giovedì 25 marzo 2010

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ZENIT

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Servizio quotidiano - 25 marzo 2010

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"Nessun insabbiamento" del Papa sui casi di abusi sessuali
Risposta al caso del sacerdote Lawrence C. Murphy
di Jesús Colina

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 25 marzo 2010 (ZENIT.org).- "Nessun insabbiamento", afferma il quotidiano vaticano nella sua risposta a un articolo del "New York Times" che cerca di coinvolgere la Congregazione per la Dottrina della Fede, quando il suo prefetto era il Cardinale Joseph Ratzinger, nel gravissimo caso di un sacerdote statunitense accusato di pederastia.

Si tratta della vicenda del sacerdote Lawrence C. Murphy, responsabile di abusi commessi su bambini audiolesi ospiti di un istituto cattolico in cui ha operato dal 1950 al 1974. Questo caso, come spiega il quotidiano newyorkese, è stato presentato nel 1996 dall'allora Arcivescovo di Milwaukee, monsignor Rembert G. Weakland, alla Congregazione per la Dottrina della Fede, di cui erano prefetto il Cardinale Ratzinger e segretario l'Arcivescovo Tarcisio Bertone.

Come ha spiegato una nota pubblicata da padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, la richiesta non era riferita alle accuse di abusi sessuali, ma a quella di violazione del sacramento della penitenza, perpetrata attraverso l'adescamento nel confessionale, che si configura quando un sacerdote sollecita il penitente a commettere peccato contro il sesto comandamento (canone 1387).

"Come si può facilmente dedurre anche leggendo la ricostruzione fatta dal 'New York Times', sul caso di padre Murphy non vi è stato alcun insabbiamento", afferma "L'Osservatore Romano" nella sua edizione del 26 marzo.

Ciò viene confermato dalla documentazione che si accompagna all'articolo del quotidiano statunitense, aggiunge "L'Osservatore", "nella quale figura anche la lettera che padre Murphy scrisse nel 1998 all'allora Cardinale Ratzinger chiedendo che il procedimento canonico venisse interrotto a causa del suo grave stato di salute".

"Anche in questo caso la Congregazione rispose, attraverso l'Arcivescovo Bertone, invitando l'ordinario di Milwaukee a esperire tutte le misure pastorali previste dal canone 1341 per ottenere la riparazione dello scandalo e il ristabilimento della giustizia", ricorda il quotidiano vaticano.

"È importante osservare - come ha dichiarato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede - che la questione canonica presentata alla Congregazione non era in nessun modo collegata con una potenziale procedura civile o penale nei confronti di padre Murphy. Contro il quale l'Arcidiocesi aveva peraltro già avviato una procedura canonica, come risulta evidente dalla stessa abbondante documentazione pubblicata in rete dal quotidiano di New York", aggiunge l'articolo.

"Alla richiesta proveniente dall'Arcivescovo la Congregazione rispose, con lettera firmata dall'allora Arcivescovo Bertone, il 24 marzo 1997, con l'indicazione di procedere secondo quanto stabilisce la Crimen sollicitationis", la lettera della Congregazuione per la Dottrina della Fede sui crimini più gravi.

Il quotidiano vaticano spiega quali sono i criteri che il Cardinale Ratzinger-Benedetto XVI ha indicato alla Chiesa: "Trasparenza, fermezza e severità nel fare luce sui diversi casi di abusi sessuali commessi da sacerdoti e religiosi".

"Un modo di operare - coerente con la sua storia personale e con l'ultraventennale attività come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede - che evidentemente è temuto da chi non vuole che si affermi la verità e da chi preferirebbe poter strumentalizzare, senza alcun fondamento nei fatti, episodi orribili e vicende dolorose risalenti in alcuni casi a decine di anni fa", dichiara "L'Osservatore".

Il professor Massimo Introvigne, sociologo e direttore del CESNUR (Centro studi sulle nuove religioni), constata in una dichiarazione inviata a ZENIT che i fatti raccontati dal New York Times non sono particolarmente esatti e in alcuni passaggi, secondo lui, manipolati.

"Per infangare la persona del Santo Padre si rivanga un episodio di trentacinque anni fa, noto e discusso dalla stampa locale già a metà degli anni 1970, la cui gestione - per quanto di sua competenza, e un quarto di secolo dopo i fatti - da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede fu peraltro canonicamente e moralmente impeccabile, e molto più severa di quella delle autorità statali americane", perché la denuncia contro il prete era stata archiviata dalla magistratura inquirente.

"Di quante di queste 'scoperte' abbiamo ancora bisogno per renderci conto che l'attacco al Papa non ha nulla a che fare con la difesa delle vittime dei casi di pedofilia - certamente gravi, inaccettabili e criminali come Benedetto XVI ha ricordato con santa severità - e mira a screditare un Pontefice e una Chiesa che danno fastidio alle lobby per la loro efficace azione in difesa della vita e della famiglia?", si chiede il sociologo.

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Benedetto XVI invita i cristiani a diventare "fratelli universali"
Messaggio per la 84ma Giornata Missionaria Mondiale
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 25 marzo 2010 (ZENIT.org).- "In una società multietnica che sempre più sperimenta forme di solitudine e di indifferenza preoccupanti, i cristiani devono imparare ad offrire segni di speranza e a divenire fratelli universali, coltivando i grandi ideali che trasformano la storia e, senza false illusioni o inutili paure, impegnarsi a rendere il pianeta la casa di tutti i popoli".

Lo afferma Benedetto XVI nel suo Messaggio per la 84a Giornata Missionaria Mondiale, che quest'anno si celebrerà domenica 24 ottobre sul tema "La costruzione della comunione ecclesiale è la chiave della missione".

Il Padre, spiega il Papa, "ci chiama ad essere figli amati nel suo Figlio, l'Amato, e a riconoscerci tutti fratelli in Lui, Dono di Salvezza per l'umanità divisa dalla discordia e dal peccato, e Rivelatore del vero volto di quel Dio che ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna".

"Gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti non solo di 'parlare' di Gesù, ma di 'far vedere' Gesù, far risplendere il Volto del Redentore in ogni angolo della terra davanti alle generazioni del nuovo millennio e specialmente davanti ai giovani di ogni continente, destinatari privilegiati e soggetti dell'annuncio evangelico", osserva.

"Devono percepire che i cristiani portano la parola di Cristo perché Lui è la Verità, perché hanno trovato in Lui il senso, la verità per la loro vita".

Queste considerazioni, ricorda il Papa, "rimandano al mandato missionario che hanno ricevuto tutti i battezzati e l'intera Chiesa, ma che non può realizzarsi in maniera credibile senza una profonda conversione personale, comunitaria e pastorale".

La consapevolezza della chiamata ad annunciare il Vangelo, infatti, "stimola non solo ogni singolo fedele, ma tutte le Comunità diocesane e parrocchiali ad un rinnovamento integrale e ad aprirsi sempre più alla cooperazione missionaria tra le Chiese, per promuovere l'annuncio del Vangelo nel cuore di ogni persona, di ogni popolo, cultura, razza, nazionalità, ad ogni latitudine".

Questa consapevolezza si alimenta "attraverso l'opera di Sacerdoti Fidei Donum, di Consacrati, di Catechisti, di Laici missionari, in una ricerca costante di promuovere la comunione ecclesiale, in modo che anche il fenomeno dell''interculturalità' possa integrarsi in un modello di unità, nel quale il Vangelo sia fermento di libertà e di progresso, fonte di fraternità, di umiltà e di pace".

Per Benedetto XVI, solo partendo dall'incontro con l'Amore di Dio "possiamo vivere in comunione con Lui e tra noi, e offrire ai fratelli una testimonianza credibile, rendendo ragione della speranza che è in noi".

"Una fede adulta, capace di affidarsi totalmente a Dio con atteggiamento filiale, nutrita dalla preghiera, dalla meditazione della Parola di Dio e dallo studio delle verità della fede, è condizione per poter promuovere un umanesimo nuovo, fondato sul Vangelo di Gesù", aggiunge.

"In questa Giornata Missionaria Mondiale in cui lo sguardo del cuore si dilata sugli immensi spazi della missione, sentiamoci tutti protagonisti dell'impegno della Chiesa di annunciare il Vangelo", esorta.

In questo contesto, invita "alla preghiera e, nonostante le difficoltà economiche, all'impegno dell'aiuto fraterno e concreto a sostegno delle giovani Chiese", un "gesto di amore e di condivisione" che "sosterrà la formazione di sacerdoti, seminaristi e catechisti nelle più lontane terre di missione e incoraggerà le giovani comunità ecclesiali".

Allo stesso modo, esprime "con particolare affetto" "riconoscenza ai missionari e alle missionarie, che testimoniano nei luoghi più lontani e difficili, spesso anche con la vita, l'avvento del Regno di Dio".

"A loro, che rappresentano le avanguardie dell'annuncio del Vangelo, va l'amicizia, la vicinanza e il sostegno di ogni credente", ricorda.

"Come il 'sì' di Maria - conclude il Papa nel Messaggio diffuso dalla Santa Sede nella solennnità dell'Annunciazione -, ogni generosa risposta della Comunità ecclesiale all'invito divino all'amore dei fratelli susciterà una nuova maternità apostolica ed ecclesiale", che "donerà fiducia e audacia a nuovi apostoli".

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Il Vaticano mette on-line documenti sulla II Guerra Mondiale
Su iniziativa della Fondazione "Pave The Way"
di Inma Álvarez

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 25 marzo 2010 (ZENIT.org).- La Santa Sede ha annunciato questo giovedì la pubblicazione di importanti documenti pontifici di questo secolo, soprattutto quelli riferiti alla II Guerra Mondiale, digitalizzati e disponibili su Internet.

Si tratta degli Acta Sanctae Sedis (ASS) e degli Acta Apostolicae Sedis (AAS), cioè degli Atti ufficiali della Santa Sede dal 1865 al 2007, così come dei dodici tomi della collezione Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale.

"Questi testi costituiscono una miniera di documentazione d'inestimabile valore che ora è messa gratuitamente a disposizione di tutti gli studiosi e delle persone interessate. Un grande contributo per la ricerca e l'informazione sulla Santa Sede, la sua storia e la sua attività", afferma il comunicato.

La pubblicazione su Internet dei documenti ufficiali relativi alla II Guerra Mondiale, già disponibili in formato cartaceo dal 1981, è stata sollecitata dalla Fondazione "Pave the Way" (PTWF), che si dedica a lavorare per "rimuovere gli ostacoli" che impediscono il dialogo tra le religioni.

L'11 febbraio scorso, la Fondazione ha ringraziato la Segreteria di Stato e la Libreria Editrice Vaticana per "la sua fiducia in noi nel concederci questo privilegio senza precedenti".

