domenica 7 marzo 2010

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ZENIT

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Servizio quotidiano - 07 marzo 2010

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Il Papa: superate la "pigrizia spirituale" per essere missionari di Cristo
Nel visitare la parrocchia romana di San Giovanni della Croce

ROMA, domenica, 7 marzo 2010 (ZENIT.org).- Un incoraggiamento a superare la “pigrizia spirituale” per diventare autentici missionari di Cristo: è la consegna lasciata da Benedetto XVI nel visitare questa domenica mattina la parrocchia di San Giovanni della Croce, situata nella zona nord di Roma.

Quello di oggi era il secondo incontro della parrocchia con un Pontefice. Infatti il 27 marzo del 2004 alcuni rappresentanti della comunità erano stati ricevuti in udienza nell'Aula Paolo VI da Giovanni Paolo II insieme a quelli delle parrocchie di santa Felicita e dei santi Crisante e Daria.

La comunità è stata fondata nel 1989 dall'attuale parroco, don Enrico Gemma, 68 anni, che da giovane ha vissuto l'esperienza del Carmelo e che per questo ha voluto dedicare la parrocchia a san Giovanni della Croce.

Per dodici anni questa giovane comunità, che conta su un presbiterio stabile formato da quattro sacerdoti (uno di questi proviene dall'Honduras, un altro dal Congo), si è dovuta arrangiare nello spazio messo a disposizione da un piccolo negozio.

Attualmente, la catechesi dell'iniziazione cristiana insieme con l'oratorio accoglie circa 400 bambini dagli 8 ai 15 anni, seguiti da 70 catechisti e animatori; mentre oltre 60 sono i giovani impegnati nei vari cammini spirituali.

Prima del suo ingresso il Papa, accompagnato dal Cardinale Vicario Agostino Vallini, si è intrattenuto a lungo a salutare i tanti fedeli assiepati fuori dal portone parrocchiale.

Nel suo indirizzo di saluto a Benedetto XVI all'inizio dell'incontro don Gemma ha detto: “Padre Santo, oggi vorremmo dare tanta gioia al suo cuore di padre e di pastore, presentandole un popolo in festa, una comunità unita nell'amore di Cristo, un'assemblea santa convocata dalla presenza del suo pastore”.

“Accolga, Padre Santo, la vita e le speranze di tutti i nostri bambini. Benedica il lavoro, l'amore dei genitori. Conforti nella sofferenza i nostri malati e voglia confermare i tanti nostri collaboratori nel servizio generoso alla comunità”, ha poi continuato.

“Lasciatevi sempre più coinvolgere dal desiderio di annunciare a tutti il Vangelo di Gesù Cristo – ha detto il Papa ai fedeli presenti durante l'omelia della Messa –. Non aspettate che altri vengano a portarvi altri messaggi, che non conducono alla vita, ma fatevi voi stessi missionari di Cristo per i fratelli, dove vivono, lavorano, studiano o soltanto trascorrono il tempo libero”.

“Avviate anche qui una capillare e organica pastorale vocazionale, fatta di educazione delle famiglie e dei giovani alla preghiera e a vivere la vita come un dono che proviene da Dio”, ha poi aggiunto.

Rivolgendo poi un pensiero al periodo liturgico che stiamo vivendo, il Pontefice ha ricordato che “in Quaresima, ciascuno di noi è invitato da Dio a dare una svolta alla propria esistenza pensando e vivendo secondo il Vangelo, correggendo qualcosa nel proprio modo di pregare, di agire, di lavorare e nelle relazioni con gli altri”.

“Gesù ci rivolge questo appello non con una severità fine a se stessa, ma proprio perché è preoccupato del nostro bene, della nostra felicità, della nostra salvezza – ha sottolineato –. Da parte nostra, dobbiamo rispondergli con un sincero sforzo interiore, chiedendogli di farci capire in quali punti in particolare dobbiamo convertirci”.

Il Papa ha quindi espresso il proprio apprezzamento per l'apertura mostrata dalla giovane comunità parrocchiale, sin dal suo nascere, nei confronti di movimenti e associazioni ecclesiali, che le hanno consentito di maturare “una più ampia coscienza di Chiesa”.

Nella parrocchia di San Giovanni della Croce sono presenti infatti attivamente il movimento dei Focolari, la comunità di Sant'Egidio, il Cammino neocatecumenale, il Rinnovamento carismatico e due movimenti mariani, la Casa di Maria e il gruppo Sacri.

Il Santo Padre si è inoltre congratulato per le opere di carità messe in piedi per far fronte alle diverse esigenze del territorio.

La parrocchia comprende infatti 3.300 nuclei familiari, composti per lo più da giovani coppie, e un quarto della popolazione risiede in case popolari, dove sono frequenti situazioni di povertà e disagio a cui la parrocchia cerca di rispondere con i volontari della Caritas e della comunità di Sant'Egidio che assistono oltre 80 famiglie bisognose.

“La mia visita – ha detto il Papa – desidera incoraggiarvi a realizzare sempre meglio quella Chiesa di pietre vive che siete voi”.

“So che l’esperienza dei primi dodici anni ha segnato uno stile di vita che tuttora permane – ha affermato –. La mancanza di strutture adeguate e di tradizioni consolidate vi ha spinto, infatti, ad affidarvi alla forza della Parola di Dio, che è stata lampada nel cammino e ha portato frutti concreti di conversione, di partecipazione ai Sacramenti, specie all’Eucaristia domenicale, e di servizio”.

“Vi esorto ora a fare di questa Chiesa un luogo in cui si impara sempre meglio ad ascoltare il Signore che ci parla nelle sacre Scritture”, ha infine concluso.

Al termine della Messa, e prima di far ritorno in Vaticano, Benedetto XVI si è quindi spostato in una sala parrocchiale dove ha salutato i membri del Consiglio parrocchiale, esortandoli a continuare “a costruire sempre la Chiesa di pietre vive e così essere anche un centro di irradiazione della Parola Dio nel nostro mondo che ha talmente bisogno di questa Parola, della vita che viene da Dio”.

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Il Papa: se Dio permette la sofferenza è solo per un bene più grande
Nell'introduzione alla recita dell'Angelus domenicale

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 7 marzo 2010 (ZENIT.org).- Dio non vuole il male dei suoi figli e se permette la sofferenza – che deve rappresentare sempre un momento di riflessione e conversione – è solo in vista di un bene più grande. Lo ha detto Benedetto XVI parlando davanti alle migliaia di pellegrini riunitisi in Piazza San Pietro per il tradizionale Angelus domenicale.

Di ritorno dalla sua visita alla parrocchia romana di San Giovanni della Croce a Colle Salario, il Papa si è affacciato a mezzogiorno dalla finestra del suo studio privato, per la preghiera mariana e offrire ulteriori spunti di riflessione sulle letture domenicali.

Nella suo commento il Santo Padre è partito dal racconto biblico del roveto ardente, ricordando come Dio inviti Mosè “a prendere coscienza della sua indegnità” comandandogli di togliersi i sandali.

“Dio – ha detto il Papa – si manifesta in diversi modi anche nella vita di ciascuno di noi”, e “per poter riconoscere la sua presenza è però necessario che ci accostiamo a lui consapevoli della nostra miseria e con profondo rispetto”.

Riprendendo poi le letture del Vangelo odierno, sull’uccisione di alcuni Galilei per ordine di Ponzio Pilato e il crollo di una torre su alcuni passanti, il Papa ha sottolineato che “di fronte alla facile conclusione di considerare il male come effetto della punizione divina, Gesù restituisce la vera immagine di Dio, che è buono e non può volere il male”.

Anzi, ha continuato il Pontefice, “mettendo in guardia dal pensare che le sventure siano l’effetto immediato delle colpe personali di chi le subisce”, Gesù invita “a fare una lettura diversa di quei fatti, collocandoli nella prospettiva della conversione”.

Infatti, ha poi osservato, “le sventure, gli eventi luttuosi [...] devono rappresentare occasioni per riflettere, per vincere l’illusione di poter vivere senza Dio, e per rafforzare, con l’aiuto del Signore, l’impegno di cambiare vita”.

Tuttaviua, ha proseguito quindi il Papa, “la possibilità di conversione esige che impariamo a leggere i fatti della vita nella prospettiva della fede, animati cioè dal santo timore di Dio”.

“In presenza di sofferenze e lutti, vera saggezza è lasciarsi interpellare dalla precarietà dell’esistenza” e “leggere la storia umana con gli occhi di Dio, il quale, volendo sempre e solo il bene dei suoi figli, per un disegno imperscrutabile del suo amore, talora permette che siano provati dal dolore per condurli a un bene più grande”.
 
Al termine dell’Angelus il Papa si è rivolto ai pellegrini francesi presenti in piazza San Pietro esprimendo la propria vicinanza a quanti hanno sofferto a causa di Xynthia, la tempesta che si è abbattuta pochi giorni fa sul sud della Francia, uccidendo 53 persone e provocando ingenti danni.

“Che la Vergine Maria – ha concluso – aiuti tutte le famiglie, soprattutto quelle che sono nella difficoltà, perché non disperino mai dell’amore del suo Figlio!”.

