lunedì 17 maggio 2010

[ZI100517] Il mondo visto da Roma

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Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 17 maggio 2010

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Benedetto XVI riceve in udienza il Presidente della Bolivia
Analisi della collaborazione Chiesa-Stato in educazione, sanità e politiche sociali

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 17 maggio 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha ricevuto questo lunedì in Vaticano il Presidente della Bolivia, Evo Morales, in un'udienza durata 25 minuti.

Il Papa ha dato il benvenuto in spagnolo a Morales, che, accompagnato da una delegazione di sette persone, indossava una giacca nera corta con bordi dorati, in stile andino, e una camicia bianca.

Il Presidente boliviano ha poi incontrato il Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Tarcisio Bertone, e il segretario per i Rapporti con gli Stati, monsignor Dominique Mamberti.

Nel colloquio, sono stati analizzati “alcuni aspetti della situazione del Paese sudamericano, in particolare sulla collaborazione tra la Chiesa e lo Stato in materia di educazione, sanità e politiche sociali a difesa dei diritti dei più deboli”, indica una nota vaticana.

La Santa Sede ha anche sottolineato “un fruttuoso scambio di opinioni su temi attinenti all’attuale congiuntura internazionale e regionale, e sulla necessità di sviluppare una maggiore sensibilità sociale per la tutela dell’ambiente”.

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Udienza di Benedetto XVI alla presidenza del CCEE

ROMA, lunedì, 17 maggio 2010 (ZENIT.org).- Questo lunedì mattina, la presidenza del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) è stata ricevuta in udienza privata da Papa Benedetto XVI. Successivamente i membri della presidenza hanno incontrato il Segretario di Stato, il Cardinale Tarcisio Bertone.

L’incontro con Papa Benedetto XVI, si legge in una nota del CCEE, si è svolto in un clima di grande cordialità. All’inizio dell’udienza il Santo Padre ha più volte ricordato il suo ultimo viaggio in Portogallo con sentimenti di commozione e di gioia.

La discussione è poi proseguita incentrandosi sulla situazione della Chiesa cattolica in Europa; sulla vitalità di alcune diocesi locali (specie di quelle in Paesi in cui i cattolici sono in minoranza); sui problemi a cui la Chiesa deve far fronte e sulle attività e sui “cantieri aperti” dal CCEE per svolgere al meglio la sua missione di annuncio del Vangelo in Europa.

Nel corso dell’udienza, si è anche ricordato come, nei numerosi incontri promossi dal CCEE, l’episcopato europeo ha sempre voluto esprimere la sua comunione con il successore di Pietro ed ha ringraziato sua Santità per il suo magistero illuminato.

Al termine dell’incontro, il Cardinale Péter Erdő, Presidente del CCEE, ha consegnato al Santo Padre una riproduzione dell’icona “Santi per l’Europa”, opera eseguita dal Vicesegretario generale del CCEE, don Ferenc Janka, sacerdote greco-cattolico ungherese. L’icona del CCEE è ampiamente illustrata nel bollettino quadrimestrale del CCEE “gennaio-aprile 2010” delle Litterae communionis. Per maggiore informazioni: www.ccee.ch.

La presidenza del CCEE è costituita dal Cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Esztergom-Budapest e Presidente del CCEE; dai due Vicepresidenti: il Cardinale Josip Bozanic, Arcivescovo di Zagabria e il Cardinale Jean-Pierre Ricard, Arcivescovo di Bordeaux e dal Segretario generale, padre Duarte da Cunha.

Da questo pomeriggio e fino a mercoledì 19 maggio mattina, la presidenza CCEE incontrerà i Presidenti di alcuni Dicasteri della Santa Sede per riflettere sulle questioni dell’Europa e sui progetti del CCEE.

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Cristiani e buddisti promuovano un giusto rapporto tra esseri umani e ambiente
Messaggio vaticano per la festa buddista di Vesakh

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 17 maggio 2010 (ZENIT.org).- La promozione di “un corretto rapporto tra gli esseri umani e l’ambiente” è la proposta che il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso fa ai buddisti nel Messaggio che ha inviato loro in occasione della festa di Vesakh.

Nella festa, la più importante per i buddisti, si commemorano i principali avvenimenti della vita di Buddha.

Quest’anno si celebrerà il 21 maggio in Corea e Taiwan e il 28 maggio in Thailandia, Sri Lanka, Cambogia, Birmania, Malaysia, Laos, Nepal e Viêt Nam. In Giappone è già stata celebrata l’8 marzo scorso.

Il dicastero vaticano auspica che il Messaggio, sul tema “Cristiani e Buddisti onorano la vita umana come base del rispetto per tutti gli esseri umani”, “possa contribuire a rafforzare i legami di amicizia e collaborazione già esistenti tra noi a servizio dell’umanità”.

Porgendo ai buddisti “congratulazioni e auguri cordiali di pace e gioia”, coglie l'occasione della festa di Vesakh “per riflettere insieme su un tema di particolare importanza oggi, e cioè, la crisi ambientale che ha già suscitato notevoli problemi e sofferenze in tutto il mondo”.

“Gli sforzi delle nostre due comunità per l’impegno nel dialogo interreligioso hanno contribuito a creare una nuova consapevolezza dell’importanza sociale e spirituale delle nostre rispettive tradizioni religiose in questo campo”, spiega il testo.

“Riconosciamo di avere in comune una maniera di considerare valori come il rispetto per la natura di tutte le cose, la contemplazione, l’umiltà, la semplicità, la compassione, e la generosità”.

Questi valori, aggiunge il Messaggio, “contribuiscono a una vita di non violenza, equilibrio, e sobrietà”.

La Chiesa Cattolica, prosegue il testo - firmato dal Cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del dicastero, e dall'Arcivescovo Pier Luigi Celata, Segretario -, “considera la tutela dell’ambiente come intimamente legata al tema dello sviluppo integrale della persona umana e, da parte sua, non s’impegna solo nella difesa della destinazione universale dei doni della terra, dell’acqua e dell’aria, ma incoraggia gli altri a unire gli sforzi per proteggere l’umanità dall’autodistruzione”.

“La nostra responsabilità nel proteggere la natura scaturisce, infatti, dal nostro rispetto reciproco e proviene dalla legge scritta nei cuori di ogni uomo e donna. Di conseguenza, quando nella società si rispetta l’ecologia umana, ne trae beneficio anche l’ambiente”.

Cristiani e buddisti, sottolinea il Messaggio, “nutrono un profondo rispetto per la vita umana”.

Per questo motivo, è necessario “incoraggiare gli sforzi miranti a creare un senso di responsabilità ecologica, e riaffermare al contempo le nostre convinzioni condivise circa l’inviolabilità della vita umana in ogni stadio e condizione, la dignità della persona e la missione unica della famiglia, nella quale si impara ad amare il prossimo e a rispettare la natura”.

“Promuoviamo insieme un corretto rapporto tra gli esseri umani e l’ambiente!”, esorta il testo.

“Aumentando i nostri sforzi per la creazione di una coscienza ecologica per una coesistenza serena e pacifica, possiamo dare testimonianza di uno stile di vita rispettoso, che trova senso non nell’avere di più, ma nell’essere di più”.

“Condividendo le prospettive e gli impegni delle nostre rispettive tradizioni religiose, possiamo contribuire al benessere del nostro mondo”, conclude.

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I cattolici siano "testimoni di Cristo nella comunità politica"
XXIV Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici

ROMA, lunedì, 17 maggio 2010 (ZENIT.org).- Il ruolo dei fedeli cattolici nella vita pubblica sarà al centro della XXIV Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici, che si svolgerà a Roma dal 20 al 22 maggio sul tema “Testimoni di Cristo nella comunità politica”.

I lavori verranno aperti dal presidente del dicastero, il Cardinale Stanisław Ryłko, il cui intervento sarà seguito dalle relazioni del Rettore dell’Università Cattolica, il professor Lorenzo Ornaghi, del Cardinale Camillo Ruini, dell’Arcivescovo Rino Fisichella, dello storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, e del professor Guzmán Carriquiry.

Venerdì 21 maggio i partecipanti incontreranno Papa Benedetto XVI, che, come ricorda un comunicato del dicastero, ha più volte sottolineato la necessità di un rinnovato impegno dei cattolici nella vita politica.

Nel discorso inaugurale della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano ad Aparecida (Brasile) nel maggio 2007, ricorda la “Radio Vaticana”, il Papa ha infatti affermato che “i laici cattolici devono essere coscienti delle loro responsabilità nella vita pubblica; devono essere presenti nella formazione dei consensi necessari e nell'opposizione contro le ingiustizie”.

In questo contesto, sottolineava la necessità “di colmare la notevole assenza, nell'ambito politico, della comunicazione e della università, di voci e di iniziative di leader cattolici di forte personalità e di dedizione generosa, che siano coerenti con le loro convinzioni etiche e religiose”.

In occasione della XXIII Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici, l'anno successivo, ricordava invece “la necessità e l’urgenza della formazione evangelica e dell’accompagnamento pastorale di una nuova generazione di cattolici impegnati nella politica, che siano coerenti con la fede professata, che abbiano rigore morale, capacità di giudizio culturale, competenza professionale e passione di servizio per il bene comune”.