In un nuovo comunicato al quale ha avuto accesso ZENIT, la PTWF spiega che il lavoro di digitalizzazione è stato portato avanti grazie a uno dei migliori fotografi digitali del mondo, l'israeliano Ardon Bar-Hama.

Bar-Hama è noto per aver digitalizzato i Rotoli del Mar Morto e il Codex Vaticanus, tra gli altri lavori.

Gary Krupp, presidente della Fondazione, ha espresso l'orgoglio dell'istituzione che rappresenta "di aver aiutato a rendere possibile questa ricerca estremamente importante".

"Finora, gran parte delle ricerche svolte in questo settore era selettiva per natura. Aprendo questi documenti per il loro studio in tutto il mondo, speriamo di portare alla luce la verità su questo periodo controverso".

La Fondazione è impegnata da molti anni nella ricerca sulle azioni di Papa Pio XII nei confronti degli ebrei durante la II Guerra Mondiale, visto che l'immagine di questo papato era "motivo di frizione, il che ha un impatto su più di mille milioni di persone in tutto il mondo".

La collezione Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale consiste in circa 9.000 pagine che raccolgono 5.125 documenti, una piccola parte della documentazione su quest'epoca contenuta nell'Archivio Segreto Vaticano (circa 16 milioni di documenti), la cui catalogazione non è ancora terminata.

Elliot Hershberg, presidente del Consiglio d'Amministrazione della PTWF, ha affermato: "Sentivamo che era necessario aprire questi archivi, che sicuramente non sono un sostituto della piena apertura degli archivi degli anni della guerra. Ad ogni modo, insieme all'ordine di Papa Benedetto XVI di aprire gli Archivi Segreti fino al 1939, abbiamo ora un quadro storico più chiaro delle azioni segrete di Papa Pio XII e del suo atteggiamento nei confronti del popolo ebraico, della sua avversione a Hitler e del suo lavoro segreto per sconfiggere il regime nazista".

La collezione è accessibile, senza alcun costo, sulla pagina ufficiale della Santa Sede (www.vatican.va), al link Acta Santae Sedis (http://www.vatican.va/archive/actes/index_it.htm).

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L'Arcivescovo di Torino invita a visitare personalmente la Sacra Sindone
Esposta nella Cattedrale di Torino dal 10 aprile al 23 maggio
di Carmen Elena Villa

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 25 marzo 2010 (ZENIT.org).- Sono già circa 1,3 milioni le persone che si sono prenotate per la prima ostensione della Sacra Sindone del nuovo millennio. Lo ha affermato questo giovedì mattina durante una conferenza stampa presso la Santa Sede il Cardinale Severino Poletto, Arcivescovo di Torino.

Il porporato ha segnalato che il tema dell'ostensione, che si realizzerà dal 10 aprile al 23 maggio, sarà "Passio Christi, passio hominis".

La Sindone è stata esposta per l'ultima volta durante il Giubileo del 2000. Il Cardinale ha dichiarato che in questi 10 anni è stata migliorata la sua visibilità grazie a un intervento di conservazione svoltosi nel 2002, durante il quale sono state rimosse alcune "toppe" poste dalle suore clarisse di Chambéry in passato. Sono state anche modificate alcune condizioni di conservazione.

La visita del Papa

Papa Benedetto XVI si recherà a Torino il 2 maggio per venerare la Sacra Sindone. Giovanni Paolo II lo ha fatto nel 1998.

L'Arcivescovo di Torino ha ricordato che anche l'allora Cardinale Ratzinger venerò la Sindone nel 1998 durante un pellegrinaggio realizzato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Allo stesso modo, l'allora Cardinale Karol Wojtyła aveva venerato la reliquia alcuni mesi prima di essere eletto Pontefice.

"La visita di Benedetto XVI consolida la tradizione avviata da Giovanni Paolo II di venerare la Sindone nel corso della Visita pastorale alla Città di Torino", ha segnalato il Cardinal Poletto.

Questa immagine, ha aggiunto, mostra "il forte collegamento esistente tra l'immagine sindonica, impressionante testimonianza della Passione del Signore, e le molteplici sofferenze degli uomini e delle donne di oggi, perché trovino nella Sindone un sicuro riferimento di fede che rinvia alla misericordia di Dio e al servizio verso i fratelli".

La logistica

L'ostensione della Sindone del 2010 è organizzata, com'è avvenuto anche nel 1998 e nel 2000, dall'Arcidiocesi di Torino in collaborazione con il Comune della città e con la Regione Piemonte.

Circa 4.000 volontari provenienti da varie comunità cristiane di Torino si sono uniti per prestare il proprio servizio. Lavoreranno soprattutto nell'assistenza sanitaria agli handicappati e nell'accoglienza nelle chiese del centro storico in cui si svolgeranno le celebrazioni liturgiche.

Come nelle occasioni precedenti, i pellegrini, prima di accedere alla Cattedrale, potranno compiere una "prelettura" e vedere un video per poter riconoscere le caratteristiche principali dell'immagine.

Al termine di questa visita, è stato preparato anche un luogo di penitenza, che conterà sulla presenza di sacerdoti disponibili a confessare i fedeli in varie lingue. C'è anche la cappella dell'adorazione, dove ogni giorno, dopo la Messa del mattino, sarà esposto il Santissimo Sacramento.

La giornata della Sindone

Ogni mattina si celebrerà la Santa Messa alle 7.00, con la preghiera delle Lodi. Il flusso di pellegrini durerà fino alle 20.00. Alle 21.00 la Cattedrale si riaprirà per incontri di preghiera e alcune iniziative culturali di rilievo.

Tra queste, ci sono le conferenze del Cardinale Christoph Schönborn, Arcivescovo di Vienna, e di monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura.

Parleranno anche esperti sul tema, appartenenti al Patriarcato ecumenico di Costantinopoli e al Patriarcato di Mosca.

Il Cardinal Poletto ha dichiarato che il ricorso a Internet è stato "fondamentale" per il sistema di prenotazioni, ma ha avvertito che l'ostensione "rimane un'esperienza personale e fisica, un 'venire a vedere' che non può essere sostituito da alcuna 'visita virtuale'".

Ha anche ricordato che sul sito http://www.sindone.org si trovano testi e informazioni relativi agli aspetti organizzativi dell'ostensione. Tutti i testi sono disponibili in inglese, francese e italiano, e le informazioni di base possono essere consultate anche in spagnolo, tedesco e russo.

Il carattere scientifico della Sacra Sindone ha iniziato ad essere studiato nel 1898, quando un fotografo torinese constatò che il negativo delle immagini rappresenta il corpo e il volto di un uomo crocifisso come raccontavano i Vangeli. Esistono sempre più prove del fatto che il Santo Sudario sia stato usato per avvolgere il corpo di Gesù nel sepolcro.

Nel 1989 la Sindone è stata sottoposta alla prova del Carbonio 14. Gli scienziati hanno affermato che si trattava di un tessuto fabbricato tra il 1260 e 1390. Centinaia di esperti hanno criticato quegli esami dicendo che non hanno avuto il rigore necessario e che sono state studiate solo alcune parti del lenzuolo, che era stato riparato nel Medioevo.



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Pubblicato il programma ufficiale del viaggio del Papa in Portogallo
Previsti incontri con il Presidente della Repubblica e il Primo Ministro

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 25 marzo 2010 (ZENIT.org).- La Sala Stampa della Santa Sede ha pubblicato questo giovedì il programma ufficiale del viaggio apostolico che il Papa compirà in Portogallo dall'11 al 14 maggio prossimi.

Il pellegrinaggio nel decimo anniversario della beatificazione dei pastorelli di Fatima Jacinta e Francisco inizierà martedì 11 maggio alle 8.50 con la partenza dall'Aeroporto Internazionale Leonardo da Vinci di Fiumicino.

Il programma prevede l'arrivo, alle 11.00, all'Aeroporto Internazionale Portela di Lisbona, dove avrà luogo una cerimonia ufficiale di accoglienza durante la quale Benedetto XVI pronuncerà un discorso.

Alle 12.45 ci sarà la cerimonia di benvenuto al Monastero dos Jerónimos, dove è prevista una breve visita papale.

Alle 13.30 è prevista una visita di cortesia al Presidente della Repubblica, Aníbal A. Cavaco Silva, nel Palazzo di Belém di Lisbona.

Alle 18.15 verrà celebrata una Messa al Terreiro do Paço di Lisbona, prospiciente il fiume Tejo. Benedetto XVI pronuncerà l'omelia, con un messaggio commemorativo per il 50° anniversario della fondazione del Santuario di Cristo Re ad Almada.

Il giorno seguente, il 12 maggio, alle 7.30 verrà celebrata una Messa in privato nella cappella della Nunziatura Apostolica di Lisbona.

Alle 10.00 il Papa incontrerà il mondo della cultura al Centro Cultural di Belém, pronunciando un discorso. Alle 12.00 è previsto invece l'incontro con il Primo Ministro portoghese, José Sócrates, nella Nunziatura Apostolica, dove alle 15.45 ci sarà il congedo del Papa da Lisbona. Alle 16.40 partirà in elicottero dall'aeroporto di Portela alla volta di Fatima.

Fatima

L'arrivo del Pontefice all'eliporto predisposto nel grande parcheggio del nuovo stadio municipale di Fatima è previsto alle 17.10. Alle 17.30 il programma prevede la visita papale alla Cappella delle Apparizioni, seguita da una preghiera sulla spianata del Santuario di Fatima.

Alle 18.00 saranno celebrati i Vespri con i sacerdoti, i religiosi, i seminaristi e i diaconi nella chiesa della Santissima Trinità, e Benedetto XVI pronuncerà un discorso.

Alle 21.30 è prevista la benedizione delle fiaccole sulla spianata del Santuario. Il Papa pronuncerà anche un discorso.

Il programma della giornata termina con la recita del Rosario nella Cappella delle Apparizioni.

Giovedì 13 maggio è prevista la celebrazione di una Messa alle 10.00 sulla spianata del Santuario, con un'omelia e un saluto del Papa.

Alle 13.00, Benedetto XVI pranzerà con i Vescovi del Portogallo e con il seguito papale nella Grande Refettorio della Casa di Nossa Senhora do Carmo di Fatima.

Alle 17.00 incontrerà i rappresentanti delle organizzazioni della pastorale sociale nella chiesa della Santissima Trinità di Fatima, pronunciando un discorso.

Alle 18.45 è previsto un incontro di Benedetto XVI con i Vescovi portoghesi nella sala conferenze della Casa di Nossa Senhora do Carmo, con un nuovo discorso del Papa.

