venerdì 21 maggio 2010

[ZI100521] Il mondo visto da Roma

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Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 21 maggio 2010

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Benedetto XVI: "C'è bisogno di politici autenticamente cristiani"
Nell'udienza ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici

ROMA, venerdì, 21 maggio 2010 (ZENIT.org).- Di fronte a una dialettica democratica sempre più indebolita dall' “individualismo utilitaristico ed edonista” i laici sono chiamati a riscoprire la loro vocazione a una cittadinanza attiva, illuminati dagli insegnamenti della Chiesa.

E' quanto ha detto questo venerdì Benedetto XVI nel ricevere in udienza i partecipanti alla 24.ma Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici, in corso a Roma dal 20 al 22 maggio sul tema: Testimoni di Cristo nella comunità politica.

Pur ricordando che la Chiesa non pretende di intromettersi nelle questioni politiche il Papa ha tuttavia ribadito la necessità della tutela dei “diritti fondamentali della persona” e della “salvezza delle anime” nonché della promozione di quei valori che garantiscono un autentico sviluppo della società.

“Spetta ai fedeli laici – ha sottolineato – mostrare concretamente nella vita personale e familiare, nella vita sociale, culturale e politica, che la fede permette di leggere in modo nuovo e profondo la realtà e di trasformarla; che la speranza cristiana allarga l’orizzonte limitato dell’uomo e lo proietta verso la vera altezza del suo essere, verso Dio; che la carità nella verità è la forza più efficace in grado di cambiare il mondo; che il Vangelo è garanzia di libertà e messaggio di liberazione”.

“Compete ancora ai fedeli laici – ha continuato – partecipare attivamente alla vita politica, in modo sempre coerente con gli insegnamenti della Chiesa, condividendo ragioni ben fondate e grandi ideali nella dialettica democratica e nella ricerca di un largo consenso con tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita e della libertà, la custodia della verità e del bene della famiglia, la solidarietà con i bisognosi e la ricerca necessaria del bene comune”.
 
La politica, ha evidenziato il Papa, “richiama i cristiani a un forte impegno per la cittadinanza, per la costruzione di una vita buona nelle nazioni, come pure ad una presenza efficace nelle sedi e nei programmi della comunità internazionale”.

“C’è bisogno di politici autenticamente cristiani – ha osservato ancora il Santo Padre –, ma prima ancora di fedeli laici che siano testimoni di Cristo e del Vangelo nella comunità civile e politica. Questa esigenza dev’essere ben presente negli itinerari educativi delle comunità ecclesiali e richiede nuove forme di accompagnamento e di sostegno da parte dei Pastori”.

A questo proposito ha affermato che l’appartenenza dei cristiani ad associazioni e movimenti “può essere una buona scuola per questi discepoli e testimoni, sostenuti dalla ricchezza carismatica, comunitaria, educativa e missionaria propria di queste realtà”.

E' necessario, ha continuato, “recuperare e rinvigorire un’autentica sapienza politica; essere esigenti in ciò che riguarda la propria competenza; servirsi criticamente delle indagini delle scienze umane; affrontare la realtà in tutti i suoi aspetti, andando oltre ogni riduzionismo ideologico o pretesa utopica”.
 
Tenendo sempre a mente che “la politica è anche una complessa arte di equilibrio tra ideali e interessi”, ha concluso infine il Papa, occorre che i giovani si impegnino in una vera “rivoluzione dell’amore”, “un impegno fondato non su ideologie o interessi di parte, ma sulla scelta di servire l’uomo e il bene comune, alla luce del Vangelo”.

Precedentemente, nel suo indirizzo di saluto il Cardinale Stanislaw Rylko, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, aveva sottolineache “oggi è davvero urgente restituire alla politica l'anima che le è propria, recuperando il significato del servizio al bene comune, ricostruendo una sensibilità morale e una solida base di valori condivisi, promuovendo soprattutto il concetto di una laicità davvero aperta, non ostile a Dio né timorosa di farlo entrare nella vita pubblica”.

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Il Papa esorta a ravvivare la "missione immensa" dell'evangelizzazione
Riceve in udienza i partecipanti all'Assemblea del Consiglio Superiore delle POM
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 21 maggio 2010 (ZENIT.org).- Ricevendo questo venerdì mattina in udienza i partecipanti all'Assemblea Ordinaria del Consiglio Superiore delle Pontificie Opere Missionarie, in svolgimento a Roma dal 17 al 21 maggio, Benedetto XVI ha ricordato la necessità di promuovere sempre l'evangelizzazione, che definito "missione immensa".

Nel discorso che ha pronunciato nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Papa ha sottolineato la necessità di evangelizzare "specialmente in questo nostro tempo, in cui l'umanità soffre una certa mancanza di pensiero riflessivo e sapienziale e si diffonde un umanesimo che esclude Dio".

Per questo motivo, ha spiegato, "è ancora più urgente e necessario illuminare i nuovi problemi che emergono con la luce del Vangelo che non muta".

La predicazione del Vangelo, ha dichiarato, "è un inestimabile servizio che la Chiesa può offrire all'umanità intera che cammina nella storia" ed è "è giudizio critico sulle trasformazioni planetarie che stanno cambiando sostanzialmente la cultura dell'umanità".

"La Chiesa, presente e operante sulle frontiere geografiche e antropologiche, è portatrice di un messaggio che si cala nella storia, dove proclama i valori inalienabili della persona, con l'annuncio e la testimonianza del piano salvifico di Dio, reso visibile e operante in Cristo".

Predicare il Vangelo diventa quindi "la chiamata alla libertà dei figli di Dio, anche per la costruzione di una società più giusta e solidale per prepararci alla vita eterna".

Il coraggio dell'annuncio

Benedetto XVI ha riconosciuto che chi partecipa alla missione di Cristo "deve inevitabilmente affrontare tribolazioni, contrasti e sofferenze, perché si scontra con le resistenze e i poteri di questo mondo".

Come l'apostolo Paolo, ha indicato, "non abbiamo come armi che la parola di Cristo e della sua Croce".

La missione ad gentes, del resto, "richiede alla Chiesa e ai missionari di accettare le conseguenze del loro ministero: la povertà evangelica, che conferisce loro la libertà di predicare il Vangelo con coraggio e franchezza; la non-violenza, per la quale essi rispondono al male con il bene; la disponibilità a dare la propria vita per il nome di Cristo e per amore degli uomini".

"Come l'apostolo Paolo dimostrava l'autenticità del suo apostolato con le persecuzioni, le ferite e i tormenti subiti, così la persecuzione è prova anche dell'autenticità della nostra missione apostolica".

La potenza dello Spirito

Alla vigilia della solennità di Pentecoste, che si celebrerà questa domenica, 23 maggio, il Pontefice ha quindi sottolineato che "è lo Spirito Santo che unisce e preserva la Chiesa, dandole la forza di espandersi, colmando i discepoli di Cristo con una ricchezza traboccante di carismi".

"E' dallo Spirito Santo che la Chiesa riceve l'autorevolezza dell'annuncio e del ministero apostolico", ha aggiunto.

Per questa ragione, ha voluto "riaffermare con forza" l'idea che "l'evangelizzazione ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che la conversione del mondo a Cristo non è da noi prodotta, ma ci viene donata".

A questo proposito, ha confessato che la celebrazione dell'Anno Sacerdotale "ha aiutato a prendere maggiore consapevolezza che l'opera missionaria richiede un'unione sempre più profonda con Colui che è l'Inviato di Dio Padre per la salvezza di tutti; richiede la condivisione di quel 'nuovo stile di vita' che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli Apostoli".

Ha quindi concluso il suo intervento ringraziando tutti i membri delle Pontificie Opere Missionarie, impegnati in vari modi a "tenere desta la coscienza missionaria delle Chiese particolari, spingendole ad una più attiva partecipazione alla missio ad gentes, con la formazione e l'invio di missionari e missionarie e l'aiuto solidale alle giovani Chiese".

Gli obiettivi dell'Assemblea

L'Assemblea delle POM ha avuto come tema "La costruzione della comunione ecclesiale è la chiave della missione" e ha visto la partecipazione di 118 Direttori nazionali delle Pontificie Opere Missionarie provenienti dai cinque continenti.

Monsignor Piergiuseppe Vacchelli, Segretario aggiunto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli e presidente delle POM, ha spiegato che, "come ad ogni svolta storica, ci troviamo ad affrontare trasformazioni qualitative della società, che specialmente in Occidente, sta costruendo la sua cultura prescindendo da Dio e da Cristo", ricorda l'agenzia Fides.

Aprendo i lavori dell'Assemblea, l'Arcivescovo ha segnalato in particolare l'importanza del "Fondo di Solidarietà Universale", che " è come l'ABC delle POM", "senza il quale le POM non avrebbero più ragion d'essere", e ha invitato i presenti a seguire sempre criteri di "trasparenza, responsabilità, coerenza, senso di giustizia" nella gestione delle offerte.

"Come Assemblea dobbiamo trovare il coraggio di ripensare al significato ecclesiale, alle modalità e alla politica di distribuzione delle offerte nel contesto dell'evangelizzazione oggi, specialmente di un Chiesa locale inculturata", ha sottolineato.

L'Assemblea discute anche di possibili variazioni allo Statuto delle POM e dell'attenzione da dare alla "Domus Missionalis", realtà che gestisce i collegi internazionali presenti a Roma, luoghi di formazione accademica e spirituale per seminaristi e catechisti di tutto il mondo.

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Il ringraziamento del Papa ai detenuti di Malta
Invia una lettera di risposta al loro messaggio
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 21 maggio 2010 (ZENIT.org).- Papa Benedetto XVI ha ringraziato i detenuti di Malta che gli hanno assicurato le proprie preghiere durante la sua visita all'isola ad aprile, ha reso noto la "Radio Vaticana".

In una lettera di risposta al messaggio che i detenuti gli avevano inviato prima del suo viaggio, il Papa dice di apprezzare profondamente l'espressione dei loro sentimenti e il loro impegno a pregare per lui.

Li esorta anche a trovare un sostegno nel fatto che il primo evangelizzatore di Malta, San Paolo, era un prigioniero che ha condiviso la loro situazione.

Benedetto XVI sottolinea che, nonostante le catene, Paolo "ebbe la libertà interiore di ‘rallegrarsi nel Signore'", come il Santo stesso segnala nella sua Lettera ai Filippesi, perché nessuno poteva separarlo dall'amore di Dio.

Il Papa esprime inoltre la sua vicinanza spirituale e invia la propria benedizione come "pegno di forza e pace nel Signore".

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Il Papa e il Presidente dominicano esortano a difendere la vita
Benedetto XVI riceve in udienza Leonel Fernández Reyna
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 21 maggio 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha ricevuto questo venerdì mattina in udienza il Presidente della Repubblica Dominicana, Leonel Fernández Reyna.

Il Capo di Stato ha poi incontrato il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, accompagnato monsignor Dominique Mamberti, Segretario per i Rapporti con gli Stati.

Durante i "cordiali colloqui", informa un comunicato diffuso dalla Sala Stampa della Santa Sede, "è stato apprezzato il grande contributo che la Chiesa offre allo sviluppo del Paese, specialmente in campo educativo e sanitario, dove presta particolare attenzione ai più bisognosi".

Allo stesso modo, è stata "sottolineata l'importanza di continuare a promuovere la vita umana, dal concepimento alla morte naturale".

Il Pontefice e il Presidente della Repubblica Dominicana hanno poi avuto "uno scambio di opinioni sull'impegno delle Autorità dominicane ad affrontare i problemi sociali che affliggono il loro Paese".

Ci si è inoltre "soffermati sulla situazione internazionale e regionale", evidenziando in particolare "il ruolo della Repubblica Dominicana nell'organizzazione degli aiuti umanitari ad Haiti".

La Repubblica Dominicana ha una popolazione di oltre 9,5 milioni di abitanti, per il 95% cattolici.

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Ostensione della Sindone


Il futuro della ricerca scientifica sulla Sindone
Intervista a Bruno Barberis, presidente del Centro internazionale di sindonologia

di Chiara Santomiero

ROMA, venerdì, 21 maggio 2010 (ZENIT.org).- Domenica prossima, 23 maggio, si concluderà la Solenne Ostensione della Sindone 2010 che ha visto confluire a Torino circa 2 milioni di visitatori. La teca contenente la Sindone tornerà al suo posto nella cappella del Guarini di Palazzo reale, insieme ai molti interrogativi che circondano “l’oggetto più misterioso del mondo”, come è stato definito.

Quali sono i risultati scientifici che si possono considerare definitivi relativamente alla Sindone? E quali gli aspetti ancora da indagare? ZENIT lo ha chiesto a Bruno Barberis, docente di Meccanica razionale presso l’Università di Torino e presidente del Centro internazionale di sindonologia, il complesso di discipline che studiano la Sindone.

