venerdì 26 marzo 2010

[ZI100326] Il mondo visto da Roma

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Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 26 marzo 2010

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Vaticano: le accuse del New York Times al Papa, "mera speculazione"
Smentite della Santa Sede e dell'Arcidiocesi di Monaco
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- Le nuove accuse del New York Times contro Benedetto XVI sono "mera speculazione", spiega la Santa Sede, confermando che il Papa è estraneo alla reintegrazione pastorale nell'Arcidiocesi di Monaco di un sacerdote condannato per atti di pedofilia.

Il quotidiano newyorkese ha ripreso questo venerdì in un articolo le informazioni pubblicate dal quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung in cui si accusava il Cardinale Joseph Ratzinger di aver assegnato quel sacerdote, conosciuto come "H.", all'assistenza pastorale in una parrocchia di Monaco senza alcun limite.

Si tratta del secondo articolo pubblicato dal New York Times in questi giorni per attaccare direttamente Benedetto XVI. Entrambi gli articoli sono stati categoricamente smentiti dal Vaticano.

Questo venerdì padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, si è riferito a un nuovo comunicato dell'Arcidiocesi bavarese in cui si ribadisce che il Cardinale Ratzinger non ha avuto alcun ruolo nella decisione di reintegrare a livello pastorale quel sacerdote, spettata all'allora vicario generale, Gerhard Gruber, che se ne è assunta la piena responsabilità.

Secondo l'Arcidiocesi, Ratzinger si era limitato ad accogliere nella propria Arcidiocesi il presbitero, proveniente dalla Diocesi di Essen, nel gennaio 1980, perché fosse sottoposto a terapia a Monaco a causa dei suoi disordini sessuali e potesse avere una residenza.

"Ancora speculazioni" è il titolo della breve nota con la quale informa della questione il quotidiano della Santa Sede, "L'Osservatore Romano", nella sua edizione italiana del 27 marzo.

In base alla smentita dell'Arcidiocesi di Monaco, presentata da padre Lombardi ai giornalisti, che in Vaticano hanno chiesto una spiegazione questo venerdì, "l'articolo del New York Times non contiene alcuna nuova informazione oltre a quelle che l'Arcidiocesi ha già comunicato sulle conoscenze dell'allora Arcivescovo sulla situazione del sacerdote H.".

"L'Arcidiocesi conferma quindi la sua posizione, secondo cui l'allora Arcivescovo non ha conosciuto la decisione di reinserire il sacerdote H. nell'attività pastorale parrocchiale".

"Essa rifiuta ogni altra versione come mera speculazione", conferma il comunicato. "L'allora Vicario generale, Mons. Gerhard Gruber, ha assunto la piena responsabilità della sua propria ed errata decisione, di reinserire H. nella pastorale parrocchiale".

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"Campagna di diffamazione e calunnia" contro il Papa

ROMA, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- Espressioni di solidarietà e sostegno giungono da più parti a Benedetto XVI, oggetto di una campagna mediatica mirante a gettare ombre sul suo passato o a screditarne l'impegno nel contrastare gli abusi sessuali compiuti da sacerdoti e religiosi.

Questo venerdì, al termine della loro Assemblea plenaria di primavera, svoltasi a Lourdes, i Vescovi francesi si rivolgono al Papa con una lettera etichettando come fatti “inammissibili” quelli utilizzati in “una campagna volta ad attaccare la vostra persona e la vostra missione al servizio del corpo ecclesiale”.

“Noi tutti – continuano – soffriamo per questi comportamenti indegni e teniamo a dirvi che portiamo con lei la pena che provocano le calunnie che vi colpiscono e vi rinnoviamo l'espressione della nostra comunione e del nostro sostegno”.

Sulla questione è intervenuto anche il Cardinale André Vingt-Trois, Presidente della Conferenza dei Vescovi di Francia, che in chiusura dell'Assemblea plenaria ha parlato di una “campagna di diffamazione e calunnia, orchestrata per offuscare l'immagine del Papa”.

“Sappiamo tutti – ha detto il porporato – con quale vigore egli ha agito, prima come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e poi come Sommo Pontefice, per mettere a disposizione dei vescovi i modi per affrontare con forza e chiarezza le situazioni penali”.

“La Lettera del Papa ai cattolici irlandesi – ha riconosciuto il Cardinale Vingt-Trois - esprime la compassione per le vittime, riconosce coraggiosamente gli errori e le omissioni del passato e chiama a prendere misure severe per evitare che simili aberrazioni si possano ripetere”.

Dal canto suo mons. Vincenzo Pelvi, Arcivescovo ordinario per l’Italia, in una lettera inviata a tutti i fedeli della Chiesa ordinariato militare ha detto: “Addolora questa forma subdola di progressiva e continua irrisione e di aperta aggressività a tutto quello che la Chiesa cattolica propone per tenere lo sguardo rivolto verso l’alto, dimensione autentica di libertà”.

“Meraviglia, poi, che questo Pontefice, così ricco di mitezza evangelica e di onestà intellettuale, susciti sentimenti di astio e forme di anticlericalismo che si pensava fossero superate”, continua.

“Agli ingiusti e menzogneri attacchi – sottolinea poi –, la Chiesa castrense risponde concorde e unanime nella preghiera per il Sommo Pontefice che antepone Cristo e il bene delle anime ad ogni umana considerazione, consapevole che è meglio lasciar perdere le opinioni terrene”.

In una intervista alla Radio Vaticana, mons. Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze, ha parlato invece di “un’evidente manipolazione dei dati”.

“Io qui – ha detto – posso portare quella che è la mia diretta esperienza di Arcivescovo di una diocesi d’Italia che si è trovata a doversi confrontare con questo tipo di problematiche e che ha sempre trovato nella Congregazione per la Dottrina della Fede la massima attenzione e direi la massima severità di fronte al fenomeno”.

“Non s’insabbiano queste cose nella Congregazione per la Dottrina della Fede – ha aggiunto –, né al tempo in cui la responsabilità era dell’allora Cardinale Ratzinger e dell’allora Segretario Bertone, né ora che Joseph Ratzinger è il nostro Santo Padre Benedetto XVI e altri suoi collaboratori sono preposti a questo compito. Questo posso testimoniarlo”.

Il presule ha poi richiamato il caso di don Lelio Cantini, il sacerdote ritenuto colpevole di abusi sessuali e psicologici ai danni minori tra il 1973 e il 1987, quando era parroco della chiesa "Regina della pace", e che nel 2008 venne ridotto da Benedetto XVI allo stato laicale.

Quel caso, ha spiegato mons. Betori, “dimostra come neanche il vincolo della prescrizione abbia fermato la Santa Sede dal prendere posizione e dall’emettere una sentenza su questo caso molto, molto grave. Potendo contare su prove concrete, il caso è stato portato avanti fino ad arrivare ad una sentenza, che è stata una sentenza assai pesante”.

“E’ importante secondo me non cedere alla strategia di chi vuole staccare il popolo dai pastori, perché il tentativo è chiaramente questo”, ha concluso.

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"La Chiesa uscirà più splendente che mai da questa guerra"
La terza predica quaresimale di padre Cantalamessa alla presenza del Papa

ROMA, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- “Se ci sarà umiltà la Chiesa uscirà più splendente che mai da questa guerra!”. E' quanto ha affermato questo venerdì padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, in riferimento alle recenti strumentalizzazioni sui casi di abusi sessuali su minori.

Nel corso della terza predica di Quaresima, tenuta nella cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico, alla presenza di Benedetto XVI, il religioso cappuccino ha detto: “Cristo soffre più di noi per l'umiliazione dei suoi sacerdoti e l'afflizione della sua Chiesa; se la permette, è perché conosce il bene che da essa può scaturire, in vista di una maggiore purezza della sua Chiesa”.

Inoltre, ha poi sottolineato, “l'accanimento dei media - lo vediamo anche in altri casi - a lungo andare ottiene l'effetto contrario a quello da essi desiderato”.

Nella sua ultima predica di Quaresima, ispirata dalle sette Lettere alle comunità cristiane contenute nel Libro dell’Apocalisse, padre Cantalamessa ha parlato delle tentazioni in cui può cadere un sacerdote – come i soldi e le comodità – e che possono metterne a repentaglio la vocazione.

All’interno della Chiesa, ha affermato, c’è “necessità di una purificazione” a “partire dal clero”, come dimostrano i fatti recenti che testimoniano un “tradimento della fiducia della Chiesa e di Cristo, la doppia vita, il venir meno ai doveri del proprio stato, soprattutto per quanto riguarda il celibato e la castità”.

“Sappiamo per dolorosa esperienza quanto danno può venire alla Chiesa e alle anime da questo tipo d’infedeltà – ha proseguito –. E’ la prova forse più dura che la Chiesa sta attraversando in questo momento”.

Citando in particolare la lettera ai cristiani di Laodicea, il cappuccino ha però spiegato come Cristo sia duro soprattutto con i tiepidi verso la fede: sono infatti “proprio la tiepidezza di una parte del clero, la mancanza di zelo e l’inerzia apostolica” a “indebolire la Chiesa più ancora degli scandali occasionali di alcuni sacerdoti”:

“Non si deve generalizzare, per carità: la Chiesa di oggi è ricca di sacerdoti santi che compiono silenziosamente il loro dovere”, ha tenuto a precisato il predicatore della Casa Pontificia.

Tuttavia, è importante che i sacerdoti non dimentichino la loro chiamata a essere “modelli del gregge” e non i “padroni della fede”; poveri come lo fu il Santo Curato d’Ars; capaci di farsi scomodare dalle esigenze dell’apostolato non cedendo alla tentazione di tenere Cristo “in libertà vigilata”.

Preghiera sì, “ma che non comprometta il riposo”; obbedienza a Dio che però “non abusi della disponibilità” del prete; castità che però non imponga la rinuncia “ad avere un’idea di ciò che succede nel mondo”.

“In noi sacerdoti – ha continuato – Cristo non bussa per entrare, ma per uscire. Nel Battesimo abbiamo ricevuto lo Spirito di Cristo, ma può succedere che questo Spirito finisca per essere come imprigionato e murato dal cuore di pietra che gli si forma intorno, non ha la possibilità di espandersi e permeare di sé le facoltà, le azioni, i sentimenti della persona”.

“Quando leggiamo la frase di Cristo: 'Io sto alla porta e busso', dovremmo perciò capire che Egli non bussa dall’esterno, per entrare, ma bussa dall’interno per uscire”, ha detto il religioso cappuccino.

“Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò”, questo esortazione di Cristo nel Vangelo, ha sottolineato padre Cantalamessa, “era rivolta, in primo luogo, a coloro che aveva intorno a sé e oggi ai suoi sacerdoti”.

Per questo, ha concluso, “il frutto più bello di questo Anno sacerdotale sarà un ritorno a Cristo, un rinnovamento della nostra amicizia con lui. Nel suo amore, il sacerdote troverà tutto quello di cui si è privato umanamente e 'cento volte di più', secondo la sua promessa”.

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Festa per le "nozze d'argento" della Giornata Mondiale della Gioventù
Emozionante incontro dei giovani con Benedetto XVI a San Pietro
di Carmen Elena Villa

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il passaggio biblico del giovane ricco (Lc 18, 18-27) è stato il tema centrale della celebrazione svoltasi questo giovedì in Piazza San Pietro per commemorare i 25 anni della Giornata Mondiale della Gioventù.

Papa Benedetto XVI, a differenza di quanto è solito fare in altri eventi, non aveva alcun discorso scritto. Ha voluto piuttosto rispondere alle domande poste da tre giovani, che alludevano al brano del giovane che chiede a Gesù cosa deve fare per ottenere la vita eterna.

Il Pontefice ha dichiarato che è importante "cercare di conoscere Dio, e così sappiamo che la mia vita non è per caso esistente. La mia vita è voluta da Dio dall'eternità".

Una celebrazione di fede

In un tramonto primaverile, l'ambiente di Piazza San Pietro era quello di una festa di fede. Circa 75.000 giovani di varie parrocchie, movimenti ecclesiali e oratori di Roma, di varie città italiane e con alcuni rappresentanti di altri Paesi hanno celebrato questo anniversario.

L'evento è iniziato alle 19.30. I partecipanti hanno atteso l'arrivo del Papa con alcuni canti, tra cui "Resta qui con noi", inno della prima Giornata Mondiale della Gioventù, celebrata a Roma nel 1986.

L'animazione musicale era affidata all'orchestra diretta dal musicista e compositore monsignor Marco Frisina.

Hanno condiviso con i giovani le proprie esperienze delle GMG precedenti alcuni invitati, tra cui la coppia di sposi Enrico, italiano, e María Paz, spagnola, che si sono conosciuti a Roma 25 anni fa proprio alla prima GMG. Oggi hanno cinque figli: Chiara, Anna, Silvia, Carlo ed Elena. Erano tutti presenti in Piazza San Pietro.

María Paz ha ricordato che quell'esperienza "è stata bellissima. Io avevo 20 anni e siamo partiti per Roma con una voglia immensa di sapere che cosa voleva Dio da noi". Questo evento ha anche modificato radicalmente la vita di vari suoi amici: "Tre ragazze si sono alzate per diventare suore di clausura e cinque giovani si sono alzati per diventare preti". Ascoltando l'esperienza di questa donna che oggi ha 46 anni, i giovani hanno applaudito calorosamente.

"Non abbiate paura", ha detto María Paz ai giovani presenti. "Gesù Cristo non vuole complicare la vita, vuole farvi felici; chiedete seriamente".

L'attrice Beatrice Fazi ha quindi offerto la propria testimonianza dell'incontro che ha avuto con Gesù grazie alla GMG di Tor Vergata, a Roma, nel 2000.

"Tornavo a Roma da una vacanza in montagna e ho trovato questa folla. Non sapevo che a Tor Vergata ci fosse questo appuntamento, mi dava quasi fastidio", ha confessato.

"Guardando i giovani ho cominciato a invidiarli e a volere qualcosa che loro avevano. Avevo compiuto 28 anni, ero in giro per Roma. Avevo vissuto nel disordine completo. Convivevo con il mio fidanzato".

Per cercare un senso per la sua vita, Beatrice praticava la meditazione buddista. "Quando mi inginocchiavo di fronte al muro bianco ho visto il volto di Gesù", ha dichiarato.

Durante la GMG è entrata in una chiesa. "Dio mi stava accogliendo, e così, con umiltà, ho obbedito. Da lì è cominciata una bellissima storia d'amore con Dio". Si è poi sposata in chiesa con il suo fidanzato.

Tra una testimonianza e l'altra c'erano delle pause musicali. Tra le canzoni eseguite c'è stata "Se non ami", di Filippo Neviani, più conosciuto come Nek. La canzone si ispira all'Inno della Carità di San Paolo (1 Corinzi 13, 1-13). "L'amore è il motore piu grande e il mondo ancora non lo sa", ha detto l'artista ai giovani presenti dopo il suo intervento musicale.

Un dialogo con il Papa

Alle 20.30 Benedetto XVI è arrivato a bordo della "papamobile". Ha percorso la piazza salutando i giovani mentre l'orchestra intonava la canzone "Maestro, che devo fare per guadagnare la vita eterna?", ispirata al brano del giovane ricco.

"I giovani amano il Papa e lo ringraziano della sua testimonianza di fede e amore in Gesù crocifisso, morto e risorto, anche nell'affrontare le prove e le incomprensioni", ha detto il vicario di Roma, Agostino Vallini, salutando Benedetto XVI.

E' poi arrivato il momento cruciale dell'evento: tre giovani della Diocesi di Roma - Giulia, Luca ed Enrico - hanno rivolto ciascuno una domanda al Papa sul senso della vita, su come trovare la forza per prendere decisioni coraggiose e sulla stessa questione presentata dal giovane ricco a Gesù: che cosa si deve fare per guadagnare la vita eterna?

"E' importante non buttare via la vita che abbiamo", ha detto il Papa rispondendo alla prima domanda. "Dio ha un progetto con me nella totalità della storia. La mia vita è importante e necessaria".