L'ultimo giorno della visita del Papa in Portogallo, venerdì 14 maggio, è previsto un congedo di Benedetto XVI dalla Casa di Nossa Senhora do Carmo alle 8.00. Quaranta minuti più tardi, l'elicottero del Papa partirà dall'eliporto di Fatima verso Porto.

Porto

Alle 9.30 è previsto l'arrivo del Vescovo di Roma all'eliporto della caserma della Serra do Pilar di Gaia.

Benedetto XVI presiederà una Messa alle 10.15 nel Grande Piazzale della Avenida dos Aliados di Porto, pronunciando l'omelia.

Alle 13.30 è prevista una cerimonia di congedo all'Aeroporto Internazionale di Porto, con un discorso del Papa.

Il programma termina con la partenza in aereo da quell'aeroporto alla volta di Roma, prevista per le 14.00.

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Card. Antonelli: "Tutti i 'No' della Chiesa sono in funzione di un grande 'Sì'"
Interviene al Forum Internazionale dei Giovani nel giorno dell'Annunciazione
di Roberta Sciamplicotti

ROMA, giovedì, 25 marzo2010 (ZENIT.org).- I "divieti" posti dalla Chiesa sono sempre in funzione di un bene più grande, ha avvertito il Cardinale Ennio Antonelli, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, intervenendo al X Forum Internazionale dei Giovani questo giovedì, solennità dell'Annunciazione.

Al Forum, in svolgimento a Rocca di Papa (Roma) dal 24 al 28 marzo sul tema "Imparare ad amare", partecipano delegati giunti da 90 Paesi dei cinque continenti.

Nella sua omelia, il Cardinale ha ricordato che nonostante la cultura odierna riduca l'amore a "emozione sessuale e sentimentale, senza un progetto e senza impegno", esaltando "la dimensione ludica del rapporto sessuale, impoverendo la dimensione relazionale e negando quella procreativa", "secondo il disegno di Dio la sessualità è integrata nell'amore vero, cioè nell'impegno per il bene delle persone, della società e della Chiesa".

"La Chiesa non deprime la sessualità, ma la esalta. Non la rende amara con i suoi comandamenti e divieti, ma la libera dalla tirannia dell'istinto, la preserva dalla degradazione del vizio, la purifica e la guarisce dal peccato, perché possa attuare tutto il suo significato e la sua bellezza".

"Ci sono le norme morali, ma bisogna capirne il senso e il valore - ha segnalato -. I divieti servono a incanalare le energie verso un bene più grande". "Tutti i No sono in funzione di un grande Sì".

"Nella misura in cui si percepisce il senso e il valore delle norme morali, cresce anche l'energia per osservarle, specialmente se con la preghiera, la confessione e l'Eucaristia si alimenta il rapporto con il Signore Gesù Cristo che ci comunica la grazia dello Spirito Santo".

Chi è "intimamente persuaso di essere amato dal Signore", ha sottolineato il Cardinale, "ha anche vivo desiderio di contraccambiare l'amore e si impegna a compiere sempre più generosamente la volontà di Dio".

"Se a volte non ci riesce, riconosce umilmente di essere peccatore e si affida alla divina misericordia. Fa il bene che è capace di fare e prega per comprendere meglio il valore delle norme morali e per avere la forza di compiere quel bene che ancora non è capace di fare".

In questo modo, "cammina nella direzione giusta e gradualmente il suo amore si purifica e diventa più vero e più bello".

La famiglia, scuola d'amore e di evangelizzazione

Gli uomini, ha ricordato il Cardinale Antonelli, sono fatti "non per la solitudine, ma per la relazione con gli altri".

"Siamo stati creati a immagine di Dio uno e trino. Come le persone divine vivono in perfetta comunione di amore tra loro, così noi possiamo essere felici se comunichiamo con gli altri e con Dio nell'amore".

L'esempio di amore per eccellenza, ha aggiunto, è quello tra l'uomo e la donna, perché "il rapporto di coppia, se è autentico, è immagine primordiale e partecipazione della vita divina" e "costituisce il modello emblematico dell'uscire dalla solitudine ed entrare in comunione con gli altri".

In una famiglia autentica, ha osservato, "l'amore di desiderio e l'amore di donazione si fondono spontaneamente".

"Ognuno considera gli altri una risorsa e un vantaggio per il proprio bene; ma soprattutto li considera un bene in se stessi, persone insostituibili, non intercambiabili, senza prezzo e con valore assoluto. Se c'è un'attenzione preferenziale, è per i più deboli: i bambini, i malati, i disabili, gli anziani".

"La famiglia, istituzione del dono e della comunione, introduce nel mercato stesso, che è l'istituzione dello scambio utilitario, una componente di gratuità e solidarietà che gli è necessaria".

Il Cardinale Antonelli ha quindi sottolineato che "non basta essere una famiglia socialmente rispettabile; non basta neppure essere una famiglia che va alla Messa festiva, continuando però a pensare e agire alla maniera del mondo secolarizzato".

Bisogna infatti "avere un rapporto vivo e personale con il Signore Gesù: preghiera, ascolto della sua parola, Eucaristia, conversione permanente, edificazione reciproca, apertura al dialogo, servizio del prossimo, perdono reciproco, fede incarnata nelle relazioni e attività quotidiane".

In questo modo, "la famiglia diventa soggetto di evangelizzazione al suo interno, nel suo ambiente, nella parrocchia, nella società".

Il porporato ha quindi concluso il suo intervento invitando ad imitare Maria, che all'amore di Dio "ha risposto con il suo amore, che è commossa gratitudine e pronta obbedienza, Magnificat e fiat".

"Dio ha amato per primo anche noi: ci ha creati, ci fa vivere, ci dona le persone e le cose che formano il nostro mondo, ci ha donato se stesso in Gesù Cristo e ci chiama alla vita eterna".

"Nella misura in cui siamo persuasi di essere amati da Lui, abbiamo anche la gioia e l'energia spirituale per obbedire ai suoi comandamenti".

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La Chiesa prega per la liberazione dei sacerdoti e Vescovi cinesi in carcere
Riunione della Commissione sulla Chiesa cattolica in Cina
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 25 marzo 2010 (ZENIT.org).- La supplica a Dio perché i sacerdoti e i Vescovi privati della libertà in Cina possano tornare ad esercitare il proprio ministero è uno degli argomenti fondamentali affrontati nella terza riunione della Commissione sulla Chiesa cattolica in Cina.

Lo ricorda un comunicato diffuso dalla Sala Stampa della Santa Sede questo giovedì, sottolineando che l'incontro si è svolto dal 22 al 24 marzo in Vaticano. La Commissione è stata istituita da Papa Benedetto XVI nel 2007 per studiare le questioni di maggiore importanza riguardanti la vita della Chiesa cattolica in Cina.

"La Commissione rinnova l'auspicio che, nel corso di un dialogo rispettoso e aperto tra la Santa Sede e le Autorità governative, possano essere superate le attuali difficoltà e si pervenga, così, ad una proficua intesa che sarà a vantaggio della comunità cattolica e della convivenza sociale", si legge nel testo.

"In questo spirito, i partecipanti si uniscono a tutti i cattolici in Cina nella costante preghiera perché quei Vescovi e sacerdoti, che da molto tempo sono privati della libertà, possano al più presto esercitare di nuovo il loro ministero episcopale e sacerdotale a favore dei fedeli, affidati alla loro cura pastorale".

"In una profonda vicinanza spirituale con tutti i fratelli nella fede che vivono in Cina", i partecipanti alla riunione "hanno approfondito il tema della formazione umana, intellettuale, spirituale e pastorale dei seminaristi e delle persone consacrate e quello della formazione permanente dei sacerdoti, con una particolare attenzione alla loro spiritualità".

Alla luce della Lettera del Papa ai cattolici cinesi 27 maggio 2007, la Commissione ha anche "riflettuto sulla maniera di promuovere l'unità all'interno della Chiesa cattolica in Cina e di superare le difficoltà che questa incontra nei suoi rapporti con la società civile".

"Insieme alla consapevolezza che il cammino del perdono e della riconciliazione non potrà compiersi dall'oggi al domani, è emersa la certezza che la Chiesa intera accompagna questo cammino ed eleverà un'insistente preghiera a tale scopo, particolarmente il 24 maggio, dedicato alla memoria liturgica della Beata Vergine Maria, aiuto dei Cristiani, in occasione della Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina".

Due elementi altrettanto importanti affrontati durante i lavori sono stati "la necessità di compiere con urgenza passi concreti per accrescere e manifestare i legami spirituali tra i Pastori e i fedeli" e l'auspicio che "tutti i Vescovi in Cina siano sempre più impegnati nel favorire la crescita dell'unità della fede e della vita di tutti i cattolici, evitando quindi di porre gesti (quali, ad esempio, celebrazioni sacramentali, ordinazioni episcopali, partecipazione a riunioni) che contraddicono la comunione con il Papa, che li ha nominati Pastori, e creano difficoltà, a volte angoscianti, in seno alle rispettive comunità ecclesiali".

Nell'incontro al termine della riunione, Benedetto XVI "ha ribadito il ruolo importante di quanti si occupano della formazione e ha ricordato che esso è uno dei compiti prioritari dei Vescovi".

Allo stesso modo, "ha sottolineato la necessità di assicurare, a quanti si preparano al sacerdozio e alla vita consacrata, una solida formazione spirituale, incentrata sull'amicizia con Gesù", che "sarà una garanzia di successo nel campo personale e nel lavoro pastorale".

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Un messaggio dal Vaticano sul tuo Twitter
Continua lo sbarco della Santa Sede sui nuovi media digitali
di Jesús Colina

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 25 marzo 2010 (ZENIT.org).- Senza comunicati ufficiali, il canale vaticano su Twitter contava già varie migliaia di "seguaci" a tre giorni dalla sua pubblicazione.

In generale, le iniziative della Santa Sede sui nuovi mezzi di comunicazione digitale suscitano grande interesse tra i corrispondenti a Roma, come è avvenuto poco più di un anno fa con il canale vaticano su Youtube.

Lo sbarco su questa rete sociale di "microblogging" è invece passato più inosservato, perché è avvenuto in concomitanza con la presentazione della Lettera pastorale di Benedetto XVI ai cattolici dell'Irlanda sugli abusi sessuali, il 20 marzo, che ha ovviamente catturato l'attenzione.

"Benedetto XVI destinerà la colletta della Messa della Cena del Signore alla ricostruzione del Seminario di Haiti", diceva l'ultimo degli 11 "tweets" pubblicati, in buona parte dedicati alla Lettera del Santo Padre agli irlandesi. L'ultimo dei 12 "tweets" pubblicati in inglese è dedicato alla riforma migratoria chiesta dai Vescovi degli Stati Uniti ("US Bishops Call for Immigration Reform").