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Il Papa: senza volontariato la società non può durare a lungo
Nell'udienza ai volontari della Protezione Civile Italiana

ROMA, domenica, 7 marzo 2010 (ZENIT.org).- Senza volontariato “il bene comune e la società non possono durare a lungo”. E' quanto ha detto questo sabato Benedetto XVI nel ricevere nell'Aula Paolo VI i circa settemila tra funzionari e volontari della Protezione Civile Italiana, accompagnati dal Capo Dipartimento Guido Bertolaso e dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta.

Nell'udienza caduta esattamente a 11 mesi di distanza dal terremoto che il 6 aprile scorso ha devastato l’Abruzzo, il Papa ha voluto ringraziare per il loro impegno i tanti “buoni samaritani” che si sono spesi per le vittime di questa tragedia e ricordare, alla luce della sua enciclica “Deus caritas est”, che “l’amore sarà sempre necessario, anche nella società più giusta”.

Allo stesso modo ha precisato però “l’amore del prossimo non può essere delegato” e “lo Stato e la politica, pur con le necessarie premure per il welfare, non possono sostituirlo”.

“Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore – ha continuato –. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo. Ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione, di aiuto”.

Il Pontefice ha quindi voluto richiamare l’assistenza garantita dalla Protezione Civile che in Italia conta circa 3000 associazioni risultano con un milione e trecentomila volontari disponibili:

dalla Giornata Mondiale della Gioventù svoltasi nel 2000 a Roma venuti ai giorni seguiti alla morte di Papa Giovanni Paolo II.

“I volontari – ha ricordato però il Papa - non sono dei ‘tappabuchi’ nella rete sociale, ma persone che veramente contribuiscono a delineare il volto umano e cristiano della società”.

“Senza volontariato, il bene comune e la società non possono durare a lungo, poiché il loro progresso e la loro dignità dipendono in larga misura proprio da quelle persone che fanno più del loro stretto dovere”, ha sottolineato.

“Oltre che custodi del territorio – li ha poi incoraggiati –, siate sempre più icone viventi del buon Samaritano, conferendo attenzione al prossimo, ricordando la dignità dell’uomo e suscitando speranza”.

La vostra missione, ha poi concluso, “non consiste solo nella gestione dell’emergenza, ma in un contributo puntuale e meritorio alla realizzazione del bene comune”, che “rappresenta sempre l’orizzonte della convivenza umana anche, e soprattutto, nei momenti delle grandi prove”.

Nel suo saluto al Pontefice il Capo della Protezione Civile Berolaso ha accennato velatamente alle recenti accuse che gli sono state rivolte e per le quali è indagato nella inchiesta giudiziaria relativa agli appalti per il G8 che si doveva tenere alla Maddalena.

In un periodo, ha detto infatti, in cui “si vorrebbero confondere le responsabilità di alcuni con il lavoro e il merito di moltissimi”, la Protezione Civile continua ad essere un “immenso valore di competenze e passione”.

In questo servizio nazionale, ha continuato poi, c'è “un vero patrimonio operativo ma soprattuto etico, un valore prezioso che oggi rivendico con orgoglio, fatto di donne e uomini che insieme hanno scelto di essere sempre pronti a servire il prossimo”.

Al termine dell'udienza il Papa ha ricevuto in dono il giubbotto blu della Protezione Civile, che ha subito indossato, suscitando l'applauso immediato nelle migliaia di volontari presenti nell'Aula Paolo VI.

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Sugli abusi sessuali in Germania, la Chiesa fa appello alla trasparenza

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 7 marzo 2010 (ZENIT.org).- La diocesi di Ratisbona esaminerà con “la massima trasparenza” le accuse di abusi sessuali che si sarebbero verificati nel coro dei Regensburger Domspatzen. È quanto ha affermato il portavoce della stessa diocesi, Clemens Neck, che ha anche annunciato l'istituzione di una commissione di indagine ad hoc, secondo quanto riferito da L’Osservatore Romano.

In una lettera pubblicata sul suo sito internet e destinata ai genitori delle vittime, era stato proprio il Vescovo di Ratisbona, mons. Gerhard Ludwig Müller, a rendere nota la notizia di un caso di abuso risalente agli anni Cinquanta verificatosi nel Convitto dove alloggiavano i coristi.

Colpevole allora era il direttore del Convitto, in seguito condannato e poi deceduto. In quell'occasione, il presule aveva invitato a farsi avanti tutti coloro che potevano essere a conoscenza di fatti in grando di individuare vittime e colpevoli di altri episodi di abusi.

Al momento a denunciare il Coro è stata una persona rimasta anonima. Ci sarebbe poi un ex allievo della scuola elementare di Etterzhausen (che ora si trova in Pielenhofen), un'istituzione indipendente dai Domspatzen, che ha denunciato di essere stato abusato agli inizi degli anni ’60. E allo stesso periodo risalirebbero anche gli abusi subiti da un’altra vittima che ha denunciato il direttore del seminario di Weiden e alcuni dipendenti.

Il direttivo del coro di Ratisbona, in una lettera pubblicata sul sito web della diocesi di Ratisbona, si è detto “costernato per il fatto che simili fatti vergognosi siano avvenuti in istituzioni ecclesiastiche”, compresa la celebre istituzione dei Regensburger Domsplatzen, che vanta mille anni di storia alle spalle.

A tutt’oggi comunque - continua la lettera - “non disponiamo di ulteriori elementi concreti su casi sospetti di abusi all’interno del Coro di Ratisbona”.

In un comunicato il Vescovo di Ratisbona ha tenuto a precisare che i due casi di abusi verificatisi nel 1958, pubblicamente noti già all’epoca e da considerarsi giuridicamente chiusi, non coincidono con il periodo che va dal 1964 al 1994 in cui il fratello del Papa, il maestro mons. George Ratzinger, subentrato in questo incarico al Vescovo Theobald Schrems, è stato Direttore del coro di voci bianchi e del coro di voci maschili.

La diocesi di Ratisbona fa sapere, inoltre, di aver messo a disposizione un avvocato al fine di chiarire quanto accaduto in passato, identificare le potenziali vittime e colpevoli, e suggerire le misure da adottare alla luce del diritto penale e canonico. Questo avvocato presenterà entro 14 giorni una relazione provvisoria.

Dal 2008 è inoltre attivo uno staff ad hoc coordinato dalla psicologa Birgit Boehm, responsabile diocesana per i casi di abusi sessuali, e composto da cinque membri (uno psicologo, un ex giudice, un giurista canonico e due dipendenti dell'Ordinariato).

“La Santa Sede – si legge su L’Osservatore Romano - appoggia la diocesi nella propria disponibilità ad analizzare la dolorosa questione con decisione e in modo aperto, ai sensi delle direttive della Conferenza Episcopale Tedesca”.

“L'obiettivo principale del chiarimento da parte della Chiesa è di rendere giustizia alle eventuali vittime – continua il quotidiano vaticano –. Essa, inoltre, è grata per questo impegno di chiarezza all'interno della Chiesa e auspica che altrettanta chiarezza venga fatta anche all'interno di altre istituzioni,  pubbliche e private, se veramente sta a cuore di tutti il bene dell'infanzia”.

Lo scandalo sugli abusi sessuali commessi dal clero è scoppiato a fine gennaio in seguito alle rivelazioni che il settimanale “Spiegel” ha pubblicato sugli abusi compiuti negli anni Settanta e Ottanta nel prestigioso Canisius-Kolleg di Berlino, dove due sacerdoti avrebbero perpetrato violenze sistematiche su diversi studenti.

Una ricerca condotta dal settimanale “Der Spiegel” aveva rivelato allora che i sacerdoti sospettati di aver commesso abusi su minori dal 1995 ad oggi sono almeno 94. Attualmente le denunce legate ai fatti commessi nel Canisius-Kolleg sarebbero oltre 150.

Nella loro assemblea plenaria tenutasi a Friburgo dal 22 al 25 febbraio, i Vescovi tedeschi si sono impegnati a collaborare con la giustizia con la massima trasparenza e serietà per far luce sui misfatti commessi dai sacerdoti, istituendo un apposito un ufficio nazionale per le denunce degli abusi sessuali guidato da monsignor Stephan Ackermann, Vescovo di Treviri.

Tra le altre misure proposte c'è stata anche quella di rafforzare gli esami per la selezione dei seminaristi, attivare un numero verde per denunciare gli abusi sessuali dei preti e creare un fondo nazionale per gli indennizzi da destinare alle vittime.

Intanto, come ogni anno in primavera, il Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, monsignor Robert Zollitsch, si recherà il 12 marzo in Vaticano per riferire al Papa sui temi emersi durante la plenaria dei Vescovi tedeschi. Al centro degli argomenti in agenda ci sarà il tema degli abusi sessuali.







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Benedetto XVI: Matteo Ricci amò la Chiesa e il popolo cinese
Telegramma del Papa al Vescovo di Macerata per un convegno sul missionario

ROMA, domenica, 7 marzo 2010 (ZENIT.org).- Padre Matteo Ricci nutrì sempre un profondo amore per la Chiesa e per il popolo cinese. E' quanto ricorda Benedetto XVI in un telegramma inviato al Convegno internazionale “Scienza, ragione, fede. Il genio di padre Matteo Ricci”, svoltosi a Macerata in occasione dei 400 anni dalla morte del missionario gesuita.