Il Pontefice ha dichiarato che elementi come la famiglia, il rispetto della vita, l'ordine della sessualità e la relazione tra uomo e donna spiegano "la strada dell'amore, come realmente amare e trovare la via retta".

Ha anche ricordato che esiste una chiamata universale alla santità, ma "il Signore poi ha un progetto preciso con ogni uomo nella totalità della storia, che ogni uomo deve trovare nelle sue circostanze".

Quanto alle rinunce che si compiono per trovare la propria vocazione, il Papa ha precisato che queste "hanno un perché come gli atleti che si preparano alle Olimpiadi sapendo che vale la pena di fare quegli sforzi".

L'incontro è terminato poco prima delle 22.00. La gioia e l'ambiente di festa si sono coniugati con il raccoglimento e la riflessione sul senso della vita e sul cammino particolare che Dio vuole per giungere a un unico fine: la vita eterna.

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Il Papa: la famiglia, fondamentale per la vita di una società sana
Riceve i Vescovi dei Paesi scandinavi in visita ad limina apostolorum
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- La famiglia è fondamentale per la vita di una società sana, ha indicato Benedetto XVI questo giovedì ricevendo in Vaticano i Vescovi dei Paesi scandinavi in visita ad limina apostolorum.

"Uno dei messaggi più importanti che le persone delle terre nordiche devono ascoltare da voi è un monito a proposito della centralità della famiglia per la vita di una società sana", ha detto.

"Purtroppo - ha riconosciuto -, gli ultimi anni hanno assistito a un indebolimento dell'impegno per l'istituto del matrimonio e dell'idea cristiana di sessualità umana, che per tanto tempo è stata il fondamento di relazioni personali e sociali nella società europea".

Il Pontefice ha quindi difeso il diritto dei bambini "di essere concepiti e portati in grembo" dalla madre e di essere "messi al mondo e cresciuti nell'ambito del matrimonio".

"E' attraverso il rapporto certo e riconosciuto dei loro genitori che possono scoprire la propria identità e raggiungere il proprio adeguato sviluppo umano", ha affermato citando l'Istruzione Donum Vitae.

In questo senso, il Pontefice ha sottolineato che "in società con una nobile tradizione di difesa dei diritti di tutti i loro membri, ci si aspetterebbe che questo diritto fondamentale dei figli avesse la priorità su qualsiasi altro presunto diritto degli adulti a imporre loro modelli alternativi di vita familiare e, di certo, su qualsiasi presunto diritto all'aborto".

L'accoglienza degli immigrati

Nel suo discorso ai Vescovi dei Paesi scandinavi, Benedetto XVI ha affrontato anche la questione dell'immigrazione, chiedendo loro di "aiutare questi nuovi membri della vostra comunità per approfondire la loro conoscenza e la loro comprensione della fede attraverso programmi appositi di catechesi".

"Poiché avete la responsabilità di promuovere queste vocazioni - ha detto loro riferendosi al sacerdozio e alla vita religiosa -, siate certi di rivolgervi sia alle popolazioni native sia a quelle immigrate".

"Dal centro di qualsiasi comunità cattolica sana, il Signore chiama sempre uomini e donne a servirlo in questo modo".

Nel processo di integrazione nei Paesi di accoglienza, ha ricordato, "dovrebbero essere incoraggiati a non allontanarsi dagli elementi più preziosi della propria cultura, in particolare della loro fede".

"La parte della popolazione cattolica delle terre nordiche costituita da immigrati ha necessità proprie ed è importante che il vostro approccio pastorale alle famiglie includa queste persone e le aiuti a integrarsi nella società", ha detto, segnalando che i Paesi scandinavi "sono stati particolarmente generosi con i rifugiati del Medio Oriente, molti dei quali sono cristiani di Chiese orientali".

Messaggio sociale

In un ambito più generale, il Papa ha esortato i Vescovi a portare a tutti gli abitanti dei loro Paesi il messaggio sociale ed etico della Chiesa.

A questo proposito, ha lodato alcune inziative come il Congresso sulla Famiglia che si celebrerà a maggio a Jönköping, la lettera pastorale The Love of Life [L'amore della vita] e la creazione dell'Istituto Newman a Uppsala.

Ha anche sottolineato l'importanza di sviluppare una cura pastorale delle famiglie e dei giovani, con particolare attenzione nei confronti di coloro che hanno vissuto difficoltà per via della crisi finanziaria, e sensibilità verso le varie coppie in cui solo uno dei coniugi è cattolico.

"Sebbene la popolazione cattolica nei vostri territori costituisca solo una piccola percentuale di quella totale, essa sta crescendo e, nello stesso tempo, un buon numero di altre persone ascolta con rispetto e attenzione quel che la Chiesa ha da dire", ha affermato.

Circa la realtà della Chiesa nei Paesi scandinavi, ha indicato che il "gregge è numericamente piccolo e sparso su un'area molto vasta".

"Molti devono percorrere grandi distanze per trovare una comunità cattolica in cui praticare il culto", ha constatato.

"È molto importante per loro comprendere che ogni volta che si riuniscono intorno all'altare per il sacrificio eucaristico, partecipano a un atto della Chiesa universale, in comunione con tutti i loro fratelli cattolici del resto del mondo".

In questo contesto, Benedetto XVI ha esortato i presuli ad adoperare le loro energie "per promuovere una nuova evangelizzazione fra le persone dei vostri territori", dando "particolare priorità all'incoraggiamento e al sostegno" dei sacerdoti, che "spesso devono operare lontani gli uni dagli altri e in circostanze difficili per portare i sacramenti al popolo di Dio".

Allo stesso modo, ha chiesto di verificare che i candidati al sacerdozio "siano bene preparati per questo sacro compito" e che "i fedeli laici apprezzino quello che i sacerdoti fanno per loro e offrano loro l'incoraggiamento e il sostegno spirituale, morale e materiale di cui hanno bisogno".

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"Chiesa e Papato nella storia e nel diritto" su Internet
Volume dell'Arcivescovo Agostino Marchetto

CITTÀ DEL VATICANO, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- È già su Internet il volume "Chiesa e Papato nella storia e nel diritto. 25 anni di studi critici" (http//www.storiologia.it/marchetto/marchetto1.htm), dell'Arcivescovo Agostino Marchetto, storico e segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.

È la seconda opera che il presule pubblica on-line, dopo "Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia" (http//www.storiologia.it/conciliosecondo/apertura.htm).

"Chiesa e Papato nella storia e nel diritto. 25 anni di studi critici", oltre alla prefazione, è composto da 9 parti: "Ordo fraternitatis": i Laici; Falsificazioni Pseudo-Isidoriane ed altre. Loro influsso; Per la storia del diritto canonico; Per la storia dei Concili; Il primato del Vescovo di Roma; Nel Medio Evo; Nell'età contemporanea, la Chiesa; Nell'età contemporanea, i Papi; Visioni storiche d'insieme.Una prefazione illustra l'attualità della ricerca, a cui seguono gli indici.

Entrambi i volumi sono stati pubblicati dalla Libreria Editrice Vaticana, rispettivamente nel 2002 e nel 2005.

Nel dibattito attuale sul celibato ecclesiastico, monsignor Marchetto consiglia in particolare in una nota inviata a ZENIT la lettura della pagina 137, nella III parte del secondo volume sopracitato.

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Via Crucis al Colosseo: meditazioni del Cardinale Camillo Ruini
Più di tre mandati alla guida dei Vescovi italiani
di Anita S. Bourdin

ROMA, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha affidato al Cardinale Camillo Ruini la preparazione delle meditazioni della Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo.

Come ogni anno, il Papa presiederà la Via Crucis, che verrà trasmessa dalle televisioni di tutto il mondo in diretta da Roma alle 21.15.

Sarà accompagnato dalla luce delle candele di migliaia di pellegrini, ai quali si rivolgerà al termine delle meditazioni.

Il Cardinal Ruini, 79 anni, è stato vicario del Papa per la Diocesi di Roma dal 1991 al 2008.

Giovanni Paolo II lo ha nominato per tre volte presidente della Conferenza Episcopale Italiana (1991, 1996 e 2001). In Italia è infatti il Vescovo di Roma che nomina il presidente della Conferenza Episcopale.

E' stato poi confermato da Benedetto XVI nel 2006 e ha assunto la presidenza fino alla nomina del Cardinale Angelo Bagnasco, nel 2007.

Negli ultimi anni, le meditazioni sono state affidate da Benedetto XVI a due italiani e a tre Arcivescovi dell'Asia: Angelo Comastri, poi Cardinale, Arciprete della Basilica di San Pietro (2006); monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura (2007); l'Arcivescovo di Hong Kong, il Cardinale cinese Joseph Zen Ze-Kiun (2008); un salesiano indiano, monsignor Thomas Menamparampil, Arcivescovo di Guwahati (2009).

La tradizione della Via Crucis al Colosseo risale al XVIII secolo, durante il pontificato di Benedetto XIV, nell'Anno Santo 1750. Papa Paolo VI l'ha ristabilita nel 1964.

Il Venerdì Santo, il Papa non predica. L'omelia dell'ufficio della Passione, nella Basilica di San Pietro, viene affidata al predicatore della Casa Pontificia, attualmente padre Raniero Cantalamessa, cappuccino.

Quanto alle meditazioni della Via Crucis, Giovanni Paolo II le ha composte personalmente per gli anni santi della Redenzione (1984) e dell'Incarnazione (2000).

Quest'anno il Venerdì Santo cade il 2 aprile, data dell'anniversario della morte di Giovanni Paolo II, avvenuta cinque anni fa.

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Notizie dal mondo


Mons. Romero ha testimoniato come Cristo l'amore per un popolo sofferente
Il Cardinale Sepe ricorda a Roma la figura di questo martire

di Nieves San Martín

BOGOTÁ, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- Sono molte le celebrazioni che si stanno svolgendo per i 30 anni dall'assassinio a El Salvador di monsignor Óscar Arnulfo Romero. In un'Eucaristia celebrata a Roma, il Cardinale Crescenzio Sepe ha ricordato che Romero è stato testimone come Cristo dell'amore per un popolo che soffriva.

30 anni fa, domenica 23 marzo, monsignor Romero, in quella che fu la sua ultima omelia, esortava i poteri statali: "In nome di Dio e di questo popolo sofferente... vi chiedo, vi supplico, vi ordino in nome di Dio, cessi la repressione". Il giorno dopo, il 24 marzo 1980, monsignor Romero morì assassinato nella cappella dell'ospedale La Divina Provvidenza, mentre celebrava l'Eucaristia.

Papa Giovanni Paolo II si rivolse immediatamente al presidente della Conferenza Episcopale Salvadoregna: "Venendo a conoscenza con animo trafitto dal dolore e dall'afflizione dell'infausta notizia del sacrilego omicidio di monsignor Óscar A. Romero, il cui servizio sacerdotale alla Chiesa è stato sigillato con l'immolazione della sua vita mentre offriva la vittima eucaristica, non posso che esprimere la mia più profonda riprovazione di pastore universale di fronte a questo crimine esecrabile che, oltre a flagellare crudelmente la dignità della persona, ferisce nel più profondo la coscienza di comunione ecclesiale e di quanti nutrono sentimenti di fraternità umana".

Solo nel 2009 il nuovo Presidente di El Salvador, Mauricio Funes, ha riconosciuto la responsabilità dello Stato salvadoregno nel crimine che ha avuto come vittima monsignor Romero.

La Chiesa cattolica a El Salvador realizza da vari mesi attività commemorative, iniziate con un pellegrinaggio partito dalla cappella dell'ospedale La Divina Provvidenza per arrivare al parco Cuscatlán, dove si trova il monumento alle vittime della repressione a El Salvador.

Migliaia di bambini hanno partecipato a un concorso di disegni sul tema "Monsignor Romero, Speranza delle Vittime".

L'Orchestra Sinfonica Nazionale ha eseguito, in onore di monsignor Romero, l'"Ouverture per un martire", al Teatro Nazionale.

Questo mercoledì, il segretario generale dell'Organizzazione degli Stati Americani, José Miguel Insulza, ha detto che è "una figura universale dei diritti umani". "Oggi El Salvador e il mondo inero lo ricordano come un uomo che ha parlato di ingiustizia senza ambiguità, e anche se la sua morte ha voluto mettere a tacere il suo deciso impegno nei confronti dei più bisognosi e la dignità dei salvadoregni, di fatto l'ha trasformato in un martire", ha aggiunto.

"Non si contano le organizzazioni della società civile e dei movimenti in difesa dei diritti umani che riconoscono in monsignor Romero una figura di spicco in difesa dei più poveri e un 'santo' per il mondo di oggi", ha affermato Leónidas Ortiz, direttore dell'Osservatorio Pastorale del Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM).

"Monsignor Romero è stato, in primo luogo, un Pastore della sua comunità, uomo di fede e di comunione ecclesiale, dedito al servizio dei più poveri, soprattutto alle vittime del conflitto armato che si viveva nella sua patria. In campo sociale ha messo in pratica la Dottrina Sociale della Chiesa, cercando sempre il dialogo nella soluzione dei conflitti, denunciando le ingiustizie e le violazioni sistematiche dei diritti umani ed esortando sempre alla conversione", ha sottolineato.

"In questo Anno Sacerdotale è confortante porre sul tavolo figure come quella di monsignor Óscar Arnulfo Romero, che hanno lasciato un segno per la loro spiritualità, il loro servizio pastorale e l'impegno con i poveri e gli esclusi, in particolare con le vittime, anche fino alla morte", ha concluso Ortiz.

Anche la Comunità di Sant'Egidio ha voluto unirsi alle celebrazioni di questo 30° anniversario. In un comunicato, ricorda che "è presente in El Salvador da molti anni e ha raccolto da tempo la memoria di monsignor Romero".

Ricorda anche che "quest'anno un giovane della Comunità, William Quijano, è stato ucciso da una banda perché impegnato con la Comunità nel salvare i bambini e i giovani dalla violenza nel quartiere periferico di Apopa".

"Romero visse e predicò la fede - sottolinea la Comunità -. Romero è stato un Vescovo in tempi difficili. Pose se stesso e la sua Chiesa, come guida verso la pace, quando non si vedeva lo sbocco politico per il domani. Credeva nella forza della fede: 'Al di sopra delle tragedie, del sangue e della violenza, c'è una parola di fede e di speranza che ci dice: c'è una via d'uscita... Noi cristiani possediamo una forza unica'. Resta un modello di Vescovo fedele. Monsignor Romero fu un vescovo al servizio del Vangelo e della Chiesa".

Questo martedì, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere di Roma, l'anniversario è stato sottolineato con una solenne liturgia eucaristica celebrata dal Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo di Napoli, alla quale hanno partecipato varie migliaia di persone. Nella Basilica è stato esposto il Messale appartenuto al Vescovo assassinato.

Nella sua omelia il Cardinale, ricordando il momento della sua morte, ha affermato: "Romero lì sull'altare, quasi conscio, come lo era, di un sacrificio che si stava ormai consumando, pone la sua vita, tutto quanto aveva realizzato come Vescovo, nel calice di Cristo, per essere come lui testimone di questo amore per un popolo che soffriva".

"Romero è caduto e la sua morte, più passa il tempo, più vediamo che porta frutto, perché è un testimone di Cristo, testimone del suo Vangelo di salvezza, testimone della sua carità, del suo amore per gli uomini".

"Questa sera vogliamo ricordare questo martirio di 30 anni fa, quasi a recarci spiritualmente in pellegrinaggio sulla tomba di questo testimone e trarne forza per la nostra testimonianza che ancora oggi, in tante parti del mondo e non solo del mondo lontano, del mondo anche vicino, richiede coraggio, forza, soprattutto quando, come Romero, si vuole diventare voce di chi non ha voce, si vogliono difendere i deboli, si vuol dare dignità a chi è stata rubata questa dignità umana e cristiana".

"In fondo il sacrificio di Romero è un po' la conclusione di tutta una vita vissuta all'insegna del Vangelo e per amore alla Chiesa. Lui, in tutto, si è messo - diceva, parlando di una certa conversione - si è messo al seguito della Chiesa e dei poveri, perché così sentiva di svolgere la sua missione di pastore", ha sottolineato il Cardinale.