La grande differenza con gli altri canali di Twitter è che i canali linguistici del Vaticano non seguono nessuno, hanno solo "seguaci", e in questo modo si evita pubblicità istituzionale da parte della Santa Sede a qualsiasi altro canale della rete sociale.

Si tratta di un nuovo strumento istantaneo di comunicazione che ha come pagina web di riferimento la "Radio Vaticana" (l'indirizzo che si propone da Twitter è il nuovo indirizzo http://rv.va), ma che pubblica anche informazioni dalla pagina web del Vaticano (www.vatican.va).

Visto che quest'ultimo sito è un pozzo senza fondo di documentazione, in cui l'internauta appena arrivato può perdersi facilmente nel cercare informazioni di attualità, in occasione della presentazione della Lettera del Papa alla Chiesa in Irlanda è stato lanciato anche un nuovo interfaccia della Santa Sede per navigare in Internet: www.resources.va.

Il sito non presenta solo questo messaggio del Santo Padre, ma offre tutta la documentazione in testo e video sulle dichiarazioni di Benedetto XVI e della Santa Sede sulla pederastia. In futuro, questo interfaccia presenterà documenti e informazioni sui grandi avvenimenti della vita del Papa e della Santa Sede.

Queste iniziative hanno luogo grazie alla sinergia tra i collaboratori di Benedetto XVI nel campo della comunicazione, nella Segreteria di Stato, al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali o nei vari mezzi di comunicazione "classici" del Vaticano.

Il coordinatore principale del lancio di Twitter e del nuovo interfaccia del Vaticano è padre Federico Lombardi, S.I., in qualità di direttore della Sala Stampa della Santa Sede, della "Radio Vaticana" e del Centro Televisivo Vaticano e di membro del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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Notizie dal mondo


Il seminario di Haiti riprenderà le attività alla fine della Settimana Santa
ROMA, giovedì, 25 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il seminario maggiore di Port-au-Prince, capitale di Haiti, distrutto dal terremoto del 12 gennaio scorso, riprenderà l'attività al termine della Settimana Santa, ha dichiarato questo martedì nel quartier generale dell'associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) a Königstein (Germania) l'Arcivescovo di Cap-Haitien e presidente della Conferenza Episcopale Haitiana, monsignor Louis N. Kébreau.

I seminaristi, provenienti da varie Diocesi haitiane, e i docenti alloggeranno provvisoriamente in alcune tende da campeggio.

"Questo nuovo inizio rappresenta un segno di speranza per questo Paese distrutto e traumatizzato", ha spiegato monsignor Kébreau ai collaboratori di ACS, segnalando che molta gente ricorre ai sacerdoti per ricevere consolazione e aiuto e che gli haitiani sono ancora in stato di shock per la perdita dei propri cari. Centinaia di migliaia di persone, inoltre, hanno perso tutto.

Monsignor Kébreau ha aggiunto che anche la Chiesa ha perso molti collaboratori - religiose, Vescovi e sacerdoti - e che tra i morti ci sono anche 30 dei 260 seminaristi di Haiti. "I sopravvissuti hanno perso tutto", ha indicato.

Anche se a poco a poco si sta tornando alla normalità, le conseguenze del sisma si faranno sentire ancora a lungo. "Abbiamo appena iniziato", ha sottolineato monsignor Kébreau.

Dopo il terremoto, ACS ha messo immediatamente a disposizione della Chiesa cattolica di Haiti 70.000 dollari, aggiungendone poi altri 100.000 per l'acquisto di medicinali, vestiti e viveri per i 230 futuri sacerdoti del seminario maggiore.

Javier Legorreta, uno dei responsabili di Sezione di ACS, ha dichiarato: "Sosteniamo i seminaristi perché le Diocesi non hanno risorse per aiutarli. Molti di loro, inoltre, non appartengono ad alcuna Coongregazione, per cui non possono nemmeno contare su un sostegno da questo punto di vista".

Gli aiuti economici sono stati distribuiti tra le Diocesi attraverso la rappresentanza del Vaticano.

Aiuto alla Chiesa che Soffre sostiene la Chiesa haitiana dal 1962. Negli ultimi tre anni, gli aiuti destinati a finanziare progetti pastorali e caritativi ad Haiti hanno superato i due milioni di dollari.

Al seminario di Haiti, per decisione di Papa Benedetto XVI, andranno anche i fondi che verranno raccolti il Giovedì Santo durante la Messa della Cena del Signore (cfr. ZENIT, 22 marzo 2010).

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Dottrina Sociale e Bene Comune


Garantire l'accesso al lavoro dignitoso
di mons. Angelo Casile*

ROMA, giovedì, 25 marzo 2010 (ZENIT.org).- La prima preoccupazione della Caritas in veritate sul tema del lavoro riguarda la priorità dell’«obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti». Lo impone: «la dignità della persona», ogni uomo deve lavorare per essere sé stesso; «le esigenze della giustizia», per non «aumentare in modo eccessivo e moralmente inaccettabile le differenze di ricchezza»; la «ragione economica», ogni uomo può contribuire allo sviluppo del proprio Paese, mentre una «strutturale situazione di insicurezza genera atteggiamenti antiproduttivi e di spreco di risorse umane, in quanto il lavoratore tende ad adattarsi passivamente ai meccanismi automatici, anziché liberare creatività… I costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani» (CV 32), soprattutto per l’economia del breve, talvolta brevissimo termine.

Il lavoro dev’essere dignitoso, cioè «un lavoro che, in ogni società, sia l’espressione della dignità essenziale di ogni uomo e di ogni donna… permetta ai lavoratori di essere rispettati al di fuori di ogni discriminazione… consenta di soddisfare le necessità delle famiglie e di scolarizzare i figli… lasci uno spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici a livello personale, familiare e spirituale… assicuri ai lavoratori giunti alla pensione una condizione dignitosa» (CV 63).

Mi piace qui ricordare l’impegno sostenuto assieme a don Mario, negli anni 1999-2000, per organizzare quel Giubileo dei Lavoratori, nel quale Giovanni Paolo II lanciò un appello per «una coalizione mondiale in favore del lavoro decente»,[1] e che il Papa Benedetto XVI ricorda nella sua enciclica e che ha visto le nostre Associazioni tutte riunite a celebrare l’Eucaristia, ad ascoltare le parole del Papa e a gioire nella festa.

Sostenere la crescita demografica

Il Papa sottolinea un dato preciso: «Considerare l’aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo è scorretto, anche dal punto di vista economico», invece la procreazione responsabile, «l’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica». La diminuzione delle nascite, come sperimentiamo in Italia, «al di sotto del cosiddetto “indice di sostituzione”, mette in crisi anche i sistemi di assistenza sociale, ne aumenta i costi, contrae l’accantonamento di risparmio e di conseguenza le risorse finanziarie necessarie agli investimenti, riduce la disponibilità di lavoratori qualificati, restringe il bacino dei “cervelli” a cui attingere per le necessità della Nazione». In Italia, prima mancavano i figli, ora non ci sono le mamme![2]

Tra l’altro «le famiglie di piccola, e talvolta piccolissima, dimensione corrono il rischio di impoverire le relazioni sociali, e di non garantire forme efficaci di solidarietà». È una situazione di «scarsa fiducia nel futuro come pure di stanchezza morale. Diventa così una necessità sociale, e perfino economica, proporre ancora alle nuove generazioni la bellezza della famiglia e del matrimonio». Ogni Stato dovrebbe «varare politiche che promuovano la centralità e l’integrità della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, prima e vitale cellula della società,[3] facendosi carico anche dei suoi problemi economici e fiscali, nel rispetto della sua natura relazionale» (CV 44).

Lavorare per custodire il creato

Il nostro lavoro deve svolgersi nel rispetto dell’ambiente che il Signore ci ha donato: «C’è spazio per tutti su questa nostra terra: su di essa l’intera famiglia umana deve trovare le risorse necessarie per vivere dignitosamente, con l’aiuto della natura stessa, dono di Dio ai suoi figli, e con l’impegno del proprio lavoro e della propria inventiva». Abbiamo il dovere gravissimo «di consegnare la terra alle nuove generazioni» affinché «possano degnamente abitarla e ulteriormente coltivarla». Ciò è possibile solo rafforzando «quell’alleanza tra essere umano e ambiente che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino»[4] (CV 50).

Custodire il creato significa difendere «la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione appartenenti a tutti» e «proteggere soprattutto l’uomo contro la distruzione di se stesso… Il degrado della natura è infatti strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana: quando l’“ecologia umana” è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio». Infatti, «il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell’ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale» (CV 51). Se si avvilisce la persona, si sconvolge l’ambiente e si danneggia la società, è necessario quindi educarci ad una responsabilità ecologica che «affermi con rinnovata convinzione l’inviolabilità della vita umana in ogni sua fase e in ogni sua condizione, la dignità della persona e l’insostituibile missione della famiglia, nella quale si educa all’amore per il prossimo e al rispetto della natura».[5]

Educare al lavoro e alla festa

La custodia della creazione, «compito affidato dal Creatore all’umanità (cfr Gen 2,15), implica anche la custodia di quei sentimenti di bontà, generosità, correttezza e onestà che Dio ha posto nel cuore di ogni essere umano, creato a sua “immagine e somiglianza” (cfr Gen 1,26)». Occorre pertanto impegnarsi nell’educazione, che per il cristiano significa «guardare a Cristo, l’uomo perfetto, a prendere sempre come esempio il suo agire, per poter crescere in umanità, e così realizzare una Città dal volto sempre più umano, nella quale ognuno è considerato persona, essere spirituale in relazione con gli altri».[6]

Educare al lavoro non significa quindi solo istruire o formare, ma promuovere lo sviluppo e la formazione completa della persona guidati da una visione integrale dell’uomo, poiché «per educare bisogna sapere chi è la persona umana, conoscerne la natura» (CV 61). È importante educare al lavoro secondo la prospettiva cristiana del rapporto con la festa: «non è soltanto il lavoro a trovare compimento nella festa come occasione di riposo, ma è soprattutto la festa, evento della gratuità e del dono, a “risuscitare” il lavoro a servizio dell’edificazione della comunità, aiutando a sviluppare una giusta visione creaturale ed escatologica».[7]

Educhiamoci nell’essere quegli “uomini retti” di cui parla l’enciclica: «Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello del bene comune» (CV 71) e impegniamoci ad educare, formare e accompagnare quegli “uomini retti” di cui ha urgente bisogno il bene di “noi-tutti”, «individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale» (CV 7), ovvero le nostre città, la nostra società. In questo compito educativo sono sempre più necessari proposte di nuovi stili di vita caratterizzati dalla sobrietà, dalla solidarietà, dalla fraternità, dalla gratuità, dal dono, ricordandoci che solo uomini nuovi sono capaci di nuovi stili di vita. È dalla rettitudine del cuore che scaturiscono autentiche opere rette.