Cosa può attendersi la fede dalla scienza, quali risposte può avere?

Barberis: Indipendentemente da ciò che le indagini scientifiche potranno ottenere in un futuro prossimo o lontano, la Sindone è in modo innegabile un rimando chiaro, diretto, analitico alla Passione di Gesù. “Uno specchio del Vangelo”, la definì Giovanni Paolo II nel 1998 quando venne a Torino per quella Ostensione. Nella stessa occasione, Giovanni Paolo II affermò che “l’uomo si aspetta dalla scienza che essa si occupi in modo serio e onesto di scoprire la verità sulla Sindone” e chiese agli scienziati di essere rispettosi della metodologia scientifica, di non dare per scontati risultati che non ci sono.

Questo purtroppo nel campo della Sindone non sempre accade. Si tratta anzi di un settore nel quale spesso emergono dei fondamentalismi da entrambe le parti, per cui è facile leggere articoli, considerazioni o teorie che partono da idee preconcette. Voler dimostrare a tutti i costi che la Sindone è la prova scientifica della Resurrezione è una sciocchezza, perché la scienza non può occuparsi di fenomeni sovrannaturali, ma solo naturali. La scienza, cioè, non potrà mai esprimere un parere sulla Resurrezione perché non è un fenomeno riproducibile in laboratorio. Allo stesso modo capita di voler dimostrare a tutti i costi, forzando i dati a disposizione, che la Sindone è un falso medievale o di qualunque altra epoca per il semplice fatto che si desidera sia questa la verità. Uno scienziato serio si preoccupa di cercarla la verità, qualunque essa sia.

Lo studio della Sindone non ha lo scopo di dimostrare a tutti i costi che essa è il lenzuolo che ha avvolto il corpo di Cristo o non lo è, ma di dimostrare cosa realmente sia. Sicuramente, un oggetto di enorme interesse, unico al mondo - non esiste altro telo con un’impronta con caratteristiche nemmeno lontanamente comparabili con questa di Torino – ed è sicuramente uno degli oggetti più studiati. Uno studio che coinvolge persone di varia formazione e diversa fede e moltissimi scienziati se ne sono occupati non essendo nemmeno credenti. C’è un interesse verso la Sindone che spinge ad andare al di là di quelli che molti considerano preconcetti, affascinati dalla sua natura di immagine ancora da spiegare.

Cosa si può attestare con assoluta sicurezza relativamente alla Sindone?

Barberis: Sulla Sindone ci sono due tipi di segni, le macchie ematiche e l’impronta corporea che hanno caratteristiche diverse.

le macchie ematiche

Riguardo alle macchie ematiche è stato possibile determinare che si tratta veramente di macchie di sangue umano, di gruppo AB. Esse sono state sicuramente prodotte dal contatto del corpo con il telo mentre l’impronta corporea non sembra essere avvenuta per contatto diretto. Un contatto, infatti, darebbe origine a una deformazione tenendo conto che la superficie corporea è curva mentre l’immagine della Sindone appare come una specie di proiezione ortogonale del corpo sul telo.

l’impronta

L’impronta ha caratteristiche tridimensionali – messe in evidenza dagli studi effettuati prima negli Stati Uniti e poi in Italia – che sono tipiche della Sindone, non appartengono cioè a una normale fotografia o a un dipinto, proprio perché la distribuzione della luminosità dell’impronta è realmente collegata alla distanza corpo-telo, cioè al maggiore o minore rilievo di quel particolare corporeo. Se ripetiamo gli stessi esperimenti su una normale fotografia di un corpo o di un volto su di un dipinto non otteniamo la caratteristica tridimensionale.

Sappiamo che l’impronta ha anche le caratteristiche di un negativo fotografico, come scoperto più di cent’anni fa con la prima fotografia del 1898, cioè i chiaroscuri sono invertiti rispetto alla realtà. Questa è la ragione per la quale l’immagine si vede molto più evidente e chiara nel negativo fotografico: facendo il negativo del negativo si ottiene il positivo delle parti.

Altre indagini hanno permesso di sottolineare alcune caratteristiche molto interessanti dell’impronta: mentre le macchie di sangue sono visibili perché c’è del materiale estraneo che si è depositato sul telo – il sangue stesso -, dove c’è l’impronta non è così. L’impronta è visibile perché le fibre superficiali del telo sono un po’ più scure del tessuto dove l’impronta non c’è, non perché vi sia del colorante sopra, ma perché questo processo di formazione - ancora tutto da scoprire - le ha scurite. Per uno spessore infinitesimo, uno spessore di qualche decina di micrometri, cioè di qualche centesimo di millimetro. Sotto non c’è nulla, mentre le macchie di sangue sono passate attraverso il tessuto e sono arrivate sul retro della Sindone. Nel 2002 quando è stato completato l’intervento conservativo sulla Sindone e si è staccato il telo di supporto - il telo d’Olanda cucito nel 1534 per riparare i danni dell’incendio di Chambery -, è stato possibile, per la prima volta da allora vedere bene il retro della Sindone. Qui le macchie ematiche si vedono esattamente nelle stesse simmetriche posizioni rispetto al fronte, perché essendo un fluido hanno attraversato il telo e sono arrivate dalla parte opposta. L’impronta corporea invece no, perché essendo per di più spessa qualche centimetro di millimetro, non ha potuto giungere sul retro, come avrebbe fatto un colorante di qualsiasi natura che almeno avrebbe impregnato il tessuto per uno spessore maggiore di qualche centimetro di millimetro. Questa è una caratteristica veramente peculiare dell’impronta.

le ferite

L’esame topografico dettagliato dell’impronta effettuato dalla medicina legale – sono studi che risalgono già a circa ottanta anni fa, dopo la fotografia di Enrie del 1931 –, ha permesso di ricostruire con estrema fedeltà tutto ciò che è accaduto all’uomo della Sindone e quindi la serie di torture che gli sono state inflitte, compresa la crocifissione.

Sulla Sindone sono evidenti ferite fatte ad un uomo mentre era ancora in vita e quando era già cadavere, come quella fatta al torace dove il sangue è uscito dalla ferita già dissierato cioè separato nella parte sierosa e nella parte corposculare.

Questo tipo di riscontro è una ulteriore prova che l’impronta non può che essere stata lasciata da un corpo umano vero e proprio e non può essere un dipinto o un’immagine ottenuta con qualsiasi metodo, perché altrimenti sarebbe stato impossibile ricostruire con tale dettaglio tutte le caratteristiche anatomiche visibili. Allo stesso modo sarebbe stato impensabile usare del sangue uscito da un uomo vivo e del sangue uscito da un cadavere in epoche nelle quali non si conosceva nulla sulla circolazione sanguigna e sulla differenza tra i due tipi di sangue. Il funzionamento della circolazione sanguigna, infatti, è stato capito solo nella prima metà del 1600, quindi meno di quattrocento anni fa.

il polline

Sulla Sindone sono state ritrovate micro-tracce vegetali, granuli di polline appartenenti a piante che vivono esclusivamente in zone molte ristrette della Palestina e dell’Anatolia, segno che la Sindone è passata in quei luoghi in qualche momento della sua storia. Questo metodo non ci permette di sapere ‘quando’ vi sia passata, perché tali piante erano esistenti ben prima di Cristo: la flora di queste zone non è cambiata molto negli ultimi 5-6 mila anni. Esse permettono solo di ricostruire con certezza un percorso geografico dell’oggetto.

Possiamo dire che tutti questi elementi sono stati definitivamente appurati con certezza.

Cosa resta invece da scoprire?

Barberis: Sono due i nodi fondamentali da sciogliere: il modo con cui si è formata l’impronta e la datazione del telo.

la formazione dell’impronta

Non abbiamo ancora una teoria sufficientemente valida per la spiegazione della formazione dell’immagine. Ogni settimana qualcuno propone un’ipotesi nuova, più o meno sensata. Finora, però, nessuno è riuscito ad ottenere come risultato sperimentale conseguente dell’ipotesi fatta un’immagine comparabile con quella della Sindone.

Oggi la possibilità di verifica è semplice perché abbiamo una conoscenza dettagliata delle caratteristiche più importanti dell’impronta che ci permettono delle comparazioni rigorose.

L’anno scorso, ad esempio, il prof. Garlaschelli di Pavia ha ottenuto un’immagine che però ha caratteristiche che non corrispondono a quelle della Sindone. Infatti per ottenere l’immagine è stata usata dell’ocra rossa che contiene ossido di ferro mentre l’impronta della Sindone non ne contiene. Inoltre nell’esperimento è stato realizzato prima il profilo del corpo e poi le impronte ematiche tramite un colorante mentre sulla Sindone sono apparse prima le macchie ematiche e poi le impronte corporee, tanto è vero che sotto le macchie ematiche non c’è impronta. Tutto questo è sufficiente per dire che l’immagine ottenuta a Pavia non è comparabile con la Sindone e non serve a spiegarla.

L’unico esperimento che ha permesso di colorare una piccola porzione di tessuto in modo similare a quello della Sindone è stato effettuato dal Centro Enea di Frascati qualche anno fa, irradiando un tessuto con un laser a eccimeri, cioè un laser che emette ultravioletto. Se la potenza e il tempo di irradiazione sono calcolati correttamente, si ottiene una coloratura delle fibre superficiali, abbastanza simile a quella della Sindone per uno spessore dello stesso ordine di grandezza. Non possiamo pensare, però, che il corpo umano sia una fonte laser o che il laser possa essere stato utilizzato nell’antichità.

la datazione del telo

La datazione del telo, come è noto, fu effettuata nel 1988 datando con il metodo del radio carbonio alcuni campioni prelevati da una zona marginale della Sindone.

Enormi polemiche hanno preceduto e seguito quest’operazione, determinate da diversi fattori il primo dei quali è una non limpida conduzione di tutta l’indagine con delle scelte non opportune. Tra queste, ad esempio, l’unico sito di prelievo dei campioni, che è rappresentativo di quella zona ma non dell’intero telo. Tale zona, fra l’altro, sembrerebbe - da alcune ricerche fatte su fili avanzati da quella datazione - inquinata da cotone, quindi da un materiale che forse è stato aggiunto con un rammendo successivo, ipotesi che dovrà essere verificata non appena sarà possibile fare nuovi esami diretti.

L’indagine del 1988 fu condotta con metodi non propriamente scientifici; ad esempio non fu usato, come sarebbe stato necessario, il “metodo alla cieca” perché i laboratori pretesero di conoscere le date dei campioni di confronto prima di effettuare la datazione. Ci sarebbero da riempire libri – come qualcuno ha fatto - per raccontare questi retroscena e i numerosi dettagli.

Datare un telo è un’operazione molto delicata in quanto i tessuti sono gli oggetti più facilmente esposti all’inquinamento da agenti esterni. Esperimenti fatti su altri teli antichi hanno dimostrato come vi possono essere inquinamenti sia di tipo biologico – microrganismi -, sia di tipo chimico con sostanze presenti nell’atmosfera accanto al telo, che possono provocare apparenti ringiovanimenti dovuti non a errori del metodo, ma a contaminazioni da parte di questi fattori esterni che influiscono non poco sulla datazione, anche per parecchi secoli.

Poiché la Sindone ha avuto sicuramente una vita molto complessa e movimentata e ha subito sicuramente inquinamenti di vario genere nella sua storia, il problema della datazione è molto complesso. Bisognerebbe riuscire a individuare un metodo di pulizia radicale del telo che possa eliminare qualsiasi fattore esterno, senza peraltro distruggere una parte eccessiva di cellulosa perché altrimenti avremmo bisogno di molto campione e non è che possiamo tagliare grandi pezzi di Sindone. Spesso mi viene chiesto il perché non si proceda di nuovo alla datazione prelevando campioni da diversi punti. La risposta è semplice: perché si tratta di un oggetto unico che non può essere usato come cavia per fare esperimenti di validità del metodo del C14. Questo metodo, purtroppo, è distruttivo: il campione viene bruciato e ogni esame richiede una distruzione definitiva di una sua parte.

Qual è il futuro della ricerca scientifica sulla Sindone?

Barberis: Non si può intervenire sulla Sindone senza precauzioni. Credo che il futuro degli studi scientifici sia quello di impostare una serie di esami fondamentali per raccogliere nuovi dati e proseguire nelle indagini, a patto che non siano distruttivi.

Occorre utilizzare le moderne tecnologie che permettono di ricavare informazioni sia di tipo fisico che di tipo chimico senza distruggere nulla ma irradiando il tessuto e lavorando sui risultati ottenuti. Ci sono metodi di sezionamento del tessuto che utilizzano sistemi che portano via dal tessuto delle sottili superfici di qualche millesimo di millimetro e non rientrano tra gli esami distruttivi perché questa asportazione è invisibile ma sufficiente per ricavare informazioni.