"Il cristiano non si arrende, anche di fronte al male, alle strutture del male, ai mali sociali che alle volte tentano di soffocare la giustizia e la pace. Non ci arrendiamo, anche se assistiamo, anche oggi, a queste violenze (...), alle tante strutture di peccato, a cominciare dalle varie camorre, dalle varie mafie che inquinano. Sembrano quasi come una pietra che voglia soffocare, annullare il bene. Noi non ci arrendiamo perché sappiamo che siamo radicati sulla roccia che è Cristo. Che nessuno ci può togliere, ci può rubare la speranza che diventa appunto il motivo, la forza del nostro reagire alla violenza e al male", ha concluso il Cardinale Sepe.

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Belgio: prima "Marcia per la vita" questa domenica
Un avvenimento internazionale
BRUXELLES, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- Un gruppo di studenti ha organizzato una marcia internazionale "per la vita" a Bruxelles questa domenica, 28 marzo, in occasione dei 20 anni della depenalizzazione dell'aborto in Belgio (aprile 1990).

Secondo un invito internazionale diffuso dagli organizzatori, oratori provenienti da vari Paesi europei prenderanno la parola in questo incontro, che inizierà alle 14.30 nella Piazza Reale della capitale belga.

"In un Paese in cui si effettuano 18.033 aborti all'anno, questa marcia vuole contribuire a spezzare la legge del silenzio sulla sofferenza e le conseguenze psicologiche che subiscono molte donne dopo aver vissuto un aborto, spesso contro la loro volontà e per pressioni economiche, sociali, familiari o mediche", hanno indicato gli organizzatori.

Alla marcia sono invitati soprattutto i giovani, del Belgio e di vari Paesi d'Europa.

Con la loro presenza in questa iniziativa, affermeranno "che le donne che affrontano una gravidanza non desiderata devono essere sostenute e aiutate a tenere i propri figli, anziché ricevere la proposta di abortire".

"Le donne meritano qualcosa di meglio dell'aborto", hanno segnalato, aggiungendo che "l'aborto non può essere considerato una soluzione accettabile in una società giusta".

I giovani organizzatori dell'iniziativa vogliono "attirare l'attenzione dei responsabili politici sulla necessità di prendere misure concrete di accompagnamento che permettano alle donne di tenere il proprio figlio e di allevarlo in buone condizioni".

La Marcia per la vita del 28 marzo sarà silenziosa, in segno di rispetto. Sarà proibita l'esibizione di qualsiasi simbolo di affiliazione politica.

Una marcia simile si è svolta in Piazza della Repubblica a Parigi il 17 gennaio scorso, un'altra avrà luogo il 29 maggio a Bordeaux, preceduta da una veglia di preghiera per la vita con i Vescovi nella Cattedrale.

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Italia


Mobilitazione dei cattolici per le elezioni regionali
In prima linea il Forum delle Famiglie, il Movimento per la Vita e Scienza & Vita

di Antonio Gaspari 

ROMA, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- La scelta di alcuni candidati espressione di una cultura politica in netto contrasto con il magistero Pontificio e con l’esistenza stessa della Chiesa Cattolica, ha suscitato un intenso dibattito tra le associazioni cattoliche e prese di posizioni da parte degli Episcopati regionali.

Appelli alla difesa della vita e della famiglia sono stati diffusi dal Movimento per la Vita e dal Forum delle Associazioni familiari.

Note relative alla difesa dei “valori non negoziabili” sono state pubblicate dalla Conferenza Episcopale dell’Emilia Romagna, dal Vicariato di Roma e dalla Conferenza Episcopale della Liguria.

In un comunicato indirizzato a ZENIT, il Forum ha annunciato che le 498 associazioni di cui è composto a livello nazionale e locale, nelle scorse settimane hanno sottoposto ai candidati di tutte le parti politiche e di tutte le Regioni, un Manifesto per “Una Regione a misura di famiglia” contenente le priorità della famiglia.

In 13 conferenze stampa contemporanee ed in video-collegamento tra loro il Forum ha reso noti i nomi dei candidati che hanno sottoscritto il Manifesto impegnandosi, se eletti, ad attuare i punti programmatici indicati.

Gli elettori avranno così un’opportunità per orientare il proprio voto in chiave pro-famiglia.

Tutte le conferenze stampa si sono svolte giovedì 25 marzo alle ore 11.

La conferenza stampa nazionale (a cui hanno preso parte i responsabili nazionali del Forum e quelli del Forum regionale del Lazio) si è svolta a Roma nella Sala della Fondazione Achille Grandi.

Anche il Movimento per la Vita ha preannunciato che pubblicherà la lista dei candidati governatori che hanno sottoscritto l’appello in favore di vita e famiglia.

Nello stesso tempo con il riconoscimento delle Associazioni locali di Casavatore (Napoli) e di Sant’Alessio in Aspromonte (Reggio Calabria), Scienza & Vita ha raggiunto quota cento associazioni.

“Un traguardo importante – è il commento del copresidente Lucio Romano – raggiunto in quattro anni di assidua e fervida attività, avvalendosi di un ineludibile patrimonio di competenze”.

“L’attenzione alla centralità della persona, alla sua dignità e la difesa della vita dal concepimento sino al suo naturale tramonto – ha proseguito Lucio Romano – sono valori che Scienza & Vita diffonde e trasmette dalla sua costituzione, e si accompagnano all’impegno e all’interesse che sempre riserva agli sviluppi delle ricerche in ambito biomedico”.

“I valori non negoziabili su cui si fonda la nostra antropologia – ha concluso Lucio Romano – sono pienamente condivisi dalle Associazioni locali che contribuiscono a divulgare, attraverso una molteplicità di iniziative, l’impegno culturale orientato al favor vitae”.

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Interviste


AIDS, religioni unite contro la stigmatizzazione
Per la prima volta, 40 leader religiosi di tutto il mondo si impegnano a sconfiggere l'HIV


di Mariaelena Finessi


ROMA, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- Dinanzi ad una vera e propria pandemia che negli ultimi 30 anni ha ucciso oltre 25 milioni di persone, esponenti di varie religioni si sono impegnati pubblicamente ad «esercitare una leadership più forte, più visibile e concreta» nella lotta all'AIDS.

È accaduto a Den Dolder (Paesi Bassi), dove – per la prima volta al mondo – 40 dei più importanti leader cristiani, musulmani, ebrei, induisti e buddhisti si sono riuniti, dal 22 al 23 marzo, per discutere di HIV/AIDS.

Organizzato dall’Alleanza ecumenica "Agire insieme" e dall’organismo cattolico olandese per lo sviluppo "Cordaid", tra i temi affrontati dal vertice, le misure di prevenzione e contrasto della pandemia, le strategie atte a porre termine alla stigmatizzazione e discriminazione e, soprattutto, le modalità più opportune per esprimersi apertamente sulla malattia e sulle problematiche sociali ad essa correlate.

Il summit ha rappresentato inoltre un’opportunità di confronto e dialogo con malati di HIV e con specialisti impegnati nella lotta all’AIDS. Da quando il virus dell'immunodeficienza acquisita è stato identificato per la prima volta, 30 anni fa, le disparità di accesso al trattamento di farmaci antiretrovirali hanno creato forti disuguaglianze.

L'attuale crisi economica sta mettendo in pericolo i progressi compiuti finora tanto che ogni volta che due persone iniziano il trattamento farmacologico, altre cinque si infettano. I motivi includono indubbiamente anche la paura di essere isolati e condannati. Una paura che impedisce alle persone più vulnerabili di accedere ai servizi di prevenzione, controllo e trattamento della malattia. L'impegno dei religiosi è allora quello di «lavorare insieme per porre fine al silenzio».

Sostegno all’iniziativa è stato concesso dal ministero degli Esteri olandese, dall’agenzia delle Nazioni Unite UNAIDS e dal Consiglio ecumenico delle Chiese. In rappresentanza dei cattolici era presente all'incontro monsignor John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja (Nigeria).

Monsignor Onaiyekan, di cosa avete discusso in questi due giorni?

Onaiyekan: Siamo stati invitati a scambiarci le esperienze nella speranza di trovare dei valori comuni sulla base dei quali programmare azioni concertate. Soprattutto, abbiamo riconosciuto che la religione deve essere vista come strumento di compassione e cura per chi soffre, non importa quale sia la causa della sofferenza. Il nostro compito è cioè di aiutare queste persone, specie a sconfiggere lo stigma e la discriminazione. Un compito oggi possibile, visto che la maggior parte delle religioni non parla più dell'AIDS come di una punizione di Dio ma piuttosto come di una sciagura. Ovvero di una malattia che affligge specialmente i poveri e gli innocenti. Ed è il caso dei bambini che nascono già con l'AIDS; dei coniugi che non hanno commesso nulla al di fuori della relazione matrimoniale; e di coloro, infine, che lavorano nelle strutture sanitarie e che corrono grandi rischi nel tentativo di aiutare degli sconosciuti.

Qual è la nuova strategia che vi vede accanto alle organizzazioni internazionali?

Onaiyekan: Queste organizzazioni internazionali per la prima volta cominciano ad interessarsi a ciò che facciamo noi comunità religiose. Prima di adesso si muovevano per conto proprio ignorando completamente tutti i nostri sforzi, mentre oggi stanno dicendo che vogliono lavorare accanto noi. Da ambo le parti cercheremo di capire in che modo possa farsi questa alleanza.

Ci sono già delle idee su come, nella pratica, possa realizzarsi questa collaborazione?

Onaiyekan: Dopo questo summit sarà più semplice scambiarsi le proprie esperienze, tenerci in contatto. Ad ogni modo si tratta di organizzazioni internazionali che lavorano anche a livello nazionale. Ad esempio - ed è il caso dell'UNAIDS - esse hanno uffici anche in Nigeria. Ciò vuol dire che il coordinamento sarà più immediato e ciascuna filiale di queste organizzazioni potrà relazionarsi più facilmente con i rappresentanti religiosi locali, al fine di individuare un supporto mirato, tecnico ed eventualmente economico. Per quanto riguarda gli accordi formali, invece, sarà una cosa da studiare più accuratamente perché compete alla Santa Sede. Quello che è certo, è che il lavoro più importante sarà fatto a livello locale, dai singoli Paesi e dalle singole diocesi.

Qual è l'impegno della Chiesa cattolica sul fronte della lotta all'AIDS? Esistono, ad esempio in Africa, delle "best practice" in tal senso?

Onaiyekan: La Chiesa cattolica si trova in grande vantaggio perché ha organizzazioni definite nelle Conferenze episcopali e nelle diocesi senza contare gli esperimenti intrapresi a livello interreligioso, fra cristiani e musulmani, per affrontare il tema dell'HIV e dell'AIDS. Per esempio, in Nigeria abbiamo un ufficio ecclesiastico che coordina le attività di prevenzione e cura della malattia e che è costantemente in contatto con il governo nazionale per discutere su come si possa lavorare insieme. In particolare, nella nostra diocesi, ad Abuja, abbiamo messo su dei programmi per aiutare le persone a livello sanitario e tutti, comunità religiose e civili, siamo coinvolti nei servizi di "HIV, counseling and testing" per sapere se chi arriva nei vari ambulatori è positivo o negativo, così da poter attuare una migliore distribuzione dei medicinali ed offrire servizi di informazione su come prevenire la trasmissione del virus dalla madre al figlio al momento parto. Ovviamente, tutto dipende dalla disponibilità economica.

Nell'attività di prevenzione, molto spesso si è discusso se sia il caso o meno di autorizzare l'utilizzo del condom. Lei che ne pensa?

Onaiyekan: Personalmente sono d'accordo con la Santa Sede che la risposta effettiva alla sfida che abbiamo dinanzi, e che coinvolge particolarmente i giovani, non sia il condom ma un cambiamento dello stile di vita, una migliore organizzazione sanitaria, la risoluzione del problema della povertà. E poi non dimentichiamo che ci sono quei milioni di persone che sono già malate: distribuire i condom non li aiuta.

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La Chiesa ha fiducia nelle nuove generazioni
Intervista al responsabile per la CEI del Servizio nazionale della Pastorale giovanile

di Antonio Gaspari


ROMA, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- E' opinione comune diffusa dei mezzi di comunicazione di massa che la Chiesa cattolica non attiri più i giovani e che anzi sia destinata ad essere solo luogo per anziani contrari alla modernità.

Invece, come ha raccontato don Nicolò Anselmi, responsabile per la Conferenza episcopale italiana del Servizio nazionale della Pastorale giovanile, nell'intervista rilasciata a ZENIT, ci sono segni evidenti di una nuova primavera per la Chiesa.

Che cos'è il Servizio nazionale per la Pastorale giovanile, che attività svolge e a chi è rivolto?

Don Nicolò: Il Servizio nazionale per la pastorale giovanile è un organismo della Segreteria generale della Conferenza episcopale italiana; è nato nel 1993 e vuole essere un servizio alle 226 diocesi italiane, alle associazioni, ai movimenti, agli istituti di vita consacrata e a tutte le realtà che in Italia si occupano di giovani; le attività del Servizio sono presentate su www.chiesacattolica.it/giovani.

Leggiamo dal vostro sito che state svolgendo diversi progetti, quali il FOI - Forum degli oratori Italiani, il Tesc-Tavolo del Servizio Civile, le Settimane sociali, il Movimento giovanile missionario, il  Centro Giovanni Paolo II, il progetto Policoro... può illustrarcene i significati e i contenuti?

Don Nicolò: In questo periodo, rispondendo alle numerose sollecitazioni del Papa, ci siamo impegnati nel diffondere presso i giovani la Dottrina sociale della Chiesa; l'enciclica Caritas in Veritate ha entusiasmato il mondo circa la possibilità di poter contaminare con il Vangelo anche le realtà apparentemente più lontane: l'economia, la politica etc...Recentemente i Vescovi italiani hanno chiesto alla pastorale giovanile di impegnarsi in modo particolare con i ragazzi, nell'età degli 11-14 anni; l'oratorio, nelle sue più varie forme, è ancora uno spazio di grande interesse, specialmente se sempre meglio si raccorda con la comunità cristiana; il FOI si occupa di diffondere la cultura dell'oratorio e di promuovere reti di collegamento fra oratori.

Il Progetto Policoro riguarda il grande tema del lavoro, così cruciale per tanti giovani; ci sembra importante tenere viva un'attenzione missionaria, specialmente in questi tempi in cui la popolazione straniera in Italia, per lo più composta da giovani, sta crescendo esponenzialmente di numero; Il Centro Giovanni Paolo II di Loreto quest'anno festeggia il decennale della sua fondazione e da sempre è un riferimento spirituale importante per la pastorale giovanile italiana. Sul tema del Servizio civile esiste da molti anni un coordinamento di associazioni e realtà ecclesiali che insieme cercano di rendere questa realtà un'opportunità formativa, sia dal punto di vista umano che di fede, per i giovani.

La modernità presenta molte facili tentazioni e sembrano tanti i giovani che si perdono tra edonismo, nichilismo e relativismo. Come pensa don Nicolò di contrastare le ideologie distruttive e riconquistare i cuori dei giovani all'amore per la Chiesa?

Don Nicolò: Come sempre accade, anche fra le singole persone, la distanze sono spesso causate da una scarsa conoscenza reciproca, da una carenza di ascolto; per quanto riguarda il rapporto fra i giovani e la Chiesa ritengo che la situazione potrebbe migliorare attraverso un rinnovato ascolto dei giovani; ai ragazzi va data più fiducia, più spazi, più voce.

Nonostante si noti una certa ripresa, nelle parrocchie delle grandi città ci sono dati preoccupanti. Una grande maggioranza di bambini che frequenta le elementari segue i corsi catechistici per arrivare alla comunione, ma poi, già per i corsi alla cresima, siamo a meno della metà dei ragazzi. Questa situazione genera difficoltà successive visto che per sposarsi in Chiesa dovrà prima cresimarsi. Il dato più preoccupante riguarda la frequenza alla messa domenicale, perché anche chi frequenta il catechismo non sempre va a messa. Che cos'è che non va? E' un problema che riflette un calo di fede nelle nuove generazioni, oppure quello che si insegna al catechismo non è sufficientemente chiaro e coinvolgente?