Maria santissima - come auspicava Benedetto XVI a Cagliari - ci «renda capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia, della politica, che necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile».[8]

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*Mons. Angelo Casile è Direttore dell'Ufficio Nazionale per la Pastorale Sociale e del Lavoro della Conferenza Episcopale Italiana.

1) CV 63: cfr Discorso al termine della Concelebrazione Eucaristica in occasione del Giubileo dei Lavoratori, 1º maggio 2000.

2) Nel 2009 il numero medio di figli per donna è stimato a 1,41, di poco inferiore all’1,42 del 2008. La fecondità è dunque in una fase di assestamento. Si mantiene superiore a quella dell’epoca di minimo, tipica della metà degli anni ’90, ma ancora non si muove con decisione in direzione di quello che è considerato l’obiettivo ottimale per una popolazione, ossia il livello di sostituzione delle coppie, pari a circa 2,1 figli per donna (Istat, Indicatori demografici 2009, 18 febbraio 2010.

3) Cfr Conc. Ecum.Vat. II, Decr. Apostolicam actuositatem, 11.

4) Benedetto XVI, Messaggio per la XLI Giornata Mondiale della Pace 2008, 7.

5) Benedetto XVI, Messaggio per la XLIII Giornata Mondiale della Pace 2010, 12.

6) Benedetto XVI, Udienza ai dirigenti e al personale dell’Azienda romana ACEA, 6 febbraio 2010.

7) CEI, Nota past. Rigenerati per una speranza viva, 12.

8) Omelia della concelebrazione eucaristica al santuario di Nostra Signora di Bonaria, Cagliari, 7 settembre 2008.

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Italia


Card. Scola: l'Università non si può limitare a trasmettere competenze
Il Patriarca di Venezia alla festa dell'Ateneo Pontificio "Regina Apostolorum"

ROMA, giovedì, 25 marzo 2010 (ZENIT.org).- L'Università deve tornare ad essere un luogo di ricerca e verifica della verità, dove si apprende “uno sguardo unitario sul reale” e non delle semplici competenze. E' quanto ha detto il Cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia, nella Lectio magistralis sul tema “Paideia e Università” svolta questo mercoledì all'Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma.

Nel giorno dedicato, come ogni anno, alla festa di questo Ateneo che riunisce insieme studenti, professori, amici e collaboratori, uniti nell’impegno al servizio della Chiesa, il porporato ha parlato della sfida educativa posta dal pensiero post-moderno e del contributo che possono dare le istituzioni educative.

Nella sua riflessione, il Cardinale ha cominciato con lo spiegare il concetto di paideia, intesa come “vera e propria impresa educativa”, facendo ricorso al pensiero di Jacques Maritain, che nel volume Per una filosofia dell’educazione, affermava: “La cosa più importante nell’educazione non è un “affare” di educazione, e ancora meno di insegnamento”.

Infatti, aggiungeva il filosofo francese: “L’esperienza, che è un frutto incomunicabile della sofferenza e della memoria, e attraverso la quale si compie la formazione dell’uomo, non può essere insegnata in nessuna scuola e in nessun corso”.

La nozione di paideia suggerita da Maritain, ha continuato, è la sola in grado di fornire “il terreno di base per garantire quella 'cura delle generazioni' che è il proprium di ogni impresa educativa. Ed è la nozione di esperienza a consentire questa possibilità”.

Il Patriarca di Venezia ha quindi richiamato un passaggio del volume curato dal Comitato per il progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana, dal titolo “La sfida educativa”, in cui si afferma che “ciò che dà vita e vigore a quanto vale (valore) è, dunque, ciò cui esso mira, cioè l’esperienza che se ne può fare”.

Quindi, ha aggiunto, “insegnamento ed educazione hanno bisogno di coinvolgimento reciproco di vita, di esperienza in senso pieno”.

Tuttavia, ha lamentato poi il porporato, “a partire dall’epoca moderna, in ambito euroatlantico l’università pratica di fatto l’esclusione dei saperi connessi con tutte le questioni ultime, soprattutto se lette nella prospettiva della rivelazione cristiana, perché ritenute estranee ad una rigorosa conoscenza scientifica”.

Questa “pesante emarginazione” ha portato per esempio a negare alla teologia e alla filosofia la possibilità di rispondere adeguatamente alle questioni e alle domande circa le cose ultime.

“Oggi – ha osservato – sarebbe deputata a farlo, al loro posto, la tecnoscienza, la quale viene da più parti considerata l’unica depositaria della verità, sempre falsificabile (Popper), circa l’uomo e i fattori fondamentali della sua esistenza: l’amore, la nascita, la morte, portando così a “radicali cambiamenti” che hanno una stretta connessione con la questione educativa”..

“Nell’epoca moderna, declinato il ruolo della teologia, ridotta al rango di una disciplina fra le altre e in molte parti espulsa dall’università”, ha spiegato il Cardinale Scola “la scientificità che accomuna le discipline universitarie non attiene più direttamente all’oggetto della conoscenza, cioè alla verità, ma solo alla metodologia di formulazione del discorso scientifico stesso”.

“Inevitabile conseguenza di questo approccio – ha proseguito – è che l’università cessa di essere luogo di ricerca e verifica di un’ipotesi veritativa ultima, e perciò di reale paideia, per ridursi a luogo di trasmissione di competenze che, pur non rinunciando a dire 'qualcosa' di sempre provvisorio circa la verità (pensiamo al bios, o alla “formazione dell’universo”, o alle neuroscienze) possiede solo un’utilità strumentale”.

Di fronte a un sistema universitario caratterizzato quindi da una complessa articolazione di specifici programmi curriculari e di discipline differenziate, “una adeguata educazione universitaria non potrà rinunciare da subito alla cura dell’unità del soggetto del sapere”.

Eppure, si è domandato, come è possibile fondare oggi l’unità del soggetto? E come si può evitare di ridurre la teologia “a una specializzazione tra le altre, utile magari per svolgere qualche determinato compito – il sacerdote, il teologo, l’insegnante di religione – ma in fondo socialmente e culturalmente irrilevante”?

Innanzitutto, ha spiegato il Cardinale Scola, è “fondamentale che la teologia si misuri, in un confronto franco e aperto non solo con le altre discipline, ma con tutte le questioni - prima sommariamente richiamate - che, in maniera talvolta drammatica, caratterizzano la vita della nostra società”.

“Se pensiamo alle impressionanti ricerche e scoperte in atto, per esempio, nell’ambito della neuroscienza e della biologia, e alle relative questioni etiche ed antropologiche che tali scoperte sollevano, vediamo che la teologia non può esimersi dal farsi carico di un paragone serrato con questi saperi, pur nel rispetto degli statuti che sono propri di ciascuno di essi e senza avventurarsi nella ricerca di perigliosi quanto equivoci concordismi o eclettismi”, ha detto.

“Dall’altra – ha poi precisato – la teologia dovrà saper documentare la ragionevolezza dell’evento di Gesù Cristo quale ipotesi interpretativa del reale. Tale 'ipotesi' non soffoca il libero esercizio della ragione, anzi ne esalta le facoltà critiche urgendole ad un confronto a 360° con la realtà”.

“La proposta cristiana, infatti, presa nella sua oggettiva integralità, non è un salto nel buio”, ha detto.

“E nel conoscere, integralmente inteso, l’uomo si ri-conosce”, ha quindi concluso.

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Interviste


La tradizione liturgica della Chiesa di Roma (II)
Intervista a don Manlio Sodi, Presidente della Pontificia Accademia di Teologia

di Antonio Gaspari

ROMA, giovedì, 25 marzo 2010 (ZENIT.org).- In seguito alla pubblicazione del Motu proprio Summorum Pontificum, del Pontefice Benedetto XVI, si è sviluppato un ampio dibattito tra i sacerdoti, tra i fedeli e anche sui mezzi di comunicazione di massa.

In questa seconda parte dell’intervista concessa a ZENIT, don Manlio Sodi, Presidente della Pontificia Accademia di Teologia e Direttore della Rivista Liturgica, prova a rispondere ad alcuni significativi quesiti.

La prima parte è stata pubblicata mercoledì.

Nella Messa di Paolo VI si è aggiunta anche la preghiera dei fedeli e l'omelia obbligatoria nelle domeniche; per questo motivo molti tra sacerdoti e fedeli si chiedono se la Liturgia della Parola non tenda ad assumere in questo modo un ruolo preponderante nella Messa rispetto alla Liturgia eucaristica. Qual è il suo pensiero in proposito?

Sodi: Tra i vari elementi che i Padri del Vaticano II hanno chiesto di reintrodurre nella celebrazione dell’Eucaristia (recuperandoli dalla tradizione!) si trovano anche quelli indicati. Sia l’omelia che la preghiera dei fedeli sono “parte della liturgia della Parola”. Parte essenziale dunque, e la comprensione di questo dato di fatto contribuisce ad una ermeneutica della continuità invitando a conoscere segmenti di storia in cui queste due realtà erano cadute in disuso.

Per l’omelia è sufficiente rileggere soprattutto il n. 24 dell’Introduzione al Lezionario (altro testo ben poco conosciuto, ma strumento essenziale quando si vuol fare ermeneutica della continuità!) per rendersi conto del suo obiettivo e dei suoi ambiti. Essa costituisce il momento per interiorizzare il messaggio accolto dai quattro brani biblici (non si dimentichi il Salmo responsoriale!) e di aiutare a cogliere che quanto annunciato e approfondito si attua in pienezza nella seconda parte della Messa, nel compimento del sacrificio eucaristico con la partecipazione ai santi Segni.

La preghiera dei fedeli, quando è ben articolata soprattutto in rapporto ai temi della Liturgia della Parola (e non una semplice lettura da un sussidio…), costituisce il momento in cui l’assemblea esercita il proprio sacerdozio comune-battesimale e si rivolge al Padre per presentare le richieste più importanti.

La notevole ampiezza della Liturgia della Parola non significa preponderanza rispetto alla seconda parte della celebrazione; indica solamente che la Parola è all’origine di ogni eucharistein e di ogni euloghein da parte della Chiesa. Inoltre abbiamo un’ulteriore certezza che proviene sempre da un dettato conciliare: «Le due parti che costituiscono in certo modo la Messa, cioè la Liturgia della Parola e la Liturgia eucaristica, sono congiunte tra loro così strettamente da formare un solo atto di culto…» (SC 56). Alla luce dell’unum actum cultus si comprende la preponderanza della Liturgia della Parola per viverne il compimento del memoriale nella seconda parte della celebrazione e, di riflesso, nella vita.