Parlando mercoledì scorso al mondo culturale portoghese a Lisbona, il Pontefice ha inoltre ricordato che “c’è bisogno di autentici testimoni di Gesù Cristo, soprattutto in quegli ambienti umani dove il silenzio della fede è più ampio e profondo: i politici, gli intellettuali, i professionisti della comunicazione che professano e promuovono una proposta monoculturale, con disdegno per la dimensione religiosa e contemplativa della vita”.

Sabato 22 maggio interverrà all'Assemblea il segretario del dicastero, monsignor Josef Clemens, la cui relazione affronterà i programmi del Pontificio Consiglio per i Laici per il futuro e compirà un bilancio di quanto compiuto finora.

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Nagaland: una Chiesa tribale
Intervista al Vescovo della zona più cattolica dell'India

KOHIMA (India), lunedì, 17 maggio 2010 (ZENIT.org).- Il Nagaland è uno dei cosiddetti Stati fratelli che si trova nella parte nordorientale dell’India, al confine con la Birmania e, a nord, con i monti himalayani. Nel Nagaland, fino a circa 100 anni fa, abitavano popoli selvaggi e di cultura pagana. Oggi il Nagaland è l’unico Stato dell’India in cui il 90% della popolazione è cristiana.

In questa intervista rilasciata al programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, il vescovo di Kohima, monsignor Jose Mukala, parla della storia del Cristianesimo in quella zona e di quanto la Chiesa debba ai missionari battisti.

Qual è stata la sua prima impressione, al suo arrivo nel Nagaland?

Monsignor Mukala: Ancor prima di andare lì da sacerdote, sono stato nel Nagaland da seminarista. È stato nel 1967 che ho visitato per la prima volta il Nagaland. Era il mio secondo anno da seminarista ed ero sorpreso di trovare chiese in ogni villaggio che attraversavamo. Ci dava gioia trovare Cristiani in ogni dove e vedere chiese collocate nelle zone sopraelevate dei villaggi, di tutti i villaggi. Dopo la mia ordinazione ho lavorato per due anni a Manipur, che si trova vicino al Nagaland, e poi sono stato trasferito al Nagaland per lavorare nel seminario.

Il villaggio è il centro della vita tribale. Cosa ha ancora di così simbolico o significativo il villaggio per le tribù del Nagaland?

Monsignor Mukala: Il villaggio ricopre ancora un ruolo importante nella loro vita perché la gente ci nasce e impara i valori della propria tribù. Il consiglio del villaggio, gli anziani del villaggio, trasmettono ai più giovani i valori tribali e la storia della tribù. Per questo il villaggio è ancora il luogo più importante per loro, che continuano a rappresentare l’autorità.

Più del governo?

Monsignor Mukala: Molto di più del governo, perché loro danno più importanza alle leggi consuetudinarie vigenti nei villaggi e nelle tribù. Così, le controversie sono prima portate davanti alle corti dei villaggi, dove vengono discusse e definite, e solo se ciò non è possibile il caso viene deferito alle autorità statali.

La cultura dei naga, fino a 130 anni fa era una cultura pagana. Quanto è stato difficile, quindi, per i primi missionari evangelizzare la popolazione del Nagaland?

Monsignor Mukala: Non credo che vi siano state difficoltà, perché i missionari cristiani battisti raccontano di essere stati accolti da questa gente. I naga, entrando in contatto con la gente di Assam, ne hanno constatato il progresso e lo sviluppo e la loro convinzione era che il Cristianesimo avrebbe portato sviluppo per la loro vita.

Quindi, le tribù, scese dalle alture, hanno visto gli insediamenti cristiani e hanno visto un qualcosa di più attraente rispetto alla cultura indù?

Monsignor Mukala: Più interessante della cultura indù; per qualche motivo essi non volevano adottare la cultura indù. Non conosco i motivi, ma forse la molteplicità degli dei e altri elementi dell’Induismo non suscitavano interesse in loro. Invece, i missionari cristiani hanno trovato una calorosa accoglienza da parte dei naga.

L’alto elemento di interesse era forse l’istruzione. Hanno parlato frequentemente di istruzione, e forse essa è stata un’altra delle motivazioni dell’accoglienza dei cristiani e ancora oggi vengo sempre accolto in tutti i villaggi e spesso mi chiedono delle scuole. Ma non posso sempre promettere nuove scuole, quando non vi sono comunità religiose. Prima e anzitutto ci prendiamo cura delle comunità e poi, se è a beneficio di tutti, possiamo avviare una scuola.

In effetti, i missionari cattolici non sono stati i primi ad operare nel Nagaland. Si dice che il Nagaland sia lo Stato a maggiore presenza battista in questo angolo del mondo. Ci può dire qualcosa al riguardo?

Monsignor Mukala: Sì, sì, è vero. Si dice. Anche se non l’ho mai visto scritto. Il Consiglio mondiale delle Chiese aveva suddiviso la zona, assegnandola a diverse confessioni, da cui erano esclusi i cattolici.

Questo è avvenuto dopo l’indipendenza?

Monsignor Mukala: È avvenuto ben prima dell’indipendenza. Alcune aree nel nord-est sono state affidate ai luterani e altre ai presbiteriani, mentre il Nagaland, il Manipur e la parte alta del Mizoram sono state assegnate ai battisti.

I cattolici erano stati esclusi?

Monsignor Mukala: Ai cattolici non è stato riservato un posto perché erano già presenti nello Shillone e nell’Assam.

Da dove venivano questi missionari battisti?

Monsignor Mukala: Venivano dall’America, ma si erano insediati inizialmente a Jorhat (nello Stato indiano nord-orientale di Assam) e da lì sono arrivati nella nostra zona e sono entrati in contatto con il primo villaggio.

Secondo lei hanno svolto un buon lavoro?

Monsignor Mukala: Hanno fatto un buono lavoro. Sono andati in tutti i villaggi e tradotto la Bibbia nelle diverse lingue tribali. Quanto perfetta sia questa traduzione è opinabile, ma è comunque la traduzione che stiamo usando ancora oggi.

Vorrei parlare della scolarizzazione perché questa è stata il nucleo centrale. Che importanza ha rivestito l’istruzione per i missionari e per l’accoglimento della Chiesa cattolica in questi villaggi?

Monsignor Mukala: Abbiamo constatato che senza le scuole non siamo in grado di educare i nostri giovani e sono molto grato al primo Vescovo del Nagaland, monsignor Abraham, un salesiano che appena prese servizio disse: “ci serve una scuola”.

Credo sia importante ricordare che l’istruzione, o meglio la mancanza di istruzione, è un enorme problema in queste zone.

Monsignor Mukala: È un problema e mi consenta di dire che esistono scuole pubbliche in ogni villaggio, ma poche sono quelle che funzionano adeguatamente: gli insegnanti o non si presentano oppure non lavorano seriamente e il controllo è inesistente.

Questa era la realtà, ma ora le cose sono cambiate: le comunità si stanno assumendo la responsabilità delle proprie scuole, ma anche in questo caso le nostre scuole e il nostro sistema scolastico è ritenuto migliore e preferito, perché si vede la serietà dell’organizzazione. L’amministrazione e il personale sono molto seri e molto sinceri nel loro lavoro che contribuisce alla qualità del nostro sistema scolastico e questo viene notato. Di conseguenza molti sono interessati a iscriversi nelle nostre scuole anziché nelle loro.

Tuttavia in questo modo si sta verificando un aumento delle spese scolastiche, perché i genitori devono pagare le rette dei propri figli per mandarli nelle nostre scuole. In un certo senso le spese scolastiche si raddoppiano: devono pagare per le loro scuole e per le nostre scuole.

Le scuole cattoliche, tuttavia, sono molto più aperte ai meno fortunati, nel senso che le rette sono meno care rispetto alle altre scuole private.

Monsignor Mukala: Meno care rispetto ad altre scuole private. E' vero. Cerchiamo di venire incontro ai poveri, soprattutto ai nostri bambini cattolici, perché ci teniamo al fatto che siano tutti istruiti.

La povertà è ancora un problema nel Nagaland? Più della malnutrizione o della fame?

Monsignor Mukala: Non direi che la fame sia un grande problema nel Nagaland, perché la gente lavora sodo. Lavorano nei campi e hanno sempre qualcosa da mangiare. La foresta è ricca di cibo e animali. Intorno alla foresta viene praticato lo “jhum”, ovvero ciò che noi chiamiamo “shifting cultivation”, e quindi hanno sempre qualcosa da mangiare. Nessuno muore di fame. Talvolta quando i campi vengono distrutti, per la pioggia o gli smottamenti, i villaggi potrebbero non avere cibo a sufficienza, ma allora i villaggi vicini vengono in soccorso, ma questo è raro.

Di fatto nessuno muore di fame, ma guadagnare denaro è molto difficile per loro. Non hanno possibilità di guadagnare neanche quando riescono ad avere un surplus di produzione, perché non hanno la possibilità di trasportare i beni a un mercato. Per il trasporto servono soldi. La Chiesa ha dato vita a iniziative per aiutarli a mettere sul mercato le loro produzioni, attraverso il nostro centro di assistenza sociale di Dimapur, di cui abbiamo filiali in tutte le parrocchie, ma ancora molto ci resta da fare in merito.

Quindi si vive ancora alla giornata?