Don Nicolò: Là dove l'Eucarestia domenicale è vissuta da tutta la comunità cristiana, là dove la Santa Messa parla della vita delle persone tutto cambia; in giro per l'Italia vedo splendidi esempi di partecipazione autentica; molti ritengono che il tono di una comunità cristiana dipenda solo dal sacerdote; non è vero! Tutti siamo corresponsabili, ognuno con la propria vocazione.

Di recente avete prodotto un Dvd che ripropone alcuni temi essenziali della Dottrina sociale della Chiesa seguendo le linee d'orientamento e i contenuti indicati dal Compendio della Dottrina sociale della Chiesa.  Può illustrarcene i contenuti e le finalità?

Don Nicolò: I due DVD raccolgono alcune lezioni fatte da professori ed esperti di alto livello sui temi della Dottrina sociale della Chiesa; le lezioni ripercorrono l'indice del Compendio della Dottrina sociale e sono destinate ad avviare ulteriori approfondimenti; il Dvd è destinato ai gruppi giovanili, alle classi scolastiche e a tutte le persone appassionate di questi temi.

Quali sono le iniziative per l'adesione e la preparazione della Giornata mondiale della Gioventù di Madrid?

Don Nicolò: Recentemente è arrivato in tutte le parrocchie italiane un manifesto che annuncia la Giornata mondiale della Gioventù del 2011; sul manifesto è indicato che il referente organizzativo è il Servizio diocesano per la Pastorale giovanile; questa scelta esprime il desiderio di camminare insieme, a livello diocesano, verso Madrid; l'itinerario verso Madrid sarà triennale, definito da un anno della Partenza, il 2010, il 2011 anno dell'Incontro e il 2012 anno del Racconto, ad indicare che la GMG non è un evento isolato ma un'occasione di Fede legata ad un cammino ordinario; è già stato attivato il sito www.gmg2011.it che accompagnerà i giovani per tutti e tre gli anni.

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Tutto Libri


Da laici cristiani, per colmare il "vuoto pauroso" della politica
Piero Sapienza sottolinea la necessità di una formazione alla cittadinanza attiva

di Mirko Testa

ROMA, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- Di fronte a una scena politica dominata spesso da gossip e volgarità che genera disaffezione nella maggioranza dei giovani, è urgente una “inversione di tendenza” che punti sulla formazione di laici capaci di incidere sulla vita sociale.

E' questo in sostanza il messaggio al centro dell'ultimo libro di Piero Sapienza, docente di Dottrina sociale della Chiesa presso lo Studio teologico S. Paolo di Catania, dal titolo “La politica che non c'è. Da cittadini attivi nella polis” (Libreria Editrice Vaticana).

Sapienza traccia all'inizio una panoramica amara della politica odierna “assente sia dal Palazzo, a livello di grande disegno politico, volto a realizzare il bene integrale di ogni cittadino”; “sia a livello di base, per la mancanza di partecipazione di interesse da parte dei cittadini, i quali si persuadono sempre più che non possono influire sul buon andamento del cosa pubblica”.

Lo scenario che si presenta davanti agli occhi è quello di “una fuga dall'impegno sociopolitico da parte di tanta gente”, affetta da “sindrome dello spettatore” e che preferisce “delegare in bianco”. Questa tendenza generale ha generato una “spoliticizzazione della società”, tale da produrre fenomeni di antipolitica “ostentata anche mediaticamente”.

Una distanza quella dei cittadini dalla politica, aggiunge il docente, “accentuata anche dal fatto che la stessa legge elettorale (il famigerato porcellum) non permette di votare il nome del candidato di propria fiducia”.

“Si può dire – osserva – che politici di professione, già facendo le leggi in un certo modo piuttosto che in un altro, quasi su misura, scippano ai cittadini il diritto di scegliere concretamente propri rappresentanti al Parlamento e contribuiscono così a far crescere la disaffezione verso la politica, ostacolando la realizzazione di quella inclinazione sociale tipica di ogni persona umana”.

Ai “professionisti della vita pubblica, che non vogliono mai mollare la poltrona” e spesso ricoprono almeno due o più incarichi, Sapienza ricorda l'invito del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa a favorire “l'alternanza dei dirigenti politici, al fine di evitare che si instaurino privilegi occulti”.

Nel libro l'autore lamenta soprattutto la scissione tra morale e politica, che interpella tutti i cristiani a “gridare la giustizia con la propria vita, operando da giusti” e a “puntare a un vero e duraturo rinnovamento politico, basato su un forte recupero di legalità e moralità”.

Infatti, si chiede, quali esempi di moralità e di legalità possono essere proposti “se avviene, molto spesso, che, ad esempio, personaggi politici, condannati in primo grado per corruzione, per favoreggiamento alla mafia, per tangenti e illegalità varie, ecc., festeggiano, con arroganza, le sentenze come se avessero ricevuto un gran premio, e non solo non abbandonano l'attività politica, ma dopo aver lasciato un prestigioso incarico (per dimissioni quasi forzate per le pressioni di molta parte dell'opinione pubblica), ne ricevono un altro, più prestigioso e redditizio, dietro diretta investitura dei leader di partito”.

Al contrario l'autentica politica “esige di essere attraversata da un afflato etico” e non può ridursi a semplice “tecnica per il buon funzionamento delle istituzioni oppure a tatticismi, strategie per conquistare, rafforzare il potere dello Stato, del partito, ecc”.

Nessun cittadino, inoltre, può abdicare al suo attivo impegno socio-politico, perché ciò, come arrivano a sostenere i Vescovi italiani nel documento “La Chiesa italiana e le prospettive del paese”, costituirebbe “un peccato di omissione”.

Il cattolico, precisa Sapienza, deve ricercare e attuale il bene comune spinto dalla carità; “deve continuare a tendere verso i valori assoluti, ma deve anche essere capace di mediazione culturale”, senza “arroccarsi rigidamente sulle proprie posizioni etiche (anche giuste e sacrosante)”, che non equivale a “scendere a compromessi”.

Lo stesso giudizio lo troviamo espresso nel Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, quando si afferma che: “il fedele laico è chiamato individuare, nelle concrete situazioni politiche, i passi realisticamente possibili per dare attuazione ai principi e valori morali propri della vita sociale”.

Occorre rilanciare un difficile, paziente e impegnativo cammino di formazione del laico all'impegno sociale e politico, come parte dell'educazione globale alla vita cristiana, evitando di renderlo un “clerico dipendente”.

Con molta frequenza, spiega Sapienza, nel mondo cattolico si assiste ad “una sorta di fuga dei laici verso forme di spiritualità disincarnate dalla vita”, oppure si va diffondendo quella certa “tendenza alla clericalizzazione dei fedeli laici” già denunciata da Giovanni Paolo II nella Christifideles laici.

Tuttavia, l'impegno e le scelte dei cristiani, in campo politico, “non devono coinvolgere ufficialmente la Chiesa”. Il laico cattolico deve assumere autonomamente la propria responsabilità, illuminata dalla luce della Dottrina sociale della Chiesa.

La Chiesa, pur non pronunciandosi su una determinata scelta politica determinata, non può rinunciare però al suo compito di “annuncio” e “denuncia” di quelle posizioni politiche che sono incompatibili con la fede e i valori cristiani cosiddetti “non negoziabili”: come il rispetto per la vita dal suo concepimento al suo naturale compimento, il primato della dignità della persona umana, il valore della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo o una donna.

La Chiesa, infatti, non può rimanere “indifferente e disinteressata di fronte alla lotta per la giustizia, quando sono in gioco la dignità della persona umana nei suoi diritti fondamentali”.

Un ruolo importante in questa formazione deve essere svolto dalla parrocchia, chiamata a “modificare la sua immagine, che per molti rimane sclerotizzata nelle forme burocratiche e liturgiche”.

Importante anche, sostiene Sapienza, promuovere laboratori e osservatori sparsi in modo capillare sul territorio in cui i laici possano attuare un attento discernimento sulla vita sociale, incidendo così sulla prassi politica e operando in favore del bene comune.

Dove per bene comune non si può intendere qualcosa di astratto, quanto piuttosto qualcosa di concretizzato di volta in volta nelle diverse mutevoli circostanze socioculturali, economiche e politiche, e che guarda alle future generazioni in “un'ottica di solidarietà di comunione”.

Di fronte alla crisi attuale della nostra società che, come sosteneva Giorgio La Pira, è piuttosto “una crisi di attesa” di una stagione migliore, conclude Sapienza, “occorre coltivare la speranza per non essere vinti dal pessimismo”.

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Via crucis di Gesù nel grembo

di Antonio Gaspari

ROMA, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- Per la pasqua 2010 padre Angelo del Favero ha scritto e pubblicato “Via crucis di Gesu’ nel grembo” (Editore Gibaudi), un agile volumetto di 80 pagine con 15 immagini da Elena Baldini e Sabrina Miglia.

Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine. Su ZENIT cura la rubrica ‘Parola e Vita’.

Si tratta di una Via crucis che prende spunto dall’immagine del chicco di grano vivo, seminato e sepolto fecondamente nella terra, che muore e produce molto frutto.

Secondo padre Angelo questo è “il paradigma esemplare dell’esistenza e della missione di Gesù”, ed evoca anche “il percorso dell’embrione umano nel grembo materno: quello di Maria e quello di ogni madre, come Lei e in Lei oggetto della benedizione di Dio”.

Il Vangelo di Luca infatti riporta che Maria è la “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!” (Lc 1,42). 

In una lettera inviata al Santo Padre Benedetto  XVI, padre Angelo esprime  sentimenti di “ammirazione filiale, gioiosa e riconoscente per il Suo altissimo Magistero sulla verità della vita umana, al quale attingo abbondantemente nella mia povertà culturale e spirituale”.

Padre Angelo spiega che il movente di questo libricino è nascosto “nel rapporto con il Signore Gesù e con la Sua Madre purissima, ed è una ragione di amore: conoscere e far conoscere le sue atroci sofferenze e le sue morti nel grembo, delle quali è direttamente partecipe Maria, secondo la profezia che udì da Simeone: 'e anche a te una spada trafiggerà l’anima'” (Lc 2,35a).

Il frate carmelitano precisa che l’accostamento delle drammatiche immagini dei bimbi uccisi con l’aborto (farmacologico, chirurgico o chimico) con quelle tradizionali della Passione del Signore, non vuole in alcun modo costituire un messaggio raccapricciante (di per sé negativo), ma intende realisticamente far volgere lo sguardo a Colui che ha detto: “Ogni volta lo avete fatto a Me” (Mt 25,40), per suscitare quella concreta compassione che può essere determinante nel respingere la tentazione dell’aborto e salvare una vita predestinata in Cristo a realizzarsi secondo un progetto specialissimo di felicità.

L’auspicio di padre Angelo è che questo piccolo libro possa essere “un contributo alla Verità meravigliosa della vita umana, una lode del mio cuore sacerdotale al suo Creatore e Signore, la cui infinita bellezza è riflessa e come concentrata nella prodigiosa vitalità dell’essere umano concepito”.


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Parola e vita


La Sindone, il Servo concepito e la sua Serva
Domenica delle Palme, 28 marzo 2010
di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- “Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso” (Is 50,6-7).

“Quando venne l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: ‘Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finchè essa non si compia nel regno di Dio’” (Lc 22,14-16).

“Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,5-8).

La Bibbia “Via, Verità e Vita” da’ un nome al “Terzo carme del Servo” (Is 50,4-7), che introduce oggi la Passione del Signore, lo intitola: “Il dolore scritto sul corpo”.

Una scrittura che diventa presto più drammatica: “Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire,..trafitto..schiacciato..per le sue piaghe noi siamo stati guariti.(…) Gli si diede sepoltura con gli empi..” (Is 52,13-15; 53,1-12).

Tutte queste parole profetiche furono scritte all’incirca cinque secoli prima che quel volto di Gesù cui fu strappata la barba, percosso e umiliato, svergognato e disprezzato sputandogli in faccia; quel volto che fu schiacciato a terra dal peso della croce; quel volto e quel dorso presentato  docilmente ai flagellatori accaniti, rimanessero impressi per sempre nel sudario da cui fu avvolto il cadavere del Signore.

La Sindone non è solamente un lenzuolo che ammutolisce ogni considerazione, è una Parola eloquente da ascoltare: quella “Parola della croce” il cui enigma scientifico Paolo ha interpretato così: “Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti” (1 Cor 1,18-19).

Forse a compiere il pietoso gesto di avvolgere il corpo di Gesù nella Sindone è stata anche sua madre Maria, la quale mentre “stava presso la croce” (Gv 19,25) certamente ricordava quando, a Betlemme, stava avvolgendo in fasce quello stesso corpo del Figlio ora denudato e straziato dinnazi ai suoi occhi (Lc 2,7). Così le due fasce, pur richiamando momenti opposti ed estremi quali il nascere e il morire, sono il simbolo unificante dell’intera esistenza di Gesù, per il quale l’incarnazione fu, sin dal primo istante del concepimento, “kenosi”, svuotamento di sé (Fil 2,6-8).

Lo aveva già anticipato Isaia definendo così il Servo del Signore: “uomo dei dolori che ben conosce il patire” ( Is 53,3). Quanto è significativa questa piccola parola: “ben”! Sembra voler dire: lo conosce fino in fondo! Lo conosce ben più di quello che potete immaginare! Lo conosce per esperienza in tutta l’amarezza, l’orrore, la ribellione della natura, lo conosce come scandalo di fronte a Dio, suo Padre.

Ma “ben” va molto più in profondità: conoscere il patire anche nella sua nascosta, paradossale dolcezza, purissimo distillato che solo dall’amore può scaturire, come scrive il santo carmelitano Giovanni della Croce: “Più la sofferenza è pura, più procura una conoscenza intima e pura e, di conseguenza, una gioia più pura e sublime, perché nasce da un più intimo sapere” (“Cantico Spirituale” B, strofa 36,12).

A tale soprannaturale “sapienza” fanno pensare queste parole di Gesù: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione,..”(Lc 22,15). Sì, da un lato Gesù ben conosce la forza travolgente del dolore sulla volontà, la devastazione che opera nell’anima, l’abbruttimento inferto dalla sofferenza alla dignità della persona, ed anche il suo potere di scuotere le fondamenta della fede fino al crollo; ma insieme il Signore sa’ che il dolore non è in contraddizione profonda con la vita, anzi: esso è perfino desiderabile (come una madre incinta desidera il travaglio del parto), per la sua fecondità redentrice e per il frutto buono che genera nei cuori miti ed umili come quello di Gesù: il frutto beato dell’unione d’amore con Dio.

Ecco, io credo che sia anche questa solidarietà umana e divina il motivo per il quale ogni ostensione della Sindone registra un successo senza precedenti.

L’umanità del 2010 sembra sprofondare sempre più nel baratro diabolico del relativismo e dell’indifferenza, i cui frutti sono: ateismo, violenza, perversione morale, superbia, spaventoso egoismo.., e le indicibili sofferenze patite anche dagli innocenti: è “il peccato del mondo”, che l’Agnello di Dio, l’Innocente, ha portato e continua a portare su di sè (come la Sindone “dimostra”).

E sembra essere proprio questa sofferenza totale l’obiezione più formidabile all’esistenza e alla bontà di Dio, mentre costituisce anche il contro-argomento “vincente” da opporre circa il valore assoluto ed incondizionato della vita umana.

Ma, in realtà, vivere “come se Dio non ci fosse” è il supplizio personale più terribile ed intollerabile che ci sia in questo mondo, è l’inferno stesso dentro l’anima, poichè  Dio ha creato l’uomo come un’insopprimibile nostalgia di Sé.

Perciò l’Uomo della Sindone, nella sua “se-ducente” misteriosità, fa intuire di possedere il segreto più decisivo di tutti, quello che il cuore umano non cessa mai d’indagare e che solo la fede rivela: il segreto della vita! E il segreto della vita è l’uomo della Sindone, Cristo, “via, verità e vita” di ogni uomo (Gv 14,6).  