Nel messaggio a firma del Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, letto durante le tre giornate di studio conclusesi questo sabato, il Papa esprime “vivo apprezzamento per la significativa manifestazione, volta a far conoscere la straordinaria opera culturale e scientifica di padre Matteo Ricci, nobile figlio di codesta terra, come pure il suo profondo amore alla Chiesa e lo zelo per l'evangelizzazione del popolo cinese”.

In una lettera inviata nel maggio scorso sempre a monsignor Claudio Giuliodori, Vescovo di Macerata, in occasione dell'inizio delle celebrazioni per il IV centenario ricciano, il Papa aveva sottolineato del gesuita l'“innovativa e peculiare capacità” di “ricercare la possibile armonia fra la nobile e millenaria civiltà cinese e la novità cristiana”

Il Pontefice aveva poi evidenziato la “strategia pastorale” del gesuita, che rimase in Cina 28 anni, e “la profonda simpatia che nutriva per i cinesi, per la loro storia, per le loro culture e tradizioni religiose”, che “ha reso originale e, potremmo dire, profetico il suo apostolato”.

Nato a Macerata il 6 ottobre 1552, il futuro “Apostolo della Cina” entrò a diciotto anni nella Compagnia di Gesù a Roma, maturando ben presto un’autentica vocazione missionaria.

Nel 1577 chiese di essere destinato alle Missioni d’Oriente e a tal fine partì per il Portogallo, tappa di preparazione all’apostolato orientale; imbarcatosi a Lisbona con 14 confratelli, il 13 settembre 1578 approdò a Goa, in India, dove era sepolto San Francesco Saverio.

Trascorse alcuni anni in terra indiana, insegnando materie umanistiche nelle scuole della Compagnia, prima dell’ordinazione sacerdotale ricevuta a Cochin, luogo in cui celebrò la prima Messa il 26 luglio 1580.

Si stavano intanto avvicinando i tempi della nuova destinazione: il Visitatore delle Missioni d’Oriente Alessandro Valignano trasmise a padre Ricci l’ordine di recarsi a Macao per studiare la lingua cinese e prepararsi ad entrare in Cina, allora impenetrabile agli stranieri.

Il tanto atteso ingresso ebbe luogo il 10 settembre 1583. Padre Matteo e il confratello Michele Ruggieri raggiungono Zhaoqing, dove iniziano a costruire la prima casa e la prima chiesa, completata nel 1585. La piccola comunità gesuita si trasferì poi a Shaozhou, Nanchang e Nanchino, per entrare finalmente a Pechino il 24 gennaio 1601.

Ben accolto dall’imperatore Wanli della dinastia Ming, padre Ricci fu elevato al rango di Mandarino, ricevuto alla corte del Celeste Impero, ospitato da alti funzionari civili e militari. “Farsi cinese con i cinesi”: questo l’innovativo metodo di evangelizzazione di padre Ricci, che seppe adattarsi agli usi e tradizioni locali, per essere più vicino a coloro ai quali annunciava il Vangelo.

La via dell’ “inculturazione” scelta dal gesuita, unita alla pratica instancabile della carità, seppe dare i suoi frutti, con le conversioni di importanti dignitari e di esponenti di ceti modesti, colpiti dal grande rispetto del missionario per il Confucianesimo e per il patrimonio culturale cinese.

Grande ammirazione destarono anche le conoscenze scientifiche del Ricci, che portò in Cina la matematica e la geometria dell’Occidente, insieme ai grandi apporti del Rinascimento nel campo della geografia, della cartografia e dell’astronomia.

Oltre ad insegnare in lingua cinese numerose discipline scientifiche ed umanistiche, lasciò un gran numero di scritti, quali il “Trattato sull’amicizia”, il “Mappamondo cinese”, il Trattato “Genuina nozione del Signore del Cielo”, “Sommario della dottrina cristiana”, “Christianità nella Cina”, “Commentari” e “Lettere dalla Cina”, contribuendo in modo decisivo alla fondazione della moderna sinologia e alla diffusione della conoscenza dell’Occidente in Cina e in tutto l’Oriente.

“Li Madou” – questo il nome cinese di padre Ricci – si spense a Pechino l’11 maggio 1610. In deroga alla tradizione di non consentire l’inumazione in Cina agli stranieri, l’imperatore concesse un terreno per la sua sepoltura, come estremo tributo alla sua scienza e al suo amore per i cinesi.

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Benedetto XVI continua il suo pellegrinaggio per parlare di Dio
L'editoriale per "Octava Dies" di padre Federico Lombardi

ROMA, domenica, 7 marzo 2010 (ZENIT.org).- A novembre Benedetto XVI tornerà in Spagna, per visitare Santiago de Compostela e Barcellona. Due mete affascinanti ha sottolineato il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per “Octava Dies”, il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano (CTV).

“Credevamo che l'agenda dei viaggi internazionali del Papa per il 2010 fosse ormai definita con l'abituale numero di quattro, ed ecco che, con decisione a sorpresa, Benedetto XVI accoglie altri due inviti in Spagna e il numero dei viaggi - oltre a Malta, Portogallo, Cipro e Gran Bretagna - sale a cinque”, ha detto il sacerdote che è anche direttore del CTV.

 “In particolare – ha sottolineato – le ultime due mete spagnole sono affascinanti. Barcellona e la chiesa della Sagrada Familia: l'arcivescovo cardinale Sistach la definisce un tempio 'di significato artistico, biblico, teologico, spirituale e catechetico, unico nel mondo'”.

“Sintesi originale di arte e fede nata dal genio di Gaudì – ha porseguito padre Lombardi –, darà al Papa un'occasione preziosa per continuare il discorso del dialogo con l'arte, da lui rilanciato con intensità nel recente incontro con gli artisti nella Cappella Sistina”.

 “Santiago de Compostela, meta del cammino dei pellegrini che vi convergono da secoli da tanti paesi e direzioni diverse, è luogo dove il tema delle radici cristiane dell'Europa dimostra di non essere teoria astratta, ma esperienza concretissima di ogni genere di persone, delle più varie provenienze, che convergono mosse da una spiritualità comune”.

“Con loro Papa Benedetto continua il suo pellegrinaggio, per parlare di Dio a ogni uomo del nostro tempo disposto a cercare il suo volto”, ha poi concluso.

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Corso in Vaticano sulla corretta amministrazione della Riconciliazione
Da lunedì 8 marzo presso il Palazzo della Cancelleria

ROMA, domenica, 7 marzo 2010 (ZENIT.org).- Da lunedì prossimo in Vaticano, presso il Palazzo della Cancelleria, avrà inizio un “Corso sul Foro interno” riguardante la corretta amministrazione del Sacramento della penitenza, organizzato dalla Penitenzieria Apostolica e rivolto in particolare ai giovani sacerdoti.

Al centro delle giornate di studio, presiedute dal Penitenziere maggiore, mons. Fortunato Balzelli, e in programma fino al 12 marzo, informa un comunicato, “saranno trattati temi morali e canonistici che interessano il ministero penitenziale, soprattutto quello delle Confessioni”.

Dopo l’introduzione del PenitenzieremMaggiore, il Reggente della Penitenzieria, mons. Gianfranco Girotti, O.F.M. Conv. e il Teologo della Penitenzieria, padre Ivan Fuček, S.J., parleranno rispettivamente di situazioni di particolare delicatezza che interessano ogni confessore.

Nei giorni successivi si alterneranno le relazioni di mons. Juan Ignacio Arrieta, del rev. Carlos Encina Commentz., di don Manlio Sodi, S.D.B. e di padre Giovanni Colombo, O.M.I.

Gli esperti, aggiunge il comunicato, “si soffermeranno ad illustrare la disciplina canonica e la sua retta applicazione riguardo ai delitti e alle pene e ai vari aspetti pratici”.

“Sarà privilegiata la parte relativa alla retta amministrazione del Sacramento della Penitenza e alla soluzione dei casi complessi e delicati che vengono sottoposti al giudizio e alla misericordia della Chiesa”.

“Saranno inoltre evidenziati i criteri nel trattare alcuni casi di morale coniugale e familiare e proposta la Confessione come strumento per l’educazione morale”.

Padre Donald Kos, OFM Conv., darà informazioni su come redigere le domande alla Penitenzieria, mentre mons. J.M. Gervais illustrerà la concessione e l’uso delle Indulgenze.

Ad ogni relazione seguirà un dibattito nel corso del quale verranno proposti quesiti di chiarimento e risoluzioni di dubbio a casi complessi e delicati.

Al termine delle giornate di studio è prevista l'udienza dal Santo Padre.

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Notizie dal mondo


Polonia: settimanale cattolico condannato per "linguaggio d'odio"
Non si può definire omicida la donna che compie un aborto

ROMA, domenica, 7 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il 5 marzo la Corte di appello di Katovice ha confermato la condanna del settimanale cattolico polacco “Gość Niedzielny” e del suo proprietario, cioè l’arcidiocesi di Katovice, a chiedere scusa e al pagamento del risarcimento ad Alicja Tysiąc.

La vicenda di Alicja Tysiąc, cittadina polacca madre di due figli nati con il parto cesareo e affetta da retinopatia progressiva, cominciò quando, accortasi di una gravidanza, si rivolse a un ginecologo chiedendo l'autorizzazione all'aborto a causa dei suoi problemi alla vista.

