, visitando le comunità e richiamando costantemente i confratelli alla fedeltà, agli insegnamenti e agli esempi di san Domenico.

Le sue doti non sfuggirono al Papa di quell’epoca, Alessandro IV, che volle Alberto per un certo tempo accanto a sé ad Anagni - dove i Papi si recavano di frequente - a Roma stessa e a Viterbo, per avvalersi della sua consulenza teologica. Lo stesso Sommo Pontefice lo nominò Vescovo di Ratisbona, una grande e famosa diocesi, che si trovava, però, in un momento difficile. Dal 1260 al 1262 Alberto svolse questo ministero con infaticabile dedizione, riuscendo a portare pace e concordia nella città, a riorganizzare parrocchie e conventi, e a dare nuovo impulso alle attività caritative.

Negli anni 1263-1264 Alberto predicava in Germania ed in Boemia, incaricato dal Papa Urbano IV, per ritornare poi a Colonia e riprendere la sua missione di docente, di studioso e di scrittore. Essendo un uomo di preghiera, di scienza e di carità, godeva di grande autorevolezza nei suoi interventi, in varie vicende della Chiesa e della società del tempo: fu soprattutto uomo di riconciliazione e di pace a Colonia, dove l’Arcivescovo era entrato in duro contrasto con le istituzioni cittadine; si prodigò durante lo svolgimento del II Concilio di Lione, nel 1274, convocato dal Papa Gregorio X per favorire l’unione tra la Chiesa latina e quella greca, dopo la separazione del grande scisma d’Oriente del 1054; egli chiarì il pensiero di Tommaso d’Aquino, che era stato oggetto di obiezioni e persino di condanne del tutto ingiustificate.

Morì nella cella del suo convento della Santa Croce a Colonia nel 1280, e ben presto fu venerato dai confratelli. La Chiesa lo propose al culto dei fedeli con la beatificazione, nel 1622, e con la canonizzazione, nel 1931, quando il Papa Pio XI lo proclamò Dottore della Chiesa. Si trattava di un riconoscimento indubbiamente appropriato a questo grande uomo di Dio e insigne studioso non solo delle verità della fede, ma di moltissimi altri settori del sapere; infatti, dando uno sguardo ai titoli delle numerosissime opere, ci si rende conto che la sua cultura ha qualcosa di prodigioso, e che i suoi interessi enciclopedici lo portarono a occuparsi non solamente di filosofia e di teologia, come altri contemporanei, ma anche di ogni altra disciplina allora conosciuta, dalla fisica alla chimica, dall’astronomia alla mineralogia, dalla botanica alla zoologia. Per questo motivo il Papa Pio XII lo nominò patrono dei cultori delle scienze naturali ed è chiamato anche "Doctor universalis" proprio per la vastità dei suoi interessi e del suo sapere.

Certamente, i metodi scientifici adoperati da sant’Alberto Magno non sono quelli che si sarebbero affermati nei secoli successivi. Il suo metodo consisteva semplicemente nell’osservazione, nella descrizione e nella classificazione dei fenomeni studiati, ma così ha aperto la porta per i lavori futuri.

Egli ha ancora molto da insegnare a noi. Soprattutto, sant’Alberto mostra che tra fede e scienza non vi è opposizione, nonostante alcuni episodi di incomprensione che si sono registrati nella storia. Un uomo di fede e di preghiera, quale fu sant’Alberto Magno, può coltivare serenamente lo studio delle scienze naturali e progredire nella conoscenza del micro e del macrocosmo, scoprendo le leggi proprie della materia, poiché tutto questo concorre ad alimentare la sete e l’amore di Dio. La Bibbia ci parla della creazione come del primo linguaggio attraverso il quale Dio – che è somma intelligenza, che è Logos – ci rivela qualcosa di sé. Il libro della Sapienza, per esempio, afferma che i fenomeni della natura, dotati di grandezza e bellezza, sono come le opere di un artista, attraverso le quali, per analogia, noi possiamo conoscere l’Autore del creato (cfr Sap. 13,5). Con una similitudine classica nel Medioevo e nel Rinascimento si può paragonare il mondo naturale a un libro scritto da Dio, che noi leggiamo in base ai diversi approcci delle scienze (cfr Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, 31 Ottobre 2008). Quanti scienziati, infatti, sulla scia di sant’Alberto Magno, hanno portato avanti le loro ricerche ispirati da stupore e gratitudine di fronte al mondo che, ai loro occhi di studiosi e di credenti, appariva e appare come l’opera buona di un Creatore sapiente e amorevole! Lo studio scientifico si trasforma allora in un inno di lode. Lo aveva ben compreso un grande astrofisico dei nostri tempi, di cui è stata introdotta la causa di beatificazione, Enrico Medi, il quale scrisse: "Oh, voi misteriose galassie ..., io vi vedo, vi calcolo, vi intendo, vi studio e vi scopro, vi penetro e vi raccolgo. Da voi io prendo la luce e ne faccio scienza, prendo il moto e ne fo sapienza, prendo lo sfavillio dei colori e ne fo poesia; io prendo voi stelle nelle mie mani, e tremando nell’unità dell’essere mio vi alzo al di sopra di voi stesse, e in preghiera vi porgo al Creatore, che solo per mezzo mio voi stelle potete adorare" (Le opere. Inno alla creazione).