La verità della vita e del dolore umano non è una dottrina, ma un Volto da cercare  con l’impegno costante e l’inesausto desiderio con cui scrutiamo l’enigma dell’immagine sindonica. La Sindone, non è una semplice reliquia naturale che permette solamente di fare memoria del Crocifisso risorto, ma è la sua reliquia soprannaturale, quasi “memoriale” efficace della sua Presenza, che agisce tramite la fede.

Ho cercato nel Vangelo dell’Annunciazione, per vedere se vi trovavo la Sindone, come nel Vangelo della nascita l’ho incontrata nelle fasce con cui Maria avvolge il figlio neonato, ed ho visto che Gesù, al concepimento, si trovò avvolto dal grembo di Maria, la quale rispondendo all’Angelo si definì “Serva del Signore” (Lc 1,38).

Ora, dato che sin dal concepimento il Verbo divino “svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2,7), possiamo pensare che in questo istante, nel quale l’essere di Maria venne ontologicamente mutato dalla grazia della sua divina maternità, molto più che in un lenzuolo Gesù concepito impresse, in colei che lo avvolgeva con il suo corpo, il proprio volto di “Servo del Signore”. Riconosciamo allora in Maria la viva “Sindone” del Verbo incarnato, com’ella sembra autorizzarci a concludere con l’affermazione: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Giovanni Paolo II ha detto che l’Eucaristia, essendo il medesimo Corpo di Cristo che nacque dalla vergine Maria, reca in sé la fragranza della carne di lei, della sua persona. Ora se la creatura ha potuto lasciare impressa nel Creatore la sua impronta umana, molto di più si può ritenere che il Creatore ha impresso Se stesso nella creatura Maria nel momento in cui fu concepito nel grembo che lo avvolgeva.  Maria, dunque, nella sua persona ricevette la forma-impronta ontologica del Servo del Signore, suo figlio, e divenne la Serva del Signore, sua madre.

Di tutto ciò sembra darci conferma Giovanni nell’Apocalisse, quando descrive il “segno grandioso” della “donna vestita di sole” (Ap 12,1), tradizionalmente identificata con Maria santissima. Tale segno risulta subito essere un segno sofferente: “Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto” (Ap 12,2).

Se Gesù è definito da Isaia, “uomo dei dolori”, Maria appare qui come donna del dolore, poiché il travaglio torturante del parto indica l’abisso del dolore fecondo della Madre presso la croce, dove fu generata la Chiesa.

Cosa significa, infatti, questa contraddizione “impossibile”: che Maria, beata nella gloria del Paradiso, stia contemporaneamente gridando di dolore come le partorienti terrene? Credo si possa intendere anche così: Maria assunta in Cielo in anima e corpo è la stessa persona che nell’istante in cui si trovò incinta del Figlio di Dio, fu anche resa gravida del suo destino di Servo sofferente, una partecipazione dolorosa e necessaria, visto che la vergine fu scelta quale corredentrice del Cristo fin dal primo istante della sua maternità divina.

E come la Sindone mostra la perfetta, inspiegabile aderenza del corpo del Signore al tessuto che lo ricopriva, così Maria fu discepola perfettamente aderente alla volontà del Figlio, che progressivamente la “svuotò” mediante rinunce sempre più dolorose, fin sotto la croce.

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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Incontro del Papa con i giovani di Roma e del Lazio per i 25 anni delle GMG

ROMA, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il dialogo tra alcuni giovani e Benedetto XVI in occasione dell'incontro svoltosi questo giovedì in piazza San Pietro in preparazione alla Giornata Mondiale della Gioventù.





* * *

D: Padre Santo il giovane del Vangelo ha chiesto a Gesù: maestro buono cosa devo fare per avere la vita eterna? Io non so neanche cosa è la vita eterna. Non riesco ad immaginarmela, ma una cosa la so: non voglio buttare la mia vita, voglio viverla fino in fondo e non da sola. Ho paura che questo non avvenga, ho paura di pensare solo a me stessa, di sbagliare tutto e di ritrovarmi senza una meta da raggiungere, vivendo alla giornata. E’ possibile fare della mia vita qualcosa di bello e di grande?

Cari giovani,

prima di rispondere alla domanda vorrei dire grazie di cuore per tutta la vostra presenza, per questa meravigliosa testimonianza della fede, del voler vivere in comunione con Gesù, per il vostro entusiasmo nel seguire Gesù e vivere bene. Grazie!

Ed ora la domanda. Lei ci ha detto che non sa cosa sia la vita eterna e non sa immaginarsela. Nessuno di noi è in grado di immaginare la vita eterna, perché è fuori della nostra esperienza. Tuttavia, possiamo cominciare a comprendere che cosa sia la vita eterna, e penso che lei, con la sua domanda, ci abbia dato una descrizione dell’essenziale della vita eterna, cioè della vera vita: non buttare via la vita, viverla in profondità, non vivere per se stessi, non vivere alla giornata, ma vivere realmente la vita nella sua ricchezza e nella sua totalità. E come fare? Questa è la grande questione, con la quale anche il ricco del Vangelo è venuto al Signore (cfr Mc 10,17). A prima vista, la risposta del Signore appare molto secca. Tutto sommato, dice: osserva i comandamenti (cfr Mc 10,19). Ma dietro, se riflettiamo bene, se ascoltiamo bene il Signore, nella totalità del Vangelo, troviamo la grande saggezza della Parola di Dio, di Gesù. I comandamenti, secondo un’altra Parola di Gesù, sono riassunti in quest’unico: amare Dio con tutto il cuore, con tutta la ragione, con tutta l’esistenza e amare il prossimo come se stesso. Amare Dio, suppone conoscere Dio, riconoscere Dio. E questo è il primo passo che dobbiamo fare: cercare di conoscere Dio. E così sappiamo che la nostra vita non esiste per caso, non è un caso. La mia vita è voluta da Dio dall’eternità. Io sono amato, sono necessario. Dio ha un progetto con me nella totalità della storia; ha un progetto proprio per me. La mia vita è importante e anche necessaria. L’amore eterno mi ha creato in profondità e mi aspetta. Quindi, questo è il primo punto: conoscere, cercare di conoscere Dio e così capire che la vita è un dono, che è bene vivere. Poi l’essenziale è l’amore. Amare questo Dio che mi ha creato, che ha creato questo mondo, che governa tra tutte le difficoltà dell’uomo e della storia, e che mi accompagna. E amare il prossimo.

I dieci comandamenti ai quali Gesù nella sua risposta accenna, sono solo un’esplicitazione del comandamento dell’amore. Sono, per così dire, regole dell’amore, indicano la strada dell’amore con questi punti essenziali: la famiglia, come fondamento della società; la vita, da rispettare come dono di Dio; l’ordine della sessualità, della relazione tra uomo e donna; l’ordine sociale e, finalmente, la verità. Questi elementi essenziali esplicitano la strada dell’amore, esplicitano come realmente amare e come trovare la via retta. Quindi c’è una volontà fondamentale di Dio per noi tutti, che è identica per tutti noi. Ma la sua applicazione è diversa in ogni vita, perché Dio ha un progetto preciso con ogni uomo. San Francesco di Sales una volta ha detto: la perfezione, cioè l’essere buono, il vivere la fede e l’amore, è sostanzialmente una, ma in forme molto diverse. Molto diversa è la santità di un certosino e di un uomo politico, di uno scienziato o di un contadino, e via dicendo. E così per ogni uomo Dio ha il suo progetto e io devo trovare, nelle mie circostanze, il mio modo di vivere questa unica e comune volontà di Dio le cui grandi regole sono indicate in queste esplicazioni dell’amore. E cercare quindi anche di compiere ciò che è l’essenza dell’amore, cioè non prendere la vita per me, ma dare la vita; non "avere" la vita, ma fare della vita un dono, non cercare me stesso, ma dare agli altri. Questo è l’essenziale, e implica rinunce, cioè uscire da me stesso e non cercare me stesso. E proprio non cercando me stesso, ma dandomi per le grandi e vere cose, trovo la vera vita. Così ognuno troverà, nella sua vita, le diverse possibilità: impegnarsi nel volontariato, in una comunità di preghiera, in un movimento, nell’azione della sua parrocchia, nella propria professione. Trovare la mia vocazione e viverla in ogni posto è importante e fondamentale, sia io un grande scienziato, o un contadino. Tutto è importante agli occhi di Dio: è bello se è vissuto sino in fondo con quell’amore che realmente redime il mondo.

Alla fine vorrei raccontare una piccola storia di santa Giuseppina Bakhita, questa piccola santa africana che in Italia ha trovato Dio e Cristo, e che mi fa sempre una grande impressione. Era suora in un convento italiano; un giorno, il Vescovo del luogo fa visita a quel monastero, vede questa piccola suora nera, della quale sembra non avesse saputo nulla e dice: "Suora cosa fa lei qui?" E Bakhita risponde: "La stessa cosa che fa lei, eccellenza". Il vescovo visibilmente irritato dice: "Ma come, suora, fa la stessa cosa come me?", "Sì, – dice la suora – ambedue vogliamo fare la volontà di Dio, non è vero?". Infine questo è il punto essenziale: conoscere, con l’aiuto della Chiesa, della Parola di Dio e degli amici, la volontà di Dio, sia nelle sue grandi linee, comuni per tutti, sia nella concretezza della mia vita personale. Così la vita diventa forse non troppo facile, ma bella e felice. Preghiamo il Signore che ci aiuti sempre a trovare la sua volontà e a seguirla con gioia.

D. Il Vangelo ci ha detto che Gesù fissò quel giovane e lo amò. Padre Santo che vuol dire essere guardati con amore da Gesù; come possiamo fare anche noi oggi questa esperienza? Ma è davvero possibile vivere questa esperienza anche in questa vita di oggi?

Naturalmente direi di sì, perché il Signore è sempre presente e guarda ognuno di noi con amore. Solo che noi dobbiamo trovare questo sguardo e incontrarci con lui. Come fare? Direi che il primo punto per incontrarci con Gesù, per fare esperienza del suo amore è conoscerlo. Conoscere Gesù implica diverse vie. Una prima condizione è conoscere la figura di Gesù come ci appare nei Vangeli, che ci danno un ritratto molto ricco della figura di Gesù, nelle grandi parabole, pensiamo al figliol prodigo, al samaritano, a Lazzaro eccetera. In tutte le parabole, in tutte le sue parole, nel sermone della montagna, troviamo realmente il volto di Gesù, il volto di Dio fino alla croce dove, per amore di noi, si dà totalmente fino alla morte e può, alla fine, dire Nelle tue mani Padre, do la mia vita, la mia anima (cfr Lc 23,46).

Quindi: conoscere, meditare Gesù insieme con gli amici, con la Chiesa e conoscere Gesù non solo in modo accademico, teorico, ma con il cuore, cioè parlare con Gesù nella preghiera. Una persona non la si può conoscere nello stesso modo in cui posso studiare la matematica. Per la matematica è necessaria e sufficiente la ragione, ma per conoscere una persona, anzitutto la grande persona di Gesù, Dio e uomo, ci vuole anche la ragione, ma, nello stesso tempo, anche il cuore. Solo con l’apertura del cuore a lui, solo con la conoscenza dell’insieme di quanto ha detto e di quanto ha fatto, con il nostro amore, con il nostro andare verso di lui, possiamo man mano conoscerlo sempre di più e così anche fare l’esperienza di essere amati. Quindi: ascoltare la Parola di Gesù, ascoltarla nella comunione della Chiesa, nella sua grande esperienza e rispondere con la nostra preghiera, con il nostro colloquio personale con Gesù, dove gli diciamo quanto non possiamo capire, i nostri bisogni, le nostre domande. In un vero colloquio, possiamo trovare sempre di più questa strada della conoscenza, che diventa amore. Naturalmente non solo pensare, non solo pregare, ma anche fare è una parte del cammino verso Gesù: fare le cose buone, impegnarsi per il prossimo. Ci sono diverse strade; ognuno conosce le proprie possibilità, nella parrocchia e nella comunità in cui vive, per impegnarsi anche con Cristo e per gli altri, per la vitalità della Chiesa, perché la fede sia veramente forza formativa del nostro ambiente, e così del nostro tempo. Quindi, direi questi elementi: ascoltare, rispondere, entrare nella comunità credente, comunione con Cristo nei sacramenti, dove si da a noi, sia nell’Eucaristia, sia nella Confessione eccetera, e, finalmente, fare, realizzare le parole della fede così che diventino forza della mia vita e appare veramente anche a me lo sguardo di Gesù e il suo amore mi aiuta, mi trasforma.

D. Gesù invitò il giovane ricco a lasciare tutto, e a seguirlo, ma lui se ne andò via triste. Anche io come lui faccio fatica a seguirlo, perché ho paura di lasciare le mie cose e talvolta la Chiesa mi chiede delle rinunce difficili. Padre Santo come posso trovare la forza per scelte coraggiose, e chi mi può aiutare?

Ecco, cominciamo con questa parola dura per noi: rinunce. Le rinunce sono possibili e, alla fine, diventano anche belle se hanno un perché e se questo perché giustifica poi anche la difficoltà della rinuncia. San Paolo ha usato, in questo contesto, l’immagine delle olimpiadi e degli atleti impegnati per le olimpiadi (cfr 1Cor 9,24-25). Dice: Loro, per arrivare finalmente alla medaglia - in quel tempo alla corona - devono vivere una disciplina molto dura, devono rinunciare a tante cose, devono esercitarsi nello sport che praticano e fanno grandi sacrifici e rinunce perché hanno una motivazione, ne vale la pena. Anche se alla fine, forse, non sono tra i vincitori, tuttavia è una bella cosa aver disciplinato se stesso ed essere stato capace di fare queste cose con una certa perfezione. La stessa cosa che vale, con questa immagine di san Paolo, per le olimpiadi, per tutto lo sport, vale anche per tutte le altre cose della vita. Una vita professionale buona non si può raggiungere senza rinunce, senza una preparazione adeguata, che sempre esige una disciplina, esige che si debba rinunciare a qualche cosa, e così via, anche nell’arte e in tutti gli elementi della vita. Noi tutti comprendiamo che per raggiungere uno scopo, sia professionale, sia sportivo, sia artistico, sia culturale, dobbiamo rinunciare, imparare per andare avanti. Proprio anche l’arte di vivere, di essere se stesso, l’arte di essere uomo esige rinunce, e le rinunce vere, che ci aiutano a trovare la strada della vita, l’arte della vita, ci sono indicate nella Parola di Dio e ci aiutano a non cadere – diciamo - nell’abisso della droga, dell’alcool, della schiavitù della sessualità, della schiavitù del denaro, della pigrizia. Tutte queste cose, in un primo momento, appaiono come azioni di libertà. In realtà, non sono azioni di libertà, ma inizio di una schiavitù che diventa sempre più insuperabile. Riuscire a rinunciare alla tentazione del momento, andare avanti verso il bene crea la vera libertà e fa preziosa la vita. In questo senso, mi sembra, dobbiamo vedere che senza un "no" a certe cose non cresce il grande "sì" alla vera vita, come la vediamo nelle figure dei santi. Pensiamo a san Francesco, pensiamo ai santi del nostro tempo, Madre Teresa, don Gnocchi e tanti altri, che hanno rinunciato e che hanno vinto e sono divenuti non solo liberi loro stessi ma anche una ricchezza per il mondo e ci mostrano come si può vivere. Così alla domanda "chi mi aiuta", direi che ci aiutano le grandi figure della storia della Chiesa, ci aiuta la Parola di Dio, ci aiuta la comunità parrocchiale, il movimento, il volontariato, eccetera. E ci aiutano le amicizie di uomini che "vanno avanti", che hanno già fatto progressi nella strada della vita e che possono convincermi che camminare così è la strada giusta. Preghiamo il Signore che ci doni sempre degli amici, delle comunità che ci aiutano a vedere la strada del bene e a trovare così la vita bella e gioiosa.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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Il Papa ai Vescovi scandinavi: promuovere le vocazioni tra locali e immigrati
Udienza in occasione della visita ad limina
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso che Benedetto XVI ha rivolto ai Vescovi dei Paesi scandinavi questo giovedì in Vaticano ricevendoli in occasione della loro visita ad limina apostolorum.