Il ginecologo escluse da subito qualsiasi collegamento causale tra la gravidanza e un eventuale peggioramento della miopia, scartando così la possibilità di abortire, che in Polonia viene concessa solo nel caso di violenza carnale, malformazione congenita o rischio per la vita della madre, che deve essere riscontrato da due specialisti.

La donna si recò in seguito da altri quattro specialisti (tre oculisti e un secondo ginecologo) che non ravvisarono nella gravidanza un pericolo per la sua vista; solo un medico generico accettò di compilare il certificato per avviare la procedura di aborto.

La signora Tysiąc partorì quindi il bambino con parto cesareo nel novembre 2000. In seguito ebbe un peggioramento della vista e decise di rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo per ottenere giustizia.

Il 20 marzo 2007 la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha emesso una sentenza di condanna nei confronti dello Stato polacco, multandolo di 25.000 euro, per il fatto che le sue leggi nazionali pongono dei limiti alla possibilità di abortire.

“Gość Niedzielny” ha quindi scritto degli articoli sulla vicenda che hanno offeso la signora Tysiąc, la quale si è rivolta al tribunale locale, che il 23 settembre 2009 ha ordinato al settimanale di pubblicare delle pubbliche scuse per il suo "linguaggio d'odio” e per "il paragone fatto con i criminali nazisti”.

Il settimanale cattolico polacco ricorse qundi in appello rifiutando tutte le accuse e sostenendo che non era stata sua intenzione quella di offendere la signora Tysiąc, quanto piuttosto quella di lottare per la tutela dei bambini non nati. A questo porposito, il settimanale aveva scritto che “l’aborto comporta l’uccisione di bambini innocenti e la madre che abortisce compie un omicidio”.

Intanto Alicja Tysiąc in Polonia è divenuta un’icona della lotta a favore dell’aborto, tanto che è sostenuta da numerose rappresentanti delle organizzazioni femministe di tutta Europa, che sono venute a manifestare la propria solidarietà davanti al tribunale di Katowice.

“Questo verdetto ci fa vedere come la lobby pro aborto cerchi di introdurre di nascosto in Polonia l’aborto su richiesta”, ha detto mons. Jozef Kloch, portavoce dell’episcopato polacco commentando il verdetto della Corte di appello.

Dal canto suo, il settimanale polacco ha commentato così la sentenza: “consideriamo questo giudizio ingiusto e limitante della libertà di parola. Ancora una volta Gość Niedzielny dovrebbe chiedere scusa per delle parole che non ha mai scritto”.

“Questo giudizio della Corte di appello – ha scritto – costituisce un pericoloso precedente per cui i Tribunali, interpretando in modo discrezionale il 'contesto' e il 'messaggio generale' degli articoli giornalistici, possono decidere su come deve essere la pubblicistica nell'ambito delle scelte morali ed etiche”.

"Questo comporta non solo una seria limitazione della libertà di parola ma anche una seria limitazione del diritto dei cattolici a partecipare al dibattito pubblico", aggiunge infine.

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Analisi


Integrare diplomazia e religione
Un rapporto evidenzia il ruolo della fede nella politica

di padre John Flynn, LC

ROMA, domenica, 7 marzo 2010 (ZENIT.org).- Negli ultimi tempi la religione è stata considerata sempre di più come un problema o una minaccia per la sicurezza nazionale o internazionale. In questo contesto, al fine di contrastare l’estremismo religioso, una strategia che è stata messa in atto è quella di relegare la fede a una dimensione puramente privata. Si tratta tuttavia di un grave errore, secondo un rapporto pubblicato il 23 febbraio dal Chicago Council on Global Affairs.

Il rapporto dal titolo “Engaging Religious Communities Abroad: A New Imperative for U.S. Foreign Policy”, è stato redatto da un gruppo di lavoro di 32 esperti, tra cui ex funzionari del Governo, esponenti religiosi, responsabili di organizzazioni internazionali e studiosi.

Attualmente – sostengono gli autori del rapporto – il Governo degli Stati Uniti non ha la capacità di comprendere appieno e di instaurare un dialogo con le comunità religiose. Vi sono stati passi in avanti negli ultimi anni nel riconoscimento del ruolo che la religione svolge a livello globale, ma questo processo è ancora lungi dall’essere completato.

Secondo il rapporto, nel bene o nel male la religione sta dimostrando una crescente influenza sulla politica. Il processo di globalizzazione e lo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione hanno facilitato la diffusione di visioni estremistiche. Secondo il rapporto, questa tendenza è tutt’altro che in affievolimento, ed è necessario che il Governo USA non solo migliori la sua conoscenza delle comunità e delle tendenze religiose, ma sviluppi anche politiche più idonee a entrare in dialogo con i credenti.

È importante comprendere – osserva il rapporto – che la religione non è una sorta di esperienza umana secondaria, senza alcun effetto sugli sviluppi politici, tale da poter essere ignorata. “La religione, attraverso le sue idee e motivazioni, e la capacità di mobilitazione delle sue istituzioni, esercita una propria influenza sulla politica”, afferma il rapporto.

Il documento inoltre mette in guardia da una visione della religione incentrata solamente sul fenomeno terroristico, poiché ciò porterebbe a trascurare il positivo ruolo che essa svolge nell’ambito dei problemi globali e della promozione della pace.

È necessario inoltre non limitarsi a considerare solo il mondo musulmano, ma tenere conto anche di altre comunità religiose, afferma il rapporto.

In tutto il mondo

In tema di interazione tra religione e politica, spesso l’attenzione si incentra sul Medio Oriente, mentre la religione costituisce un fattore politico anche in molti altri Paesi, sottolinea il rapporto.

In Cina, per esempio, si sono sviluppati numerosi movimenti religiosi autoctoni, come i Falun Gong, oltre a una crescente serie di chiese cristiane ufficiali e clandestine, e di comunità musulmane.

I monaci buddisti hanno giustificato e persino promosso il conflitto contro i tamil in Sri Lanka e allo stesso tempo hanno manifestato contro il regime repressivo in Birmania. Tensioni tra cristiani e musulmani sono in atto in Nigeria e Indonesia, ma anche in città europee come Londra, Amsterdam e Parigi.

In India il dibattito politico è spesso influenzato dalle diverse visioni dell’Induismo e del rapporto tra indù e le altre comunità etniche e religiose.

La diffusione del movimento pentecostale in America latina e di chiese e predicatori cristiani in Africa e in Asia sono altri importanti sviluppi religiosi che richiedono attenzione, aggiunge il rapporto.

E, mentre la religione ha alimentato violenti conflitti in zone come Bosnia e Sudan, essa ha anche promosso la pace e la riconciliazione in Sud Africa e nell’Irlanda del Nord. Non esistono solo gli estremisti religiosi, ma anche figure come Papa Giovanni Paolo II e il Dalai Lama, rimarca il rapporto.

“I numerosi esempi del contributo delle religioni alla democrazia e dei leader religiosi agli aiuti internazionali, all’attuazione di programmi di sviluppo e alla costruzione della pace, sono emblematici di come la religione possa svolgere un ruolo positivo ovunque nel mondo”, afferma il rapporto.

Schemi

Il gruppo di lavoro che ha redatto il rapporto identifica sei schemi principali che confermano l’importanza della religione per la politica internazionale.

1. L’influenza delle organizzazioni religiose – sia vecchie che nuove – è in crescita in molte aree del mondo e incide praticamente su ogni ambito della società.

2. Gli schemi di identificazione religiosa nel mondo sono in mutamento, con importanti implicazioni di natura politica.

3. La religione ha beneficiato ed è stata trasformata dalla globalizzazione, ma essa è anche divenuta uno dei principali strumenti utilizzati per opporvisi.

4. La religione svolge un ruolo pubblico importante quando i governi mancano di potere e di legittimità a causa di crisi economiche e politiche.

5. La religione è spesso usata dagli estremisti come catalizzatore nei conflitti e come mezzo per aumentare le tensioni con altre comunità religiose.

6. Il crescente rilievo che la religione assume oggi sta mettendo in risalto l’importanza politica della libertà religiosa come diritto umano universale e fonte di stabilità sociale e politica.

In termini più concreti, il rapporto sottolinea come queste tendenze possono assumere rilievo nei processi decisionali della politica. Per esempio, mentre gli Stati Uniti promuovono l’esportazione della democrazia, in alcuni Paesi l’introduzione delle elezioni democratiche potrebbe dare maggiore potere proprio agli estremisti che spesso hanno una visione antiamericana. In questo senso si deve bilanciare la promozione dei diritti umani e della democrazia con la tutela degli interessi nazionali, sostiene il gruppo di lavoro.

Il rapporto sottolinea inoltre che la promozione della libertà religiosa, quale componente della politica estera degli Stati Uniti, deve essere portata avanti in modo tale da non assumere le sembianze di una sorta di sfida occidentale alle religioni o alle usanze locali.

Raccomandazioni

Sul ruolo della religione nella gestione della cosa pubblica, il rapporto sostiene che il modo migliore per contrastare gli estremismi consiste in un maggiore dialogo con la religione e con le comunità religiose.

Questo significa dover ascoltare attentamente le loro preoccupazioni e paure, al fine di intraprendere un dialogo concreto. Allo stesso tempo è importante non accelerare il dialogo intervenendo su questioni teologiche o cercando di strumentalizzare la religione, avverte il gruppo di lavoro.