Per la datazione il metodo più attendibile rimane il C14, che però ha dei limiti soprattutto se interviene su oggetti rispetto ai quali non si hanno garanzie di una perfetta conservazione. Gli archeologi stessi - soprattutto quando si tratta di datare tessuti -, sono piuttosto cauti perché il rischio di errore è alto, in quanto il metodo non è in grado di distinguere atomi di carbonio provenienti dal tessuto e atomi provenienti da agenti esterni: brucia il campione e calcola tutto insieme. Ne consegue che datare nuovamente la Sindone tra breve non avrebbe senso, in quanto queste remore – indipendentemente dal risultato ottenuto – ci sarebbero comunque.

E’ necessario, allora, attendere nuove conoscenze che possano farci capire meglio - ad esempio - dove fare i prelievi in modo tale che siano rappresentativi dell’intero telo e non di una zona marginale. Questo richiede una conoscenza delle caratteristiche fisico-chimiche di tutto il telo con una mappatura molto dettagliata. Solo a questo punto potrebbe essere utile una nuova datazione.

C’è un programma di lavoro rispetto alla ricerca scientifica?

Barberis: Nel 2000, prima dell’inizio di quell’Ostensione, si tenne a Torino un convegno al quale furono invitati quaranta tra i maggiori scienziati che studiano la Sindone oppure esperti di discipline che interessano la Sindone e fu loro richiesto di fare proposte di studio e di ricerca. Le proposte arrivate negli anni successivi sono state raccolte, organizzate ed esaminate da una commissione di esperti esterni al mondo della Sindone affinché ne valutassero la attendibilità e scientificità. Tutto il materiale è stato raccolto in una relazione inviata alla Santa Sede, tramite il cardinale Severino Poletto che in quanto arcivescovo di Torino, è il custode pontificio della Sindone, perché il Papa è il proprietario della Sindone e sono sue le decisioni in merito.

Non si tratta di un’operazione semplice: non si può prendere la Sindone e portarla in un laboratorio, ma occorre prendere il laboratorio e portarlo dalla Sindone.

Non è nemmeno un progetto che si possa realizzare in tempi brevi, però finita questa Ostensione - il prossimo anno magari -, può essere ripreso in considerazione. Abbiamo bisogno di nuovi dati, nuovi “mattoncini” da mettere insieme. Le grandi scoperte, in genere, sono rarissime; la scienza va avanti a piccoli passi, a volte apparentemente insignificanti, ma unendone tanti si può arrivare a risultati significativi.

In ogni caso il progetto di indagine dovrà essere rispettoso dell’integrità della Sindone. Gli ultimi anni sono stati dedicati più a studiare come garantire la conservazione che a raccogliere altri dati, perché ci si è resi conto che c’era una carenza in questo senso. Quando avvenne l’incendio della cappella del Guarini, nel 1997, ci si rese conto che la Sindone era conservata ancora come nel 1600, nello stesso luogo, in una cassetta, con le stesse condizioni climatiche. Non si poteva continuare così e si è deciso di intervenire. Prima la Sindone era arrotolata a formare un cilindro, posizione che provocava altre pieghe e magari perdite di particelle di sangue mentre adesso è stesa per intero. Prima, inoltre, era conservata nell’atmosfera e quindi soggetta ad ossidazione da parte dell’ossigeno che provocava uno scurimento del telo e quindi una progressiva diminuzione della visibilità dell’immagine. Attenzione: non è diminuita, come qualcuno ha affermato, l’intensità dell’immagine, ma se il fondo del telo tende a scurirsi a causa dell’azione ossidante dell’ossigeno, diminuisce il contrasto e questo processo doveva essere fermato altrimenti tra cento, cinquecento o mille anni si rischiava che la visibilità fosse azzerata. La nuova conservazione in argon, che è un gas inerte e garantisce l’impossibilità della formazione di nuovi composti, mantiene lo status quo e assicura una conservazione ottimale. Era stato anche scoperto che al di sotto delle toppe del restauro dopo l’incendio di Chambery, c’era una notevole quantità di polvere finissima residuo del tessuto carbonizzato che in gran parte si era già dispersa sul telo, passando dalle cuciture. Bisognava intervenire per evitare il rischio che questa polvere inquinasse la Sindone ed entrasse in datazioni successive. Perciò sono state tolte le toppe, non più necessarie data la conservazione orizzontale, e il materiale carbonizzato è stato asportato, catalogato e conservato perché sarà importante per gli studi futuri. Anche il telo d’Olanda di sostegno che era molto sporco e inquinato è stato sostituito con un telo nuovo per far sì che la Sindone sia conservata nel modo migliore e sia certo che da oggi in poi la visibilità non peggiorerà.

Lei ha calcolato che c’è una probabilità su 200 miliardi che la Sindone non sia il telo di Gesù…

Barberis: Si tratta di un calcolo effettuato per verificare la corrispondenza tra il racconto che emerge dall’immagine che vediamo sulla Sindone e il racconto della Passione e morte di Gesù che leggiamo nei Vangeli. Possiamo valutare in modo quantitativo la probabilità che quello della Sindone sia veramente l’uomo del Vangelo?

Dagli esami fatti, sappiamo che si tratta di un uomo torturato e crocifisso. Uno dei tanti della storia, considerato che la crocifissione viene usata dal VII secolo avanti Cristo almeno fino all’epoca di Costantino. Si tratta di un periodo di un po’ più di mille anni nel quale si può calcolare qualche milione di crocifissi, sicuramente centinaia di migliaia. Giuseppe Flavio ci racconta che dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme le crocifissioni di giudei andarono avanti per mesi alla media di cinquecento al giorno.

I numeri sono quindi alti, ma noi possiamo dedurre dalla Sindone alcune caratteristiche legate a quanto è avvenuto a quest’uomo in particolare. Per esempio le percosse in volto, la frattura della cartilagine nasale, l’ematoma sulla guancia destra, le ferite alle arcate sopraccigliari, il casco di oggetti appuntiti sulla testa che ha provocato una trentina di ferite con relative emorragie, l’aver portato sulle spalle qualcosa di ruvido e pesante che ha provocato due grosse escoriazioni – molto facile che sia il palo orizzontale della croce -. Possiamo aggiungere il fatto che sia stato flagellato, crocifisso con chiodi mentre si sa che venivano usate anche le corde e forse anche di più dei chiodi; il fatto che sia stato ferito al torace dopo la morte; il fatto che sia stato avvolto in un telo funebre come accadeva solo alle personalità importanti perché i riti funebri costavano carissimo mentre i crocifissi erano di solito schiavi o prigionieri di guerra, comunque non romani perché per i cittadini romani la crocifissione era vietata. Possiamo rilevare, inoltre, il fatto che, pur essendo stato il corpo avvolto nel telo, non è stata effettuata una sepoltura definitiva perché il cadavere non è stato lavato, non è stato unto con gli aromi, non è stato legato perché altrimenti avremmo caratteristiche diverse sulle impronte che vediamo. Infine rileviamo come il corpo sia rimasto nel telo per poche ore perché non si vedono le macchie da decomposizione che compaiono non più tardi di 50-60 ore dalla morte, il che significa che questo corpo è stato messo nel telo per un numero di ore inferiori e poi tolto e non rimesso.

Tutte queste caratteristiche sono presenti sia sulla Sindone che nel caso di Gesù e collimano alla perfezione.

Qual è la probabilità che ognuna di esse, presa singolarmente, possa essersi verificata per un qualunque crocifisso della storia? La flagellazione è un dato poco significativo perché almeno l’80% dei crocifissi la subiva; la crocifissione con chiodi è già più significativa perché riguarda almeno il 50% dei suppliziati. Se prendo in esame il casco sul capo, questo è l’unico caso della storia che conosciamo e certo non era prassi della crocifissione: non posso dire che sia stato l’unico caso, ma sicuramente presenta una probabilità molto bassa. Anche la ferita al torace è fuori dalla norma: se si voleva provocare la morte del crocifisso, gli venivano fratturate le gambe e, inoltre, la ferita è stata inferta dopo la morte. Anche l’esistenza della Sindone è un dato significativo: nessuno reclamava il corpo dei crocifissi e di certo non venivamo avvolti in un telo che si usava comprare dai commercianti che lo importavano; venivano lasciati sulle croci o sepolti in fosse comuni. Per di più si tratta di una sepoltura fatta in fretta e furia: anche questo evento ha poca probabilità di essersi verificato, perché deve essere successo qualcosa di significativo per aver interrotto le operazioni di sepoltura di un corpo, tra l’altro, rimasto per poche ore nel telo.

Se do’ ad ogni fatto una probabilità, la probabilità complessiva del verificarsi di queste condizioni – che non si influenzano l’una con l’altra - è il prodotto delle probabilità: in questo caso si ottiene un numero piccolissimo, 1 su 200 miliardi, cioè la probabilità che questi fatti possano essere presenti contemporaneamente su uno stesso crocifisso è quasi zero. Se i crocifissi fossero stati più di duecento miliardi potrei dire che una probabilità potrebbe esservi, ma poiché sono stati molti meno, vuol dire che su nemmeno uno dei suppliziati può essere accaduta una cosa del genere: quando ne ho due che presentano caratteristiche simili – Gesù e l’uomo della Sindone – la probabilità che essi coincidano è altissima, quasi la certezza.

Come scienziato non è impaziente di conoscere la verità sulla Sindone?

Barberis: Uno scienziato deve avere pazienza, sapere che la scienza ha dei limiti e che dopo vent’anni di lavoro si può scoprire che la pista che si stava seguendo era sbagliata. Se, d’altra parte, non si è in grado di conoscere tutto dei fenomeni chiaramente naturali, figuriamoci di un fenomeno che potrebbe essere soprannaturale! Bisogna andare avanti cercando di sapere quanto più possibile e raccogliendo tutte le informazioni ma lasciando che sia l’evoluzione naturale del sapere a guidare il futuro delle ricerche.

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Notizie dal mondo


Cuba: storico incontro tra i Vescovi e il Presidente Raúl Castro
La Chiesa spera che si compiano passi per la liberazione dei prigionieri politici
di Nieves San Martín

L'AVANA, venerdì, 21 maggio 2010 (ZENIT.org).- Nel corso di una conferenza stampa che ha avuto luogo questo giovedì, il Cardinale Jaime Ortega, Arcivescovo dell'Avana (Cuba), ha comunicato il risultato dell'incontro tra i rappresentanti della Chiesa e il Presidente Raúl Castro, il primo con queste caratteristiche da quando ha sostituito suo fratello Fidel alla guida del Paese.

Il risultato, ritenuto molto positivo dalla Chiesa, permette di sperare che si compiano passi per un'eventuale liberazione di prigionieri politici.

La conferenza stampa del Cardinale Ortega si è svolta nell'Arcivescovado dell'Avana, rende noto la sua pagina web. Vi hanno assistito rappresentanti della stampa nazionale e internazionale accreditata a Cuba.

L'incontro con i giornalisti ha avuto come asse centrale l'incontro di questo mercoledì del Cardinale Ortega e dell'Arcivescovo di Santiago di Cuba e presidente della Conferenza Episcopale, monsignor Dionisio García, con il presidente Raúl Castro Ruz e con Caridad Diego Bello, responsabile dell'Ufficio per le Questioni Religiose del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba.

Di fronte alle domande dei giornalisti, informa l'Arcivescovado, il Cardinale Ortega "ha precisato che questo incontro non può essere visto da un punto di vista di impegni, ma di conversazioni che hanno avuto un ottimo inizio e che devono continuare, affermando che sono state affrontate questioni di carattere nazionale, come le Damas de Blanco (cfr. ZENIT, 5 maggio 2010) o i prigionieri politici o di coscienza (o controrivoluzionari, come sono definiti dal Governo cubano), visti nella loro totalità e non solo i malati".

A questo proposito, ha indicato che "non è una gestione conclusa a partire dalla quale possiamo fare altro annuncio" se non questo: "Stiamo trattando il tema".

Ha anche aggiunto che non si possono anticipare conclusioni su date o atteggiamenti concreti, anche se ha sottolineato che "il tema si sta trattando seriamente, questo posso dirlo".

A livello storico, ha commentato l'Arcivescovo dell'Avana, la Chiesa cattolica a Cuba ha avuto un atteggiamento di distanza per scontri e difficoltà storiche che tutti conoscono, ma in questa occasione l'incontro di mercoledì ha come valore primario "il sostegno alla gestione mediatrice della Chiesa e, allo stesso tempo, il riconoscimento del ruolo della Chiesa come interlocutore, che supera i vecchi affronti per camminare su nuove vie".

Il Cardinale ha ricordato al riguardo che la conversazione sostenuta non si inserisce in alcun modo in una relazione Chiesa-Stato vista come "alleanza strategica", perché questa frase è di stile militare o politico: la Chiesa deve agire nella società a partire dalla libertà religiosa garantita dalla Costituzione vigente, ma mai sotto tipi di alleanza. Da ciò deriva l'importanza di questo incontro, che supera antiche concezioni per entrare in quella che è la natura propria della Chiesa e la sua missione nella società.