Monsignor Mukala: Si vive ancora alla giornata, sì, e questo è un altro grande problema che incide per esempio sulla frequenza scolastica dei bambini. Hanno infatti bisogno di soldi per pagare le rette, le divise e i libri. Un altro problema è il costo delle infrastrutture, ma lavorano sodo e sono molto collaborativi: ci danno quello che possono. Rispetto alle altre Chiese nel resto dell’India, trovo che la nostra gente sia molto più generosa: qualunque cosa loro abbiano, la condividono.

Eccellenza, qual è la più grande difficoltà, il più grande rischio, che si trova ad affrontare nel Nagaland tra la gente delle tribù?

Monsignor Mukala: La mia costante preoccupazione è rivolta alla loro educazione nella fede. Vengono da un passato battista e pertanto non hanno nessuna idea dei sacramenti, del nostro catechismo e della nostra dottrina. Per questo diamo maggiore enfasi alla catechesi, portata avanti in diversi modi con i bambini, i giovani e anche con gli adulti. Questo è uno dei nostri principali impegni e una delle nostre principali sfide.

Eccellenza, quale appello vorrebbe rivolgere alla Chiesa universale?

Monsignor Mukala: Vorrei chiedere ai membri della Chiesa in tutto il mondo di ricordarci nelle loro preghiere, perché la nostra Chiesa diventi una Chiesa missionaria attiva e perché siamo in grado di inviare missionari anche in altre zone. In effetti abbiamo già alcuni missionari originari del Nagaland. Per esempio in Germania abbiamo un viceparroco nella diocesi di Amburgo. Speriamo che molti altri originari del Nagaland e della diocesi del Nagaland possano operare in altre parti del mondo. In secondo luogo, chiederei di aiutarci a educare nella fede i nostri bambini e i nostri adulti.


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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per "Where God Weeps", un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l'organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.




Per maggiori informazioni: www.acs-italia.glauco.it


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Notizie dal mondo


Nel mondo ci sono più di 215 milioni di bambini lavoratori
Per oltre la metà costretti a svolgere attività pericolose

di Nieves San Martín

GINEVRA, lunedì, 17 maggio 2010 (ZENIT.org).- Gli unici posti di lavoro che non sono a rischio nel mondo sono quelli dei bambini. Secondo l'ultimo rapporto dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), la tendenza alla riduzione del lavoro infantile è andata scemando.

Circa il lavoro infantile, infatti, “i progressi non sono sufficientemente rapidi, né sufficientemente ampi”, ha commentato il direttore generale dell'OIL, Juan Somavía.

Ancora oggi, ha ricordato anche il quotidiano vaticano “L’Osservatore Romano”, più di 215 milioni di bambini sono costretti a lavorare, soprattutto nell'agricoltura, per la propria famiglia o per altri, senza alcuna retribuzione.

Per più della metà – 115 milioni – sono impiegati in attività definite pericolose dall'OIL, anche senza giungere alle forme di vera schiavitù: dalla servitù per debiti alla prostituzione, passando per il lavoro nelle miniere o in condizioni ambientali insostenibili.

Tra il 2004 e il 2008, il numero di bambini lavoratori è sceso da 222 a 215 milioni, con un calo di appena il 3%, mentre tra il 2000 e il 2004 la diminuzione è stata del 10%.

La situazione cambia in base all'età. Nella fascia tra i 15 e i 17 anni, si è constatato un aumento dei giovani lavoratori del 20%, da 52 a 62 milioni.

Il maggior progresso si è invece registrato nella fascia tra i 5 ai 14 anni, con una riduzione significativa del 10%, anche se con dati contraddittori, sia per regioni che per tipo di lavoro.

Per queste età, ad ogni modo, il numero di bambini impiegati in lavori pericolosi è diminuito del 31%.

Come in altri aspetti, la situazione più preoccupante si verifica nell'Africa subsahariana, dove un bambino su quattro è costretto a lavorare, spesso svolgendo attività pericolose.

In dati assoluti, la maggior parte dei bambini lavoratori si trova in Asia, mentre la riduzione più significativa è stata registrata in America.

L'OIL ha espresso il timore che la crisi globale allontani ancor di più l'obiettivo di eliminare le peggiori forme di lavoro infantile.

A questo proposito, Juan Somavía ha negato che la recessione economica possa essere un'attenuante o, peggio, una scusa per i ritardi della comunità internazionale nell'eliminare il lavoro infantile.

Il direttore generale dell'OIL ha ricordato che, al contrario, proprio la necessità di lottare contro la crisi offre un'occasione per avviare misure politiche efficaci rivolte alle persone, al recupero e a uno sviluppo sostenibile.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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La nuova web dell'Arcivescovado di Barcellona prepara la visita del Papa
Il Cardinale Martínez Sistach vede nell'iniziativa un'opportunità missionaria

BARCELLONA, lunedì, 17 maggio 2010 (ZENIT.org).- Questa domenica, Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, l'Arcivescovado di Barcellona ha presentato il suo nuovo sito web, www.arqbcn.org, che tra le altre cose serve a preparare la visita di Benedetto XVI a novembre.

La nuova web, in cinque lingue (catalano, spagnolo, inglese, italiano e francese), offre documentazione e notizie sulla vita diocesana dell'Arcidiocesi e sul Cardinale Lluís Martínez Sistach.

“Visto che, come ci ricorda il nostro piano pastorale, abbiamo bisogno che tutta la nostra Chiesa diocesana sia missionaria, anche noi abbiamo voluto avvicinarci al mondo digitale – spiega il porporato in una lettera –. Per questo la Delegazione dei Mezzi di Comunicazione Sociale del nostro Arcivescovado sta lavorando alacremente a una nuova pagina web dell'Arcivescovado”, “una web dinamica, interattiva, con presentazioni multimediali, che permetta una facile navigazione grazie ai suoi molteplici contenuti in cinque lingue... Un mezzo di informazione aggiornato che verrà integrato con l'apporto delle parrocchie e delle varie istituzioni diocesane”.

“Questo rinnovamento contribuirà anche a preparare con più efficacia la prossima visita del Santo Padre Benedetto XVI a Barcellona, il 7 novembre prossimo, in occasione della consacrazione del Tempio della Sagrada Familia”, dichiara il porporato.

Tra le novità, al di là di un design più innovativo e attuale, bisogna sottolineare le gallerie di immagini (foto e video) e l'indicizzazione dei documenti (inclusi archivi pdf) che permettono di realizzare ricerche tematiche e testuali del contenuto di tutta la web.

Presto ci sarà anche un bollettino elettronico mensile di notizie, che con il formato di e-newsletter manterrà viva e dinamica l'informazione ecclesiale. E' già possibile iscriversi al bollettino sulla nuova web.

Per ulteriori informazioni, www.arqbcn.org



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2500 abitanti di una cittadina tedesca, attori per amore di Gesù

di Renzo Allegri


ROMA, lunedì, 17 maggio 2010 (ZENIT.org).- Ogni volta che l'uomo si interessa di Gesù e della sua Passione, il pubblico accorre in massa, attratto e affascinato. Sia che si tratti di eventi strettamente religiosi, come l'esposizione di reliquie, o semplicemente culturali mediante espressioni artistiche come la pittura, la scultura, la letteratura, il teatro, il cinema, la televisione.

In questi giorni si conclude a Torino l'ostensione della Sindone, il Sacro Lenzuolo che secondo un'antichissima tradizione avrebbe avvolto il corpo di Cristo morto, la cui immagine, misteriosa e inspiegabile, è ancora visibile su quella tela. In 43 giorni, due milioni di pellegrini, provenienti da ogni parte del mondo, hanno raggiunto il capoluogo piemontese per rendere omaggio a quell'immagine. Nei mesi di attesa dell'ostensione, sono stati pubblicati in Italia alcune decine di libri sulla Sindone e migliaia di articoli, e tutti hanno avuto un grande riscontro di interesse. In contemporanea all'ostensione, a Torino e in altre città italiane sono state organizzate mostre di dipinti richiamanti la Passione di Gesù, e hanno avuto un numero straordinario di visitatori. Anche in un'epoca fortemente secolarizzata come la nostra, la persona di Gesù e la sua storia esercitano un fascino irresistibile, perfino su coloro che si dichiarano non credenti.

Nei giorni scorsi, e precisamente il 15 maggio, a Oberammergau, in Germania, è iniziato un singolare spettacolo, che si intitola: "La rappresentazione della sofferenza, morte e resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo". Spettacolo che affonda le radici nel Medioevo, e che dal 1634 viene allestito regolarmente ogni dieci anni. E' interpretato dagli abitanti della zona, non ci sono quindi grandi attori che possano attrarre il pubblico, e neppure scenografie di grido, testi d'avanguardia, capolavori poetici, effetti speciali. C'è semplicemente la storia della Passione di Gesù "rappresentata" dal vivo, come è narrata nei Vangeli. Lo spettatore viene "visivamente" riportato indietro nel tempo ed è come se fosse presente a quell'evento che si verificò a Gerusalemme due mila anni fa. Da 376 anni, questo spettacolo attrae un vasto pubblico. Quest'anno sono in programma, fino al 3 ottobre, 102 rappresentazioni e si calcola che saranno seguite da circa mezzo milione di spettatori, un pubblico non inferiore a quello che segue il Festival dell'Arena di Verona, che è lo spettacolo lirico all'aperto più famoso del mondo.