Sant’Alberto Magno ci ricorda che tra scienza e fede c’è amicizia, e che gli uomini di scienza possono percorrere, attraverso la loro vocazione allo studio della natura, un autentico e affascinante percorso di santità.

La sua straordinaria apertura di mente si rivela anche in un’operazione culturale che egli intraprese con successo, cioè nell’accoglienza e nella valorizzazione del pensiero di Aristotele. Ai tempi di sant’Alberto, infatti, si stava diffondendo la conoscenza di numerose opere di questo grande filosofo greco vissuto nel quarto secolo prima di Cristo, soprattutto nell’ambito dell’etica e della metafisica. Esse dimostravano la forza della ragione, spiegavano con lucidità e chiarezza il senso e la struttura della realtà, la sua intelligibilità, il valore e il fine delle azioni umane. Sant’Alberto Magno ha aperto la porta per la recezione completa della filosofia di Aristotele nella filosofia e teologia medioevale, una recezione elaborata poi in modo definitivo da S. Tommaso. Questa recezione di una filosofia, diciamo, pagana pre-cristiana fu un’autentica rivoluzione culturale per quel tempo. Eppure, molti pensatori cristiani temevano la filosofia di Aristotele, la filosofia non cristiana, soprattutto perché essa, presentata dai suoi commentatori arabi, era stata interpretata in modo da apparire, almeno in alcuni punti, come del tutto inconciliabile con la fede cristiana. Si poneva cioè un dilemma: fede e ragione sono in contrasto tra loro o no?

Sta qui uno dei grandi meriti di sant’Alberto: con rigore scientifico studiò le opere di Aristotele, convinto che tutto ciò che è realmente razionale è compatibile con la fede rivelata nelle Sacre Scritture. In altre parole, sant’Alberto Magno, ha così contribuito alla formazione di una filosofia autonoma, distinta dalla teologia e unita con essa solo dall’unità della verità. Così è nata nel XIII secolo una chiara distinzione tra questi due saperi, filosofia e teologia, che, in dialogo tra di loro, cooperano armoniosamente alla scoperta dell’autentica vocazione dell’uomo, assetato di verità e di beatitudine: ed è soprattutto la teologia, definita da sant’Alberto "scienza affettiva", quella che indica all’uomo la sua chiamata alla gioia eterna, una gioia che sgorga dalla piena adesione alla verità.

Sant’Alberto Magno fu capace di comunicare questi concetti in modo semplice e comprensibile. Autentico figlio di san Domenico, predicava volentieri al popolo di Dio, che rimaneva conquistato dalla sua parola e dall’esempio della sua vita.

Cari fratelli e sorelle, preghiamo il Signore perché non vengano mai a mancare nella santa Chiesa teologi dotti, pii e sapienti come sant’Alberto Magno e aiuti ciascuno di noi a fare propria la "formula della santità" che egli seguì nella sua vita: "Volere tutto ciò che io voglio per la gloria di Dio, come Dio vuole per la sua gloria tutto ciò che Egli vuole", conformarsi cioè sempre alla volontà di Dio per volere e fare tutto solo e sempre per la Sua gloria.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i diversi gruppi di religiose qui presenti, assicurando la mia preghiera per loro e per i rispettivi Istituti, affinché sappiano annunciare con rinnovata gioia Gesù Cristo, Salvatore del mondo. Saluto i sacerdoti, i diaconi e i seminaristi del Movimento dei Focolari, ed auspico di cuore che questa visita rinsaldi in ciascuno la fedeltà al Vangelo e l'amore alla Chiesa.

Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. La Solennità dell'Annunciazione, che domani celebreremo, sia per tutti un invito a seguire l'esempio di Maria Santissima: per voi, cari giovani, si traduca in pronta disponibilità alla chiamata del Padre, perché possiate essere fermento evangelico nella società; per voi, cari ammalati, sia sprone a rinnovare l'accettazione serena e confidente della volontà divina e a trasformare la vostra sofferenza in mezzo di redenzione dell'intera umanità; il sì di Maria susciti in voi, cari sposi novelli, un sempre più generoso impegno nel costruire una famiglia fondata sul reciproco amore e sui perenni valori cristiani.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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Messaggio del Papa al X Forum internazionale dei giovani
"Imparare ad amare"

ROMA, mercoledì, 24 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il messaggio che Benedetto XVI ha inviato al Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, il Cardinale Stanisław Ryłko e ai partecipanti al X Forum Internazionale dei Giovani, in corso a Rocca di Papa sul tema: "Imparare ad amare".