Cosa ne pensa del Messale di San Pio V? Secondo Lei il Messale di Paolo VI è migliore? Se sì, perché?

Sodi: Nel mio lavoro professionale ho curato ben due edizioni del Messale di Pio V: una relativa all’editio princeps del 1570 e, la più recente, quella del 1962. Si tratta di edizioni per lo studio, per conoscere un testo che non è quello di Gregorio Magno, come imprudentemente talvolta si legge… ma che ha ben altra storia!

Approfondimenti e studi compiuti in tempi recenti, insieme a scoperte di testi sconosciuti da oltre un millennio… hanno permesso di cogliere il valore della tradizione liturgica e di osservarlo alla luce di un periodo di quasi due millenni. E le novità non sono poche… tutte comunque preziose per una corretta ermeneutica! In questa linea, per esempio, il fascicolo di Rivista Liturgica che abbiamo dedicato al tema: Celebrare con il Messale di San Pio V (95/1 [2008]) è stato il primo studio organico su quel Messale mai fatto in quattro (non quindici!) secoli della sua storia.

Non si può dire che un Messale sia migliore dell’altro… La linea della vita della Chiesa porta non a contrapposizioni ma a sviluppi e ad evoluzioni tali da impegnare nell’elaborazione di sempre nuovi strumenti (adattamento e inculturazione!) per esprimere un culto “in Spirito e verità”. È la veritas del culto – non l’intimismo e il devozionismo – che richiede di tanto in tanto l’adeguamento delle forme liturgiche, come la storia insegna (al di là di “ricorsi” che la stessa storia ben conosce e che fanno parte della vita!).

Non contrapposizione dunque, ma sviluppo. Su questa linea potremmo anche dire che il Messale di Pio V è molto più povero dei Sacramentari del primo millennio… ma una valutazione di questo genere richiede di conoscere le fonti, e i motivi che hanno portato nel sec. XIII a ridurre le ricchezze del Missale per favorire una sua diffusione nelle celebrazioni dei piccoli paesi e successivamente delle missioni.

Porre la questione in termini contrapposti (Pio V – Paolo VI) è compiere un gesto antistorico e antiecclesiale. Per questo anche un Simposio può costituire un’occasione preziosa per ridimensionare polemiche che, pur avendo una vita effimera, contribuiscono tuttavia a non costruire quella comunione ecclesiale che lo stesso Benedetto XVI auspicava nel firmare il Motu proprio Summorum Pontificum.

Come valuta il Motu proprio Summorum Pontificum? Cosa si potrebbe fare per estendere la sua applicazione in seno alla Chiesa?

Sodi: Sul Motu proprio ho già avuto modo di esprimermi anche su ZENIT in occasione della sua pubblicazione (cfr. ZENIT, “Summorum Pontificum”: tra “desideri espressi e timori fondati”). Insieme a tanti altri attendo che allo scadere dei tre anni (2010?) si faccia una coraggiosa valutazione di ciò che è avvenuto, ma a partire dal senso del Motu proprio stesso, non dalle interpretazioni (e dai conseguenti abusi) che ne sono state date. E questo nell’ottica di una ecclesiologia “liturgica” che proprio nell’Eucaristia ritrova la sua sorgente: Ecclesia de liturgia vel de Eucharistia!

Se si prendono in considerazione le motivazioni che sono state all’origine del Motu proprio non ha senso estendere la sua applicazione in seno alla Chiesa. Le condizioni poste erano eloquenti nell’individuarne i limiti di applicazione, anche se sembrano avere avuto interpretazioni meno eloquenti…

La maggior parte delle Chiese non ha bisogno di ricorrere al Missale di Pio V perché ha compreso che celebrare la liturgia significa ascoltare la Parola di vita, cantarla, accoglierla nel proprio cuore con un’attenta omelia, pregarla nella preghiera dei fedeli… e tutto questo per offrire alla Trinità Ss.ma insieme al celebrante – che presiede in persona Christi – il proprio sacrificio spirituale nel compimento del sacrificio di Cristo. Solo attraverso una comprensione dei contenuti e della pedagogia della storia di salvezza, colta con linguaggio adeguato e comprensibile nella prima parte della celebrazione, si è immersi nella conoscenza e nell’esperienza intima del «sacramento dei sacramenti», come afferma l’Introduzione al Messale (n. 368).

Lo stile celebrativo incarnato da Benedetto XVI sembra essere la traduzione rituale dell'ermeneutica della continuità applicata alla celebrazione liturgica. Lei che cosa ne pensa, condivide questa valutazione?

Sodi: Ognuno ha un proprio stile anche nel presiedere la celebrazione. Osservare il modo di celebrare di Pio XII, di Giovanni XXIII, di Paolo VI, di Giovanni Paolo I, di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI è una lezione quanto mai utile per cogliere l’impronta che ogni Capo Rito dà alla celebrazione.

Ma il problema non è lo stile della persona quanto piuttosto l’insieme della celebrazione, con tutti i suoi elementi che vanno dalla suppellettile agli abiti fino alle cose più importanti costituite dai contenuti della celebrazione.

Non è l’attenzione allo stile che permette di elaborare l’ermeneutica della continuità; questo è legato al tempo, alle persone, alle sensibilità, alla formazione dei cerimonieri, alla cultura, ai luoghi, alle occasioni…

Del resto non è tanto un segno al posto di un altro a stabilire l’ermeneutica, perché i segni possono essere interpretati in modo ambivalente (ad modum recipientis se non vi è una continua formazione). È la celebrazione con tutti i suoi contenuti che contribuisce ad un’ermeneutica che non si coglie però in base ai “moti spirituali” che un segno può suscitare o evocare, ma in forza della comprensione del Mistero cui il segno rinvia e che sollecita la partecipazione.

Legare pertanto un’ermeneutica ad uno stile celebrativo è compiere un’operazione di estrema fragilità che si dissolve con il volgere del tempo e quindi delle persone. E non credo che sia questa la mens di BenedettoXVI. Per tale motivo un Simposio riconduce l’attenzione sui contenuti che effettivamente aiutano ad evidenziare e a conoscere con maggior oggettività “la tradizione liturgica della Chiesa di Roma”.

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L'originalità del Papa: dono e gratuità anche nel mercato e nella politica
L'economista Jean-Yves Naudet analizza l'enciclica "Caritas in veritate"

di Giovanni Patriarca

AIX-EN-PROVENCE, giovedì, 25 marzo 2010 (ZENIT.org).- “L’elemento originale di Benedetto XVI... è che il dono e la gratuità non si devono limitare alla società civile, ma devono svilupparsi anche nell’ambito commerciale e in quello politico”, afferma Jean-Yves Naudet in questa intervista rilasciata a ZENIT sull’enciclica “Caritas in veritate”.

Jean-Yves Naudet è docente di economia all’Università Paul Cézanne (Aix-Marsiglia III), presidente dell’Associazione degli economisti cattolici di Francia e vicepresidente dell’Associazione internazionale per l’insegnamento sociale cristiano.

Anche prima della sua pubblicazione, l’enciclica “Caritas in veritate” di Benedetto XVI aveva suscitato commenti ambigui e interpretazioni fantasiose. Quali sono, a suo avviso, i punti fondamentali sviluppati in fedele sintonia con la tradizione della dottrina sociale della Chiesa?

Jean-Yves Naudet: Effettivamente sono state scritte molte cose false prima della pubblicazione dell’enciclica. Alcune annunciavano un nuovo manifesto simile a quello di Marx!

Tutto ciò è ridicolo e Benedetto XVI si colloca esplicitamente nel solco tracciato da tutti i suoi predecessori in materia di dottrina sociale: da Leone XIII a Giovanni Paolo II.

Nell’enciclica si trovano tutti i grandi principi dottrinali, dalla dignità della persona umana al rispetto della vita, passando per la sussidiarietà e la solidarietà.

Ma come i suoi predecessori, Benedetto XVI si interessa anche di “cose nuove” come la globalizzazione, la crisi finanziaria, l’ambiente, lo sviluppo...

La cosa più innovativa è l’idea che la questione sociale si sia trasformata in una questione “radicalmente antropologica”, ovvero che riguarda l’uomo nella sua totalità. Questo è lo sviluppo integrale.

Da oggi, fanno parte della dottrina sociale della Chiesa, sia le questioni economiche e sociali, sia quelle dell’ambiente, la famiglia, il rispetto della vita etc.; ormai non è più possibile “dividere” l’insegnamento della Chiesa per respingerne una parte: se si vuole essere fedeli alla dottrina sociale della Chiesa bisogna difendere allo stesso tempo la dignità dell’uomo nell’economia e la vita umana. Tutto ciò è diventato unico e inseparabile.

Era già così nei suoi predecessori, ma ora si trova tutto unificato nella dottrina sociale della Chiesa. La difesa della vita e il rifiuto della strumentalizzazione dell’embrione, ne formano anch’essi parte, al pari della promozione dello sviluppo delle popolazioni.

Nel messaggio del Papa, la globalizzazione è presentata senza dubbio con le sue forze e le sue debolezze, ma la questione centrale riguarda la morale e l’etica in relazione all’economia. Come potrebbe essere definita l’idea di mercato secondo Benedetto XVI?

Jean-Yves Naudet: Sì, questa enciclica è anche una grande lezione di etica economica e il Papa ripercorre i grandi temi economici (mercato, imprese produttive, eccetera) per mostrarli ponendo l’etica nel cuore dell’economica.

Per quanto riguarda il mercato, Benedetto XVI ne spiega – come Giovanni Paolo II – l’utilità e la ragione d’essere, che è quella di consentire alle persone di potersi scambiare beni e servizi.

Ma spiega anche che il mercato ha bisogno della giustizia commutativa, tema presente già con Tommaso d’Aquino (prezzo giusto, salario giusto, uguaglianza nell’interscambio), e anche della giustizia distributiva, perché senza di questa non può prodursi la coesione sociale.

È necessario quindi un mercato che abbia forme interne di solidarietà, per creare una fiducia reciproca. Questo è ciò che è mancato nella crisi attuale.

Ma dietro il mercato ci sono le persone e sono quelle che possono avere un comportamento morale o immorale. Per questo il Papa dice “non è lo strumento a dover essere chiamato in causa ma l'uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità personale e sociale (n. 36).

In un’immagine molto cara al Papa, il mercato, lo Stato e la società civile formano un insieme di tipo osmotico in cui la persona libera e responsabile può esprimersi in termini di sviluppo integrale. In che modo una persona può impegnarsi per realizzare il bene comune secondo l’insegnamento sociale della Chiesa?