* * *


Cari Fratelli Vescovi,

vi do il benvenuto a Roma in occasione della vostra visita ad limina Apostolorum e ringrazio il Vescovo Arborelius per le parole  che mi ha rivolto a vostro nome. Esercitate il governo pastorale sui fedeli cattolici nell'estremo Nord dell'Europa e avete viaggiato fin qui per esprimere e rinnovare i vincoli di comunione fra il popolo di Dio in quei Paesi e il Successore di Pietro, nel cuore della Chiesa universale. Il vostro gregge è numericamente piccolo e sparso su un'area molto vasta. Molti devono percorrere grandi distanze per trovare una comunità cattolica in cui praticare il culto. È molto importante per loro comprendere che ogni volta che si riuniscono intorno all'altare per il sacrificio eucaristico, partecipano  a un atto  della Chiesa universale, in comunione con tutti i loro fratelli cattolici del resto del mondo. È questa comunione a essere sia esercitata sia approfondita attraverso le visite quinquennali dei Vescovi alla Sede Apostolica.

Sono lieto di apprendere che un Congresso  sulla Famiglia si svolgerà a Jönköping nel maggio di quest'anno. Uno dei messaggi più importanti che le persone delle terre nordiche devono ascoltare da voi è un monito a proposito della centralità della famiglia per la vita di una società sana. Purtroppo, gli ultimi anni hanno assistito a un indebolimento dell'impegno per l'istituto del matrimonio e dell'idea cristiana di sessualità umana, che per tanto tempo è stata il fondamento di relazioni personali e sociali nella società europea.

I bambini hanno il diritto di essere concepiti e portati in grembo, messi al mondo e cresciuti nell'ambito del matrimonio: è attraverso  il rapporto certo e riconosciuto dei loro genitori che possono scoprire la propria identità e raggiungere il proprio adeguato sviluppo umano (cfr. Donum vitae, 22 febbraio 1987).

In società con una nobile tradizione di difesa dei diritti di tutti i loro membri, ci si aspetterebbe che questo diritto fondamentale dei figli avesse la priorità su qualsiasi altro presunto diritto degli adulti a imporre loro modelli alternativi di vita familiare e, di certo, su qualsiasi presunto diritto all'aborto. Poiché la famiglia è «la prima e insostituibile educatrice alla pace» (Messaggio in occasione della Giornata mondiale della Pace 2008), la promotrice più affidabile di coesione sociale e la migliore scuola delle virtù di buona cittadinanza,  è nell'interesse di tutti, e in particolare dei governi, difendere e promuovere una vita familiare stabile.

Sebbene la popolazione cattolica nei vostri territori costituisca solo una piccola percentuale di quella totale, essa sta crescendo e, nello stesso tempo, un buon numero di altre persone ascolta con rispetto e attenzione quel che la Chiesa ha da dire. Nelle terre nordiche, la religione ha un ruolo importante nel plasmare l'opinione pubblica  e nell'influenzare le decisioni su questioni relative al bene comune. Vi esorto, quindi, a continuare a trasmettere alle persone dei vostri rispettivi Paesi l'insegnamento della Chiesa su questioni etiche e sociali, come fate attraverso iniziative quali la lettera pastorale «L'amore per la vita» e il prossimo Congresso sulla Famiglia. L'apertura dell'Istituto Newman a Uppsala è un progresso molto positivo a questo proposito, che garantisce che l'insegnamento cattolico abbia il  proprio giusto posto nel mondo accademico scandinavo, aiutando anche le nuove generazioni ad acquisire una comprensione matura e informata della loro fede.

Nel vostro gregge, la sollecitudine pastorale per le famiglie e per i giovani deve essere perseguita con vigore, e con particolare cura per i molti che hanno vissuto difficoltà a causa della recente crisi finanziaria. Bisognerebbe mostrare la dovuta sensibilità alle numerose coppie sposate nelle quali uno solo dei coniugi è cattolico. La parte della popolazione cattolica delle terre nordiche costituita da immigrati ha necessità proprie ed è importante che il vostro approccio pastorale alle famiglie includa queste persone e le aiuti a integrarsi nella società. I vostri Paesi sono stati particolarmente generosi con i rifugiati del Medio Oriente, molti dei quali sono cristiani di Chiese orientali. Da parte vostra, mentre accogliete «il forestiero dimorante fra voi» (Lev 19, 34), siate certi di aiutare questi nuovi membri della vostra comunità per approfondire la loro conoscenza e la loro comprensione della fede attraverso programmi appositi di catechesi. Nel processo di integrazione nel loro Paese ospite, dovrebbero essere incoraggiati a non allontanarsi dagli elementi più preziosi della propria cultura, in particolare della loro fede.

In questo Anno Sacerdotale, vi chiedo di dare particolare priorità all'incoraggiamento e al sostegno dei vostri sacerdoti, che spesso devono operare lontani gli uni dagli altri e in circostanze difficili per portare i sacramenti al popolo di Dio. Come sapete, ho proposto la figura di san Giovanni Maria Vianney a tutti i sacerdoti del mondo quale fonte di ispirazione e di intercessione in questo anno dedicato  a esplorare in modo più profondo il significato e il ruolo indispensabile del sacerdozio nella vita della Chiesa. Si è prodigato instancabilmente a essere un canale della grazia santificante e taumaturgica di Dio per il popolo che serviva, e tutti i sacerdoti sono chiamati a fare lo stesso: è vostro dovere, in quanto loro Ordinari, fare in modo che siano bene preparati per questo sacro compito. Assicuratevi anche che i fedeli laici apprezzino quello che i sacerdoti fanno per loro e   offrano loro l'incoraggiamento e il sostegno  spirituale, morale e materiale di cui hanno bisogno.

Desidero rendere onore all'enorme contributo che religiosi, uomini e donne, hanno apportato alla vita della Chiesa nei vostri Paesi  per molti anni. Le terre nordiche sono anche benedette dalla presenza di un numero di nuovi movimenti ecclesiali, che portano rinnovato dinamismo alla missione della Chiesa. Di fronte a questa varietà di carismi, ci sono molti modi in cui i giovani possono essere esortati a dedicare la propria vita al servizio della Chiesa attraverso  una vocazione sacerdotale o religiosa. Poiché avete la responsabilità  di promuovere queste vocazioni (cfr. Christus Dominus, n. 15), siate certi di rivolgervi sia alle popolazioni native sia a quelle immigrate. Dal centro di qualsiasi comunità cattolica sana, il Signore chiama sempre uomini e donne a servirlo in questo modo. Il fatto che sempre più di voi, Vescovi delle terre nordiche, provenite dai Paesi stessi in cui servite, è un chiaro segno del fatto che lo Spirito Santo  è all'opera nelle vostre comunità cattoliche. Prego affinché la sua ispirazione continui a recare frutti fra voi e coloro ai quali avete dedicato  la vostra vita.

Con grande fiducia nella forza donatrice di vita del Vangelo, adoperate le vostre energie per promuovere una nuova evangelizzazione fra le persone dei vostri territori.  Parte integrante di questo compito è l'attenzione costante all'attività ecumenica e sono lieto di  osservare le numerose incombenze in cui i cristiani delle terre nordiche  si riuniscono per recare una testimonianza unita al mondo.

Con questi sentimenti,  affido  tutti voi e il vostro popolo all'intercessione dei santi nordici, in particolare santa Brigida, compatrona d'Europa e imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica quale pegno di forza e di pace nel Signore.    

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana, traduzione a cura de "L'Osservatore Romano"]

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Il New York Times si smentisce negli attacchi contro il Papa
La ricostruzione dei fatti offerta da Riccardo Cascioli su "Avvenire"

ROMA, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- La documentazione pubblicata dal New York Times smentisce la tesi secondo cui il Cardinale Joseph Ratzinger non fu sufficientemente energico nel gestire il caso di un sacerdote statunitense colpevole di aver abusato di numerosi ragazzi.

E' la conclusione a cui è giunto Riccardo Cascioli nell'analizzare, in un articolo apparso il 26 marzo sul quotidiano “Avvenire”, il servizio del giornale newyorkese al centro delle recenti discussioni.

Secondo il New York Times, “alti funzionari vaticani – incluso il futuro papa Benedetto XVI – non sconsacrarono un prete che aveva molestato qualcosa come 200 ragazzi sordi, malgrado diversi vescovi americani avessero ripetutamente avvertito che la mancanza di una azione decisa in materia avrebbe potuto mettere in imbarazzo la Chiesa”.

“In realtà proprio l’intera documentazione pubblicata dal New York Times sul suo sito, smentisce questa lettura tendenziosa dei fatti riguardanti padre Lawrence Murphy, tra il 1950 e il 1974 cappellano in una scuola per sordi della diocesi di Milwaukee”, spiega Cascioli.

“I documenti  dicono infatti che gli unici a preoccuparsi del male compiuto da padre Murphy sono stati i vertici della diocesi americana e la Congregazione per la Dottrina della Fede, mentre le autorità civili avevano archiviato il caso. In particolare la Congregazione della Dottrina della Fede, investita della questione solo tra il 1996 e il 1997, ha dato indicazione di procedere nei confronti di padre Murphy malgrado la lontananza temporale dei fatti costituisse un impedimento a norma di diritto canonico”.

Presentiamo la ricostruzione dei fatti offerta da Riccardo Cascioli su “Avvenire”.



* * *


Tutto comincia il 15 maggio 1974 quando un ex studente della St. John’s School per i sordi presenta una denuncia sugli abusi compiuti su di lui e su altri ragazzi da padre Lawrence Murphy tra il 1964 e il 1970, ma - a quanto viene riportato – dopo un’indagine, il giudice incaricato archivia il caso. La diocesi di Milwaukee invece allontana subito padre Murphy, con un permesso temporaneo per motivi sanitari (fino a novembre 1974) che però diviene definitivo. Una lettera dalla diocesi di Superior nel 1980 spiega che padre Murphy vive a Bounder Junction (Wisconsin), a casa della madre, continuando comunque a esercitare il ministero sacerdotale aiutando il parroco locale.

Nel frattempo però le denunce presso la diocesi di Milwaukee si moltiplicano e tra il luglio e il dicembre del 1993 padre Murphy viene sottoposto a quattro lunghi interrogatori dai responsabili dell’arcidiocesi assistiti da psicologi esperti di pedofilia. Ne emerge un quadro clinico di “pedofilo tipico”, che ne raccomanda un trattamento psicologico per maniaci sessuali e anche un accompagnamento pastorale/spirituale oltre che una restrizione nell’attività ministeriale. Dalla relazione degli interrogatori si evince che ci sono state 29 denunce di ragazzi: padre Murphy ammette “contatti” solo per 19 dei ragazzi coinvolti. Dai documenti successivi si ha poi la dimostrazione che l’arcidiocesi di Milwaukee prosegue nelle sue indagini cercando di appurare la realtà e l’ampiezza dei fatti, e il 17 luglio 1996 il vescovo Rembert Weakland scrive all’allora prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, cardinale Joseph Ratzinger, chiedendo lumi sul caso di padre Murphy e su quello – non collegato - di un altro prete, accusato di crimini sessuali e finanziari.

Monsignor Weakland fa riferimento alla denuncia del 1974 e spiega che però solo recentemente è venuto a conoscenza del fatto che certi crimini sessuali sono avvenuti durante il sacramento della Confessione, così che ha incaricato ufficialmente un prete della diocesi, padre James Connell, di condurre un’indagine approfondita (il decreto è del dicembre 1995). Un ostacolo all’accertamento dei fatti – afferma mons. Weakland – è dato dalla comprensibile reticenza dei ragazzi e della comunità della St John’s school a rendere pubbliche circostanze imbarazzanti. Monsignor Weakland si rivolge alla Congregazione per la Dottrina della Fede per avere un chiarimento sulla giurisdizione in questo caso di “crimine di sollecitazione” (canone 1387), se è di pertinenza della diocesi o della Congregazione.

Dai successivi documenti non sembrerebbe che la lettera sia mai arrivata sul tavolo del cardinal Ratzinger e dell’allora mons. Bertone, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede. In ogni caso, in mancanza di una risposta, l’arcidiocesi di Milwaukee va avanti per la sua strada e il 10 dicembre 1996 informa padre Murphy che il 22 novembre è stato aperto un procedimento penale ecclesiastico a suo carico con un tribunale creato ad hoc. La richiesta dell’accusa è la “destituzione di padre Murphy dallo stato clericale”.

Il problema che però si pone è quello della prescrizione dei crimini commessi, per cui a norma di diritto canonico si sarebbe impediti di procedere. Ma l’arcivescovo di Milwaukee è intenzionato a individuare una deroga al canone tenuto conto della situazione fisica e psicologica delle vittime. Intenzione avallata poi da mons. Bertone nella lettera del 24 marzo 1997. Alla fine del 1997 il processo passa poi alla diocesi di Superior, ma il presidente del tribunale rimane lo stesso di Milwaukee, padre Thomas Brundage. Dai documenti presentati dal New York Times si evince chiaramente l’intenzione delle autorità ecclesiastiche di Milwaukee e Superior di procedere nel modo più spedito possibile per arrivare a un atto di giustizia e di riparazione per le vittime e la comunità della St John’s school.

Nel frattempo, padre Murphy scrive una lettera al cardinal Ratzinger (12 gennaio 1998), chiedendo l’annullamento del processo a suo carico perché l’Istruzione del 1962 prevede per avviare l’azione penale un termine di 30 giorni dal momento in cui è presentata l’accusa. Padre Murphy afferma tra l’altro che – oltre ad essere pentito – è gravemente malato e comunque vive ritirato da 24 anni. Per cui chiede almeno di non essere ridotto allo stato laicale.

Il 6 aprile 1998 mons. Bertone scrive a mons. Fliss, vescovo di Superior, a nome della Congregazione per la Dottrina della Fede spiegando che – dopo aver esaminato attentamente la vicenda – non esiste un termine per l’azione penale così come invocato da padre Murphy, per cui il processo può continuare anche se – aggiunge Bertone – è giusto tenere conto dell’articolo 1341 del Codice di diritto canonico secondo cui una sanzione penale deve essere comminata solo dopo aver constatato che non sia “possibile ottenere sufficientemente la riparazione dello scandalo, il ristabilimento della giustizia, l'emendamento del reo” con altri mezzi.

Monsignor Fliss risponde il 13 maggio a monsignor Bertone affermando che, conformemente a quanto indicato dalla Congregazione, c’è la necessità di un processo a padre Murphy tenendo conto della gravità dello scandalo e del grande dolore inferto alla comunità cattolica della St John’ school.

Si arriva quindi al 30 maggio quando in Vaticano c’è un incontro tra mons. Bertone, il sottosegretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, padre Gianfranco Girotti, e i presuli americani interessati alla questione. Dalla minuta dell’incontro si evince che nella Congregazione ci sono dei dubbi circa la fattibilità e l’opportunità del processo canonico, data la difficoltà a ricostruire i fatti accaduti 35 anni prima, soprattutto per quel che riguarda il crimine in confessionale, e dato che non risultano altre accuse per il periodo dal 1974 in poi. Bertone quindi, a conclusione dell’incontro, riassume le due linee fondamentali da tenere: una restrizione territoriale per il ministero sacerdotale (in pratica padre Murphy deve restare a Superior) e un’azione decisa per ottenere il pentimento del sacerdote, inclusa la minaccia di “dimissione dallo stato clericale”.

Il vescovo di Milwaukee scrive ancora il 19 agosto a mons. Bertone per metterlo al corrente delle misure prese per attuare le linee indicate dalla Congregazione, e informarlo del fatto che la sua diocesi continuerà a farsi carico delle spese per sostenere le terapie alle vittime degli abusi sessuali. Infine, il 21 agosto padre Murphy muore, chiudendo definitivamente il caso.

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Comunicato sulla situazione della Legione di Cristo e del Regnum Christi
Emesso dal Consiglio generale e dai direttori territoriali della Congregazione
ROMA, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il comunicato sulle presenti circostanze della Legione di Cristo e del Movimento Regnum Christi, emesso dal Consiglio generale e dai direttori territoriali della Congregazione religiosa il 25 marzo, Solennità dell’Annunciazione del Signore, al termine della riunione annuale tenutasi a Roma.