Dall'altro lato, ha ricordato che come parte della gestione mediatrice della Chiesa due sacerdoti, i monsignori Ramón Suárez Polcari e José Félix Pérez, hanno fatto visita in due occasioni a Guillermo Fariñas (come altri sacerdoti e il Vescovo del luogo) e che non sono andati a chiedergli di smettere lo sciopero della fame ma, in modo umano e religioso, di avere un po' più di fiducia nella gestione della Chiesa, nel senso che alcune delle cose che chiede forse si potranno ottenere.

Il Cardinale ha quindi ribadito quanto sia diverso e innovativo il dialogo sostenuto con le autorità cubane nel senso più positivo del termine, visto che "apre un nuovo periodo", soprattutto se si tiene conto del fatto che l'incontro non è avvenuto per parlare dei problemi della Chiesa, ma per dialogare su Cuba, sul momento presente e sul futuro. "Ed è stato così per più di quattro ore", ha sottolineato il porporato.

Le conversazioni, afferma l'Arcivescovado, si inseriscono così "nel contesto della comune posizione conciliatrice e mediatrice della Chiesa cattolica, in ogni epoca e Paese, consapevole che, come ha ricordato di recente il Cardinale Jaime Ortega citando Papa Paolo VI, 'Dialogo è il nuovo nome della Pace'".

Circa il tema principale della riunione, i prigionieri politici, monsignor Dionisio García ha dichiarato ad AFP: "Ne abbiamo parlato e credo che da entrambe le parti ci sia una disposizione, un desiderio che ciò si risolva, e speriamo che sia così. Credo che sarà così". Interpellato su un'eventuale liberazione dei prigionieri politici, l'Arcivescovo di Santiago di Cuba ha detto di credere che "sarà un processo, e un processo deve iniziare con piccoli passi, e questi passi si faranno".

In base ai commenti di vari mezzi di comunicazione, l'incontro non solo rafforza il ruolo della Chiesa come possibile mediatrice per risolvere il tema dei prigionieri politici e altri conflitti, ma ha suscitato la speranza che si verifichino liberazioni di prigionieri politici malati tra alcuni gruppi della dissidenza interna dell'isola, come le Damas de Blanco, parenti di oppositori arrestati nella cosiddetta "Primavera Nera" del 2003.

L'incontro precede la visita che realizzerà a Cuba il Segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, monsignor Dominique Mamberti, dal 16 al 20 giugno, in occasione della X Setttimana Sociale della Chiesa Cattolica. Durante il suo soggiorno a Cuba, incontrerà autorità del Governo di Castro e presiederà gli atti di celebrazione dei 75 anni delle relazioni tra la Santa Sede e questa Nazione caraibica.

Le relazioni tra il Vaticano e il regime castrista sono migliorate dopo che Papa Giovanni Paolo II ha visitato Cuba nel 1998, quando ebbe un incontro storico con l'allora Capo di Stato Fidel Castro.



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Russia: scoperte al Cremlino due icone murate dai bolscevichi
Una di Cristo Salvatore, l'altra di San Nicola di Myre
MOSCA, venerdì, 21 maggio 2010 (ZENIT.org).- Due icone che erano state murate dai bolscevichi adornano di nuovo due torri della muraglia del Cremlino a Mosca, hanno reso noto il Servizio Ortodosso di Stampa ed Europaica (N° 180, 18 maggio 2010).

I mezzi di comunicazione russi hanno annunciato la notizia il 12 maggio scorso citando i servizi dell'amministrazione presidenziale e museale che gestiscono il sito storico del Cremlino, antica residenza degli zar e dei Patriarchi di Russia.

I responsabili della gestione del Cremlino hanno deciso di restaurare e restituire ai cittadini le icone, che hanno sei secoli e sono state scoperte alla fine di aprile in due torri della fortezza sotto uno strato di gesso applicato dai bolscevichi.

Le due icone adornano le porte delle due torri principali della muraglia del Cremlino che dà sulla Piazza Rossa.

"I lavori sono iniziati con l'eliminazione dello spesso strato di gesso che copriva le icone dal 1937", ha dichiarato ai giornalisti la portavoce del Dipartimento dei Musei del Cremlino, Jeanne Bélochapkine.

"Sembra che le due icone siano state dipinte a olio sopra gli affreschi, e i lavori di restauro sono destinati a verificare questa ipotesi", ha dichiarato il direttore generale aggiunto dei Musei del Cremlino, André Batalov.

La prima icona rappresenta Cristo Salvatore su uno sfondo dorato, con due monaci russi santi ai suoi piedi: San Sergio di Radonezh e San Barlaam di Katyn (Novgorod).

Si trova sulla porta Spasskaïa (del Salvatore), la porta d'ingresso solenne sotto la torre principale del Cremlino, proprio di fronte alla chiesa di San Basilio il Benedetto, sulla Piazza Rossa.

La seconda icona, che adorna la torre Nikolskaïa (di Nicola), più a nord e anch'essa nella Piazza Rossa, rappresenta San Nicola di Myre (IV secolo), particolarmente venerato dai fedeli ortodossi russi.

Secondo la testimonianza degli storici, le icone erano ancora visibili nei primi mesi del 1918.

In seguito vennero dissimulate sotto una spessa maglia metallica, e nel 1937, all'apogeo di una nuova ondata di campagne antireligiose, furono completamente ricoperte di gesso. Alla fine di aprile sono state riportate alla luce.

Le prime analisi permettono agli esperti di affermare che l'icona di San Nicola risale al XV secolo o all'inizio del XVI, il che conferma le testimonianze dei restauratori che hanno lavorato su questa icona nel 1918.

L'icona di San Nicola è stata gravemente danneggiata dagli spari nell'assalto dei bolscevichi al Cremlino nel novembre 1917.

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Testimonianze


L'infinito mistero dell'amore di Dio
Michele Trotta racconta dell'educazione all'amore di un figlio disabile

di Antonio Gaspari

ROMA, venerdì, 21 maggio 2010 (ZENIT.org).- Michele Trotta è il papà di Francesco, per tutti Francky, nato prematuro il pomeriggio del 2 marzo 1993.

L'asfissia, che al momento del parto, aveva colpito il cervello di Francesco, aveva procurato dei traumi che avevano toccato i centri motori del linguaggio e del movimento e generato un'epilessia.

Un drammatico encefalogramma metteva in evidenza questo disordine nel cervello, diagnosticando la cosiddetta sindrome di West: irrigidimento della muscolatura del corpo con progressivo blocco, salivazione continua, in poche parole: sedia a rotelle, nessuna autosufficienza e con il bavaglino per sempre.

Un percorso pregresso estremamente accidentato. Un rischio per questo figlio del terzo binario e per la mamma Marina, già ricca di due felici maternità. Una martire sorridente, crocifissa alla sua maternità. Da questa nascita inizia un parto costante. Nel dolore e nell'amore si può partorire ad ogni istante il figlio segnato dal calvario condiviso.

Per cercare di capire l’infinito mistero di una figlio disabile, Michele ha scritto un libro: “Francesco e l'infinito. Un diario straordinario di una vita normale” pubblicato dalle Edizioni CVS (Centro Volontari della Sofferenza - Silenziosi Operai della Croce).

Intervistato da ZENIT, Michele ha spiegato che alcune persone per descrivere l’innamoramento dicono di essere diventati pazzi l’uno per l’altra. Ebbene la stessa cosa capita a chi s’imbatte nelle persone affette da particolari sindromi celebrali, una volta chiamati sub normali, poi handicappati, ora diversamente abili. Per loro una Persona - in particolare – è impazzita.

“Si, è Dio! Dio è pazzo per loro, è impazzito per loro, non si è divertito ma li ha costruiti come uno scrigno: i custodi di un tesoro”, ha sottolineato Michele Trotta.

Secondo l’autore del libro “la pazzia d’Amore di Dio per l’uomo raggiunge il culmine, dove gli interrogativi della fragilità del corpo si scontrano con la luce che quel corpo ferito emana”.

“Poverini, si dice di loro, ma è solo per non guardare a fondo il loro segno che è il pazzo amore, Infinito, che Dio ha stabilito nelle profondità di quel corpo da bambino, da adulto o da vecchio che chiede solo di essere scoperto”.

La sofferenza è presente ovunque, ma nel caso di Francesco, così come di tante migliaia di persone “silenziose” si tratta della storia di famiglie che sono state coinvolte, tramite queste creature, nella pazzia d’Amore del Buon Dio.

Michele ha raccontato che tutto iniziò come un fulmine a ciel sereno: una bella famiglia come tante, due figli belli e sani, timorati di Dio, poi … “proprio a me?!”: “Mia moglie, parto prematuro all’ottavo mese con complicazioni distacco di placenta, mancanza di ossigeno al cervello…”.

“Inizia la corsa contro il tempo per salvare questa creaturina – racconta Michele – qualcuno dice che 'forse è meglio che muore, sai … i danni … il cervello …'. Ma come – ti rispondi – è mio figlio, lo abbiamo voluto, è una creatura di Dio, Lui non può permettere questo!”.

“Non lo sapevamo, ma era iniziato un misterioso cammino verso quell’Infinito, di cui quella inconsapevole creatura ne era il portone d’ingresso”.

“Quando con il tempo si supera la 'sbornia' di medici, amici - ora c’è anche Internet che ti alluviona con migliaia di notizie e previsioni incerte -, iniziò l’analisi di ciò che ci era capitato”, continua.

Un mese tra la vita e la morte, i tubi, le macchine che garantivano il moto respiratorio, bisognava arrivare ai 9 mesi biologici e al peso forma.

“Ogni mattina – racconta il papà di Francesco – si era in attesa della telefonata del reparto dell’ospedale per le notizie riguardanti le condizioni avute in nottata, con lo squillo del telefono svanivano, in un sol colpo, i momenti felici di tutta la famiglia, momenti che ognuno di noi conserva, una nuova realtà stava avanzando e prendeva tutto lo spazio che nel nostro cervello, nel cuore, nei sentimenti, nei ricordi più o meno recenti, avevamo”.

Tutto veniva assorbito e invaso da questa nuova corsa che era partita il 2 marzo 1993.

“Francesco, anche se piccolo, già occupava lo spazio di tutta la famiglia, tutti coinvolti, tutti protesi verso questo ‘ciclone’ di circa 4 chilogrammi che sembrava stesse schiacciando tutta la nostra 'normalità'”.

I due fratelli di 2 e 4 anni più grandi di Francesco hanno vissuto le stesse tensioni, le paure e i molti interrogativi, che Michele e Marina ogni giorno si son trovati davanti.

Michele ha rilevato che se all’inizio della sua vita familiare, Francesco, era considerato dai fratelli, malato, un bambino da proteggere, con il tempo i due, a secondo della loro sensibilità, hanno iniziato a porsi con una incredibile autorevolezza a fianco di Francesco, con gesti semplici ma efficaci, fino a diventarne dei veri “angeli custodi” che conoscono le leve su cui agire al fine di spronare il fratello, sempre riluttante a scuotersi, ma pronto a cogliere gli stimoli che un vero amore fraterno sa dare.

“Francesco – continua Michele – è diventato così un 'pedagogo' che stimola, tutti coloro i quali gli sono accanto lungo la sua strada, a imitarne l’approccio, chiedendo la sintonia del cuore, l’attenzione totale di tutto il nostro essere verso l’altro, verso lo sconosciuto, il non riconoscibile anzi, più è irriconoscibile e più ci si avvicina a quel gesto della Creazione, che comprende tutto, veniamo accompagnati verso l’Infinito, di cui Francesco e gli altri 'amici' sono i custodi silenziosi e guardiani attenti”.

“Questa forza educativa che, oggi dopo 17 anni, riusciamo ad analizzare ed individuare in modo razionale, ha avuto un percorso altrettanto pedagogico: Francesco nel corso della sua vita ci ha dato e, continua a dare, il tempo e il ritmo di questo ammaestramento”, spiega.

Secondo Michele se si mettono in sequenza tutte le azioni che Francesco ha fatto compiere alla sua famiglia, da quelle più semplici a quelle più dolorose o faticose (le nottate, le febbri sempre pericolose per l’epilessia, la sua insonnia legata al meteo, ecc.) si può individuare un percorso che ha “ammaestrato” tutti coloro i quali si sono lasciati coinvolgere, verso il rispetto nei confronti dell’altro.

Trotta è convinto che si tratta della pazienza dell’attesa, dell’ascolto e della libertà, come condizione d’appartenenza ad una storia che quel “pazzo d’amore” di Dio ha pazientemente e finemente costruito dando così la possibilità di andare “oltre”. Oltre al fisico, al corpo, al sangue.