Jean-Yves Naudet: La questione del rapporto tra mercato, Stato e società civile è fondamentale. Il mercato si basa sul contratto, lo Stato sulle leggi giuste e la società civile sul dono e la gratuità.

La società civile è essenziale per non rinchiudere l’uomo tra il mercato e lo Stato. La società civile sono i corpi intermedi o “la personalità della società”, come diceva Giovanni Paolo II.

Ma al di là dell’elogio della società civile, ciò che è più originale in Benedetto XVI è che egli unisce quei tre ordini nell’unico obiettivo del bene comune.

In altri termini, l’elemento del dono e della gratuità non si devono limitare alla società civile, ma devono svilupparsi anche nell’ambito del mercato e in quello politico. Occorre introdurre anche lì gli spazi della gratuità e del dono, fino al dono di se stessi.

Questo avrà un’influenza sull’intero mondo commerciale e su tutta la politica, per promuovere meglio il bene comune. Introdurre in questi due mondi la gratuità significa introdurre il sale che dà sapore all’insieme.

Una persona può impegnarsi in molti modi nella società civile, commerciale o politica, ma solo il dono e la gratuità danno un vero senso a questo impegno, perché collocano al centro l’amore alla verità, che è il filo conduttore dell’enciclica.

C’è anche una critica radicale all’ideologia tecnocratica e una nuova visione dell’importanza dell’iniziativa imprenditoriale come impegno personale al servizio della comunità. Ci potrebbe sviluppare questo aspetto così particolare e importante?

Jean-Yves Naudet: L’aspetto relativo all’ideologia tecnocratica è essenziale perché il nostro mondo crede che tutto sia lecito nella misura in cui sia efficace, che funzioni. Ma questo è il contrario dell’etica: significa credere che il fine giustifica i mezzi.

In questo senso, gli embrioni vengono utilizzati come semplice materiale strumentale. Questo è puro utilitarismo, mentre solo l’etica consente di prendere decisioni giuste. L’uso della tecnica in se stessa deve essere sottoposto all’etica.

Riguardo l’iniziativa imprenditoriale, Benedetto XVI ne parla in primo luogo dal punto di vista dell’imprenditore, mostrando che senza l’etica l’impresa è condannata, soprattutto quando è ossessionata dal breve termine: tutto, tutto e subito, a qualunque costo. Questa è la causa della crisi attuale.

E rende omaggio agli imprenditori che hanno “analisi lungimiranti”. Ma ciò che è più originale è l’idea che ognuno di noi, ogni lavoratore, è un creatore, e non solo l’imprenditore in senso stretto.

In questo senso, ognuno deve essere trattato, nell’impresa, come se lavorasse per conto proprio, con il senso di responsabilità e di autonomia necessari: questione di dignità, ma anche di efficacia.

Rispettando le persone, queste daranno il meglio di se stesse. Ciascuno deve quindi essere trattato, nell’impresa, come se fosse un vero imprenditore, ovvero, un creatore al servizio degli altri.

In un articolo pubblicato sull'edizione francese de “L’Osservatore Romano”, lei afferma che l’enciclica “apre formidabili piste di riflessione” e un “vero programma di ricerca”. Verso quali prospettive e direzioni sono chiamati a guardare i cattolici e le persone di buona volontà?

Jean-Yves Naudet: Ogni nuova lettura dell’enciclica apre nuove piste. Ciascuno deve trovare le ragioni per modificare la sua vita in un cammino di conversione, anche nel suo comportamento economico.

Ma per i ricercatori, gli universitari, si apre un campo notevole per trovare le applicazioni concrete delle idee del Papa.

In questo senso, la nozione del dono e della gratuità nel mondo del mercato e in quello della politica deve far riflettere, al di là dei comportamenti individuali, alle nuove forme istituzionali.

Allo stesso modo, quando si affronta il tema, oggi molto di moda, della responsabilità sociale dell’impresa, dell’etica negli affari, egli mostra che queste concezioni abusano dell’aggettivo etico e che l’etica, trasformata in strumento di marketing, potrebbe condurre alla sua antitesi.

Egli ricorda che la vera etica si basa sulla “inviolabile dignità della persona umana” e sul “trascendente valore delle norme morali naturali” (n. 45). In questo modo occorre modificare tutte le nostre concezioni di gestione dell’impresa e ricondurre sulla retta via la moda dell’etica negli affari.

Lo stesso vale per il profitto, che “è utile se, in quanto mezzo, è orientato ad un fine che gli fornisca un senso tanto sul come produrlo quanto sul come utilizzarlo” (n. 21). Tornare al senso del profitto, a saper discernere il buon profitto – conforme alla morale – dal profitto immorale, anche questo apre una nuova direzione da esplorare.

Ma ciascuno potrà trovare in questa enciclica le questioni che lo riguardano direttamente e in grado di portarlo a modificare la propria vita.

La dottrina sociale, con Benedetto XVI, si fa – come già aveva sottolineato Giovanni Paolo II – cammino di conversione e cammino di evangelizzazione.




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Nessuna indulgenza, ma preghiamo per i carnefici
La riflessione di mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto

ROMA, giovedì, 25 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’articolo a firma di mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, apparso su Il Corriere della Sera del 23 marzo scorso.




* * *

“Che cosa pensa dei casi di pedofilia tra sacerdoti e religiosi venuti alla luce solo in questi ultimi tempi?”. La domanda del giovane liceale era diretta e richiedeva la risposta leale che mi ero impegnato a dare a quelle diverse centinaia di ragazzi iniziando il mio dialogo con loro. Non esitai a rispondere quello di cui sono convinto: che la pedofilia è un fenomeno mostruoso, di assoluta gravità morale, perché ferisce personalità indifese nella maniera più indegna e brutale. Le si possono applicare senza esitazione le parole di Gesù: “Guai a colui a causa del quale avvengono scandali. È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli” (Luca 17,1-2).

Aggiunsi, però, quanto sia necessario stare attenti a non generalizzare: alcuni casi - in percentuale pochissimi, sebbene anche uno solo basterebbe a suscitare una rivolta morale - non devono far dimenticare l’immensa maggioranza che c’è fra il clero di persone fedeli alla loro vocazione, serie e generose con Dio e con gli altri. Una maggioranza, questa, che ho potuto conoscere in ogni parte del mondo nel mio servizio di teologo e che ora da Vescovo di una Chiesa diocesana riconosco nella fede e nella carità dei preti e dei consacrati, miei collaboratori. Proprio in nome di questa maggioranza silenziosa è giusto che il Papa e i Vescovi insieme con lui siano inflessibili nel condannare questi scandali, nel sostenere in ogni modo le vittime, nel correggere, punire e curare i colpevoli. Il silenzio sarebbe connivenza. L’indulgenza complicità.

Mai, però, bisogna perdere di vista la persona umana da salvare, tanto nella vittima, quanto nel carnefice. La Chiesa crede nella parola del Signore: “La verità vi farà liberi” (Giovanni 8,32), e perciò non solo non ha paura della verità, ma ha fiducia nella sua forza liberante e sanante. D’altra parte, il fatto che su tanti casi di pedofilia che stanno emergendo quelli che più colpiscono i media e l’opinione pubblica siano gli episodi che coinvolgono sacerdoti e consacrati, è un segno eloquente dell’esigenza con cui giustamente si guarda alla Chiesa, del suo dovere di stare in alto, cioè nella grazia e nella fedeltà dell’amore di Dio e del prossimo. Solo a questo prezzo, la sua parola risuonerà libera e liberante e la fiducia che tanti - credenti e non credenti - ripongono negli uomini di Chiesa non sarà tradita.

E il celibato? Alcuni nel chiasso mediatico sviluppatosi intorno allo scandalo pedofilia hanno puntato il dito contro questa legge ecclesiastica, quasi che chiedere ai sacerdoti l’impegno di rimanere celibi per tutta la vita sia una fonte inevitabile di deviazioni. Se così fosse, non si spiegherebbe quella stragrande maggioranza di cui ho parlato: nel suo senso più vero e profondo, il celibato non è una frustrazione imposta, ma una libera risposta d’amore a una vocazione che supera certamente le capacità umane e che tuttavia è possibile vivere con fedeltà se essa viene da Dio ed è continuamente confortata dal Suo aiuto e dalla Sua presenza.

Vissuto fedelmente, nella durata dei giorni e nel sempre nuovo sì della fede al Signore vicino, il celibato è un segno meraviglioso della verità di ciò in cui crede chi crede: che, cioè, Dio non è una proiezione dei nostri desideri, un frutto del nostro bisogno di rassicurazione e di consolazione, ma il Vivente, che ti sovrasta ed insieme ti accompagna, che è infinitamente sopra di te ed insieme è dentro il tuo cuore umile, aperto a Lui. Chi ha esperienza di preghiera sa bene di che cosa sto parlando. Proprio così, il celibato e la verginità consacrata, vissuti con serena convinzione come una risposta alla chiamata e al dono di Dio, sono come una freccia puntata verso il cielo: ci dicono che Dio c’è, che Lui solo basta al nostro cuore inquieto, che Lui è la speranza del mondo e la patria promessa del nostro comune cammino.

Così il Signore ha dato a me e a tanti la grazia di vivere la nostra consacrazione a Lui: e questo, lungi dal farci sentire meno umani, più fragili o vuoti di amore, ci fa sentire una grandissima gioia, lo slancio di donarci e di testimoniare con la vita l’amore che viene dall’alto e che ci fa liberi, la bellezza di Dio che supera ogni bellezza e dà senso alle opere e ai giorni. Dico queste parole con umile fierezza: umilmente, perché tutto in questa esperienza è grazia immeritata; ma con fierezza, perché nessuno va ingannato, soprattutto i giovani, e ad essi la Chiesa può e deve continuare a dire a testa alta non solo che Cristo è la verità e il bene, ma anche che Lui è il pastore bello, e la bellezza del Suo amore crocifisso e risorto è la sola che salverà il mondo. Con buona pace di quanti vorrebbero vedere nella triste e squallida infedeltà di qualche pedofilo, ahimé presente fra le file del clero, la smentita della buona novella, che è il Vangelo dell’amore più grande, speranza per tutti.

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Messaggio di Benedetto XVI per la 84ma Giornata Missionaria Mondiale
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 25 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio di Benedetto XVI per la 84ma Giornata Missionaria Mondiale, che si celebrerà domenica 24 ottobre sul tema "La costruzione della comunione ecclesiale è la chiave della missione".