Una delle cose più importanti che gli Stati Uniti devono fare – osserva il rapporto – è di imparare a comunicare in modo efficace. Quindi, oltre ad ascoltare le comunità religiose, il Governo deve essere più efficace nella presentazione della propria visione. È anche essenziale tenere a mente che spesso le azioni sono più eloquenti delle parole e che quindi occorre rimodulare le strategie mediatiche, aggiunge il rapporto.

Tra le misure proposte nel rapporto vi è quella di dare una formazione esaustiva ai diplomatici, al personale miliare e agli altri funzionari circa il ruolo della religione nella politica mondiale.

Il rapporto raccomanda inoltre agli Stati Uniti di proseguire nella promozione della libertà religiosa. “Le limitazioni alla libertà religiosa indeboliscono la democrazia e la società civile, avvelenano il dibattito politico e fomentano l’estremismo”, osserva il rapporto.

Sana collaborazione

Il ruolo della religione nella politica è stato citato anche da Benedetto XVI, nel suo discorso dell’11 gennaio ai membri del corpo diplomatico.

“Purtroppo, in alcuni Paesi, soprattutto occidentali, si diffondono, negli ambienti politici e culturali, come pure nei mezzi di comunicazione, un sentimento di scarsa considerazione, e, talvolta, di ostilità, per non dire di disprezzo verso la religione, in particolare quella cristiana”, ha rilevato.

Similmente a quanto affermato nel rapporto del Chicago Council, il Pontefice ha sostenuto che: “È chiaro che, se il relativismo è concepito come un elemento costitutivo essenziale della democrazia, si rischia di concepire la laicità unicamente in termini di esclusione o, meglio, di rifiuto dell’importanza sociale del fatto religioso”.

Tale approccio, tuttavia, genera solo contrasti e divisioni, ha sottolineato il Papa. “Urge, pertanto, definire una laicità positiva, aperta, che, fondata su una giusta autonomia tra l’ordine temporale e quello spirituale, favorisca una sana collaborazione e un senso di responsabilità condivisa”, ha rimarcato. Una collaborazione che aiuterebbe molto a promuovere la pace nel mondo.


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Interviste


I sacerdoti sposati, casi eccezionali da intendersi come tali
Intervista a padre Laurent Touze, della Pontificia Università della Santa Croce

di Carmen Elena Villa

ROMA, domenica, 7 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il convegno tenutosi il 4 e 5 marzo presso la Pontificia Università della Santa Croce ha offerto l'occasione per riflettere sul tema del celibato sacerdotale.

All'evento accademico, che ha visto la partecipazione di un centinaio di sacerdoti provenienti da Roma e da altre diocesi del mondo, così come di decine di laici e religiosi, erano presenti anche il Cardinale Claudio Hummes, O.F.M., Prefetto della Congregazione per il Clero e mons. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi.

Diversi sacerdoti, laici e docenti hanno parlato della natura del celibato, della sua origine e del suo significato così come delle eccezioni che la Chiesa ha permesso, specialmente per alcuni riti orientali e per quei sacerdoti sposati anglicani, che intendono entrare in piena comunione con la Chiesa di Roma.

Per capire meglio il tema affrontato, ZENIT ha intervistato padre Laurent Touze, docente presso la Pontificia Università della Santa Croce, che è intervenuto al convegno con una relazione dal titolo “Il celibato è vincolato al sacramento dell’Ordine? Per una teologia spirituale del celibato”.

Il celibato è un dogma di fede o una disciplina?

Padre Touze: Né l'uno né l'altro. Non è un dogma di fede perché ancora oggi è possibile vedere nella Chiesa cattolica dei sacerdoti sposati come, per esempio, in alcune Chiese cattoliche orientali. Non tutte ma alcune ammettono i sacerdoti sposati oppure, come si è ricordato recentemente con il motu proprio del Santo Padre Anglicanorum coetibus pubblicato il 4 novembre scorso, tra gli ex anglicani che vogliono tornare in comunione con la Chiesa cattolica saranno ammessi i sacerdoti sposati.

Secondo lei un giorno il celibato potrebbe diventare volontario per i sacerdoti di rito latino?

Padre Touze: No, perché la Chiesa sta comprendendo sempre di più la natura del sacerdozio, dell'episcopato e del celibato. E' qualcosa che assomiglia alla rivelazione di un dogma benché non lo sia e benché in questo momento si tenda sempre di più a capire la necessità di promuovere tra i sacerdoti tutti, persino tra i sacerdoti cattolici orientali, una pratica che sia veramente simile a quella che esisteva già nei primi secoli.

Tuttavia nei primi secoli vi erano molti sacerdoti sposati, tra cui anche gli apostoli.

Padre Touze: Alcuni studi hanno mostrato in modo molto convincente che la vera domanda che dobbiamo porci è: nei primi secoli, sin dall'introduzione dell'ordine sacerdotale, i chierici non vivevano forse la continenza? Secondo me ciò che è stato mostrato in modo molto interessate e difficile da contraddire è che nei primi secoli c'erano uomini sposati che erano sacerdoti o meglio Vescovi ma che dal momento della ordinazione tutti questi uomini dovevano vivere la continenza e quindi chiedevano il permesso alla propria moglie perché divenisse un impegno della coppia.

Allora perché ci sono delle eccezioni?

Padre Touze: A livello storico perché c'è stata una manipolazione dei testi o forse, per dirla più positivamente, una cattiva traduzione da parte della Chiesa orientale che si è separata da Roma. E la Chiesa ha riconosciuto che quanto era stato dichiarato contrariamente alla tradizione si poteva accettare. In questo senso si tratta veramente di eccezioni. La Chiesa ha poi scoperto che aveva la possibilità di ammettere delle eccezioni rispettabilissime, come ha sottolineato il Concilio Vaticano. Nelle Chiese cattoliche orientali ci sono sacerdoti santissimi che hanno contribuito molto alla storia della Chiesa e alla fede in tempi di persecuzione ma ci sono veramente delle eccezioni e devono essere intese come tali.

Per i Vescovi non valgono queste eccezioni. Il celibato episcopale riveste un significato speciale?

Padre Touze: Senza dubbio. E' molto diverso sia teologicamente che storicamente. Anzi, la Chiesa nel Concilio Vaticano II con la constituzione Lumen Gentium ha definito dogmaticamente che l'episcopato è la pienezza del sacramento dell'ordine. Occorre riscoprire la specificità dell'episcopato e quindi del celibato episcopale. Lo dimostra il fatto che per il celibato o la continenza del Vescovo non sono mai state fatte eccezioni. E' un tema questo che è stato molto studiato all'interno della Chiesa e sul quale i Romani Pontefici hanno dovuto riflettere in due occasioni durante la storia contemporanea: dopo la Rivoluzione francese, quando alcuni Vescovi, o meglio ex Vescovi, avevano espresso il desiderio di sposarsi. Allora si disse che era impossibile, che non si era mai fatto e che era in gioco qualcosa di dogmatico. O ancora più recentemente con le ordinazioni di uomini e Vescovi sposati nella ex Cecoslovacchia su imposizione o dietro pressione del partito comunista allora al potere. Anche lì la Chiesa si pronunciò sul fatto che il Vescovo doveva essere sempre celibe o che se si era sposato prima della sua ordinazione doveva vivere la continenza sin dal momento della sua consacrazione episcopale”.

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Bioetica


Il condom riduce o incrementa la diffusione dell'AIDS?

di Renzo Puccetti*

ROMA, domenica, 7 marzo 2010 (ZENIT.org).- E’ sempre più evidente la scarsa efficacia della promozione del preservativo come misura sostanziale di prevenzione dall’HIV a livello di popolazione generale.

Il problema che si pone è se oltre ad essere scarsamente efficace la diffusione di profilattici può diventare oggetto di maggiore diffusione dell’AIDS come denunciato da scienziati, medici, educatori e dallo stesso Pontefice Benedetto XVI.

In fin dei conti, una cosa è un intervento inutile, cosa ben diversa è un intervento nocivo. In quale modo adoperarsi per la diffusione dei preservativi, anziché attenuare, potrebbe “aumentare il problema”?

Una tale evenienza potrebbe attuarsi se in questo campo gli eventi seguissero la linea prevista dalla teoria del risk homestasis (omeostasi del rischio), conosciuta anche come risk compensation (compensazione del rischio), o anche come effetto Peltzman, dall’economista, che ne scrisse negli anni‘70.[1]

In base a tale teoria le persone effettuano determinati comportamenti sulla base di un livello di rischio percepito come accettabile. L’introduzione di un qualsiasi presidio che abbassi la percezione del rischio comporterà l’adozione di comportamenti più rischiosi, tali da portare ad una compensazione del rischio percepito e possibilmente anche ad una super-compensazione del rischio reale.[2]

La compensazione del rischio è un elemento tenuto in considerazione dagli esperti quando si tratta di analizzare l’impatto sull’incidenza dell’HIV di pratiche come la circoncisione maschile, o la somministrazione di farmaci antiretrovirali a scopo preventivo.[3]

La stessa organizzazione UNAIDS sembra essere al corrente del problema, dal momento che tale evenienza è espressamente citata, all’interno delle linee guida etiche nei protocolli di ricerca sulla prevenzione dell’AIDS, tra le attenzioni che i ricercatori devono avere quando svolgono programmi di prevenzione per l’HIV.[4]

Quando però si tratta di applicare le stesse preoccupazioni al condom, dal campo delle grandi agenzie della salute e di molti potentati scientifici inspiegabilmente si levano delle nebbie misteriose.