La consuetudine di rappresentare la Passione di Gesù è antichissima. Se ne trovano accenni nelle abitudini delle comunità cristiane dei primi secoli. Era una cerimonia religiosa che nel corso della Settimana santa aiutava a ricordare gli ultimi giorni della storia di Cristo. Il boom di simili rappresentazioni si ebbe nel Medioevo. Poi scemarono. Ma anche ai nostri giorni, nel periodo della Settimana santa, in molte località dei Paesi cattolici, si tengono simili manifestazioni, che sono sempre assai seguite dalla gente.

Oberammergau è una cittadina di circa 5 mila abitanti, che si trova nella Baviera meridionale a pochi chilometri da Garmisch-Partenkirchen, quasi sul confine austriaco. E' una località montana, a 800 metri sul mare, che ha nel turismo, sia estivo che invernale, le maggiori entrate. Ma la sua fama è legata soprattutto alla "Passionsspiele", che fa parlare i giornali di tutto il mondo e che, ad ogni edizione richiama un grande pubblico, vera manna per gli alberghi, i ristoranti, i negozi, la popolazione in genere.

L'origine della "Passionsspiele" si perde nel tempo. Era probabilmente una cerimonia para-religiosa della parrocchia di Oberammergau, che nel 1633 subì un drastico cambiamento. In quegli anni, la Germania era funestata dalle varie fasi della famosa "Guerra dei trent'anni". Una guerra di religione, che vedeva contrapposte due fazioni, cattolici e protestanti, e che nel trentennio che va dal 1618 al 1648 contaminò i vari Stati europei, e da quel trentennio prese il nome. Fu violentissima, tremenda, soprattutto in Germania. Accanto agli eserciti regolari, combattevano truppe mercenarie. Famose per la loro ferocia furono quelle passate alla storia con il nome di Lanzichenecchi. Spesso, quelle truppe non venivano pagate da chi le aveva assoldate, e allora si abbandonavano a saccheggi e distruzioni di ogni genere.

Nel 1633, ai morti ammazzati dalla Guerra dei trent'anni, in Germania si aggiunsero quelli provocati della peste. L'epidemia colpì tutti gli Stati Europei, ed ebbe in Baviera una particolare recrudescenza. Anche gli abitanti del piccolo centro di Oberammergau furono brutalmente decimati. E mentre il morbo infuriava, fecero un voto: se Dio avesse allontanato dalla loro cittadina il flagello della peste, lo avrebbero ringraziato nel corso dei secoli rappresentando, in forma solenne la "Passione e morte di Gesù". Quella cerimonia che era una piccola tradizione del periodo della Settimana Santa nella loro parrocchia, sarebbe diventata l'evento per proclamare di fronte al mondo il loro ringraziamento a Dio. E dal momento che doveva essere una cosa veramente grandiosa, spettacolare, decisero di darle una scadenza decennale, in modo da avere il tempo per prepararla ogni volta con eccezionale grandezza e solennità.

La peste scomparve e la prima rappresentazione venne fatta l'anno successivo, il giorno di Pentecoste del 1634. Fu poi rispettata la scadenza decennale, portata a una data che finisce con lo zero, in modo che fosse più facile ricordarla. Nel corso del Settecento, la manifestazione divenne così famosa da richiamare spettatori da molti altri Stati tedeschi ed europei. All'inizio del l'Ottocento, incontrò ostacoli da parte di correnti anticlericali che volevano sopprimerla, ma non ci riuscirono. Verso la fine dell'Ottocento era di nuovo uno spettacolo di grande richiamo. La rappresentazione del 1870 ebbe un tale successo da incuriosire Ludwig II, il più famoso ed estroverso Re bavarese, amico di Wagner. Egli chiese che si allestisse una rappresentazione soltanto per lui e per i suoi amici. Lo spettacolo venne dato il 25 settembre 1871. Il re ne fu entusiasta e volle a pranzo, nel suo castello di Linderhof, vicino a Oberammergau, gli attori principali. Al termine del pranzo, regalò a ciascuno di loro un cucchiaino d'argento, con l'eccezione di Giuda, al quale diede un cucchiaino di latta.

Nel secolo scorso, la "Passionsspiele" saltò gli appuntamenti del 1920 e del 1940, per le difficoltà economiche provocate dalla due guerre mondiali. La storia ricorda che alla rappresentazione del luglio 1930 erano presenti Hitler, con sua nipote Geli Raubal e Goebbels, il futuro ministro della Propaganda nazista. Mentre in quella del 1950, ospiti d'onore furono Konrad Adenauer, cancelliere della Germania Ovest, e Dwight D. Eisenhower, futuro Presidente degli Stati Uniti d'America.

Nella seconda metà del Novecento, la fama della "Passionsspiele", continuò a crescere, fino a raggiungere i 102 appuntamenti come nel corso dell'attuale edizione.

Le prime rappresentazioni, a cominciare da quella del 1634, si tennero nella chiesa parrocchiale. Ma ben presto, l'afflusso di spettatori, che arrivavano anche dai paesi confinanti, costrinse gli organizzatori ad uscire all'aperto e si scegliere il cimitero che confinava con la chiesa. Nel 1800 fu decisa la costruzione di un teatro che venne inaugurato nel 1815. Costruzione poi modificata e interamente rifatta nel 1930. Attualmente, il teatro si avvale delle più recenti conquiste della tecnica. Ha una capienza di 4.800 posti a sedere e al coperto. Mentre il palcoscenico resta allo scoperto in modo da poter utilizzare, come scenario di fondo, le montagne, il cielo e le nuvole che portano una ricchezza visiva naturale impareggiabile.

Il testo della "Passionspiele" di Oberammergau, risale al 1500, anche se è stato arricchito da numerosi rimaneggiamenti. La rappresentazione inizia con l'entrata in scena di Gesù a Gerusalemme e si conclude con il trionfo della Resurrezione. Le scene si sviluppano in numerosi quadri tratti dai Vangeli e dagli Atti degli Apostoli, che si alternano ad episodi del Vecchio Testamento. I momenti più emozionanti sono naturalmente quelli dell'ultimo giorno di vita di Gesù, con le scene che rappresentano l'arresto nell'orto degli ulivi, la flagellazione, il processo e la crocifissione. Lo spettacolo, che va in scena il martedì, il giovedì, il venerdì, il sabato e la domenica, dura 5 ore, divise in due tempi.

L'azione è accompagnata anche da interventi musicali, composti nell'Ottocento da Rochus Dedler. Secondo una precisa regola, tutti i partecipanti allo spettacolo devono essere nati a Oberammergau, oppure devono abitarvi da almeno 20 anni. Quest'anno, le persone impegnate nello spettacolo sono circa 2.500, di cui 1.800 adulti e oltre 630 bambini. Essendo la popolazione di Oberammergau di circa 5.000 persone, la metà degli abitanti lavora in questo grande spettacolo. E da un anno, tutti si sono lasciati crescere i capelli, gli uomini anche la barba, per poter essere fisicamente più aderenti ai personaggi che devono interpretare.

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Il tema dell'aborto divide i partecipanti al G8
A un mese dal vertice, il premier canadese dice che il tema non verrà affrontato

di Carmen Elena Villa

ROMA, lunedì, 17 maggio 2010 (ZENIT.org).- Il Primo Ministro canadese Stephen Harper e il suo Governo hanno ricevuto forti critiche per aver rifiutato di introdurre il tema dell'aborto nel dibattito del vertice del G8 in programma per la fine di giugno.

Il vertice convoca i leader di otto delle principali economie del mondo: Stati Uniti, Canada, Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia, Giappone e Russia. Tradizionalmente, il Paese ospite (quest'anno il Canada) ha la libertà e la potestà di stabilire l'agenda con i temi da trattare.

Un'agenda che includa la difesa della vita

Nel gennaio scorso, il Governo canadese, presieduto dal Primo Ministro, ha annunciato la sua intenzione di rendere la salute materno-infantile una delle priorità dello sviluppo nel vertice di quest'anno.

Per questo, si è deciso di non includere nelle discussioni del G8 il tema dell'aborto e della pianificazione familiare, concentrandosi sul rafforzamento dei sistemi sanitari nei Paesi in via di sviluppo.

“Vogliamo essere sicuri che i nostri fondi siano impiegati per salvare la vita delle donne e dei bambini e che siano utilizzati nelle molte, molte cose che sono a nostra disposizione e che non dividono la popolazione canadese”, ha dichiarato nei giorni scorsi Stephen Harper, citato da Terréense Mckeegan J.D. sulla pagina del Catholic family and human rights Institute (Istituto cattolico per la famiglia e i diritti umani, ndt.), http://www.c-fam.org/.

Di fronte a questa decisione, l'Arcivescovo di Québec, il Cardinale Marc Ouellet, ha affermato in alcune dichiarazioni alla stampa che il Governo canadese ha mostrato “coraggio nel fare qualcosa di più in Canada in difesa dei concepiti”.

Stephen Harper, cristiano evangelico, ha espresso in varie occasioni la sua posizione contraria all'aborto e alla legalizzazione dei matrimoni omosessuali. Nel luglio dello scorso anno è stato ricevuto in udienza privata da Benedetto XVI. In quell'occasione, si è parlato di temi come la difesa della vita, l'etica e la famiglia.