* * *




Cari fratelli e sorelle,

Il mese di ottobre, con la celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale, offre alle Comunità diocesane e parrocchiali, agli Istituti di Vita Consacrata, ai Movimenti Ecclesiali, all'intero Popolo di Dio, l'occasione per rinnovare l'impegno di annunciare il Vangelo e dare alle attività pastorali un più ampio respiro missionario. Tale annuale appuntamento ci invita a vivere intensamente i percorsi liturgici e catechetici, caritativi e culturali, mediante i quali Gesù Cristo ci convoca alla mensa della sua Parola e dell'Eucaristia, per gustare il dono della sua Presenza, formarci alla sua scuola e vivere sempre più consapevolmente uniti a Lui, Maestro e Signore. Egli stesso ci dice: "Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui" (Gv 14,21). Solo a partire da questo incontro con l'Amore di Dio, che cambia l'esistenza, possiamo vivere in comunione con Lui e tra noi, e offrire ai fratelli una testimonianza credibile, rendendo ragione della speranza che è in noi (cfr 1Pt 3,15). Una fede adulta, capace di affidarsi totalmente a Dio con atteggiamento filiale, nutrita dalla preghiera, dalla meditazione della Parola di Dio e dallo studio delle verità della fede, è condizione per poter promuovere un umanesimo nuovo, fondato sul Vangelo di Gesù.

A ottobre, inoltre, in molti Paesi riprendono le varie attività ecclesiali dopo la pausa estiva, e la Chiesa ci invita ad imparare da Maria, mediante la preghiera del Santo Rosario, a contemplare il progetto d'amore del Padre sull'umanità, per amarla come Lui la ama. Non è forse questo anche il senso della missione?

Il Padre, infatti, ci chiama ad essere figli amati nel suo Figlio, l'Amato, e a riconoscerci tutti fratelli in Lui, Dono di Salvezza per l'umanità divisa dalla discordia e dal peccato, e Rivelatore del vero volto di quel Dio che "ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16).

"Vogliamo vedere Gesù" (Gv 12,21), è la richiesta che, nel Vangelo di Giovanni, alcuni Greci, giunti a Gerusalemme per il pellegrinaggio pasquale, presentano all'apostolo Filippo. Essa risuona anche nel nostro cuore in questo mese di ottobre, che ci ricorda come l'impegno e il compito dell'annuncio evangelico spetti all'intera Chiesa, "missionaria per sua natura" (Ad gentes, 2), e ci invita a farci promotori della novità di vita, fatta di relazioni autentiche, in comunità fondate sul Vangelo. In una società multietnica che sempre più sperimenta forme di solitudine e di indifferenza preoccupanti, i cristiani devono imparare ad offrire segni di speranza e a divenire fratelli universali, coltivando i grandi ideali che trasformano la storia e, senza false illusioni o inutili paure, impegnarsi a rendere il pianeta la casa di tutti i popoli.

Come i pellegrini greci di duemila anni fa, anche gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti non solo di "parlare" di Gesù, ma di "far vedere" Gesù, far risplendere il Volto del Redentore in ogni angolo della terra davanti alle generazioni del nuovo millennio e specialmente davanti ai giovani di ogni continente, destinatari privilegiati e soggetti dell'annuncio evangelico. Essi devono percepire che i cristiani portano la parola di Cristo perché Lui è la Verità, perché hanno trovato in Lui il senso, la verità per la loro vita.

Queste considerazioni rimandano al mandato missionario che hanno ricevuto tutti i battezzati e l'intera Chiesa, ma che non può realizzarsi in maniera credibile senza una profonda conversione personale, comunitaria e pastorale. Infatti, la consapevolezza della chiamata ad annunciare il Vangelo stimola non solo ogni singolo fedele, ma tutte le Comunità diocesane e parrocchiali ad un rinnovamento integrale e ad aprirsi sempre più alla cooperazione missionaria tra le Chiese, per promuovere l'annuncio del Vangelo nel cuore di ogni persona, di ogni popolo, cultura, razza, nazionalità, ad ogni latitudine. Questa consapevolezza si alimenta attraverso l'opera di Sacerdoti Fidei Donum, di Consacrati, di Catechisti, di Laici missionari, in una ricerca costante di promuovere la comunione ecclesiale, in modo che anche il fenomeno dell'"interculturalità" possa integrarsi in un modello di unità, nel quale il Vangelo sia fermento di libertà e di progresso, fonte di fraternità, di umiltà e di pace (cfr Ad gentes, 8). La Chiesa, infatti, "è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (Lumen gentium, 1).

La comunione ecclesiale nasce dall'incontro con il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che, nell'annuncio della Chiesa, raggiunge gli uomini e crea comunione con Lui stesso e quindi con il Padre e lo Spirito Santo (cfr 1Gv 1,3). Il Cristo stabilisce la nuova relazione tra l'uomo e Dio. "Egli ci rivela «che Dio è carità» (1 Gv 4,8) e insieme ci insegna che la legge fondamentale della umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento dell'amore. Coloro, pertanto, che credono alla carità divina, sono da Lui resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani" (Gaudium et spes, 38).

La Chiesa diventa "comunione" a partire dall'Eucaristia, in cui Cristo, presente nel pane e nel vino, con il suo sacrificio di amore edifica la Chiesa come suo corpo, unendoci al Dio uno e trino e fra di noi (cfr 1Cor 10,16ss). Nell'Esortazione apostolica Sacramentum caritatis ho scritto: "Non possiamo tenere per noi l'amore che celebriamo nel Sacramento. Esso chiede per sua natura di essere comunicato a tutti. Ciò di cui il mondo ha bisogno è l'amore di Dio, è incontrare Cristo e credere in Lui" (n. 84). Per tale ragione l'Eucaristia non è solo fonte e culmine della vita della Chiesa, ma anche della sua missione: "Una Chiesa autenticamente eucaristica è una Chiesa missionaria" (Ibid.), capace di portare tutti alla comunione con Dio, annunciando con convinzione: "quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi" (1Gv 1,3).

Carissimi, in questa Giornata Missionaria Mondiale in cui lo sguardo del cuore si dilata sugli immensi spazi della missione, sentiamoci tutti protagonisti dell'impegno della Chiesa di annunciare il Vangelo. La spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità per le nostre Chiese (cfr Lett. enc. Redemptoris missio, 2) e la loro cooperazione è testimonianza singolare di unità, di fraternità e di solidarietà, che rende credibili annunciatori dell'Amore che salva!

Rinnovo, pertanto, a tutti l'invito alla preghiera e, nonostante le difficoltà economiche, all'impegno dell'aiuto fraterno e concreto a sostegno delle giovani Chiese. Tale gesto di amore e di condivisione, che il servizio prezioso delle Pontificie Opere Missionarie, cui va la mia gratitudine, provvederà a distribuire, sosterrà la formazione di sacerdoti, seminaristi e catechisti nelle più lontane terre di missione e incoraggerà le giovani comunità ecclesiali.

A conclusione dell'annuale messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, desidero esprimere, con particolare affetto, la mia riconoscenza ai missionari e alle missionarie, che testimoniano nei luoghi più lontani e difficili, spesso anche con la vita, l'avvento del Regno di Dio. A loro, che rappresentano le avanguardie dell'annuncio del Vangelo, va l'amicizia, la vicinanza e il sostegno di ogni credente. "Dio, (che) ama chi dona con gioia" (2Cor 9,7) li ricolmi di fervore spirituale e di profonda letizia.

Come il "sì" di Maria, ogni generosa risposta della Comunità ecclesiale all'invito divino all'amore dei fratelli susciterà una nuova maternità apostolica ed ecclesiale (cfr Gal 4,4.19.26), che lasciandosi sorprendere dal mistero di Dio amore, il quale "quando venne la pienezza del tempo... mandò il suo Figlio, nato da donna" (Gal 4,4), donerà fiducia e audacia a nuovi apostoli. Tale risposta renderà tutti i credenti capaci di essere "lieti nella speranza" (Rm 12,12) nel realizzare il progetto di Dio, che vuole "la costituzione di tutto il genere umano nell'unico popolo di Dio, la sua riunione nell'unico corpo di Cristo, la sua edificazione nell'unico tempio dello Spirito Santo" (Ad gentes, 7).

Dal Vaticano, 6 Febbraio 2010

BENEDICTUS PP. XVI

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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Chiarimento su un sacerdote statunitense accusato di abusare di bambini sordi
Comunicato del direttore della Sala Stampa della Santa Sede
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 25 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo la dichiarazione rilasciata da padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, al New York Times il 24 marzo sul caso del sacerdote Lawrence Murphy, già morto, accusato di aver abusato sessualmente di bambini con deficit uditivo.


* * *


Il caso di padre Lawrence Murphy, sacerdote dell'Arcidiocesi di Milwaukee, ha coinvolto vittime particolarmente vulnerabili, che hanno sofferto in modo terribile per ciò che ha fatto. Abusando sessualmente di bambini con deficit uditivo, padre Murphy ha violato la legge e, cosa più grave, la sacra fiducia che le vittime avevano riposto in lui.

A metà degli anni Settanta, alcune vittime di padre Murphy hanno riferito di questi abusi alle autorità, che hanno avviato un'indagine; ad ogni modo, secondo alcuni rapporti, l'indagine venne archiviata. La Congregazione per la Dottrina della Fede è stata informata della questione circa 20 anni dopo.

Si è suggerito che esista una relazione tra l'applicazione della Crimen sollicitationis e la mancanza di denuncia alle autorità degli abusi sessuali sui bambini in questo caso. Di fatto, questa relazione non esiste. A differenza di certe dichiarazioni circolate sulla stampa, né la Crimen sollicitationis né il Codice di Diritto Canonico hanno mai proibito di informare le autorità giudiziarie competenti sui casi di abusi sessuali sui bambini.

Alla fine degli anni Novanta, dopo due decenni dalla denuncia di questi abusi ai rappresentanti diocesani e alla polizia, è stata presentata per la prima volta alla Congregazione per la Dottrina della Fede la questione relativa a come affrontare canonicamente il caso Murphy. La Congregazione è stata informata della questione perché questa ha coinvolto sollecitazioni sessuali nel confessionale, il che costituisce una violazione del Sacramento della Penitenza. E' importante sottolineare che la questione canonica presentata alla Congregazione non era collegata alle potenziali misure civili o penali contro padre Murphy.

In questi casi, il Codice di Diritto Canonico non prevede pene automatiche, ma raccomanda che si emetta una sentenza senza escludere neanche la pena ecclesiastica più grave, la dimissione dallo stato clericale (cfr. Canone 1395, n. 2). Visto che padre Murphy era anziano e in condizioni di salute molto delicate, viveva in isolamento e non erano state registrate denunce di abusi da vent'anni, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha suggerito che l'Arcivescovo di Milwaukee considerasse di affrontare la situazione, ad esempio, limitando il ministero pubblico di padre Murphy ed esigendo che questi accettasse la piena responsabilità dei suoi atti. Padre Murphy è morto circa quattro mesi dopo, senza ulteriori incidenti.

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