“Entrare in questa nuova dimensione – ha concluso Michele - ti fa diventare tutt’uno con i bisogni dell’altro, nulla è più estraneo, là dove c’è sofferenza, disagio, difficoltà, lì si condivide e, perchè no, si fa festa, si supera insieme. Nulla è più estraneo”.

Nel libro l’autore racconta anche della scomparsa di Marina, sua moglie, la più coraggiosa e intrepida nel sostenere i diritti di Francesco.

“Con la scomparsa di Marina, mamma speciale - ha scritto Trotta -, lo stesso dolore immenso, non ancora valutabile da ognuno di noi, non è riuscito ad arginare questa storia buona che ormai il buon Dio ha iniziato, anzi, lo sguardo di Francesco che parla d’Amore Infinito ci richiama, ci sgrida, ci supplica di non fermarci perché l’Amore che abbiamo incontrato è più forte e appassionato della vita stessa”.

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Italia


I giovani dell'Azione cattolica verso la Gmg di Madrid

ROMA, venerdì, 21 maggio 2010 (ZENIT.org).- Un itinerario in 13 tappe da Pentecoste 2010 alla Giornata mondiale della gioventù di Madrid nel 2011 (16-21 agosto): è la proposta del Coordinamento giovani del Forum internazionale di Azione cattolica ai giovani di tutti i Paesi in cui è presente l’Ac, in preparazione dell’appuntamento in Spagna.

“E’ tempo – ha affermato Chiara Finocchietti, responsabile del Coordinamento giovani del Fiac e vice presidente nazionale per il Settore giovani dell’Azione cattolica italiana, in una lettera inviata ai responsabili di Ac – di iniziare il nostro pellegrinaggio spirituale in preparazione alla Gmg di Madrid, per cominciare a ‘scaldare’ il cuore e la mente. Al centro di questo itinerario poniamo la preghiera e l’accompagnamento dei santi”.

Ogni tappa dell’itinerario – un appuntamento al mese – sarà scandita da un versetto della Preghiera in preparazione alla Gmg e da una meditazione biblica su uno dei vangeli festivi del periodo.

Ogni meditazione sarà articolata in alcune brevi righe di introduzione antropologica e quindi da una riflessione sulla parola di Dio. Al termine, la testimonianza di un giovane santo o beato di Azione Cattolica con una breve biografia, alcune sue espressioni significative e le parole che gli ha dedicato il Santo Padre.

La proposta è pensata per la preghiera personale e per quella di gruppo, a livello parrocchiale o diocesano. Può essere stampata su un foglio A4 fronte retro e quindi fotocopiata facilmente e distribuita tra gli amici.

“Può essere l’occasione – ha aggiunto Finocchietti - per incontrare giovani di altre aggregazioni e condividere un percorso comune di avvicinamento alla Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid”.

La prima meditazione, che segnerà il periodo dalla prossima domenica di Pentecoste, il 23 maggio, fino al 20 giugno, “sarà accompagnata – ha concluso Finocchietti - dalla figura luminosa di Pier Giorgio Frassati, patrono della Gmg di Sidney, che ci accompagna idealmente nel percorso tra le due Giornate mondiali, di cui il 20 maggio 2010 abbiamo ricordato i 20 anni dalla beatificazione”.

L’itinerario di preghiera è disponibile sul sito Internet del Fiac: www.fiacifca.org

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Viedipace, nuova edizione de "Le Piazze di Maggio"
Un itinerario di riflessione tra Umbria e Toscana ricco di incontri, dibattiti e arte
ROMA, venerdì, 21 maggio 2010 (ZENIT.org).- Sono molte le vie verso la pace, ma tutte partono dalla persona e dall'esercizio della sua responsabilità. È con questi presupposti che nasce "Le Piazze di Maggio", manifestazione ormai alla sua terza edizione che quest'anno si svolgerà fra l'Umbria e la Toscana tra mercoledì 26 e domenica 30 maggio.

Realizzato da Rondine con il sostegno del Servizio nazionale per il Progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), l'evento, che si intitola ‘Viedipace', consiste in una serie di incontri, dibattiti e itinerari di riflessione.

Si parte il 26 maggio da Assisi con l'accoglienza presso la Chiesa di Santa Maria Maggiore: saranno presenti, tra gli altri, il Cardinale Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo inter-religioso, e mons. Domenico Sorrentino, Vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino. Dopo una meditazione di mons. Sorrentino nella Sala della spoliazione nel Vescovado, dove Francesco si tolse le vesti davanti al proprio vescovo, alle 21.30 si terrà un momento di dialogo inter-religioso nel Sacro Convento di Assisi con autorità cristiane, ebraiche e musulmane dall'Italia e dall'estero.

Il giorno seguente la carovana dei partecipanti si sposterà a Perugia per una giornata tutta universitaria: al mattino presso l'Università degli Studi per l'esposizione di uno studio di caso sulla pace nell'azione di diplomazia popolare "Ventidipacesucaucaso", promossa da Rondine attraverso la Conferenza internazionale dei popoli del Caucaso del maggio 2009 a La Verna.

Partecipano 9 atenei italiani consorziati nel Centro Interuniversitario Geo (Giovani, Educazione, Orientamento). Coordina la presentazione Andrea Messeri, docente di Sociologia nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Siena (sede di Arezzo). La sera sarà l'Università per stranieri del capoluogo umbro a ospitare la visione di un film su Francesco e Federico II di Svevia, "Il giorno, la notte, poi l'alba" di Paolo Bianchini; seguirà un dibattito sul "dialogo con l'altro da sé" con esponenti del mondo culturale, religioso e della cooperazione internazionale.

Nella stessa giornata alcuni partecipanti si sposteranno a Città di Castello e Gubbio, in collaborazione con le rispettive diocesi, per offrire una testimonianza dell'azione concreta di Rondine per la riconciliazione tra i popoli.

L'indomani, 28 maggio, il gruppo tornerà ad Arezzo, dove la mattina, nella Sala dei Grandi della Provincia, si svolgerà un incontro intitolato ‘Via di pace è pensare locale e globale' con esponenti del settore bancario (tra cui Marco Morganti, amministratore delegato di Banca Prossima), del no-profit, dirigenti politici e amministratori locali. Nel pomeriggio, nel borgo di Rondine, il presidente Franco Vaccari rievocherà la storia che ha dato vita a questa esperienza unica, mentre la sera sarà animata da momenti artistici.

Sabato sarà dedicato al cammino, inteso in senso fisico ma anche e soprattutto spirituale. Dopo una meditazione preparatoria a Rondine con lo storico Franco Cardini e mons. Rodolfo Cetoloni, Vescovo di Chiusi-Pienza- Montepulciano, nel pomeriggio si partirà da Rassina per raggiungere nella notte, tutti insieme, il Santuario de La Verna (Arezzo). Un cammino all'insegna della riflessione e del silenzio interiore, animato da occasionali letture e performance. All'arrivo il gruppo sarà accolto, tra gli altri, dall'Arcivescovo di Arezzo, monsignor Riccardo Fontana.

La domenica, infine, sempre a La Verna, nella Sala Santa Chiara, si terrà un dibattito dal titolo "Persone, comunità, istituzioni: diplomazia ufficiale, parlamentare e popolare insieme a servizio della pace". Parteciperanno i vertici politici italiani, numerosi diplomatici internazionali e vari esponenti culturali. Il programma potrebbe subire variazioni che saranno comunicate sul sito www.rondine.org.

 

[La partecipazione a ogni singolo evento è libera e gratuita. Chi intende partecipare in maniera più continuativa, usufruendo di vitto, alloggio e trasporto in pullman, può iscriversi attraverso precise modalità. Per ulteriori informazioni si può contattare lo 0575/299666 o scrivere a info@rondine.org]

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Le Regioni in difesa della vita e della famiglia
Tre giorni di mobilitazione per non rassegnarsi all'inverno demografico

di Antonio Gaspari

ROMA, venerdì, 21 maggio 2010 (ZENIT.org).- Il prossimo 22 maggio la legge 194 che regola l’interruzione volontaria di gravidanza compie 32 anni. Fin dall’inizio tale legge, che Giorgio La Pira definì “integralmente ingiusta”, ha suscitato polemiche e discussioni. Negli ultimi 32 anni sono stati più di 5 milioni gi aborti compiuti: una media di 428 al giorno.

Per l'occasione il Movimento per la vita, il Forum delle associazioni familiari e “Scienza&Vita" hanno organizzato dal 21 al 23 maggio una “tre giorni di non rassegnazione”.

I tre Day life hanno avuto inizio con una convegno al Palazzo della Regione Lazio a Roma, in cui gli amministratori delle Regioni d'Italia si sono messi a confronto per discutere il tema “Regioni: quali politiche per la vita?”.

Sabato 22 maggio, con inizio alle ore 10,00, alla Sala Convegni della LUMSA (Libera Università Maria SS: Assunta) si svolgerà il convegno sul tema: “Tempo di riforme, e la legge 194? Le responsabilità della comunicazione nella difesa anche politica della vita nascente”.

Il convegno che prevede gli interventi di Francesco Belletti, Pino Morandini, Giancarlo Blangiardo, Ettore Gotti Tedeschi, Bruno Mozzanega, Giuseppe Anzani, sarà concluso da Carlo Casini, Presidente del Movimento per la Vita (Mpv).

Domenica 23 maggio, ci saranno due manifestazioni davanti al senato e in piazza San Pietro, per “guardare al futuro dell’Italia con gli occhi dei bambini”, con l’intento di non dimenticare i 5 milioni di bambini concepiti e mai nati, per non dimenticare i 120.000 bambini nati grazie ai Centri di aiuto alla vita.

Al convegno “Regioni: quali politiche per la vita?” che si è svolto questo venerdì mattina erano presenti oltre trenta tra presidenti assessori e consiglieri regionali di 12 Regioni diverse.

Dopo un'ampia discussione gli amministratori presenti hanno approvato un documento finale nel quale si afferma la volontà di costituire “una rete di amministratori regionali in grado di elaborare una unitaria strategia” finalizzata ad alcuni punti specifici:

- trasformare i consultori familiari in strumenti di solidarietà verso le maternità difficili o indesiderate univocamente finalizzata alla protezione della vita nascente

- orientare i colloqui previsti dall’articolo 5 della legge 194 in modo da determinare una responsabilizzazione verificabile degli operatori sanitari e delle donne in difficoltà

- valorizzare le iniziative del volontariato a servizio della maternità e della vita

- promuovere iniziative culturali ed educative affinché il diritto alla vita sia riconosciuto dalla società civile in tutta la sua estensione fin dal concepimento, quale prima espressione dell’uguale dignità umana

- proteggere l’obiezione di coscienza prevista dalla legge 194
 
L’impegno è di lavorare alla costruzione di “una sensibilità nuova riguardo al valore della vita umana nascente e conseguentemente ad una interpretazione ed attuazione della legge 194 che attribuisca significato normativo decisivo all’articolo 1 laddove si proclama che la Repubblica tutela la vita umana fin dal suo inizio”.

A tale scopo i convenuti “ritengono opportuno che l’inizio della vita umana sia reso esplicito con l’indicazione del ‘concepimento’ ed auspicano che tale precisazione trovi il consenso delle Giunte e dei Consigli regionali fino ad approdare agli Statuti”.

Sull’utilizzo della Ru486 hanno affermato che “quanto meno, dovrebbe essere fatta rigorosa applicazione dell’articolo 8 della legge 194, in considerazione dei rischi sanitari che deve affrontare la donna e cioè con permanenza ospedaliera fino all’espulsione dell’embrione”.

L’assemblea ha infine auspicato “che siano  stabiliti collegamenti interregionali tra amministratori e che le realtà locali del Movimento per la vita, del Forum e di Scienza&Vita prendano contatto con le Giunte ed i Consigli regionali”.
 
In sala sono intervenuti i presidenti del Lazio - Renata Polverini - e della Lombardia - Roberto Formigoni - e, attraverso un loro rappresentante, i president del Piemonte - Roberto Cota - e delle Marche - Gian Mario Spacca -. Messaggi e saluti sono giunti, tra gli altri, da: Claudio Burlando presidente della Liguria; Vasco Errani, presidente dell’Emilia Romagna; Nichi Vendola, presidente della Puglia; Luca Zaia, presidente del Veneto; e di Luis Durnwalder, presidente del Trentino Alto Adige.

Intervenendo al convegno Renata Polverini ha rilanciato la politica di sostegno alle donne partendo dai consultori che "finora hanno funzionato poco. Rappresentano una parte della legge 194 che nasce per tutelare la vita e quindi anche sui consultori ci sarà un impegno forte a favore della vita".

Per impedire che le donne si trovino ad abortire per difficoltà economiche, la Polverini ha spiegato che ha intenzione di reintrodurre il bonus bebè, di provvedere un assegno alle famiglie sulla base del quoziente familiare fino ad arrivare a servizi pubblici gratuiti per le famiglie rispetto alla loro composizione e posizione economica.