* * *

Al Venerato Fratello

Cardinale Stanisław Ryłko

Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici

Sono lieto di inviare il mio cordiale saluto a Lei, ai collaboratori del Pontificio Consiglio per i Laici e a quanti prendono parte al X Forum Internazionale dei Giovani, che si tiene in questa settimana a Rocca di Papa sul tema «Imparare ad amare». Con particolare affetto mi rivolgo ai giovani delegati delle Conferenze Episcopali e di vari Movimenti, Associazioni e Comunità internazionali, provenienti dai cinque continenti. Estendo il mio pensiero agli autorevoli relatori, che apportano all'incontro il contributo della loro competenza e della loro esperienza.

«Imparare ad amare»: questo tema è centrale nella fede e nella vita cristiana e mi rallegro che abbiate occasione di approfondirlo insieme. Come sapete, il punto di partenza di ogni riflessione sull'amore è il mistero stesso di Dio, poiché il cuore della rivelazione cristiana è questo: Deus caritas est. Cristo, nella sua Passione, nel Suo dono totale, ci ha rivelato il volto di Dio che è Amore.

La contemplazione del mistero della Trinità ci fa entrare in questo mistero di Amore eterno, che è fondamentale per noi. Le prime pagine della Bibbia affermano, infatti, che: «Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). Per il fatto stesso che Dio è amore e l'uomo è sua immagine, comprendiamo l'identità profonda della persona, la sua vocazione all'amore. L'uomo è fatto per amare; la sua vita è pienamente realizzata solo se è vissuta nell'amore. Dopo aver cercato a lungo, santa Teresa di Gesù Bambino comprese così il senso della sua esistenza: «La mia vocazione è l'Amore!» (Manoscritto B, foglio 3).

Esorto i giovani presenti a questo Forum, affinché cerchino con tutto il cuore di scoprire la loro vocazione all'amore, come persone e come battezzati. È questa la chiave di tutta l'esistenza. Possano pertanto investire tutte le loro energie per avvicinarsi a tale meta giorno dopo giorno, sostenuti dalla Parola di Dio e dai Sacramenti della Riconciliazione e dell'Eucaristia.

La vocazione all'amore prende forme differenti a seconda degli stati di vita. In quest’Anno Sacerdotale, mi piace ricordare le parole del Santo Curato d'Ars: «Il Sacerdozio è l'amore del cuore di Gesù». Nella sequela di Gesù, i sacerdoti danno la vita, affinché i fedeli possano vivere dell'amore di Cristo. Chiamate da Dio a donarsi interamente a Lui, con cuore indiviso, le persone consacrate nel celibato sono anche un segno eloquente dell'amore di Dio per il mondo e della vocazione ad amare Dio sopra ogni cosa.

Vorrei inoltre esortare i giovani delegati a scoprire la grandezza e la bellezza del Matrimonio: la relazione tra l'uomo e la donna riflette l'amore divino in maniera del tutto speciale; perciò il vincolo coniugale assume una dignità immensa. Mediante il Sacramento del Matrimonio, gli sposi sono uniti da Dio e con la loro relazione manifestano l'amore di Cristo, che ha dato la sua vita per la salvezza del mondo. In un contesto culturale in cui molte persone considerano il Matrimonio come un contratto a tempo che si può infrangere, è di vitale importanza comprendere che il vero amore è fedele, dono di sé definitivo. Poiché Cristo consacra l'amore degli sposi cristiani e si impegna con loro, questa fedeltà non solo è possibile, ma è la via per entrare in una carità sempre più grande. Così, nella vita quotidiana di coppia e di famiglia, gli sposi imparano ad amare come Cristo ama. Per corrispondere a questa vocazione è necessario un serio percorso educativo e anche questo Forum si pone in tale prospettiva.

Questi giorni di formazione mediante l'incontro, l'ascolto delle conferenze e la preghiera comune, devono essere anche uno stimolo per tutti i giovani delegati a farsi testimoni presso i loro coetanei di ciò che hanno visto e ascoltato. Si tratta di una vera e propria responsabilità, per la quale la Chiesa conta su di loro. Essi hanno un ruolo importante da svolgere nell'evangelizzazione dei giovani dei loro Paesi, affinché rispondano con gioia e fedeltà al comandamento di Cristo: «che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12).

Invitando i giovani a perseverare sulla via della carità nella sequela di Cristo, do loro appuntamento per domenica prossima, in Piazza san Pietro, dove si svolgerà la solenne celebrazione della Domenica delle Palme e della XXV Giornata Mondiale della Gioventù.

Quest'anno il tema di riflessione è: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?» (Mc 10,17). A questa domanda, posta da un giovane ricco, Gesù risponde con uno sguardo d'amore e un invito al dono totale di sé, per amore di Dio. Possa questo incontro contribuire alla risposta generosa di ogni delegato alla chiamata e ai doni del Signore!

A tal fine assicuro la mia preghiera per tutta la gioventù e di cuore invio a Lei, Venerato Fratello, e a quanti partecipano al Forum internazionale una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 20 Marzo 2010

BENEDICTUS PP. XVI

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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