Secondo lo schema della compensazione del rischio la promozione del preservativo potrebbe condurre ad un indebolimento dell’autocontrollo delle persone con conseguente maggiore diffusione di comportamenti sessuali a rischio d’infezione.

Vi sono indizi di una tale possibilità? La risposta consentita dalle conoscenze attuali è affermativa: che  la diffusione del condom possa condurre ad un incremento compensatorio dei comportamenti a rischio è una possibilità che le attuali evidenze non possono escludere.

Nel 2000, proprio sulla rivista The Lancet, comparve un articolo che raggiunse una certa notorietà tra gli addetti ai lavori.

Gli autori mettevano in guardia nei confronti della possibilità che l’affidarsi al preservativo potesse essere di gran beneficio teoricamente, ma al dunque non raccogliere gli effetti previsti sul campo, allo stesso modo di come l’introduzione delle cinture di sicurezza non aveva portato alla riduzione auspicata del numero di morti sulle strade.[5]

Nel 2003, ad un meeting organizzato dal Presidential Avisory Council on HIV/AIDS, il professor Hearst presentò una serie di dati longitudinali che mostravano come l’incremento della vendita di preservativi in Kenia, Botswana, Camerun, si accompagnava ad un parallelo incremento della sieroprevalenza da HIV.[6]

Anche valutazioni trasversali hanno mostrato nelle nazioni sub-sahariane la correlazione positiva tra l’uso del preservativo e i tassi di prevalenza d’infezione da HIV; cioè nei paesi dove più si usa il preservativo, maggiore è il tasso di diffusione dell’AIDS nella popolazione.[7]

È importante precisare che la presenza di una correlazione statisticamente significativa tra due fattori non ne stabilisce affatto un rapporto di dipendenza causale. Teoricamente la vendita dei preservativi potrebbe tendere a concentrarsi nelle nazioni dove più è diffusa l’epidemia.

Che l’uso del preservativo si associ ad un maggiore tasso di HIV e di AIDS non è però una caratteristica africana.

In un contributo personale redatto insieme alla professoressa Di Pietro pubblicato dal British Medical Journal, è stato dimostrato che la correlazione tra preservativo e HIV è presente anche negli Stati Uniti.[8]

Poiché vi sono dati che indicano come in occidente il condom è impiegato più con finalità contraccettive che protettive,[9] è più probabile che nell’associazione tra condom e HIV il maggiore uso del preservativo preceda l’incremento dell’HIV e non viceversa.

In uno studio d’intervento attuato in Uganda è stato dimostrato che una più aggressiva campagna di promozione dell’uso del condom si associa al contatto sessuale con un numero maggiore di partner.[10]

In controtendenza rispetto a questi dati sono i risultati di una meta-analisi che ha valutato l’effetto sui comportamenti sessuali degli interventi atti a promuovere la riduzione del rischio.

Secondo i risultati di questo studio tali interventi, compresi quelli che promuovono l’uso del condom, non si associano a variazioni significative, né in un senso, né nell’altro, dei comportamenti a rischio.[11]

Tale studio, ha però preso in evidenza non la mera distribuzione dei preservativi, ma programmi, quasi sempre integrati, comprendenti anche di interventi di educazione alle nozioni di fedeltà.

È altresì di recente pubblicazione una revisione della letteratura che conferma invece la presenza di comportamenti disinibitori a seguito degli interventi di profilassi della malattia.[12]

Risultati discordanti di questo genere possono essere spiegati dalla diversa selezione degli studi e dal diverso processo di analisi dei dati.

[Per approfondire l'argomento si legga di Cesare Davide Cavoni e Renzo Puccetti, “Il Papa ha ragione! L’aids non si ferma con il condom” (edizioni Fede & Cultura)]

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* Il dott. Renzo Puccetti è specialista in Medicina Interna e segretario del Comitato “Scienza & Vita” di Pisa-Livorno.



1) Peltzman, S. The Effects of Automobile Safety Regulation. Journal of Political Economy. 1975; 83: 677-725.

2) Tazi-Preve I, Roloff J. Abortion in West and East Europe: problems of access and services, in CICRED Seminar on Reproductive Health, Unmet Needs, and Poverty: Issues of Access and Quality of Services, Bangkok, 25-30 November 2002.http://www.cicred.org/Eng/Seminars/Details/Seminars/Bangkok2002/32BangkokTazi&Rolof.pdf (ultimo accesso del 08-07-2009). Vedi pure Levine PB. The Sexual Activity and Birth Control Use of American Teenagers. In: Jonathan Gruber, editor. Risky Behavior among Youths: An Economic Analysis (National Bureau of Economic Research Conference Report). Cambridge MA: University of Chicago Press 2001: 167-218.

3) Mastro TD, Cates W Jr, Cohen MS. Antiretroviral Products for HIV Prevention: Looking toward 2031.

http://www.fhi.org/NR/rdonlyres/eelhp77qb7vtrhcrzdc6z2sevegzymnhha7nz4iuobbmjdwxq2tmyqlpnq5avb5wkabzqhsjenf5wd/arvproductsforprevention.pdf (ultimo accesso del 08-07-2009).

4) UNAIDS/WHO. Ethical considerations in biomedical HIV prevention trials.

http://data.unaids.org/pub/Report/2007/JC1399_ethical_considerations_en.pdf (ultimo accesso del 08-07-2009).

5) 74 Richens J, Imrie J, Copas A. Condoms and seat belts: the parallels and the lessons. Lancet. 2000; 355(9201): 400-3.

6) Hearst N, Chen S. Condom Promotion for AIDS Prevention in the Developing World: Is it Working?

http://www.pacha.gov/meetings/presentations/p0803/p0803.html (ultimo accesso 4-7-2009).

7) Green EC. New Evidence Guiding How We Conduct AIDS Prevention. Presentation to the Manhattan Institute, Jan 9, 2008. http://www.harvardaidsprp.org/research/green-manhattan-institute-lecture-010908.pdf.

8) Puccetti R, Di Pietro ML. Catholic Magisterium and scientific community: possible dialogue on the bridge of numbers. British Medical Journal. 2 Apr. 2009. [letter] http://www.bmjcom/cgi/eletters/338/mar25_1/b1217.

9) Stigum H, Magnus P, Veierød M, Bakketeig LS. Impact on sexually transmitted disease spread of increased condom use by young females, 1987-1992. Int J Epidemiol. 1995; 24(4): 813-20.

Vedi pure Faílde Garrido JM, Lameiras Fernández M, Bimbela Pedrola JL. Sexual Behavior in a Spanish Sample Aged 14 to 24 Years Old. Gaceta Sanitaria. 2008; 22:6: 511-9.

10) Kajubi P, Kamya MR, Kamya S, Chen S, McFarland W, Hearst N. Increasing condom use without reducing HIV risk: results of a controlled community trial in Uganda. J Acquir Immune Defic Syndr. 2005; 40(1): 77-82.

11) Smoak ND, Scott-Sheldon LA, Johnson BT, Carey MP. Sexual risk reduction interventions do not inadvertently increasethe overall frequency of sexual behavior: a meta-analysis of 174 studies with 116,735 participants. J Acquir Immune Defic Syndr. 2006; 41(3): 374-84.

12) Eaton LA, Kalichman S. Risk compensation in HIV prevention: implications for vaccines, microbicides, and other biomedical HIV prevention technologies. Curr HIV/AIDS Rep. 2007; 4(4) :165-72.

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Documenti


Benedetto XVI: le sofferenze sono occasione di conversione
Intervento in occasione dell'Angelus nella III domenica di Quaresima

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 7 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso che Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica in occasione della preghiera mariana dell'Angelus, recitata insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti in piazza San Pietro.




* * *

Cari fratelli e sorelle,

la liturgia di questa terza domenica di Quaresima ci presenta il tema della conversione. Nella prima lettura, tratta dal Libro dell’Esodo, Mosè, mentre pascola il gregge, vede un roveto in fiamme, che non si consuma. Si avvicina per osservare questo prodigio, quando una voce lo chiama per nome e, invitandolo a prendere coscienza della sua indegnità, gli comanda di togliersi i sandali, perché quel luogo è santo. "Io sono il Dio di tuo padre – gli dice la voce – il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe"; e aggiunge: "Io sono Colui che sono!" (Es 3,6a.14). Dio si manifesta in diversi modi anche nella vita di ciascuno di noi. Per poter riconoscere la sua presenza è però necessario che ci accostiamo a lui consapevoli della nostra miseria e con profondo rispetto. Diversamente ci rendiamo incapaci di incontrarlo e di entrare in comunione con Lui. Come scrive l’apostolo Paolo, anche questa vicenda è raccontata per nostro ammonimento: essa ci ricorda che Dio si rivela non a quanti sono pervasi da sufficienza e leggerezza, ma a chi è povero ed umile davanti a Lui.