La presidente della regione Lazio ha inoltre affermato che saranno attivate delle politiche abitative per le giovani coppie anche con mutui agevolati ma soprattutto un sostegno all'assistenza domiciliare grazie ai bonus famiglie.

Il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni ha ricordato le battaglie condotte in prima persona per abolire la legge 194, ma anche l’impegno successivo a rispettarla, soprattutto nelle parti in cui è stata disattesa, cioè nelle parti in cui le istituzioni si devono impegnare in ogni modo per convincere le donne incinte a non abortire.

In merito alla pillola abortiva, Formigoni ha precisato: “Come presidenti delle Regioni non possiamo impedire l'introduzione della pillola Ru486 ma dobbiamo applicarla nel rispetto delle legge nella sua interezza, in particolare l'art. 8 secondo il quale l'aborto deve essere medicalmente assistito”.

Ma ha tenuto a sottolineare: “noi non siamo eversori ma lettori attenti della legge che deve essere applicata in ogni sua parte secondo uno spirito di favor vitae. Ironia della storia ci porta oggi a difendere l'integralità di quella legge 194, che pure abbiamo a suo tempo osteggiato, proprio contro quelli che trenta anni fa la sostenevano e che oggi vogliono aggirarla. La forza dei nemici della vita sta nella banalizzazione dell'aborto e della vita, ma la nostra forza è la difesa della vita contro ogni cultura di morte”.

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Segnalazioni


A Bologna, in memoria delle vittime dell'aborto
Nel 32° anniversario dell'approvazione della Legge 194
ROMA, venerdì, 21 maggio 2010 (ZENIT.org).- Il 22 maggio, 32° anniversario dell'approvazione della Legge 194 che ha legalizzato l'aborto in Italia, la Comunità Papa Giovanni XXIII organizza a Bologna in piazza Nettuno un'iniziativa pubblica per ricordare l'ingiustizia dell'aborto e tutti i bambini morti 'a norma di legge'.

“Dal 22 maggio 1978 ad oggi – si legge in una nota dell'associazione – la vita di oltre 5 milioni di bambine e bambini è stata spezzata nell'indifferenza più totale. Le loro mamme sono stati ingannate, abbandonate, spinte all'aborto da questa società abortista e vivono ora con dolore, depressione e psicosi il post-aborto”.

“Per questo il 22 maggio – continua la nota – la Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, ha scelto di scendere in piazza, per far uscire questa ingiustizia dal silenzio, per fare memoria di queste bambine e bambini, piccoli martiri che nessuno pubblicamente ricorda, per affrettare l'avvento di un mondo nuovo dove la vita nascente sarà pienamente rispettata insieme alle madri e ai padri”.

Oltre ad aderire alla manifestazione del 23 a Roma, i membri della Comunità Papa Giovanni XXIII si riuniranno a Bologna, sabato 22 maggio alle ore 10,30 in piazza del Nettuno.

“Faremo un sit-in proprio dove la città ricorda i suoi caduti, con in mano 2615 fiocchi rosa e azzurri, in numero pari a quello degli aborti avvenuti a Bologna nell'ultimo anno”.

“Sono i fiocchi – spiega il comunicato – che sarebbero dovuti essere appesi alle case delle nostre città; saranno listati a lutto per ricordare la morte violenta subita da questi piccoli, per l'abbandono in cui sono state lasciate le loro mamme e i loro papà, dalla società e delle istituzioni”.

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Interviste


"Sarebbe opportuna una nuova indagine sulla Sacra Sindone"
Parla il presidente del Centro Spagnolo di Sindonologia
di Inma Álvarez

VALENCIA, venerdì, 21 maggio 2010 (ZENIT.org).- Da quando è iniziata l'Ostensione della Sindone a Torino, le visite alla pagina web del Centro Spagnolo di Sindonologia (CES), istituzione specializzata nello studio della Sacra Sindone, del Sudario di Oviedo e di altre reliquie collegate alla Passione di Cristo, sono aumentate.

Lo afferma in questa intervista a ZENIT il presidente del CES, Jorge M. Rodríguez Almenar, che è anche docente di Diritto Civile presso l'Università di Valencia. E' inoltre direttore di EDICES, l'équipe di ricerca del CES, il cui lavoro più significativo è stato lo studio del Sudario di Oviedo.

A che cosa si deve questo interesse o questa curiosità per la Sacra Sindone?

Jorge M. Rodríguez: Unisce tre cose che hanno un grande interesse. La prima è la possibilità che sia di Gesù Cristo, e l'interesse per Cristo oggi è enorme, sia favorevole che contrario. Gesù interessa a molte persone, di ogni classe, origine e condizione. In secondo luogo, si tratta di una ricerca molto moderna, aperta, in cui non manca la polemica - polemica a volte falsata, per mancanza di conoscenza dei lavori scientifici. In terzo luogo, è un mistero sconcertante, perché in base a tutte le ricerche condotte (e parliamo di decenni di ricerche) si tratta di un oggetto che trascende la normalità.

Parlando di polemiche, perché continua ad essere un riferimento la datazione del carbonio 14 e non altre ricerche?

Jorge M. Rodríguez: Semplicemente perché è l'unica che viene sempre citata dai mezzi di comunicazione. L'altro giorno ci è arrivato via Internet l'articolo di un blog di un quotidiano spagnolo in cui si diceva che al di fuori della datazione del carbonio 14 non c'è alcun altro articolo di ricerca pubblicato su riviste scientifiche sulla Sacra Sindone. E' una menzogna assoluta, ci sono decine di pubblicazioni su riviste scientifiche da parte dell'équipe che ha studiato la Sacra Sindone negli anni Settanta e Ottanta, ma arriva un momento in cui nessuno lo sa, perché non se ne parla mai.

Per pubblicare un articolo su una rivista scientifica, inoltre, un lavoro deve passare per una serie di controlli e filtri indipendenti. Ciò vuol dire che, con lo stesso valore scientifico, si cita sempre la datazione del C14 e mai gli altri dati.

Alla fine degli anni Settanta e Ottanta, è stata creata un'équipe multidisciplinare, nota come STURP (dalle iniziali in inglese), per studiare la Sacra Sindone da vari punti di vista. Sono state compiute prove di spettrografia e di spettrofotometria, prove fisiche e chimiche dell'immagine, studi forensi, palinologici. Questi dati mostrano che non si tratta affatto di un falso medievale. Al giorno d'oggi, la scienza continua a non capire come si sia potuta realizzare questa immagine.

Per capire meglio: in relazione alla Sacra Sindone ci sono tre aspetti che non sono indipendenti, ma che si possono differenziare: ciò che si riferisce al telo, ciò che riguarda l'immagine e ciò che si riferisce al personaggio. L'unica cosa che è in discussione è l'età della tela, ma ciò non vuol dire che questa immagine sia un quadro, o che il personaggio non sia Gesù Cristo. Sono temi completamente diversi. Anche ammettendo che la tela sia del XIV secolo, come sia stata realizzata questa immagine e chi fosse quel personaggio sono domande che chiedono a gran voce una spiegazione.

Quanto alla datazione del C14, lo stesso inventore del metodo moderno di datazione con il carbonio, il professor Harry Gove, che era uno di quelli che pensavano che la datazione fosse stata effettuata correttamente, riconosceva in seguito in un documentario per Discovery Channel (In Pursuit of the Shroud, 1998) che non era stata determinata la contaminazione specifica del Telo.

All'epoca, prima di procedere alla datazione, è stata effettuata una pulizia standard, ma si è dimostrato che in alcuni casi il 20% delle datazioni ottenute è impensabile. Ciò non sminuisce il metodo, ma presuppone di riconoscere che i campioni non hanno sempre le condizioni adeguate.

Ad esempio, se faccio un'analisi del sangue e viene trovato dello zucchero è chiaro che c'è dello zucchero, ma ciò può accadere perché sono diabetico o perché ho appena fatto una scorpacciata di dolci. Nella Sacra Sindone, è dimostrato che c'è un 18-20% di C14 in più rispetto a quanto ce ne sarebbe se fosse del I secolo. Può essere che il Telo sia medievale, ma può anche essere dovuto a un incendio, ai rammendi successivi, al grasso delle dita per secoli... Ciò falsa il risultato, e non è la prima volta che accade in archeologia, anzi, succede una volta su cinque. Per molti, il C14 è infallibile solo con la Sacra Sindone!

Lo stesso laboratorio di Oxford che ha eseguito la datazione della Sindone ha effettuato poco dopo quella di una mummia egiziana dalla quale è risultato che le bende avevano tremila anni meno del corpo con il quale sono state seppellite. E' evidente che questa datazione è falsa (le bende erano attaccate al morto). La causa, probabilmente, è che non sono state pulite a sufficienza, essendo esteriori sono rimaste più contaminate.

La stessa rivista Nature ha detto che il livello di valore della datazione della Sindone è del 5%, cioè che i vari laboratori hanno diffuso date troppo separate tra loro, e ciò presuppone (lo ammettono essi stessi) che ci sia un fattore che sta distorcendo il risultato.

Forse ciò che ha distorto la percezione della ricerca da parte dell'opinione pubblica è stata la rapidità con cui il Cardinal Ballestrero ha accettato il risultato...

Jorge M. Rodríguez: Sono totalmente d'accordo. Il Cardinale, inoltre, è morto amareggiato per quella che considerava una grande "gaffe" da parte sua. Non hanno neanche aspettato che si facesse una valutazione scientifica del risultato. In quel momento c'era un'intensa campagna mediatica che affermava che la Chiesa sapeva che la Sindone era falsa e non aveva il coraggio di pubblicare il risultato. Si è ceduto a questa pressione ed è stata organizzata una conferenza stampa troppo presto, considerando i risultati come ufficiali.

Nell'articolo di Nature, inoltre, oltre alla datazione, si presentava una serie di dettagli non scientifici non inerenti al caso, come il fatto che la prima testimonianza scritta dell'esistenza della Sindone è del XIV secolo, cosa che oltre a non essere vera rappresentava un'intromissione nella storia da parte di un articolo che si presuppone solo scientifico.

Attualmente ci sono ricerche in corso?

Jorge M. Rodríguez: Noi vorremmo, perché dal 1979-1981, quando è stata effettuata la ricerca da parte della STURP, le tecniche sono migliorate molto. Questa nuova serie di ricerche, però, dovrebbe essere effettuata senza fretta, con un protocollo perfettamente dettagliato, e sapendo bene ciò che si cerca. E non credo che la Chiesa si opponga.

Di fatto, io stesso ho intervistato il Cardinale Ratzinger quattro mesi prima che diventasse Benedetto XVI, e si è mostrato totalmente a favore di nuove ricerche. In particolare, è rimasto molto colpito dai nostri studi sul Sudario di Oviedo. Ci ha detto letteralmente: "Continuate a indagare, perché questo rafforza la nostra fede".

Per questo, non credo che ci siano problemi per compiere nuove ricerche. Non si può improvvisare, certo, perché tutto ciò che implichi una manipolazione del telo presuppone il fatto di danneggiarlo. Al di sopra di tutto, bisogna cercare di far sì che la Sindone subisca meno danni possibile.

Potrebbe spiegarci che cos'è il Sudario di Oviedo e che tipo di indagini sono state svolte dal suo gruppo al riguardo?

Jorge M. Rodríguez: Compiamo ricerche da più di vent'anni su un oggetto che si trova a Oviedo e che è unico al mondo. Si tratta di una tela sporca, macchiata, sgualcita, che non ha alcun tipo di immagine né alcun disegno, ma che dal punto di vista forense si può "decifrare". Ciò che abbiamo fatto è "leggerla" e capire che cosa c'è lì.

In base alle nostre conclusioni, sulle quali abbiamo organizzato due congressi scientifici internazionali all'Università di Oviedo, ci troviamo probabilmente davanti al sudario, o al fazzoletto per il sudore, indicato dal Vangelo di Giovanni (20, 6-7): "Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte".

Questo testo è tradotto male con "bende per terra", quando quello che dice il testo in greco è "tele cadute", ma nel senso di "sgonfiate". Non possono essere bende, perché sarebbe come una mummia egiziana. E negli altri Vangeli si parla di una sindone o di un lenzuolo.

Il Sudario è un fazzoletto che presumibilmente avvolgeva la testa del crocifisso dalla croce fino al sepolcro, per raccogliere il liquido che usciva dal naso e dalla bocca come conseguenza dell'edema polmonare. Coincide esattamente con quello che dice San Giovanni: un sudario che copriva la testa.

Sappiamo che il morto è stato in tre posizioni successive, con il fazzoletto avvolto come una specie di cappuccio intorno alla testa. Su di esso ci sono resti di mirra e aloe e sangue del gruppo AB, e le macchie coincidono con quelle della Sacra Sindone. Attualmente una sequenza del DNA mitocondriale di quel sangue è allo studio di uno dei maggiori esperti sul tema in Spagna, il dottor Alonso, dell'Istituto Nazionale di Tossicologia. I risultati che abbiamo, che abbiamo diffuso e che finora nessuno ha contestato, coincidono con quello che sappiamo dal Vangelo di Giovanni.