Lo scorso anno, l'Agenzia Canadese per lo Sviluppo Internazionale ha rifiutato di rinnovare i contratti di finanziamento a due dei maggiori promotori dell'aborto: la Federazione Internazionale per la Pianificazione della Famiglia e Marie Stopes International.

Rifiuto della decisione

Varie ONG e diversi gruppi abortisti del Canada e delle Nazioni che partecipano al vertice hanno respinto la proposta di Harper.

L'opposizione è stata guidata da Maureen McTeer, moglie dell'ex Primo Ministro Joe Clark e rappresentante canadese della White Ribbon Alliance for Safe Motherhood (Alleanza del Nastro Bianco per la Maternità Sicura, ndt), che ha esercitato pressioni sui funzionari del Governo del Canada perché si servano di un rapporto pubblicato da Action Canada for Population Development (Azione Canada per la Popolazione e lo Sviluppo, ndt).

Alla fine di marzo, durante la Riunione dei Ministri degli Esteri del G8 svoltasi a Québec, il Segretario di Stato statunitense Hillary Clinton ha affermato che non ci può essere salute materna senza salute riproduttiva, e che “la salute riproduttiva include la contraccezione e la pianificazione familiare, e l'accesso all'aborto legale e sicuro”.

Viste le forti critiche, il Governo canadese ha deciso di includere il tema della pianificazione familiare nel G8: “La definizione della pianificazione familiare alla quale tutti lavoriamo è la capacità delle donne di distanziare e limitare le gravidanze, e di essere sicure di avere il controllo della propria famiglia”, ha detto Bev Oda, Ministro canadese per la cooperazione internazionale.

La Oda ha ad ogni modo sottolineato che questa misura “non include l'aborto”.

Il Cardinal Ouellet ha dichiarato che il Governo del Canada (Paese in cui l'aborto è stato depenalizzato nel 1988) dovrebbe fare qualcosa di più “per andare avanti e riaprire la discussione in Canada sulla situazione legale dei concepiti, che non hanno alcuna protezione”.

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Sondaggio in Polonia sul pontificato di Giovanni Paolo II

don Mariusz Frukacz

CZESTOCHOWA, lunedì, 17 maggio 2010 (ZENIT.org).- In vista del 90° anniversario della nascita di Karol Wojtyła (18 maggio) il più diffuso settimanale cattolico in Polonia, “Niedziela”, con sede a Czestochowa, ha pubblicato in questi giorni un sondaggio sulle parole, i gesti e i momenti più significatvi del pontificato di Giovanni Paolo II.

Il sondaggio è stato realizzato dall’Istituto di Statistica della Chiesa cattolica sotto la direzione di padre Witold Zdaniewicz, su incarico del settimanale “Niedziela”. L'Istituto ha scelto un campione di circa 500 persone. Secondo i risultati del sondaggio, per 113 cattolici polacchi le parole rimaste più impresse sono: “Scenda il tuo Spirito! E rinnovi la faccia della terra. Di questa Terra!” (2 giugno 1979); per 54 persone le parole più ricordate sono: “Ciò dovete esigere da voi stessi, anche se gli altri non lo esigessero da voi” (18 giugno 1983); mentre per 34 persone la frase più memorabile è: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!” (22 ottobre 1978).

Per quanto riguardo i gesti e i momenti più significativi del pontificato di Giovanni Paolo II 30 persone hanno detto di ricordare bene il primo saluto del Papa polacco sulla loggia della Basilica di San Pietro (16 ottobre 1978); 28 persone hanno detto di ricordare invece i giorni della morte e del funerale di Giovanni Paolo II; 24 persone ricordano il 27 marzo 2005, il giorno di Pasqua in cui il Papa affacciandosi dal suo studio per la benedizione Urbi et Orbi non riuscì a parlare; per 19 degli intervistati la scena più toccante è stata quando Giovanni Paolo II sofferente ha tenuto stretta a sé la Croce per la Via Crucis al Colosseo; 27 degli intervistati ricordano infine l’attentato in piazza San Pietro e l’incontro del Santo Padre con Alì Agca.

Secondo i risultati del sondaggio il 65,8% dei cattolici polacchi prega per l’intercessione di Giovanni Paolo II; il 21,4% ha partecipato a 2 pellegrinaggi del Santo Padre in Polonia; il 17,7% ha partecipato a 3 pellegrinaggi del Papa nella sua terra natale; mentre l'1,5% dei cattolici ha partecipato a 8 pellegrinaggi.

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Italia


Andare controcorrente obbedendo a Dio e al Papa
Il Cardinale Bagnasco scuote il laicato cattolico

di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 17 maggio 2010 (ZENIT.org).- Andare controcorrente, senza timore dell’anticonformismo, coerenti con la fede in Gesù, obbedienti a Dio che riempie la vita. Con queste parole, domenica 16 maggio, il Cardinale Angelo Bagnasco ha terminato l’omelia tenuta nella Basilica di San Paolo Fuori le mura, nel corso di una celebrazione per il laicato convenuto al “Regina Coeli” con il Pontefice Benedetto XVI.

“Al centro di questa festa dell’Ascensione, e di questa intensa giornata, noi troviamo Cristo”, ha sottolineato il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI).

“È grazie a Lui - ha aggiunto -, grazie al mistero del suo ascendere presso il Padre, che noi riusciamo a comprendere il senso, il significato della presenza di Pietro nella Chiesa e nel mondo di oggi”.

“Con l’Ascensione al Cielo, - ha spiegato l’Arcivescovo di Genova - Cristo non ha preso le distanze. Anzi, grazie al suo essere con il Padre, Egli è prossimo a ciascuno di noi. E ognuno di noi può rivolgersi a Lui, chiamarLo per nome, essere a portata della sua voce, trovarsi – se vuole - vicino al suo cuore. E se non vuole, può allontanarsi interiormente da Lui, può voltarGli le spalle, senza però che il Signore lo abbandoni, perché Egli ci aspetta sempre, non vede l’ora che noi siamo con Lui. Che noi siamo il suo Cielo, il suo Paradiso!”.

Facendo riferimento alla storia della Chiesa il porporato ha ricordato che “il Cristo Risorto ha bisogno di testimoni che lo abbiano incontrato, che siano stati con Lui, L’abbiano toccato con mano, e possano raccontarLo. Così, attraverso questa dinamica, la Chiesa è cresciuta da Gerusalemme fino agli estremi confini della terra - a cominciare da Pietro e Paolo, dal luogo del loro martirio - fino a tutti coloro che, ricolmi dello Spirito, lungo i secoli hanno acceso e accederanno la fiamma della fede”.

Passando ai nostri giorni il Presidente della CEI ha affermato: “Noi possiamo dire di aver incontrato lungo la nostra strada, lungo la strada della nostra vita, Chi ha avuto l’esistenza accesa da Gesù Cristo”.

Parlando del Concilio Vaticano II e dei Pontefici Giovanni XIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e II, Papa Benedetto XVI, l’Arcivescovo di Genova ha quindi aggiunto: “noi siamo testimoni della loro fede, e più volte abbiamo avuto la percezione che fosse questa loro fede a portare avanti la Chiesa”.

Il Cardinale Bagnasco ha poi sottolineato che “la fede di Pietro, di ‘questo’ Pietro ci edifica. Siamo come attoniti dinanzi alla sua umiltà, alla sua dolcezza, alla sua pazienza. L’abbiamo visto caricarsi sulle spalle la Croce di tutti noi, e si è messo avanti a noi a portarla, un po’ anche per noi renitenti, per noi distratti, per noi confusi”.

Perchè, come ha detto ai Vescovi portoghesi: “il Papa ha bisogno di aprirsi al mistero della Croce, abbracciandola quale unica speranza e ultima via per guadagnare e radunare nel Crocifisso tutti i suoi fratelli e sorelle in umanità”.

Parafrasando il Pontefice Benedetto XVI, il Presidente della Cei ha ribadito “il Papa vive non per sé, non per la sua gloria mondana, non per gli onori del suo ruolo, non per racimolare il consenso facile, egli vive per rivelare al mondo la presenza di Dio. Che Dio c’è, e che questa è la certezza che medica e guarisce”.

“Per questo motivo – ha sottolineato – ogni cristiano, a suo modo, può e deve essere testimone del Signore Risorto” e rivolto ai fedeli ha affermato “bisogna che diventiate con me testimoni della risurrezione di Gesù”.

Rivolgendosi ai presenti, il Cardinale Bagnasco ha chiesto ad alta voce “volete voi, laici cattolici, reagire all’insidia del torpore, alzarvi in piedi, e unirvi al Pastore della Chiesa, per testimoniare davanti al mondo contemporaneo che Cristo è il Signore?”.

“Testimoniare con il Papa che Cristo è Risorto e per questo è il Signore, non è una cosa facile, nessuno si illuda”, ha constatato. “Ma proprio per questo, amici, proprio perché non è facile, oso sperare che deciderete di starci e di giocarvi senza riserve. Di non lasciar solo Pietro”.

In questo contesto l’Arcivescovo di Genova ha lanciato un appello ai movimenti affinché siano autentici testimoni di Gesù Cristo, soprattutto in quegli ambienti umani dove il silenzio della fede è più ampio e profondo: i politici, gli intellettuali, i professionisti della comunicazione che professano e promuovono una proposta monoculturale, con disdegno per la dimensione religiosa e contemplativa della vita.