 

* * *

Introduzione

Approfittando dell’occasione della riunione annuale dei direttori territoriali con il direttore generale e il suo consiglio, vogliamo dirigerci ai nostri fratelli legionari di Cristo, ai consacrati, alle consacrate e a tutti i membri del Movimento Regnum Christi, ai familiari e agli amici che ci accompagnano in questo momento della nostra storia, e a tutti coloro che sono stati lesi, feriti o scandalizzati per le riprovevoli azioni del nostro fondatore, P. Marcial Maciel Degollado, L.C.

C’è voluto tempo per assimilare questi fatti della sua vita. Per molti – soprattutto per le vittime – questo tempo è stato troppo lungo e doloroso.

In alcune occasioni non abbiamo potuto o saputo venire incontro a tutti come sarebbe stato necessario e come, di fatto, desideravamo. Per questo sentiamo la necessità di divulgare questo comunicato.


1.      In merito ad alcuni fatti della vita del nostro fondatore, P. Marcial Maciel, L.C. (1920-2008)


Abbiamo pensato e sperato che le accuse presentate contro il nostro fondatore fossero false e infondate, dato che non corrispondevano all’esperienza che avevamo della sua persona e della sua opera. Ciò nonostante, il 19 maggio 2006 è stata divulgata una comunicazione della Sala Stampa della Santa Sede come conclusione dell’investigazione canonica che la Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) aveva iniziato nel 2004. In quell’occasione, la CDF era arrivata alla certezza morale sufficiente per imporre sanzioni canoniche gravi corrispondenti alle accuse fatte contro P. Maciel, tra le quali si includevano atti di abuso sessuale a danni di seminaristi minori. Pertanto, profondamente costernati dobbiamo dire che questi fatti sono accaduti.

Infatti, “ la Congregazione per la Dottrina della Fede, […] ha deciso – tenendo conto sia dell’età avanzata del Rev.do Maciel che della sua salute cagionevole – di rinunciare ad un processo canonico e di invitare il Padre ad una vita riservata di preghiera e di penitenza, rinunciando ad ogni ministero pubblico. Il Santo Padre ha approvato queste decisioni” (Comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, 19 maggio 2006).

Successivamente abbiamo saputo che ha avuto una figlia nel contesto di una relazione prolungata e stabile con una donna e altri gravi comportamenti. Più avanti sono apparse altre due persone, tra loro fratelli, che affermano di essere suoi figli, frutto di una relazione con un’altra donna.

Riproviamo questi atti e tutti quelli contrari ai doveri di cristiano, religioso e sacerdote nella vita del P. Maciel e affermiamo che non corrispondono a quello che ci sforziamo di vivere nella Legione di Cristo e nel Regnum Christi.


2.      La Legione di Cristo e il Movimento Regnum Christi davanti a questi fatti


Esprimiamo ancora una volta il nostro dolore e rammarico a tutte e ad ognuna delle persone che sono state danneggiate dalle azioni del nostro fondatore.

Partecipiamo alla sofferenza che questo scandalo ha causato alla Chiesa e ci affligge e ci addolora profondamente.

Vogliamo chiedere perdono a tutte quelle persone che lo hanno accusato nel passato e ai quali non si diede credito o non si seppe ascoltare perché in quel momento non potevamo immaginarci questi comportamenti. Se risultasse che ci sia stata qualche collaborazione colpevole, agiremo secondo i principi di giustizia e carità cristiane responsabilizzando queste persone dei loro atti.

Chiediamo perdono anche ai nostri familiari, amici, benefattori e a tutte le persone di buona volontà che hanno potuto sentire che sia stata ferita la loro fiducia.

D’altra parte, come membri del corpo mistico di Cristo, sentiamo la necessità di espiare con spirito cristiano le sue mancanze e lo scandalo che hanno causato. Per questo invitiamo coloro che formano parte della nostra famiglia religiosa a intensificare la loro preghiera e sacrificio.

È anche un nostro dovere cristiano e sacerdotale continuare a venire incontro alle persone che sono state in qualche modo lese. Ad esse va la nostra maggiore sollecitudine e continuiamo ad offrire il nostro aiuto pastorale e spirituale di cui abbiano bisogno. In questo modo cerchiamo di contribuire alla necessaria riconciliazione cristiana. Al tempo stesso siamo coscienti che Gesù Cristo è l’unico capace di sanare definitivamente e di “fare nuove tutte le cose” (cfr. Ap 21,5).

Dio nei suoi misteriosi disegni ha scelto P. Maciel come strumento per fondare la Legione di Cristo e il Movimento Regnum Christi e ringraziamo Dio per il bene che ha compiuto. Allo stesso tempo accettiamo con dolore che davanti alla gravità delle sue mancanze, non possiamo guardare la sua persona come modello di vita cristiana o sacerdotale.

Ispirandoci nell’esempio di Cristo che condanna il peccato che condanna il peccato ma cerca di salvare il peccatore e convinti del significato e della bellezza del perdono, raccomandiamo il nostro fondatore all’amore misericordioso di Dio.


3.      La visita apostolica

Desideriamo esprimere la nostra gratitudine al Santo Padre, Papa Benedetto XVI, non solo per averci rinnovato “la sua solidarietà e la sua preghiera in questi momenti delicati” (cfr. Lettera del Cardinal Tarcisio Bertone, S.D.B., al P. Álvaro Corcuera, 10 marzo 2009) ma anche per averci offerto lo strumento della Visita Apostolica per aiutarci a “superare le difficoltà esistenti” (ibid.). In questo modo ci auguriamo di dare i passi necessari per consolidare i fondamenti, la formazione e la vita quotidiana dei legionari di Cristo e dei membri del Movimento Regnum Christi.

Ringraziamo i cinque visitatori apostolici, Mons. Ricardo Blázquez, Mons. Charles J. Chaput, OFM Cap., Mons. Ricardo Ezzatti, SDB, Mons. Giuseppe Versaldi e Mons. Ricardo Watty, MSSp per tutto il lavoro che hanno realizzato con tanta dedizione e sollecitudine paterna.

Accoglieremo con obbedienza filiale le indicazioni e le raccomandazioni del Santo Padre frutto della Visita Apostolica e ci impegniamo a metterle in pratica.


4.      Verso il futuro


Dal Capitolo Generale celebrato nel gennaio del 2005, quando fu eletto P. Álvaro Corcuera, L.C. come direttore generale, abbiamo cercato di guidare la Legione di Cristo e Regnum Christi mantenendoci fedeli a tutto ciò che abbiamo ricevuto da Dio ed è stato approvato dalla Chiesa. Riconosciamo con umile gratitudine le benedizioni e i frutti che il Signore ci ha concesso fino ad ora ed assumiamo la responsabilità di approfondire nella comprensione della nostra storia, del nostro carisma e della nostra spiritualità.

Affrontiamo il futuro con speranza sicuri che le nostre vite si appoggiano unicamente su Dio. Confidiamo pienamente in Lui e nell’onnipotenza del suo amore che, come dice San Paolo, “fa concorrere tutte le cose per il bene di coloro che lo amano” (Rom 8,28). Sappiamo che in questo cammino conteremo sull’assistenza dello Spirito Santo e con la materna guida della Chiesa.

Il nostro obiettivo, come individui e come istituzione è amare Cristo, vivere nel suo vangelo ed estendere per il mondo il suo Regno di pace e d’amore. Siamo coscienti che, per ottenere ciò, abbiamo bisogno di un costante rinnovamento, personale e comunitario, nella fedeltà alla tradizione della vita consacrata con il fine di servire meglio la Chiesa e la società. Quest’ultimo periodo ci ha aiutato a riflettere sulla nostra identità e missione e, al tempo stesso, ci ha spinti a rivedere con semplicità e umiltà diversi aspetti della nostra vita istituzionale.

Siamo decisi, tra le altre cose, a:

-       Continuare a cercare la riconciliazione e l’incontro con coloro che hanno sofferto,
-       fare la verità sulla nostra storia,
-       continuare ad offrire sicurezza, soprattutto per i minorenni, nelle nostre istituzioni e attività, sia per quanto riguarda gli ambienti che i procedimenti,
-       crescere nello spirito di servizio disinteressato alla Chiesa e alle persone,
-       collaborare meglio con tutti i pastori e con altre istituzioni all’interno della Chiesa,
-       migliorare la nostra comunicazione,
-       continuare a vigilare sull’applicazione delle verifiche e delle procedure amministrative a tutti i livelli e continuare ad applicare un adeguato sistema di verifiche,
-       raddoppiare il nostro impegno nella missione di offrire il vangelo di Gesù Cristo al maggior numero possibile di persone,
-       e, soprattutto, cercare la santità di vita con rinnovato impegno condotti per mano dalla Chiesa.


Conclusione

Non possiamo terminare questo comunicato senza ringraziare le migliaia di legionari, consacrati e consacrate e tutti i membri del Regnum Christi che con profonda generosità hanno donato e donano le loro vite a Dio al servizio della Chiesa e della società, così come coloro che collaborano nei centri e nelle opere apostoliche. Grazie a loro e al loro lavoro, possiamo dire che Gesù Cristo è oggi più conosciuto ed amato in questo mondo. Allo stesso modo esprimiamo la nostra gratitudine a tutte le persone che ci hanno in ogni momento sostenuti con la loro fede, le loro preghiere e la loro sofferenza unita a quella di Cristo.

Firmiamo questo comunicato oggi, 25 marzo, Solennità dell’Annunciazione del Signore. Che lui ci conceda, per intercessione di sua Madre, la Beata Vergine Maria, la grazia di approfondire nel mistero dell’Amore di Dio fatto uomo e di viverlo e trasmetterlo con rinnovato fervore.

P. Álvaro Corcuera, L.C., direttore generale
P. Luis Garza, L.C., vicario generale
P. Francisco Mateos, L.C., consigliere generale
P. Michael Ryan, L.C., consigliere generale
P. Joseph Burtka, L.C., consigliere generale
P. Evaristo Sada, L.C., segretario generale
P. José Cárdenas, L.C., direttore territoriale del Cile e dell’Argentina
P. José Manuel Otaolaurruchi, L.C., direttore territoriale del Venezuela e Colombia
P. Manuel Aromir, L.C., direttore territoriale del Brasile
P. Rodolfo Mayagoitia, L.C., direttore territoriale del Messico e Centro America
P. Leonardo Núñez, L.C., direttore territoriale di Monterrey
P. Scott Reilly, L.C., direttore territoriale di Atlanta
P. Julio Martí, L.C., direttore territoriale di New York
P. Jesús María Delgado, L.C., direttore territoriale della Spagna
P. Jacobo Muñoz, L.C., direttore territoriale della Francia e dell’Irlanda
P. Sylvester Heereman, direttore territoriale della  Germania e Centro Europa

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Terza predica di padre Cantalamessa per la Quaresima 2010
"Se tornerai a me..."

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 26 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la terza e ultima predica di Quaresima che padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap., ha tenuto questo venerdì mattina nella cappella Redemptoris Mater, alla presenza di Benedetto XVI e dei suoi collaboratori della Curia romana.

Il tema delle meditazioni di quest'anno è "Dispensatori dei misteri di Dio. Il sacerdote, ministro della Parola e dei sacramenti", in continuità con la riflessione sul ministero episcopale e presbiterale iniziata in Avvento.

La precedenti prediche sono state pronunciate il 5 e il 12 marzo.

 

 

* * *

 

1. La crisi del sacerdote

Nella Scrittura troviamo la descrizione della crisi interiore di un sacerdote nella quale molti pastori  di oggi, sono sicuro, si riconoscerebbero. È quella di Geremia che, prima di essere un profeta fu un sacerdote, "uno dei sacerdoti che risiedevano in Anatot" (Ger 1,1).

"Ti ho servito come meglio potevo, mi sono rivolto a te con preghiere per il mio nemico...Io non mi sono seduto assieme a quelli che ridono, e non mi sono rallegrato....Tu sei diventato per me un torrente infido, dalle acque incostanti" (Ger 15, 11-18). In un altro momento la crisi esplode in maniera ancor più aperta: "Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre...Mi dicevo: ‘Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!" (Ger 20, 7-9).

Qual è la risposta di Dio al profeta e sacerdote in crisi? Non un "Poverino, hai ragione, come sei infelice!". "Allora, il Signore mi rispose: "Se tornerai, io ti farò tornare e starai alla mia presenza; se  saprai distinguere ciò che è prezioso da ciò che vile, sarai la mia bocca" (Ger 15, 19). In altre parole: conversione!

Parlando della novità del ministero della nuova alleanza abbiamo visto che essa consiste nella grazia, cioè nel fatto che il dono precede il dovere e che il dovere scaturisce proprio dal dono. Applichiamo ora questo principio fondamentale al ministero sacerdotale. Quello che abbiamo considerato finora costituiva la grazia sacerdotale, il dono ricevuto: ministri di Cristo, dispensatori dei misteri di Dio. Non possiamo concludere le nostre riflessioni senza mettere in luce anche il dovere e l'appello che scaturisce da esso, per così dire l'ex opere operantis del sacerdozio. Tale appello è lo stesso che Dio rivolse a Geremia: conversione!

Credo di interpretare la preoccupazione più volte espressa in passato dal Santo Padre e che ha motivato, almeno in parte, la proclamazione di questo anno sacerdotale, dedicando quest'ultima meditazione alla necessità di una purificazione all'interno della Chiesa, a partire dal suo clero.

L'appello alla conversione risuona nei momenti cruciali del Nuovo Testamento: all'inizio della predicazione di Gesù: "Convertitevi e credete al vangelo" (Mc 1,15); all'inizio della predicazione apostolica, il giorno di Pentecoste: "Che dobbiamo fare, fratelli? E Pietro rispose: "Convertitevi e fatevi battezzare e riceverete lo Spirito Santo!" (At 2, 37). Ma non sono questi i contesti che riguardano più direttamente noi sacerdoti. Noi abbiamo creduto al vangelo, siamo stati battezzati e abbiamo ricevuto lo Spirito Santo. C'è un altro "convertitevi!" che ci riguarda da vicino, quello che risuona all'interno di ognuna delle sette lettere alle chiese dell'Apocalisse. Esso non è rivolto a non credenti o neofiti, ma a persone che vivono da tempo nella comunità cristiana.

Un dato rende queste lettere particolarmente significative per noi: esse sono rivolte al pastore e al responsabile di ognuna delle sette chiese. "All'angelo della chiesa che è in Efeso scrivi": non si spiega il titolo angelo se non in riferimento, diretto o indiretto, al pastore della comunità. Non si può pensare che  lo Spirito Santo attribuisca a degli angeli reali la responsabilità delle colpe e delle deviazioni che vi  sono nelle diverse chiese e che l'invito alla conversione sia rivolto ad essi.

2. "Sii fedele fino alla fine"

Rileggiamo alcune di queste lettere, cercando di cogliere in esse gli elementi di una autentica conversione del clero, diaconi, sacerdoti e vescovi. Iniziamo dalla prima lettera, quella alla chiesa di Efeso. Notiamo anzitutto una cosa. Il Risorto non comincia il suo discorso dicendo ciò che non va nella comunità. Questa lettera, come quasi tutte le altre, inizia mettendo in rilievo il positivo, il bene che si fa nella chiesa: "Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua perseveranza...Sei perseverante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti" (Ap 2, 2).

Solo a questo punto interviene l'appello alla conversione: "Ho  però da rimproverarti di avere abbandonato il tuo primo amore. Ricorda dunque da dove sei caduto, convertiti (metanoeson) e compi le opere di prima". L'appello alla conversione prende l'aspetto di un ritorno al primitivo fervore  e amore per Cristo. Chi di noi sacerdoti non ricorda con commozione il momento in cui ci rendemmo conto di essere chiamati da Dio al suo servizio, il momento della professione per i religiosi, l'entusiasmo dei primi anni di ministero per i sacerdoti? È vero che lì c'era anche il fattore dell'età, la gioventù. Ma in questo caso non si tratta di natura: grazia era allora e grazia può essere oggi. 