Non è curioso che si sappia così poco del Sudario di Oviedo mentre c'è tanto interesse per la Sacra Sindone?

Jorge M. Rodríguez: E' quello che penso anch'io! Stiamo facendo il possibile per far conoscere le nostre ricerche, ma ovviamente la gente non chiede su ciò che non sa.

Nonostante questo, abbiamo avuto ripercussioni a livello mondiale. Un documentario di Discovery Channel sulla Sacra Sindone ha dedicato quattro minuti al Sudario. C'è un altro documentario dello scorso anno della BBC in cui si afferma che le ricerche sulla Sacra Sindone potrebbero sbloccarsi grazie al Sudario di Oviedo, che è sicuramente del VII secolo. E' sufficiente per intraprendere una ricerca più ampia confrontando i due teli.

Alcuni giorni fa, poi, il National Geographic ha fatto delle registrazioni a Oviedo. L'impressione è che la questione sia più conosciuta fuori dalla Spagna che al suo interno... Purtroppo noi spagnoli facciamo tutto il possibile per non renderci conto di quello che abbiamo qui.

Lo stesso accade con il Santo Calice, qui a Valencia. Il National Geographic ha registrato un altro documentario, e tuttavia gli stessi valenciani non ne sono a conoscenza. Nel novembre 2008 abbiamo organizzato un congresso internazionale monografico sul tema, in cui per la prima volta si è messo in comune tutto ciò che si sa o che si è studiato sul Calice. Era la prima volta che si faceva qualcosa di simile...

E' comunque strano che ci sia tanta curiosità per Gesù Cristo ma che tra i cattolici queste cose si conoscano poco. O non è sempre stato così?

Jorge M. Rodríguez: A mio avviso, noi cattolici ci siamo "protestantizzati" rispetto alle reliquie, che prima si veneravano normalmente e ora sono cadute nel dimenticatoio. E' frutto del relativismo e del razionalismo, di un'idea che nasce con il protestantesimo, che la fede non si può basare su nulla che non sia la mera fiducia in Dio. Gli eccessi a favore - e ce ne sono stati - di questo tipo di reliquie hanno provocato un eccesso contrario.

Le reliquie - almeno noi la pensiamo così - sono documenti che bisogna leggere e studiare per conoscere ciò che testimoniano. E' come se studiando la personalità di Napoleone non si prendessero in considerazione i suoi oggetti personali con l'accusa che si tratta di "feticismo". Se trovo una lettera che è presumibilmente di Napoleone, la prima cosa che farò sarà verificare se è autentica, e poi la leggerò!

Le reliquie non sono concetti, ma oggetti. I concetti sono discutibili, gli oggetti no, sono studiabili. E ciò che si è studiato sulla Sacra Sindone è sorprendente, non si incastra con niente. E non si può negare, perché è lì.

Perché il Centro Spagnolo di Sindonologia è nato a Valencia e non altrove?

Jorge M. Rodríguez: Perché è stato fondato da una signora, Manuela Corsini de Ordeig, che si è interessata a questo tema per molti anni e che alla fine della sua vita ha voluto trasmettere ciò che aveva appreso a un gruppo di universitari, tra i quali c'ero io. E noi abbiamo deciso di dare una struttura di associazione culturale alla nostra entità, iniziando in modo molto umile, ma con rigore. E quando si procede con umiltà e rigore si può andare molto lontano.

Abbiamo iniziato andando ai congressi internazionali sulla Sacra Sindone, per ascoltare personalmente gli esperti che avevano compiuto ricerche su di essa. Poi abbiamo avuto l'opportunità di creare un'équipe di ricerca, l'EDICES, che attualmente è una delle più importanti su questo tema, e con professionisti, non volontari.

Ho raccolto la nostra ricerca, pubblicata dalle edizioni dell'Università di Navarra, EUNSA, in un linguaggio semplice perché si potesse comprendere bene. Ci sono molte fotografie: quando diciamo che lì ci sono globuli rossi, mettiamo la foto dei globuli rossi. Quando diciamo che i reagenti affermano che è sangue, mettiamo la foto dei reagenti... Abbiamo semplicemente pubblicato ciò che abbiamo visto.

Chi era Manuela Corsini?

Jorge M. Rodríguez: E' stata la nostra fondatrice, una donna che non era uno scienziato, ma aveva un grande interesse per la Sacra Sindone. Si è dedicata per 30 anni a raccogliere i dati di cui si veniva a conoscenza, andava ai congressi di sindonologia (è andata a quello del 1978, il primo di tutti a livello internazionale).

Aveva una grande capacità di trasmettere, e ciò che fece fu trasmetterci il suo interesse critico e scientifico sulla Sindone. Anche se non ha potuto studiare per colpa della guerra, veniva da una famiglia molto colta, i Corsini, una famiglia nobile e molto tradizionale.

Ha scritto un paio di libri nei quali ha raccolto e ordinato i dati che aveva. Il suo merito è aver avuto la cultura e la convinzione sufficienti per spingere altri ad andare più in là di quanto aveva fatto lei, il che dimostra il suo valore umano.


[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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Parola e vita


Pentecoste: la pienezza della vita in un alito di Vita
Solennità della Pentecoste, 23 maggio 2010

di padre Angelo del Favero*


ROMA, venerdì, 21 maggio 2010 (ZENIT.org).-"Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano" (At 2,1-2).

"Fratelli, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo non gli appartiene. Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi" (Rm 8,8-11).

"Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. (...) Ma il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto" (Gv 14,15-17.22-26).

Ricostituiti i Dodici con l'elezione di Mattia, Luca descrive la venuta dello Spirito promesso da Gesù come se il Padre avesse inviato una tromba d'aria sul Cenacolo.

Un'irruzione insieme imprevista ed attesa, intensamente invocata dalla prima comunità dei credenti: "vi erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea...Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù" (At 1,14).

Nonostante il suo ruolo fondamentale, Maria è qui nominata per ultima, ma...è come se, descrivendo la "sala parto", un osservatore menzionasse anzitutto il medico, poi l'anestesista, gli infermieri, e, infine, la vera protagonista della situazione: colei che sta per partorire. Nella medesima logica delle cose, Luca sottolinea la presenza decisiva di Maria in ordine alla nascita della Chiesa, nel Cenacolo. Comprendiamo che la madre del Capo della Chiesa, necessariamente è anche Madre del nascente Corpo, ma Luca oggi ci sorprende presentando Maria anche nel ruolo di..."ostetrica" spirituale di tale parto ecclesiale.

La presenza dell'Immacolata, infatti, è irresistibile per lo Spirito di Cristo, cui ella appartiene in maniera unica (Rm 8,9):  "Nel Cenacolo Maria sostiene la fede degli apostoli invitandoli a perseverare e a resistere nella preghiera di supplica - essendo la perseveranza nella preghiera quasi il solo segno della qualità e della profondità del desiderio di ricevere lo Spirito. Fino a quando l'uomo non supplica con la fiducia e la perseveranza di Maria, vi è una parte di lui che rifiuta e custodisce in riserva alcune soluzioni sostitutive. Per questo la sua preghiera non ha la violenza dello scoppio che sposta le montagne e le getta in mare." (J. Lafrance, "Vieni Spirito Santo", prefazione). Senza la Madonna sarebbe stata doppiamente vuota "la casa dove stavano" i Dodici (At 1,13), sia dal versante affettivo del suo legame profondo con i discepoli, sia da quello fondamentale della traboccante venuta dello Spirito Santo.

Alla luce del "lieto evento" del Cenacolo, comprendiamo allora che la Pentecoste è un fatto conseguente e parallelo a quello avvenuto trentatre anni, nove mesi e cinquanta giorni prima a Nazaret: "Come nell'Incarnazione lo Spirito aveva formato nel suo grembo verginale il corpo fisico di Cristo, così ora nel Cenacolo lo stesso Spirito scende ad animarne il Corpo Mistico" (Giovanni Paolo II, Catechesi mariana, 29/5/1997).

Ed ecco lo scopo e l'effetto della sua discesa: "Lo Spirito Santo ricolma la Vergine ed i presenti della pienezza dei suoi doni, operando in loro una profonda trasformazione in vista delle diffusione della Buona Novella. Alla Madre di Cristo e ai discepoli sono concessi nuova forza e nuovo dinamismo apostolico per la crescita della Chiesa" (id.).

La Buona Novella che lo Spirito abilita a diffondere è il "Vangelo della vita", il Vangelo che è Cristo, il Vangelo che da' la vita e che mai come oggi "va annunciato con coraggiosa fedeltà agli uomini di ogni epoca e cultura" (G. Paolo II, Enciclica "Evangelium vitae", n. 1). Infatti: "La Chiesa professa la sua fede nello Spirito Santo come in Colui "che è Signore e da' la vita"..Colui nel quale l'imperscrutabile Dio uno e trino si comunica agli uomini, costituendo in essi la sorgente della vita eterna" (G. Paolo II, Enciclica "Dominum et vivificantem", Introduzione). E "...proprio in tale "vita" acquistano pieno significato tutti gli aspetti e i momenti della vita dell'uomo" (E.V., n. 1).

Tutti gli aspetti e i momenti della vita dell'uomo! Pensiamo allora, in particolare, a quegli aspetti e quei momenti in cui la vita umana è segnata dalla propria intrinseca fragilità. Li riconosciamo anzitutto ai punti estremi del suo arco esistenziale: l'essere umano nel grembo materno, specialmente se appena concepito; e l'uomo nella malattia inguaribile, come lo stato vegetativo persistente o altre patologie mortali a decorso irreversibile. Ma pensiamo anche all'angosciosa "sindrome" dell'umana solitudine, sperimentata e descritta con drammatiche parole da Gesù stesso: "Hai allontanato da me amici e conoscenti, mi fanno compagnia soltanto le tenebre"(Sal 88/87, v.19). In simili tenebre spirituali, la vita risulta talmente priva di energia da somigliare ad un lumicino smorto, ben lontana da quella naturale vitalità che, mentre la rende lieta e bella, comunica alla volontà la forza di un vento gagliardo.  

In verità, senza la relazione affettiva con gli altri, l'esistenza sembra niente più che un inutile alito di vita. Un "alito" è qualcosa di appena percettibile, esile, sottile, estremamente delicato, che facilmente potrebbe spegnersi, venire soppresso: precarietà non solo fisica, ma anche morale-spirituale: la vita senza senso, la vita che non vale più la pena di vivere.

Eppure la parola "alito", secondo la rivelazione biblica sulla vita (la verità della sua creazione divina), non indica debolezza bensì "essenza divina di vita", la quale scaturisce dalla sua Fonte increata: "Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente" (Gen 2,7). Perciò questo "alito di vita", pur connotando la fragilità umana, possiede in realtà l'energia di "un vento che si abbatte impetuoso"(At 2,2).

In effetti "alito di vita" è una stupenda definizione della creatura umana, valida dall'alba al tramonto della sua esistenza, valida anche per l'Autore stesso della vita, in forza dell'Incarnazione del Figlio di Dio. Sì, anche il concepito Figlio dell'Altissimo era "un alito di vita" in Maria, fragilità inconcepibile per un Dio onnipotente, solidarietà infinita che Lo unisce in qualche modo ad ogni uomo concepito, ad ogni più fragile alito di vita umana.

Concludo. La promessa del Signore che lo Spirito Santo "..vi insegnerà ogni cosa e vi  ricorderà tutto ciò che vi ho detto" (Gv 14,26), significa che lo Spirito "non solo, nel modo a lui proprio, continuerà ad ispirare la divulgazione del vangelo di salvezza, ma anche che aiuterà a comprendere il giusto significato del contenuto del messaggio di Cristo; che ne assicurerà la continuità ed identità di comprensione in mezzo alle mutevoli condizioni e circostanze. Lo Spirito Santo, dunque, farà sì che nella chiesa perduri sempre la stessa verità, che gli apostoli hanno udito dal loro Maestro" ("Dominum et vivificantem", n. 4).

Queste divine parole ci danno la certezza che mai come in questo nostro tempo lo Spirito Santo è all'opera per far conoscere la verità della vita.  Una verità semplice e meravigliosa che Dio ha fatto conoscere alla Vergine di Nazaret in tre sole parole: "Concepirai un figlio" (Lc 1,31).

In queste tre parole è contenuta l'intera verità sul valore infinito e la corrispondente dignità di ogni persona umana, fin dal concepimento: esse costituiscono la fonte divina di tutto l'insegnamento della Chiesa circa gli aspetti antropologici, teologici ed etici della vita e della procreazione umana.