Il Cardinale Bagnasco ha indicato le associazioni e i movimenti presenti come “una scuola provvidenziale” che in un momento di fatica della Chiesa rappresentano “una nuova primavera generata dalla Spirito”.

L’Arcivescovo di Genova ha chiesto fede, tradizione e docilità alla guida dei Pastori, per “uscire dal chiuso dei vostri ambienti e andare nel mondo” per essere nella società quali “testimoni radiosi della Risurrezione”.

“Sempre alla scuola del Santo Padre – ha sottolineato il porporato - dobbiamo imparare ad andare, quando serve, controcorrente, ad essere portatori di un’idea diversa, di un punto di vista alternativo”.

Ed ha concluso: “non possiamo aver timore dell’anticonformismo, quando questo è esigito dalla coerenza con la nostra fede. Non è per il gusto di opporci a qualcuno, ma per amare tutti, innanzitutto per obbedire a Dio. Solo Lui può riempire il cuore e la vita. Solo Lui ci basta”.


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Interviste


Indagine sulla pedofilia nella Chiesa
Intervista a Lorenzo Bertocchi, studioso di storia del cristianesimo


di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 17 maggio 2010 (ZENIT.org).- Quanti casi di pedofilia si sono registrati all’interno della Chiesa cattolica? E quanti sono quelli verificatisi nella società? Chi promuove una cultura della pedofilia? E come ha fatto questa cultura a contaminare anche parti della Chiesa cattolica?

Per rispondere a queste come ad altre domande su un tema così delicato e spinoso Francesco Agnoli, Massimo Introvigne, Giuliano Guzzo, Luca Volonté e Lorenzo Bertocchi hanno appena pubblicato il saggio “Indagine sulla pedofilia nella Chiesa” (edizioni Fede & Cultura)

Per approfondire il tema in questione, ZENIT ha intervistato uno degli autori, Lorenzo Bertocchi, studioso di storia del cristianesimo, collaborare del blog www.libertaepersona.org/dblog/.

Quanti sono i casi di pedofilia nella Chiesa?

Bertocchi: Se anche vi fosse un solo caso è ovvio che sarebbe già troppo e all’interno della Chiesa chi ha dimostrato di aver idee ben chiare a tal proposito è proprio Benedetto XVI. Ciò premesso credo sia utile capire le dimensioni del fenomeno e nella prima parte del libro (“Indagine sulla pedofilia nella Chiesa” – Ed. Fede e Cultura) Massimo Introvigne ci aiuta a inquadrare il problema. Negli Stati Uniti ad esempio, secondo autorevoli indagini accademiche, dal 1950 al 2002 i sacerdoti accusati di effettiva pedofilia risultano 958 su oltre 109.000 preti, ma le condanne si riducono drasticamente fino ad un numero di poco inferiore a 100.

Padre Lombardi, in una sua dichiarazione del 10 marzo scorso, citava il caso dell’Austria dove, in uno stesso arco temporale, le accuse accertate e riconducibili alla Chiesa ammontano a 17, mentre per altri ambienti si sale a 510. Questi numeri possono dire molto o nulla, tuttavia mostrano senz’altro una tendenza che permette di sgonfiare l’ipotesi che per la Chiesa Cattolica vorrebbe fare “di tutta l’erba un fascio”.

Meriterebbe poi un discorso a parte il tema delle false accuse, come ad esempio i casi di don Giorgio Covoni, di due suore bergamasche, di padre Kinsella e suor Nora Wall in Irlanda, tutti accusati di abusi e poi assolti. Questi fatti sono importanti perché testimoniano le dinamiche non sempre chiare in cui prende corpo l’accusa.

E nella società?

Bertocchi: Leggendo i dati sembra che la piaga pedofilia sia veramente diffusa e impressionante. In un rapporto dell’OMS - Global Estimates of Health Consequences due to Violence Against Children (Ginevra, Organizzazione Mondiale della Sanità, 2006) - si indica ad esempio che per il 2002 nel mondo si potevano stimare circa 150 milioni di bambine e 73 milioni di bambini minorenni costretti in diverse forme di abuso nell’ambito sessuale.

Un rapporto ONU, presentato all’Assemblea generale il 21 luglio 2009, focalizza, invece, l’attenzione sulla situazione nel web: su scala mondiale il numero di siti on-line di natura pedo-pornografica cresce a ritmi vertiginosi, ad esempio se nel 2001 erano 261.653, nel 2004 se ne recensivano ben 480.000, tendenza che viene confermata anche consultando i report annuali dell’Associazione Meter di don Di Noto.

Questo dato relativo ad Internet mi sembra paradigmatico visto il ruolo ormai assunto dal web nella nostra vita sociale. Prende così consistenza l’idea che il tipo di campagna mediatica condotta per far passare la Chiesa Cattolica come luogo per eccellenza della pedofilia contenga una buona dose di pregiudizio.

Quale cultura promuove la pedofilia?

Bertocchi: Al centro del problema c’è quella “cultura del sesso” che, specialmente a partire dal cosiddetto ’68, ha promosso una vera e propria rivoluzione tesa ad “abolire i tabù”. La diffusione della pornografia, che in qualche modo rappresenta la bandiera di questa rivoluzione, è sotto gli occhi di tutti. La mentalità dominante oggi è quella che giustifica la pratica di unioni sessuali di ogni tipo, frutto di un pensiero che trova le sue radici in De Sade, Freud, Fromm, Reich, Marcuse, ecc., quelli che potremmo definire profeti dell’esaltazione dell’orgasmo.

Nel nostro libro è Francesco Agnoli che porta diversi esempi di come ancora oggi questa cultura sia viva e rappresentativo è il caso del partito olandese pro-pedofili da poco sciolto per carenza di firme e non per divieto legale. In radice la rivoluzione sessuale di quegli anni si poneva l’obiettivo di attaccare ogni tipo di autorità, a partire da quella di Dio e questo purtroppo ha lasciato un segno anche all’interno della Chiesa.

Come, quando e perchè la cultura favorevole alla pedofilia è penetrata nei seminari e nella Chiesa?

Bertocchi: L’indicazione la può fornire proprio la lettera che Benedetto XVI ha scritto ai cattolici d’Irlanda dove, oltre ad affrontare il problema di casi di pedofilia nel clero irlandese, il Santo Padre ricerca anche le radici del fenomeno. Nel suo argomentare egli fa riferimento anche al fatto che “il programma di rinnovamento proposto dal Concilio Vaticano II fu a volte frainteso”. Sicuramente c’è un richiamo a quel periodo degli anni ’60/’70 del secolo scorso in cui la cosiddetta “apertura al mondo” ha condotto la Chiesa ad un indebolimento della fede e ad una progressiva secolarizzazione.

L’attacco sociale condotto al principio di autorità, famoso lo slogan “vietato vietare”, si è insinuato nella Chiesa e così nei seminari dove una certa interpretazione ha finito per confondere la disciplina con il dialogo; il risultato è stato una maglia più larga nella selezione dei candidati al sacerdozio.

Il Card. Caffarra a tal proposito ha precisato: “che la Chiesa si dia dei criteri per discernere chi ammettere e chi non ammettere al sacerdozio è un diritto che nessuno può ragionevolmente negarle” (“La Verità chiede di essere rivelata” – Rizzoli 2009). Oggi più che mai questo diritto va esercitato. Chi pensasse però che il problema è il celibato dei preti dovrebbe quantomeno spiegare come mai nel clero protestante, che può sposarsi, vi siano casi di abusi sessuali non inferiori a quelli del clero cattolico.

Perchè la pedofilia organizzata e praticata con il turismo sessuale non fa rumore e non si riesce a fermare?

Bertocchi: Una indagine dell’ECPAT ha rilevato che nel mondo circa 80 milioni di turisti all’anno si muovano in cerca di un’offerta sessuale. Secondo Intervita – Onlus italiana – sarebbero 10 milioni i minori coinvolti in questo mercato planetario che muove un giro d’affari stimato in 12 miliardi di dollari.

L’indagine dell’Università di Parma realizzata per ECPAT indica l’identikit del “turista tipo” che non è certo un mostro: nel 90% dei casi ha tra i 20 e i 40 anni, di cultura medio alta, buon livello di reddito, molto spesso è sposato. Le vittime, invece, hanno un’età compresa fra gli 11 e i 15 anni nel caso delle bambine e 13 – 18 per i maschi.

Questo tipo di “turismo” in molti paesi è considerato un reato, ma ciononostante si tratta di un’industria molto florida e proprio per il fatto di essere “un’industria” rende difficile fermare il fenomeno. Però c’è anche un motivo più radicale che va indagato in quella “cultura del sesso” di cui parlavo poco fa, vi sono espressioni politiche che sono portabandiera di tematiche nate in quella “cultura” e che si muovono come una vera e propria lobby.

Qual è il confine tra realtà e falso moralismo?

Bertocchi: Gran parte delle nostre società post-moderne ormai accetta o giustifica la distruzione di embrioni in quanto non li considera esseri umani, commercia in ovuli e spermatozoi come fossero biscotti, teorizza la mascolinità e la femminilità come semplici etichette culturali, diffonde la pornografia come una forma di divertimento e vorrebbe fare della morte assistita una scelta nobile.