"Ti ricordo, scriveva l'Apostolo al discepolo Timoteo,  di ravvivare il dono di Dio che è in te mediante l'imposizione delle mie mani" (2 Tim 1,6) Il termine greco che viene tradotto con "ravvivare" suggerisce l'idea di soffiare sul fuoco perché torni ad ardere, riaccendere la fiamma. In una delle meditazioni di Avvento, abbiamo visto come l'unzione sacramentale, ricevuta nell'ordinazione, può tornare ad essere attiva e operante mediante la preghiera e un soprassalto di fede. Anche l'autore della lettera agli Ebrei ammoniva i primi cristiani a ricordare il loro iniziale entusiasmo: "Ricordatevi di quei primi giorni..." (Eb 10,32).

Della lettera alla chiesa di Efeso riteniamo dunque il pressante invito a ritrovare l'amore e il fervore di un tempo. Un'altra componente della conversione sacerdotale lo troviamo nella lettera alla chiesa di Smirne. Anche qui, il Risorto mette anzitutto in luce il positivo: "Conosco la tua tribolazione, la tua povertà...", ma segue subito l'appello: "Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita".

Fedeltà! Il Santo Padre ha messo questa parola come titolo e programma all'anno sacerdotale: "Fedeltà di Cristo e fedeltà del sacerdote". La parola fedeltà ha due significati fondamentali. Il primo è quello di costanza e di perseveranza; il secondo, è quello di lealtà, correttezza, l'opposto insomma di infedeltà, inganno e tradimento.

Il primo significato è quello presente nelle parole del Risorto alla chiesa di Smirne, il secondo è quello inteso da Paolo nel testo che abbiamo scelto come guida delle nostre riflessioni: "Ognuno ci consideri servitori di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, quel che si richiede agli amministratori è che ciascuno sia trovato fedele" (1 Cor 4, 1-2). Questa parola richiama, forse volutamente, quella di Gesù nel vangelo di Luca: "Chi è l'amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito?" (Lc 12, 42). Il contrario di questa fedeltà è quello che fa, nella parabola, l'amministratore infedele (Lc 16, 1 ss.).

A questa fedeltà si oppone il tradimento della fiducia di Cristo e della Chiesa, la doppia vita, il venir meno ai doveri del proprio stato, soprattutto per quanto riguarda il celibato e la castità. Sappiamo per dolorosa esperienza quanto danno può venire alla Chiesa e alle anime da questo tipo di infedeltà. È la prova forse più dura che la Chiesa sta attraversando in questo momento.

3. "Alla chiesa di Laodicea scrivi..."

La lettera che deve farci riflettere più di tutte è quella all'angelo della chiesa di Laodicea. Ne conosciamo il tono severo: "Conosco le tue opere: tu non sei ne freddo né caldo...Poiché sei tiepido, non sei cioè ne freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca...Sii zelante e convertiti" (Ap 3, 15 s).

La tiepidezza di una parte del clero, la mancanza di zelo e l'inerzia apostolica: io credo che sia questo a indebolire la Chiesa più ancora degli scandali occasionali di alcuni sacerdoti che fanno più chiasso e contro i quali è più facile correre ai ripari. "La grande sventura per noi parroci -diceva il Santo Curato d'Ars - è che l'anima si intorpidisce"[1]. Lui non era certamente nel numero di questi parroci, ma questa sua frase fa pensare.

Non si deve generalizzare (la Chiesa è ricca di sacerdoti santi che compiono silenziosamente il loro dovere), ma guai anche a tacere. Un laico impegnato mi diceva con tristezza: "La popolazione del nostro paese negli ultimi vent'anni è cresciuta di oltre tre milioni di abitanti, ma noi cattolici siamo fermi al numero di prima. Qualcosa non va nella nostra chiesa". E conoscendo quel clero, sapevo cosa non andava: la preoccupazione di molti di loro non erano le anime, ma i soldi e le comodità.

Vi sono luoghi dove la Chiesa è viva ed evangelizza quasi solo per l'impegno e lo zelo di alcuni fedeli laici e aggregazioni laicali che per altro vengono a volte ostacolati e guardati con sospetto. Sono essi spesso che spingono i propri sacerdoti, pagando loro viaggio e soggiorno, a partecipare a un ritiro o a esercizi spirituali che diversamente non farebbero mai.

A volte sono proprio coloro che meno fanno per il regno di Dio  quelli che più ne reclamano i vantaggi. San Pietro e san Paolo, entrambi, hanno sentito il bisogno di mettere in guardia dalla tentazione di atteggiarsi a padroni della fede: "Non spadroneggiate sulle persone a voi affidate, ma fatevi modelli del gregge" (cf. 1 Pt 5,3), scrive il primo; "Noi non vogliamo farla da padroni sulla vostra fede, ma essere collaboratori della vostra gioia", scrive il secondo ( 2 Cor 1, 24).

Ci si atteggia a padroni della fede, per esempio, quando si considerano tutti gli spazi e i locali della parrocchia come cose proprie da concedere a chi si vuole, anziché come beni di tutta la comunità, dei quali si è custodi, non proprietari.

Trovandomi a predicare in un paese europeo  che era stato in passato una fucina di sacerdoti e di missionari e che ora attraversava una crisi profonda, chiesi a un sacerdote del posto qual era secondo lui la causa di ciò. "In questo paese, mi rispose, i sacerdoti, dal pulpito e dal confessionale, decidevano tutto, perfino chi uno doveva sposare e quanti figli doveva avere. Quando si è diffuso nella società il senso e l'esigenza della libertà individuale, la gente si è ribellata  e ha voltato del tutto le spalle alla Chiesa". Il clero si sentiva "padrone della fede", più che collaboratore della gioia della gente.

Le parole rivolte dal Risorto alla chiesa di Laodicea: "Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla, ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo", fanno pensare a un'altra grande tentazione del clero quando viene meno la passione per le anime, è cioè la brama del denaro. Già san Paolo lamentava amaramente: "Omnia quae sua sunt quaerunt, non quae Jesu Christi": tutti cercano il proprio interesse, non quello di Cristo (Fil 2, 21) Tra le raccomandazioni più insistenti agli anziani, nelle Lettere pastorali, c'è quella di non essere attaccati al denaro ( 1Tim 3, 3). Nella Lettera di indizione dell'anno sacerdotale il Santo Padre presenta il Santo Curato d'Ars come modello di povertà sacerdotale. "Egli era ricco per dare agli altri ed era molto povero per se stesso". Il suo segreto era: "dare tutto e non conservare niente".

Nel suo lungo discorso sui pastori[2], sant'Agostino proponeva a suo tempo, per un salutare esame di coscienza, l'apostrofe di Ezechiele contro i pastori negligenti. Non è male riascoltarla, almeno per sapere cosa è si deve evitare nel ministero sacerdotale:

"Guai ai pastori d'Israele che non hanno fatto altro che pascere se stessi! Non è forse il gregge quello che i pastori debbono pascere? Voi mangiate il latte, vi vestite della lana, ammazzate ciò che è ingrassato, ma non pascete il gregge. Voi non avete rafforzato le pecore deboli, non avete guarito la malata, non avete fasciato quella che era ferita, non avete ricondotto la smarrita, non avete cercato la perduta, ma avete dominato su di loro con violenza e con asprezza" (Ez 34, 2-4).

4. "Ecco, io sto alla porta e busso"

Ma anche la severa Lettera alla chiesa di Laodicea, come tutte le altre, è una lettera d'amore. Essa termina con una delle immagini in assoluto più toccanti della Bibbia: "Io tutti quelli che amo, li rimprovero e li educo...Ecco: io sto alla porta e busso".

In noi sacerdoti Cristo non bussa per entrare, ma per uscire. Quando si tratta della prima conversione, dall'incredulità alla fede, o dal peccato alla grazia, Cristo è fuori e bussa alle pareti del cuore per entrare; quando si tratta di successive conversioni, da uno stato di grazia a uno più alto, dalla tiepidezza al fervore, avviene il contrario: Cristo è dentro e bussa alle pareti del cuore per uscire!

Spiego in che senso. Nel battesimo abbiamo ricevuto lo Spirito di Cristo; esso rimane in noi come nel suo tempio (1 Cor 3,16), finché non ne  viene scacciato dal peccato mortale. Ma può succedere che questo Spirito finisca per essere come imprigionato e murato dal cuore di pietra che gli si forma intorno. Non ha la possibilità di espandersi e permeare di sé le facoltà, le azioni e i sentimenti della persona. Quando leggiamo la frase di Cristo: "Ecco io sto alla porta e busso" (Ap 3, 20), dovremmo capire che egli non bussa dall'esterno, ma dall'interno; non vuole entrare, ma uscire.

L'Apostolo dice che Cristo deve essere "formato" in noi (Gal 4, 19), cioè svilupparsi e ricevere la sua piena forma; è questo sviluppo che è impedito dalla tiepidezza e dal cuore di pietra. A volte si vedono ai lati delle strade grossi alberi (a Roma sono in genere pini) le cui radici, imprigionate dall'asfalto, lottano per espandersi, sollevando a tratti lo stesso cemento. Così dobbiamo immaginare che è il regno di Dio nel cuore dell'uomo: un seme destinato a diventare un albero maestoso su cui si posano gli uccelli del cielo, ma che fa fatica a svilupparsi se viene soffocato da preoccupazioni terrene.

Vi sono ovviamente gradi diversi in questa situazione. Nella maggioranza delle anime impegnate in un cammino spirituale Cristo non è imprigionato dentro una corazza, ma per così dire in libertà vigilata. È libero di muoversi, ma dentro limiti ben precisi. Questo avviene quando tacitamente gli si fa capire cosa può chiederci e cosa non può chiederci. Preghiera sì, ma non da compromettere il sonno, il riposo, la sana informazione...; obbedienza sì, ma  che non si abusi della nostra disponibilità; castità sì, ma non fino al punto da privarci di qualche spettacolo distensivo, anche se spinto... Insomma l'uso di mezze misure.

Nella storia della santità l'esempio più famoso della prima conversione, quella dal peccato alla grazia, è  sant'Agostino; l'esempio più istruttivo della seconda conversione, quella dalla tiepidezza al fervore, è santa Teresa d'Avila.  Quello che ella dice di sé nella Vita è probabilmente esagerato e dettato dalla delicatezza della sua coscienza, ma può servire a tutti noi per un utile esame di coscienza. "Di passatempo in passatempo, di vanità in vanità, di occasione in occasione, cominciai a mettere di nuovo in pericolo la mia anima [...]. Le cose di Dio mi davano piacere e non sapevo svincolarmi da quelle del mondo. Volevo conciliare questi due nemici tra loro tanto contrari: la vita dello spirito  con i gusti e i passatempi dei sensi".

Il risultato di questo stato era una profonda infelicità: " Cadevo e mi rialzavo, e mi rialzavo così male che ritornavo a cadere. Ero così in basso in fatto di perfezione che non facevo quasi più conto dei peccati veniali, e non temevo i mortali come avrei dovuto, perché non ne fuggivo i pericoli. Posso dire che la mia vita era delle più penose che si possano immaginare, perché non godevo di Dio, né mi sentivo contenta del mondo. Quando ero nei passatempi mondani, il pensiero di quello che dovevo a Dio me li faceva trascorrere con pena; e quando ero con Dio, mi venivano a disturbare gli affetti del mondo"[3]. Molti sacerdoti potrebbero scoprire in questa analisi il motivo di fondo della propria insoddisfazione e scontentezza.

 Fu la contemplazione del Cristo della passione a dare a Teresa la spinta decisiva al cambiamento che fece di lei la santa e la mistica che conosciamo[4].

5. "Voglio sperare!"

Torniamo, per finire, alla risposta di Dio ai lamenti di Geremia. Dio fa al suo profeta convertito delle promesse che acquistano un significato particolare se lette come rivolte a noi sacerdoti della Chiesa cattolica nell'attuale momento di grave disagio che stiamo attraversando: "Se saprai distinguere ciò che è prezioso da ciò che è vile": cioè, se saprai distinguere ciò che è essenziale da ciò che è secondario nella tua vita, se preferirai la mia approvazione a quella degli uomini; "tu sarai come la mia bocca". "Essi devono tornare a te, non tu a loro": sarà il mondo a cercare il tuo favore, non tu quello del mondo. "Io ti renderò come un muro durissimo di bronzo (questa parola è rivolta ora a lei, Santo Padre); combatteranno contro di te, ma non potranno prevalere, perché io sarò con te" (Ger 15, 19-20).

Quello che occorre in questo momento è un sussulto di speranza; dovremmo tornare a leggere l'enciclica "Spe salvi sumus" del nostro Santo Padre. La Scrittura ci presenta diversi esempi di sussulti di speranza, ma uno mi pare particolarmente istruttivo e vicino alla situazione attuale: la Terza Lamentazione di Geremia. Comincia in tono sconsolato:  "Io sono l'uomo che ha visto l'afflizione sotto la verga del suo furore. Egli mi ha condotto, mi ha fatto camminare nelle tenebre e non nella luce...Io sono diventato lo scherno di tutto il mio popolo, la sua canzone di tutto il giorno. Io ho detto: ‘È sparita la mia fiducia, non ho più speranza nel Signore!" (Lam III, 1-18).

Ma a questo punto è come se il profeta avesse un improvviso ripensamento; dice a se stesso: " È una grazia del Signore che non siamo stati completamente distrutti; le sue compassioni infatti non sono esaurite;  si rinnovano ogni mattina. Grande è la tua fedeltà!  ‘Il Signore è la mia parte, perciò spererò in lui".

E dal momento che prende la decisione "Voglio sperare!", il tono cambia e da cupa lamentazione diventa fiduciosa attesa di restaurazione: "Il Signore è buono con quelli che sperano in lui, con chi lo cerca. È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore.  Porga la guancia a chi lo percuote, si sazi pure di offese!  Il Signore infatti non respinge per sempre;  ma, se affligge, ha pure compassione, secondo la sua immensa bontà;  poiché non è volentieri che egli umilia e affligge i figli dell'uomo" (Lam III, 22-33).

Mi sono trovato a predicare un ritiro al clero di una diocesi americana scosso dalla reazione indiscriminata dell'opinione pubblica di fronte agli scandali di alcuni dei loro membri. Si era all'indomani del crollo delle Torri Gemelle e le macerie materiali sembravano il simbolo di altre macerie. Questo testo della Scrittura contribuì visibilmente a ridare fiducia e speranza a molti.

Cristo soffre più di noi per l'umiliazione dei suoi sacerdoti e l'afflizione della sua Chiesa; se la permette, è perché conosce il bene che da essa può scaturire, in vista di una maggiore purezza della sua Chiesa. Se ci sarà umiltà, la Chiesa uscirà più splendente che mai da questa guerra! L'accanimento dei media - lo vediamo anche in altri casi - a lungo andare ottiene l'effetto contrario a quello da essi desiderato.

L' invito di Cristo: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò", era rivolto, in primo luogo, a coloro che aveva intorno a sé e oggi ai suoi sacerdoti. "Venite a me e troverete ristoro": il frutto più bello di questo anno sacerdotale sarà un ritorno a Cristo, un rinnovamento della nostra amicizia con lui. Nel suo amore, il sacerdote troverà tutto quello di cui si è privato umanamente e "cento volte di più", secondo la sua promessa.

Cambiamo  dunque la iniziale protesta di Geremia in ringraziamento: "Grazie Signore, che un giorno ci hai sedotto, grazie che ci siamo lasciati sedurre, grazie che ci dai la possibilità di ritornare a te e ci riprendi dopo ogni tentativo di fuga. Grazie che affidi a noi "la custodia dei tuoi atri" (Zacc 3, 7) e fai di noi "la tua bocca". Grazie per il nostro sacerdozio!

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[1] Cit. nella Lettera di indizione dell'anno sacerdotale di Benedetto XVI

[2] Cf. Agostino, Sermo 46: CCL 41, pp.529 ss.

[3] Teresa d'Avila, Vita, cc. 7-8.

[4]  Ib.  9, 1-3

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