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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Discorso del Papa alla Plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici
"Testimoni di Cristo nella comunità politica"
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 21 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo venerdì da Benedetto XVI nel ricevere in Vaticano i partecipanti alla XXIV Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici, in corso a Roma dal 20 al 22 maggio sul tema: Testimoni di Cristo nella comunità politica.





* * *

Signori Cardinali,

Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

Cari fratelli e sorelle!

E’ con gioia che accolgo voi tutti, Membri e Consultori, partecipanti alla XXIV Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici. Rivolgo un cordiale saluto al Presidente, Cardinale Stanisław Ryłko, ringraziandolo per le cortesi parole che mi ha rivolto, al Segretario, Mons. Josef Clemens, e a tutti i presenti. La composizione stessa del vostro Dicastero, dove, accanto ai Pastori, lavora una maggioranza di fedeli laici provenienti dal mondo intero e dalle più differenti situazioni ed esperienze, offre un’immagine significativa della comunità organica che è la Chiesa, in cui il sacerdozio comune, proprio dei fedeli battezzati, e il sacerdozio ordinato affondano le radici nell’unico sacerdozio di Cristo, secondo modalità essenzialmente diverse, ma ordinate l’una all’altra. Giunti ormai quasi al termine dell’Anno Sacerdotale, ci sentiamo ancora di più testimoni grati della sorprendente e generosa donazione e dedizione di tanti uomini "conquistati" da Cristo e configurati a Lui nel sacerdozio ordinato. Giorno dopo giorno, essi accompagnano il cammino dei christifideles laici, proclamando la Parola di Dio, comunicando il suo perdono e la riconciliazione con Lui, richiamando alla preghiera e offrendo come alimento il Corpo e il Sangue del Signore. È da questo mistero di comunione che i fedeli laici traggono l’energia profonda per essere testimoni di Cristo in tutta la concretezza e lo spessore della loro vita, in tutte le loro attività e ambienti.

Il tema di questa vostra Assemblea: "Testimoni di Cristo nella comunità politica", riveste una particolare importanza. Certamente, non rientra nella missione della Chiesa la formazione tecnica dei politici. Ci sono, infatti, a questo scopo varie istituzioni. E’ sua missione, però, "dare il suo giudizio morale anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime… utilizzando tutti e solo quei mezzi che sono conformi al Vangelo e al bene di tutti, secondo la diversità dei tempi e delle situazioni" (Gaudium et spes, 76). La Chiesa si concentra particolarmente nell’educare i discepoli di Cristo, affinché siano sempre più testimoni della sua Presenza, ovunque. Spetta ai fedeli laici mostrare concretamente nella vita personale e familiare, nella vita sociale, culturale e politica, che la fede permette di leggere in modo nuovo e profondo la realtà e di trasformarla; che la speranza cristiana allarga l’orizzonte limitato dell’uomo e lo proietta verso la vera altezza del suo essere, verso Dio; che la carità nella verità è la forza più efficace in grado di cambiare il mondo; che il Vangelo è garanzia di libertà e messaggio di liberazione; che i principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa - quali la dignità della persona umana, la sussidiarietà e la solidarietà - sono di grande attualità e valore per la promozione di nuove vie di sviluppo al servizio di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Compete ancora ai fedeli laici partecipare attivamente alla vita politica, in modo sempre coerente con gli insegnamenti della Chiesa, condividendo ragioni ben fondate e grandi ideali nella dialettica democratica e nella ricerca di un largo consenso con tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita e della libertà, la custodia della verità e del bene della famiglia, la solidarietà con i bisognosi e la ricerca necessaria del bene comune. I cristiani non cercano l’egemonia politica o culturale, ma, ovunque si impegnano, sono mossi dalla certezza che Cristo è la pietra angolare di ogni costruzione umana (cfr Congr. per la Dottrina della Fede, Nota Dottrinale su alcune questioni relative all’impegno e al comportamento dei cattolici nella vita politica, 24 nov. 2002).

Riprendendo l’espressione dei miei Predecessori, posso anch’io affermare che la politica è un ambito molto importante dell’esercizio della carità. Essa richiama i cristiani a un forte impegno per la cittadinanza, per la costruzione di una vita buona nelle nazioni, come pure ad una presenza efficace nelle sedi e nei programmi della comunità internazionale. C’è bisogno di politici autenticamente cristiani, ma prima ancora di fedeli laici che siano testimoni di Cristo e del Vangelo nella comunità civile e politica. Questa esigenza dev’essere ben presente negli itinerari educativi delle comunità ecclesiali e richiede nuove forme di accompagnamento e di sostegno da parte dei Pastori. L’appartenenza dei cristiani alle associazioni dei fedeli, ai movimenti ecclesiali e alle nuove comunità, può essere una buona scuola per questi discepoli e testimoni, sostenuti dalla ricchezza carismatica, comunitaria, educativa e missionaria propria di queste realtà.

Si tratta di una sfida esigente. I tempi che stiamo vivendo ci pongono davanti a grandi e complessi problemi, e la questione sociale è diventata, allo stesso tempo, questione antropologica. Sono crollati i paradigmi ideologici che pretendevano, in un passato recente, di essere risposta "scientifica" a tale questione. Il diffondersi di un confuso relativismo culturale e di un individualismo utilitaristico ed edonista indebolisce la democrazia e favorisce il dominio dei poteri forti. Bisogna recuperare e rinvigorire un’autentica sapienza politica; essere esigenti in ciò che riguarda la propria competenza; servirsi criticamente delle indagini delle scienze umane; affrontare la realtà in tutti i suoi aspetti, andando oltre ogni riduzionismo ideologico o pretesa utopica; mostrarsi aperti ad ogni vero dialogo e collaborazione, tenendo presente che la politica è anche una complessa arte di equilibrio tra ideali e interessi, ma senza mai dimenticare che il contributo dei cristiani è decisivo solo se l’intelligenza della fede diventa intelligenza della realtà, chiave di giudizio e di trasformazione. È necessaria una vera "rivoluzione dell’amore". Le nuove generazioni hanno davanti a sé grandi esigenze e sfide nella loro vita personale e sociale. Il vostro Dicastero le segue con particolare cura, soprattutto attraverso le Giornate Mondiali della Gioventù, che da 25 anni producono ricchi frutti apostolici tra i giovani. Tra questi vi è anche quello dell’impegno sociale e politico, un impegno fondato non su ideologie o interessi di parte, ma sulla scelta di servire l’uomo e il bene comune, alla luce del Vangelo.

Cari amici, mentre invoco dal Signore abbondanti frutti per i lavori di questa vostra Assemblea e per la vostra attività quotidiana, affido ciascuno di voi, le vostre famiglie e comunità all’intercessione della Beata Vergine Maria, Stella della nuova evangelizzazione, e di cuore vi imparto la Benedizione Apostolica.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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Discorso del Papa al Consiglio superiore delle Pontificie Opere Missionarie

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 21 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo venerdì da Benedetto XVI nel ricevere in Vaticano i partecipanti all’Assemblea ordinaria del Consiglio superiore delle Pontificie Opere Missionarie (Roma, 17-21 maggio) che hanno riflettuto sul tema “La costruzione della comunione ecclesiale è la chiave della missione”.





* * *

Signor Cardinale,

venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

cari fratelli e sorelle!

Siate i benvenuti! Rivolgo il mio cordiale saluto al Cardinale Ivan Dias, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, che ringrazio per le cordiali parole, al Segretario Mons. Robert Sarah, al Segretario Aggiunto Mons. Piergiuseppe Vacchelli, Presidente delle Pontificie Opere Missionarie, a tutti i collaboratori del Dicastero, e in modo particolare ai Direttori Nazionali delle Pontificie Opere Missionarie, convenuti a Roma da tutte le Chiese per l’annuale Assemblea Ordinaria del Consiglio Superiore.

Sono particolarmente grato a questa Congregazione, alla quale il Concilio Ecumenico Vaticano II, in linea con l’atto costitutivo con cui veniva fondata nel 1622, ha confermato il compito di "regolare e coordinare, in tutto il mondo, sia l'opera missionaria sia la cooperazione missionaria" (Decr. Ad gentes, 29). E’ una missione immensa, quella dell’evangelizzazione, specialmente in questo nostro tempo, in cui l’umanità soffre una certa mancanza di pensiero riflessivo e sapienziale (cfr Caritas in veritate, 19. 31) e si diffonde un umanesimo che esclude Dio (cfr ibid. 78). Per questo è ancora più urgente e necessario illuminare i nuovi problemi che emergono con la luce del Vangelo che non muta. Siamo infatti convinti che il Signore Gesù Cristo, testimone fedele dell'amore del Padre, "con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera" (ibid. 1). All’inizio del mio ministero come Successore dell’Apostolo Pietro ho affermato con forza: "noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita… Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui" (Omelia all’inizio del ministero petrino, 24 aprile 2005). La predicazione del Vangelo è un inestimabile servizio che la Chiesa può offrire all’umanità intera che cammina nella storia. Provenienti dalle Diocesi di tutto il mondo, voi siete un segno eloquente e vivo della cattolicità della Chiesa, che si concretizza nel respiro universale della missione apostolica, "fino agli ultimi confini della terra" (At 1,8), "sino alla fine del mondo" (Mt 28,20), perché nessun popolo o ambiente siano privati della luce e della grazia di Cristo. Questo è il senso, la traiettoria storica, la missione e la speranza della Chiesa.

La missione di annunziare il Vangelo a tutte le genti è giudizio critico sulle trasformazioni planetarie che stanno cambiando sostanzialmente la cultura dell'umanità. La Chiesa, presente e operante sulle frontiere geografiche e antropologiche, è portatrice di un messaggio che si cala nella storia, dove proclama i valori inalienabili della persona, con l’annuncio e la testimonianza del piano salvifico di Dio, reso visibile e operante in Cristo. La predicazione del Vangelo è la chiamata alla libertà dei figli di Dio, anche per la costruzione di una società più giusta e solidale per prepararci alla vita eterna. Chi partecipa alla missione di Cristo deve inevitabilmente affrontare tribolazioni, contrasti e sofferenze, perché si scontra con le resistenze e i poteri di questo mondo. E noi, come l’apostolo Paolo, non abbiamo come armi che la parola di Cristo e della sua Croce (cfr 1 Cor 1,22-25). La missione ad gentes richiede alla Chiesa e ai missionari di accettare le conseguenze del loro ministero: la povertà evangelica, che conferisce loro la libertà di predicare il Vangelo con coraggio e franchezza; la non-violenza, per la quale essi rispondono al male con il bene (cfr Mt 5,38-42; Rm 12,17-21); la disponibilità a dare la propria vita per il nome di Cristo e per amore degli uomini.

Come l’apostolo Paolo dimostrava l’autenticità del suo apostolato con le persecuzioni, le ferite e i tormenti subiti (cfr 2 Cor 6-7), così la persecuzione è prova anche dell’autenticità della nostra missione apostolica. Ma è importante ricordare che il Vangelo "prende corpo nelle coscienze e nei cuori umani e si espande nella storia solo nella potenza dello Spirito Santo" (GIOVANNI PAOLO II, Enc. Dominum et vivificantem, 64) e la Chiesa e i missionari sono da Lui resi idonei a compiere la missione loro affidata (cfr ibid. 25). E’ lo Spirito Santo (cfr 1 Cor 14) che unisce e preserva la Chiesa, dandole la forza di espandersi, colmando i discepoli di Cristo con una ricchezza traboccante di carismi. E’ dallo Spirito Santo che la Chiesa riceve l’autorevolezza dell’annuncio e del ministero apostolico. Perciò, desidero riaffermare con forza quanto già ho detto a proposito dello sviluppo (cfr Caritas in veritate, 79), che cioè l’evangelizzazione ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che la conversione del mondo a Cristo non è da noi prodotta, ma ci viene donata. La celebrazione dell'Anno Sacerdotale, in verità, ci ha aiutato a prendere maggiore consapevolezza che l’opera missionaria richiede un’unione sempre più profonda con Colui che è l’Inviato di Dio Padre per la salvezza di tutti; richiede la condivisione di quel "nuovo stile di vita" che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli Apostoli (cfr Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per il Clero, 16 marzo 2009).

Cari amici, il mio ringraziamento è ancora per tutti voi delle Pontificie Opere Missionarie, che in diversi modi siete impegnati a tenere desta la coscienza missionaria delle Chiese particolari, spingendole ad una più attiva partecipazione alla missio ad gentes, con la formazione e l’invio di missionari e missionarie e l’aiuto solidale alle giovani Chiese. Un vivo grazie anche per l’accoglienza e la formazione di presbiteri, di religiose, di seminaristi e di laici nei Collegi Pontifici della Congregazione. Mentre affido il vostro servizio ecclesiale alla protezione di Maria Santissima, Madre della Chiesa e Regina degli Apostoli, di cuore tutti vi benedico.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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