Nel brano del Vangelo odierno, Gesù viene interpellato circa alcuni fatti luttuosi: l’uccisione, all’interno del tempio, di alcuni Galilei per ordine di Ponzio Pilato e il crollo di una torre su alcuni passanti (cfr Lc 13,1-5). Di fronte alla facile conclusione di considerare il male come effetto della punizione divina, Gesù restituisce la vera immagine di Dio, che è buono e non può volere il male, e mettendo in guardia dal pensare che le sventure siano l’effetto immediato delle colpe personali di chi le subisce, afferma: "Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo" (Lc 13,2-3). Gesù invita a fare una lettura diversa di quei fatti, collocandoli nella prospettiva della conversione: le sventure, gli eventi luttuosi, non devono suscitare in noi curiosità o ricerca di presunti colpevoli, ma devono rappresentare occasioni per riflettere, per vincere l’illusione di poter vivere senza Dio, e per rafforzare, con l’aiuto del Signore, l’impegno di cambiare vita. Di fronte al peccato, Dio si rivela pieno di misericordia e non manca di richiamare i peccatori ad evitare il male, a crescere nel suo amore e ad aiutare concretamente il prossimo in necessità, per vivere la gioia della grazia e non andare incontro alla morte eterna. Ma la possibilità di conversione esige che impariamo a leggere i fatti della vita nella prospettiva della fede, animati cioè dal santo timore di Dio. In presenza di sofferenze e lutti, vera saggezza è lasciarsi interpellare dalla precarietà dell’esistenza e leggere la storia umana con gli occhi di Dio, il quale, volendo sempre e solo il bene dei suoi figli, per un disegno imperscrutabile del suo amore, talora permette che siano provati dal dolore per condurli a un bene più grande.

Cari amici, preghiamo Maria Santissima, che ci accompagna nell’itinerario quaresimale, affinché aiuti ogni cristiano a ritornare al Signore con tutto il cuore. Sostenga la nostra decisione ferma di rinunciare al male e di accettare con fede la volontà di Dio nella nostra vita.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Infine, saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i ragazzi provenienti dalle Diocesi di Milano e di Lodi, che si preparano alla loro professione di fede; i cresimandi di Crotone e di Sabbio di Dalmine; i fedeli di Padova e il gruppo della Polizia Municipale di Agropoli, gli alunni della Scuola "Alessandro Carrisi" di Trepuzzi e i ragazzi siriaci-assiri presenti. A tutti auguro una buona domenica.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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Il Papa alla parrocchia di San Giovanni della Croce a Colle Salario
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 7 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata da Benedetto XVI nel visitare questo domenica la parrocchia di San Giovanni della Croce a Colle Salario, nel settore nord della diocesi di Roma.


* * *

Cari fratelli e sorelle!

"Convertitevi, dice il Signore, il regno dei cieli è vicino" abbiamo proclamato prima del Vangelo di questa terza domenica di Quaresima, che ci presenta il tema fondamentale di questo ‘tempo forte’ dell'anno liturgico: l'invito alla conversione della nostra vita ed a compiere degne opere di penitenza. Gesù, come abbiamo ascoltato, evoca due episodi di cronaca: una repressione brutale della polizia romana all’interno del tempio (cfr Lc 13,1) e la tragedia dei diciotto morti per il crollo della torre di Siloe (v. 4). La gente interpreta questi fatti come una punizione divina per i peccati di quelle vittime, e, ritenendosi giusta, si crede al riparo da tali incidenti, pensando di non avere nulla da convertire nella propria vita. Ma Gesù denuncia questo atteggiamento come un’illusione: "Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo" (vv. 2-3). Ed invita a riflettere su quei fatti, per un maggiore impegno nel cammino di conversione, perché è proprio il chiudersi al Signore, il non percorrere la strada della conversione di se stessi, che porta alla morte, quella dell’anima. In Quaresima, ciascuno di noi è invitato da Dio a dare una svolta alla propria esistenza pensando e vivendo secondo il Vangelo, correggendo qualcosa nel proprio modo di pregare, di agire, di lavorare e nelle relazioni con gli altri. Gesù ci rivolge questo appello non con una severità fine a se stessa, ma proprio perché è preoccupato del nostro bene, della nostra felicità, della nostra salvezza. Da parte nostra, dobbiamo rispondergli con un sincero sforzo interiore, chiedendogli di farci capire in quali punti in particolare dobbiamo convertirci.

La conclusione del brano evangelico riprende la prospettiva della misericordia, mostrando la necessità e l’urgenza del ritorno a Dio, di rinnovare la vita secondo Dio. Riferendosi ad un uso del suo tempo, Gesù presenta la parabola di un fico piantato in una vigna; questo fico, però, risulta sterile, non dà frutti (cfr Lc 13,6-9). Il dialogo che si sviluppa tra il padrone e il vignaiolo, manifesta, da una parte, la misericordia di Dio, che ha pazienza e lascia all’uomo, a tutti noi, un tempo per la conversione; e, dall’altra, la necessità di avviare subito il cambiamento interiore ed esteriore della vita per non perdere le occasioni che la misericordia di Dio ci offre per superare la nostra pigrizia spirituale e corrispondere all’amore di Dio con il nostro amore filiale.

Anche San Paolo, nel brano che abbiamo ascoltato, ci esorta a non illuderci: non basta essere stati battezzati ed essere nutriti alla stessa mensa eucaristica, se non si vive come cristiani e non si è attenti ai segni del Signore (cfr 1 Cor 10,1-4).

Carissimi Fratelli e Sorelle della Parrocchia di San Giovanni della Croce! Sono molto lieto di essere in mezzo a voi, oggi, per celebrare con voi il Giorno del Signore. Saluto cordialmente il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare del Settore, il vostro Parroco, don Enrico Gemma, che ringrazio per le belle parole rivoltemi a nome di tutti voi, e gli altri Sacerdoti che lo coadiuvano. Vorrei poi estendere il mio pensiero a tutti gli abitanti del quartiere, specialmente agli anziani, ai malati, alle persone sole e in difficoltà. Tutti e ciascuno ricordo al Signore in questa Santa Messa.

So che la vostra Parrocchia è una comunità giovane. Infatti, ha iniziato la sua attività pastorale nel 1989, per un periodo di dodici anni in un locale provvisorio, e poi nel nuovo complesso parrocchiale. Ora che avete un nuovo edificio sacro, la mia visita desidera incoraggiarvi a realizzare sempre meglio quella Chiesa di pietre vive che siete voi. So che l’esperienza dei primi dodici anni ha segnato uno stile di vita che tuttora permane. La mancanza di strutture adeguate e di tradizioni consolidate vi ha spinto, infatti, ad affidarvi alla forza della Parola di Dio, che è stata lampada nel cammino e ha portato frutti concreti di conversione, di partecipazione ai Sacramenti, specie all’Eucaristia domenicale, e di servizio. Vi esorto ora a fare di questa Chiesa un luogo in cui si impara sempre meglio ad ascoltare il Signore che ci parla nelle sacre Scritture. Queste rimangono sempre il centro vivificante della Vostra comunità affinché diventi scuola continua di vita cristiana, da cui parte ogni attività pastorale.

La costruzione del nuovo tempio parrocchiale vi ha spinto a un corale impegno apostolico, con una particolare attenzione al campo della catechesi e della liturgia. Mi congratulo per gli sforzi pastorali che andate compiendo. So che vari gruppi di fedeli si radunano per pregare, formarsi alla scuola del Vangelo, partecipare ai Sacramenti – soprattutto della Penitenza e dell’Eucaristia – e vivere quella dimensione essenziale per la vita cristiana che è la carità. Penso con gratitudine a quanti contribuiscono a rendere più vive e partecipate le celebrazioni liturgiche, ed ancora a quanti, con la Caritas parrocchiale e il gruppo di Sant’Egidio, cercano di andare incontro alle tante esigenze del territorio, specialmente alle attese dei più poveri e bisognosi. Penso, infine, a quanto andate lodevolmente compiendo in favore delle famiglie, dell’educazione cristiana dei figli e di quanti frequentano l’Oratorio.

Sin dal suo nascere, questa Parrocchia si è aperta ai Movimenti ed alle nuove Comunità ecclesiali, maturando così una più ampia coscienza di Chiesa e sperimentando nuove forme di evangelizzazione. Vi esorto a proseguire con coraggio in questa direzione, impegnandovi, però, a coinvolgere tutte le realtà presenti in un progetto pastorale unitario. Ho appreso con favore che la vostra comunità si propone di promuovere, nel rispetto delle vocazioni e dei ruoli dei consacrati e dei laici, la corresponsabilità di tutti i membri del Popolo di Dio. Come ho già avuto modo di ricordare, ciò esige un cambiamento di mentalità, soprattutto nei confronti dei laici, "passando dal considerarli «collaboratori» del clero a riconoscerli realmente «corresponsabili» dell’essere e dell’agire della Chiesa, favorendo così la promozione di un laicato maturo ed impegnato" (cfr Discorso di apertura del Convegno pastorale della Diocesi di Roma - 26 maggio 2009).

Carissime famiglie cristiane, carissimi giovani che abitate in questo quartiere e che frequentate la parrocchia, lasciatevi sempre più coinvolgere dal desiderio di annunciare a tutti il Vangelo di Gesù Cristo. Non aspettate che altri vengano a portarvi altri messaggi, che non conducono alla vita, ma fatevi voi stessi missionari di Cristo per i fratelli, dove vivono, lavorano, studiano o soltanto trascorrono il tempo libero. Avviate anche qui una capillare e organica pastorale vocazionale, fatta di educazione delle famiglie e dei giovani alla preghiera e a vivere la vita come un dono che proviene da Dio.