Per una sorta di perversione della verità oggi ci troviamo di fronte ad una confusione etica di proporzioni tali che la realtà si perde nel soggettivismo. Così appunto vediamo che la condanna del comportamento immorale dei religiosi proviene dallo stesso ambiente culturale che è pronto ad accettare ogni arbitrio del singolo. Le ragioni sono di tipo ideologico, ma anche di tipo economico come dimostrano quegli studi legali americani che hanno guadagnato miliardi di dollari grazie all’uso spregiudicato dell’accusa di pedofilia.

Come valutare la linea di tolleranza zero adottata dal Pontefice Benedetto XVI?

Bertocchi: La determinazione del Santo Padre a voler fare chiarezza mi pare esemplare, indica una via di trasparenza che non solo è valida per la Chiesa, ma lo dovrebbe essere per tutti i settori della società che hanno avuto o hanno a che fare con questo triste fenomeno.

Nelle meditazioni per la Via Crucis del 2005 l’allora Card. Ratzinger mostrava chiaramente la necessità di “far pulizia” dentro la Chiesa, volontà però non giustizialista, ma desiderio di vera giustizia per far risplendere ancora di più la Sposa di Cristo “una, santa, cattolica e apostolica”.

Questo “stile” lo si può riscontrare in tutto il magistero di Benedetto XVI, la sua ricetta di purificazione si muove a 360°: l’ermeneutica della continuità, l’allargamento della razionalità, l’esempio del Curato d’Ars per l’Anno sacerdotale, l’attenzione alla liturgia, la tolleranza zero contro lo scandalo pedofilia, ecc. Il problema semmai è quello di leggere il suo insegnamento prendendo solo ciò che è più vicino alle proprie idee, omettendo di considerarlo integralmente.

In che modo la Chiesa cattolica potrà superare lo sgomento e la sfiducia così largamente diffusi tra la gente?

Bertocchi: Tutti i cattolici sono chiamati a ritornare ai fondamenti della fede per essere autentici testimoni del Signore Risorto o, come dice Luca Volontè, “chiara deve essere la coscienza della compagnia di Cristo” che ci accompagna quotidianamente. Nel suo recente viaggio apostolico a Fatima il Santo Padre ha affermato che la Chiesa soffre per cause “interne”.

Certamente faceva riferimento alle ferite provocate dai casi di abusi sessuali, ma credo anche alla necessità di una chiarezza dottrinale essenziale per un ritorno ai fondamenti. Oggi purtroppo questa chiarezza non è scontata e anche questo confonde la gente.

Mi trovo d’accordo quindi con le conclusioni che indica Agnoli nel saggio: preghiera, recupero del senso del soprannaturale, efficace esercizio del governo della Chiesa e, aggiungo, un profondo recupero del senso del peccato. “Il vero nemico da temere e da combattere è il peccato, il male spirituale, che a volte, purtroppo, contagia anche i membri della Chiesa” ha detto Benedetto XVI dopo il Regina Caeli del 16 maggio.

Disgraziatamente in molta catechesi il tema “peccato” è sempre meno di moda, travolto da tanta psicologia e tanta sociologia. Riconoscersi peccatori però è la via per accogliere la Misericordia di Dio. Carità nella Verità, non c’è altro modo per donare speranza agli uomini del nostro tempo.

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Forum


Chiesa, mass media e pedofilia

ROMA, lunedì, 17 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'editoriale di Claudio Gentili sul tema “Chiesa, mass media e pedofilia” che appare sul n. 2 del 2010 de “La Società”, la rivista scientifica di studi e ricerche sulla dottrina sociale della Chiesa (www.fondazionetoniolo.it).

 



* * *

Per settimane i mass media del mondo intero si sono occupati del tema degli abusi sessuali su minori commessi da alcuni sacerdoti in varie parti del mondo. L’analisi dei fatti, visti con il distacco dell’osservatore, da lontano e non a caldo, può riservarci interessanti sorprese.

Per prima cosa, la gravità oggettiva degli episodi di cui si è occupato in primis il New York Times e poi, a seguire, la grande stampa internazionale. Al di là dell’accanimento giudicante, verso la Chiesa e il Santo Padre, che non riesce a celare comprensibili motivi di inimicizia, unanime è la riprovazione per l’aberrazione dell’abuso sessuale sui minori. Ed è proprio questo unanime sentimento di condanna a rivelarsi un dato prezioso e a suggerirci alcune riflessioni.

In primo luogo emerge un dato sorprendente: l’uomo del nostro tempo, tempo di relativismo e di nichilismo, in cui tutto è permesso e in cui la libertà sembra identificarsi con il libertinismo, conserva in realtà la coscienza del bene e del male.

Gridare allo scandalo pedofilia nella Chiesa rivela che la coscienza dell’uomo, ieri come di oggi, riconosce il male come tale, lo chiama per nome e lo denuncia. C’è dunque una verità che grida nel cuore umano contro ciò che è inumano. L’uomo non si accontenta di verità puramente soggettive, esiste una verità che si impone come tale alla coscienza, che la coscienza non crea ma è costretta a riconoscere come tale. L’uomo sa riconoscere il male come male e lo condanna. In modo particolare quando ciò avviene nella Chiesa.

Perché? Perché la Chiesa riflette la luce di Cristo - lumen gentium sul proprio volto, diventando essa stessa "luce" del mondo, nel momento in cui proclama il Vangelo, la lieta notizia del bene supremo, dell’amore del Padre che si dona nel Figlio per ciascuno di noi. La Chiesa illumina il cuore dell’uomo attraverso il Vangelo che annuncia nonostante il suo essere “nel” mondo con tutta la drammaticità che questo comporta anche in ordine al peccato del mondo. Alla luce del Vangelo, il male, anche quello commesso dai suoi ministri, appare in tutta la sua mostruosa malvagità e come tale viene riconosciuto in tutta la sua potenza distruttrice della dignità della persona umana. Nell’istituzione che porta al mondo la luce anche la più modesta polvere appare in tutta la sua pesantezza. Perciò la Chiesa fa bene, malgrado tutto, malgrado anche al suo interno l’uomo riveli l’inquinamento del suo cuore, a proclamare che il male esiste, che non viene dall’esterno, ma viene dal cuore stesso dell’uomo e inquina tutte le sue azioni, tutte le sue relazioni.

Questi fatti offrono anche altri motivi di riflessione. Ci dicono che la Chiesa deve svolgere il suo compito profetico e non smettere mai di richiamare l’uomo, dentro e fuori la Chiesa, ad una continua conversione di vita, perché il cuore dell’uomo è incline al male. Essa stessa si proclama semper reformanda. La sua fedeltà a Cristo si misura nella attenzione ai piccoli. Di più. La Chiesa oggi è chiamata a essere profetica a partire dalle sue stesse ferite, che sono le nostre, e che possono diventare feritoie attraverso cui passa l’amore di Dio che trasforma il cuore dell’uomo.

Nell’Anno Sacerdotale è urgente per la Chiesa proclamare ad intra e ad extra senza titubanze: “spalancate le porte a Cristo e alla sua misericordia redentrice”. Sono proprio questi terribili fatti che mostrano come il cuore dell’uomo può cedere a mostruose spinte che lo portano a compiere atti a dir poco disumani. Ma proprio questo, oltre a seguire all’invito alla conversione, mostra come tutti abbiamo bisogno di un Salvatore, di una misericordia più grande del nostro peccato.

Come può la Chiesa navigare in queste acque agitate conservando una rotta sicura e rispondendo all’evangelico richiamo “Duc in altum”, prendi il largo, senza farsi bloccare da complessi di inferiorità o da derive autoreferenziali?

Esemplare a tale proposito è il richiamo nella Via Crucis del 2005 dell’allora Cardinal Ratzinger alla sporcizia che è nella Chiesa e all’esigenza di purificazione, di pentimento e di conversione. Di fronte a certi attacchi la migliore difesa non è sminuire ma far pulizia. E la lettera ai cattolici irlandesi di Benedetto XVI riprende esattamente i toni di quella mirabile Via Crucis del 2005.

Come ha ricordato in un coraggioso editoriale letto il 9 aprile 2010 alla Radio Vaticana il portavoce del papa, Padre Lombardi, “una delle cose che colpisce di più è che oggi vengono alla luce tante ferite interiori che risalgono anche a molti anni addietro, a volte di diversi decenni, ma evidentemente ancora aperte. Molte vittime non cercano compensi economici, ma aiuto interiore, un giudizio nella loro dolorosa vicenda personale. C’è qualcosa che va ancora capito veramente. Dobbiamo fare una esperienza più profonda di eventi che così negativamente hanno inciso nella vita delle persone, della Chiesa e della società. (…) Accanto all’attenzione per le vittime bisogna poi continuare ad attuare con decisione e veracità le procedure corrette del giudizio canonico dei colpevoli e della collaborazione con le autorità civili per quanto riguarda le loro competenze giudiziarie e penali, tenendo conto delle specificità delle normative e delle situazioni dei diversi paesi”.

Per esercitare un discernimento profondo di questi fenomeni e guardare con sguardo lungo alla presente temperie della vita della Chiesa mi vengono alla memoria due memorabili discorsi di Papa Roncalli e di Papa Montini.

