giovedì 2 dicembre 2010

Juve, addio all'Europa League Una fase di gioco nella bufera polacca

Più dei gol di Balotelli a Manchester, è stata la Juve a eliminare se stessa
dall'Europa. Lo ha fatto pareggiando 1-1 in Polonia una partita cui nessuno di
noi avrebbe voluto assistere e nessuno dei calciatori avrebbe giocato. Un
assurdo di cui si deve ringraziare l'Uefa. Platini parla di salvare il calcio
dall'affarismo ma spettacoli come questo vanificano il suo messaggio e seminano
dubbi sulle sue intenzioni: giocare a -11º, su un campo duro come il marmo e
sotto una tempesta di neve così ghiacciata che mancava soltanto uno sciroppo
per fare la granita, è esattamente il contrario di quanto si chiede al
football.

In un mondo normale l'arbitro Teixeira avrebbe deciso di non iniziare il match
e in ogni caso l'avrebbe sospeso. Se l'avesse fatto però lo spagnolo sarebbe
tornato a fatica a dirigere nelle Coppe. Così si è assistito a un match
strambo. Non suoni a scusante per i bianconeri che avevano compromesso la
qualificazione con quattro pareggi precedenti e qui avrebbe dovuto centrare
l'impresa. Ci sono andati vicini nel finale, con l'errore di testa di Del Piero
e, dopo il pareggio di Iaquinta al 38', con lo sbaglio del giovane Libertazzi
che ha avuto sulla fronte l'occasione della vita e ha spedito la palla tra le
braccia del portiere in pieno recupero. La colpa è stata di emergere nella
seconda parte della ripresa, aggressiva e veemente dopo che si era specata
un'ora preziosa nell'inseguimento ai polacchi, undicesimi nel loro campionato.

Se valesse la regola di Boniperti che comprava chi aveva castigato la Juve, il
ventiduenne Artjoms Rudnevs sarebbe il primo acquisto di gennaio e Del Neri
avrebbe finalmente un centravanti puro, capace di buttarla in porta. Ai tre gol
di Torino, il lettone del Poznan ha aggiunto la rete che ha immediatamente
complicato l'impresa dei bianconeri. Al 12', sul cross dal calcio d'angolo,
Rudnevs ha bruciato di testa Chiellini e Manninger sul primo palo. Un'azione
che da tempo aspettiamo di vedere dalle punte juventine. Ne abbiamo contate
altre, più complesse e inadatte alle condizioni in cui si giocava. La ricerca
del fraseggio al limite dell'area di rigore polacca non aveva troppe chance di
successo. Eppure la Juve vi insisteva, cercando da Krasic lo spunto che non
sapeva dare, proprio come in campionato con la Fiorentina.

Si dirà: i polacchi sono più abituati a giocare con la neve e il gelo. E' un
luogo comune. A parte il fatto che il Lech è imbottito di slavi nati alle
nostre latitudini, ci sarebbe da eccepire sulla consuetudine al pattinaggio di
gente che si chiama Arboleda o Henriquez, difensori cresciuti al sole però
capaci di contenere Krasic e Iaquinta. Il problema era nella diversa
essenzialità della manovra. Il Lech che è una squadra mediocre faceva cose
semplici, avvantaggiato dal trovarsi sull'1-0. Ripartiva in contropiede.
Rudnevs aveva subito l'occasione per raddoppiare, lasciato solo in area, e nel
finale del tempo un intervento di Chiellini, per altri versi infelice, salvava
una situazione complicata.

Gli juventini non capivano che dovevano semplificare le giocate. Su quel
terreno gelato e saponoso avrebbero dovuto tentare di più il tiro, con la
speranza di indurre all'errore il portiere: non a caso l'occasione più nitida
per pareggiare capitava a Bonucci al 33' sulla respinta di Kotorowski che non
aveva trattenuto la punizione bassa di Del Piero. Il polacco si riscattava
gettandosi a deviare il tocco basso del difensore bianconero. Le conclusioni si
contavano su tre dita, sempre nella ricerca di un assist che non arrivava mai.
Del Piero si avvitava senza cavarne nulla, Iaquinta si agitava invano. Era la
Juve di questa Europa League, sempre sotto le righe, finchè non si riscattava
nei minuti finali e faceva sperare nel sorpasso dopo che Iaquinta aveva
realizzato sull'assist filtrante di Del Piero. Tutto troppo tardi. All'anno
prossimo.

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