Cari fratelli e sorelle! Il tempo forte della Quaresima invita ciascuno di noi a riconoscere il mistero di Dio, che si fa presente nella nostra vita, come abbiamo ascoltato nella prima lettura. Mosè vede nel deserto un roveto che arde, ma non si consuma. In un primo momento, spinto dalla curiosità, si avvicina per vedere questo avvenimento misterioso quand’ecco che dal roveto una voce lo chiama, dicendo: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe" (Es 3,6). Ed è proprio questo Dio che lo rimanda in Egitto con l’incarico di condurre il popolo di Israele nella terra promessa, domandando al faraone, nel Suo nome, la liberazione di Israele. A questo punto, Mosè chiede a Dio qual è il Suo nome, il nome con cui Dio mostra la Sua particolare autorità, in modo da potersi presentare al popolo e poi al faraone. La risposta di Dio può sembrare strana; appare un rispondere e non rispondere. Egli dice di sé semplicemente: "Io sono colui che sono!". "Egli è", e questo deve bastare. Dio, quindi, non ha rifiutato la richiesta di Mosè, manifesta il proprio nome, creando così la possibilità dell’invocazione, della chiamata, del rapporto. Rivelando il suo nome Dio stabilisce una relazione tra sé e noi. Si rende invocabile, entra in rapporto con noi e ci dà la possibilità di stare in rapporto con lui. Ciò significa che Egli si consegna, in qualche modo, al nostro mondo umano, divenendo accessibile, quasi uno di noi. Affronta il rischio della relazione, dell’essere con noi. Ciò che ebbe inizio presso il roveto ardente nel deserto si compie presso il roveto ardente della croce, dove Dio, divenuto accessibile nel suo Figlio fatto uomo, fatto realmente uno di noi, viene consegnato nelle nostre mani e, in tal modo, realizza la liberazione dell’umanità. Sul Golgota Dio, che durante la notte della fuga dall’Egitto si è rivelato come Colui che libera dalla schiavitù, si rivela come Colui che abbraccia ogni uomo con la potenza salvifica della Croce e della Risurrezione e lo libera dal peccato e dalla morte, lo accetta nell’abbraccio del Suo amore.

Rimaniamo nella contemplazione di questo mistero del nome di Dio per comprendere meglio il mistero della Quaresima, e vivere come singoli e come comunità in permanente conversione, in modo da essere nel mondo costante epifania, testimonianza del Dio vivente, che libera e salva per amore. Amen.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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Discorso di Benedetto XVI ai volontari della Protezione Civile Italiana

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 7 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI nel ricevere questo sabato in udienza i dirigenti, il personale e i volontari della Protezione Civile Nazionale Italiana.





* * *

Cari amici,

sono molto lieto di accogliervi e di rivolgere il mio cordiale benvenuto a ciascuno di voi. Saluto i Confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio e tutte le Autorità. Saluto il Dott. Guido Bertolaso, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e Capo del Dipartimento della Protezione Civile, e lo ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto a nome di tutti e per tutto quello che fa per la società civile e per tutti noi. Saluto il Dott. Gianni Letta, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, presente a questo incontro. Rivolgo il mio affettuoso saluto ai numerosi volontari e volontarie e ai rappresentanti di alcune componenti del Servizio Nazionale della Protezione Civile.

Questo incontro è stato preceduto da un gioioso momento di festa, allietato anche dalle esecuzioni musicali dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese. A tutti il mio grato pensiero. Avete voluto ripercorrere l’attività svolta dalla Protezione Civile negli ultimi dieci anni, sia in occasione di emergenze nazionali e internazionali, sia nell’attività di supporto a grandi e particolari avvenimenti. Come non ricordare, a tale proposito, gli interventi a favore dei terremotati di San Giuliano di Puglia e, soprattutto, dell’Abruzzo? Io stesso, visitando, nell’aprile scorso, Onna e l’Aquila, ho potuto constatare di persona con quanto impegno vi siete prodigati per assistere coloro che avevano perduto i propri cari e le abitazioni. Mi sembrano appropriate le parole che vi rivolsi in quella occasione: "Grazie di ciò che avete fatto e soprattutto dell’amore con cui l’avete fatto. Grazie dell’esempio che avete dato" (Discorso nell’incontro con i fedeli e il personale impiegato nei soccorsi, 28 aprile 2009). E come non pensare con ammirazione ai tanti volontari e volontarie che hanno garantito assistenza e sicurezza alla folla sterminata di giovani, e non solo, presente all’indimenticabile Giornata Mondiale della Gioventù del 2000, o venuta a Roma per l’ultimo saluto al Papa Giovanni Paolo II?

Cari volontari e volontarie della Protezione Civile: so che avete molto desiderato questo incontro; posso assicurarvi che questo era anche il mio vivo desiderio. Voi costituite una delle espressioni più recenti e mature della lunga tradizione di solidarietà che affonda le radici nell’altruismo e nella generosità del popolo italiano. Il volontariato di Protezione Civile è divenuto un fenomeno nazionale, che ha assunto caratteri di partecipazione e di organizzazione particolarmente significativi e oggi comprende circa un milione e trecentomila membri, suddivisi in oltre tremila organizzazioni. Le finalità e i propositi della vostra associazione hanno trovato riconoscimento in appropriate norme legislative, che hanno contribuito al formarsi di un’identità nazionale del volontariato di Protezione Civile, attenta ai bisogni primari della persona e del bene comune.

I termini ‘protezione’ e ‘civile’ rappresentano delle precise coordinate ed esprimono in maniera profonda la vostra missione, direi la vostra ‘vocazione’: proteggere le persone e la loro dignità – beni centrali della società civile - nei casi tragici di calamità e di emergenza che minacciano la vita e la sicurezza di famiglie o di intere comunità. Tale missione non consiste solo nella gestione dell’emergenza, ma in un contributo puntuale e meritorio alla realizzazione del bene comune, il quale rappresenta sempre l’orizzonte della convivenza umana anche, e soprattutto, nei momenti delle grandi prove. Queste sono un’occasione di discernimento e non di disperazione. Offrono l’opportunità di formulare una nuova progettualità sociale, orientata maggiormente alla virtù e al bene di tutti.

La duplice dimensione della protezione, che si esprime sia durante l’emergenza che dopo, è bene espressa dalla figura del buon Samaritano, tratteggiata dal Vangelo di Luca (cfr Lc 10,30-35). Questo personaggio ha dimostrato certamente carità, umiltà e coraggio assistendo il malcapitato nel momento del massimo bisogno. E questo quando tutti - alcuni per indifferenza, altri per durezza di cuore - girano lo sguardo dall’altra parte. Il buon Samaritano insegna, però, ad andare oltre l’emergenza e a predisporre, potremmo dire, il rientro nella normalità. Egli, infatti, fascia le ferite dell’uomo riverso a terra, ma poi si preoccupa di affidarlo all’albergatore affinché, superata l’emergenza, possa ristabilirsi.

Come ci insegna la pagina evangelica, l’amore del prossimo non può essere delegato: lo Stato e la politica, pur con le necessarie premure per il welfare, non possono sostituirlo. Come ho scritto nell’Enciclica Deus caritas est: "L’amore sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo. Ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione, di aiuto. Sempre ci sarà solitudine. Sempre ci saranno anche situazioni di necessità materiale nelle quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore del prossimo" (n. 28). Esso richiede e richiederà sempre l’impegno personale e volontario. Proprio per questo, i volontari non sono dei "tappabuchi" nella rete sociale, ma persone che veramente contribuiscono a delineare il volto umano e cristiano della società. Senza volontariato, il bene comune e la società non possono durare a lungo, poiché il loro progresso e la loro dignità dipendono in larga misura proprio da quelle persone che fanno più del loro stretto dovere.

Cari amici! Il vostro impegno è un servizio reso alla dignità dell’uomo fondata sul suo essere creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,26). Come ci ha mostrato l’episodio del buon Samaritano, ci sono sguardi che possono andare nel vuoto o addirittura nel disprezzo, ma vi sono anche sguardi che possono esprimere amore. Oltre che custodi del territorio, siate sempre più icone viventi del buon Samaritano, conferendo attenzione al prossimo, ricordando la dignità dell’uomo e suscitando speranza. Quando una persona non si limita solo a compiere il proprio dovere nella professione e nella famiglia, ma s’impegna per gli altri, il suo cuore si dilata. Chi ama e serve gratuitamente l’altro come prossimo, vive ed agisce secondo il Vangelo e prende parte alla missione della Chiesa, che sempre guarda l’uomo intero e vuol fargli sentire l’amore di Dio.

Cari volontari e volontarie, la Chiesa e il Papa sostengono il vostro prezioso servizio. La Vergine Maria, che va "in fretta" dalla cugina Elisabetta per aiutarla (cfr Lc 1,39), sia il vostro modello. Mentre vi affido all’intercessione del vostro patrono, san Pio da Pietrelcina, assicuro il mio ricordo nella preghiera e con affetto imparto a voi e ai vostri cari la Benedizione Apostolica.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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