Sono discorsi che possono essere letti nella luce del Vangelo e dei segni dei tempi. Parlano di noi, dei nostri peccati e dei nostri pastori. Parlano di paura e di speranza, di fiducia e di timore. Ci ricordano Pietro e i discepoli atterriti per la tempesta e Gesù che calma le acque.

“Gaudet Mater Ecclesia” è la celebre allocuzione di Giovanni XXIII all’inizio del Concilio Ecumenico Vaticano II.

“Venerabili padri e fratelli, gioisce – affermava il papa buono l’8 ottobre 1962 - la madre Chiesa alla chiarezza di questo giorno che la divina provvidenza ci dona (…). Sovente nel quotidiano adempimento del ministero apostolico, al mio orecchio giungono voci che non trovano risonanza nel mio cuore. Sono voci di persone ardenti di zelo per la religione ma che non valutano i fatti con sufficiente equanimità e prudenza. I tempi presenti? Sono tutti rovine e sciagure. I tempi passati? In confronto ad essi siamo passati in un chiaro peggioramento. Chi parla così si comporta come se nulla ci sia da imparare dalla storia , maestra di vita; e come se, al tempo dei precedenti Concili, tutto sia andato a gonfie vele a proposito di dottrina cristiana, di moralità, di giusta libertà della Chiesa. A me pare di dover apertamente dissentire da questi profeti di sventure, che vanno pronosticando eventi sempre più infausti, come se incombesse ormai la fine del mondo”.

Il secondo memorabile discorso è quello pronunciato da Paolo VI il 7 dicembre 1965, vigilia della chiusura del Concilio: “noi ricordiamo come nel volto di ogni uomo, specialmente se reso trasparente dalle sue lacrime e dai suoi dolori, possiamo e dobbiamo ravvisare il volto di Cristo (cfr. Mt 25,40), il Figlio dell’uomo, e se nel volto di Cristo possiamo e dobbiamo ravvisare il volto del Padre celeste: “chi vede me – disse Gesù – vede anche il Padre” (Gv 14,9), il nostro umanesimo si fa cristianesimo, e il nostro cristianesimo si fa teocentrico tanto che possiamo altresì annunciare: per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo”.

Il volto di Cristo anche in questa temperie per la vita della Chiesa è reso trasparente dalle lacrime di chi soffre, dei bambini soprattutto.

Certi attacchi gratuiti alla Chiesa, spesso immeritati, non ci possono far dimenticare le critiche meritate e l’esigenza, che Papa Benedetto continua a ribadire, di purificazione, pulizia, conversione. Fare pulizia significa anche rinnovare profondamente i seminari, ripensare la formazione e l’educazione affettiva dei sacerdoti, preparare il terreno, sulle orme del Curato d’Ars, a una generazione di sacerdoti liberi dal clericalismo, aperti alla dimensione sociale del loro ministero, capaci di donarsi senza riserve e in cui rifulga lo spirito del Vangelo.

Un’ultima riflessione sul futuro della Chiesa e sulle caratteristiche del pontificato di Benedetto XVI.

Su un periodico, di norma niente affatto tenero con la Chiesa, (il settimanale L’Espresso del 23 aprile 2010) proprio accanto alla prevedibile e conformista intervista al “teologo di corte” dei salotti radical chic Vito Mancuso, è apparsa una intelligente riflessione del Vaticanista Sandro Magister. “Il mite papa Benedetto - scrive Magister - passerà alla storia per parole e atti di grande audacia. Con la lezione di Ratisbona svelò dove affonda la radice ultima della violenza religiosa, in un’idea di Dio mutilata dalla razionalità. Ed è grazie a questa lezione che oggi tra i musulmani sono più forti le voci che invocano una rivoluzione illuminista anche nell’Islam, la stessa che c’è già stata nel cattolicesimo degli ultimi secoli. Altro che papa oscurantista e retrogrado. Benedetto XVI è un grande “illuminista” in un’epoca in cui la verità ha pochi estimatori e il dubbio la fa da padrone. All’uomo moderno egli chiede di aprire gli spazi della ragione, non di rinchiuderla nei soli dati misurati dalla scienza. È sua l’idea di aprire un “cortile dei Gentili”, dove tutti possano incontrarsi sotto l’ombra di Dio, anche chi non lo conosce. È sua la proposta agli uomini del nostro tempo “di vivere come se Dio ci fosse”, perché da questa scommessa, come disse Pascal, c’è solo tutto da guadagnare e niente da perdere. Un mese fa, in un’udienza del mercoledì ai pellegrini, Benedetto XVI paragonò l’ora presente della Chiesa a quella dopo San Francesco. Anche allora c’erano nella cristianità, correnti che invocavano una “età dello Spirito”, una nuova Chiesa senza più gerarchia, né precetti né dogmi. Oggi qualcosa di simile avviene quando, sull’onda di accuse che pretendono di travolgere tutto, si invoca un Concilio Vaticano III che sia “nuovo inizio e rottura”. Poi stringi stringi, il programma dell’immaginario Concilio si riduce all’abolizione del celibato del clero, al sacerdozio per le donne, alla liberalizzazione della morale sessuale e a più democrazia nel governo della Chiesa. Le stesse cose che, attuate in alcune Chiese protestanti, non ne hanno prodotto rigenerazione alcuna. Anzi, come si vede nella Comunione anglicana hanno generato robuste correnti di migrazione verso la Chiesa di Roma, come al solo porto sicuro”.

Sono parole che indicano che la strada della purificazione e della pulizia (una strada che nessun accomodamento istituzionale può impedire di proseguire senza tentennamenti) non coincide con l’adattamento della Chiesa al pensiero politicamente corretto e ai suoi luoghi comuni.

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Messaggio vaticano per la festa buddista di Vesakh 2010
"Cristiani e Buddisti onorano la vita umana come base del rispetto per tutti gli esseri umani"

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 17 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il messaggio del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso per la festa di Vesakh, la più importante per i Buddisti, che sarà celebrata il 21 maggio in Corea e Taiwan, il 28 maggio in Thailandia, Sri Lanka, Cambogia, Birmania, Malaysia, Laos, Nepal e Viêt Nam. In Giappone è già stata celebrata l’8 marzo scorso.





* * *


Cristiani e Buddisti onorano la vita umana

come base del rispetto per tutti gli esseri umani

Cari amici buddisti,

1. In occasione della vostra festa del Vesakh, il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso porge congratulazioni e auguri cordiali di pace e gioia a tutti voi sparsi nel mondo. Che questo messaggio possa contribuire a rafforzare i legami di amicizia e collaborazione già esistenti tra noi a servizio dell’umanità.

2. Cogliamo quest’occasione per riflettere insieme su un tema di particolare importanza oggi, e cioè, la crisi ambientale che ha già suscitato notevoli problemi e sofferenze in tutto il mondo. Gli sforzi delle nostre due comunità per l’impegno nel dialogo interreligioso hanno contribuito a creare una nuova consapevolezza dell’importanza sociale e spirituale delle nostre rispettive tradizioni religiose in questo campo. Riconosciamo di avere in comune una maniera di considerare valori come il rispetto per la natura di tutte le cose, la contemplazione, l’umiltà, la semplicità, la compassione, e la generosità. Questi valori contribuiscono a una vita di non violenza, equilibrio, e sobrietà.

3. Papa Benedetto XVI, ha fatto notare che "I differenti fenomeni di degrado ambientale e le calamità naturali… ci richiamano l’urgenza del rispetto dovuto alla natura, recuperando e valorizzando, nella vita di ogni giorno, un corretto rapporto con l’ambiente." (Udienza Generale, 26 agosto 2009). La Chiesa Cattolica considera la tutela dell’ambiente come intimamente legata al tema dello sviluppo integrale della persona umana e, da parte sua, non s’impegna solo nella difesa della destinazione universale dei doni della terra, dell’acqua e dell’aria, ma incoraggia gli altri a unire gli sforzi per proteggere l’umanità dall’autodistruzione. La nostra responsabilità nel proteggere la natura scaturisce, infatti, dal nostro rispetto reciproco e proviene dalla legge scritta nei cuori di ogni uomo e donna. Di conseguenza, quando nella società si rispetta l’ecologia umana, ne trae beneficio anche l’ambiente (cf. l’Enciclica Caritas in Veritate, n. 51).

4. Cristiani e Buddisti nutrono un profondo rispetto per la vita umana. E’ perciò cruciale per noi incoraggiare gli sforzi miranti a creare un senso di responsabilità ecologica, e riaffermare al contempo le nostre convinzioni condivise circa l’inviolabilità della vita umana in ogni stadio e condizione, la dignità della persona e la missione unica della famiglia, nella quale si impara ad amare il prossimo e a rispettare la natura.

5. Promuoviamo insieme un corretto rapporto tra gli esseri umani e l’ambiente! Aumentando i nostri sforzi per la creazione di una coscienza ecologica per una coesistenza serena e pacifica, possiamo dare testimonianza di uno stile di vita rispettoso, che trova senso non nell’avere di più, ma nell’essere di più. Condividendo le prospettive e gli impegni delle nostre rispettive tradizioni religiose, possiamo contribuire al benessere del nostro mondo.

Cari Amici Buddisti, vi rinnoviamo l’espressione dei nostri sinceri saluti, augurando a voi tutti una felice Festa del Vesakh.

Cardinale Jean-Louis Tauran
Presidente

Arcivescovo Pier Luigi Celata
Segretario

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