mercoledì 1 dicembre 2010

Tracce in un cantiere, ma Yara non c'è

I cani delle unità cinofile puntavano dritti verso un cantiere che è stato
perlustrato in ogni minimo dettaglio, senza successo


Ci vuole la fede di don Corinno, il parroco di Brembate, per sperare che dopo
quattro giorni e quattro notti di buio assoluto, possa arrivare ancora il lieto
fine nella storia di Yara la bambina che non c'è più: «Se la trovano viva,
suono le campane a festa, anche se è mezzanotte». C'è chi spera e c'è chi prega
da venerdì notte. Mamma Maura blindata nella villetta di mattoni rossi di via
Rampin al parroco chiede ancora una messa: «Preghiamo, preghiamo tutti ancora,
don Corinno...». Ieri sera i carabinieri hanno interrogato a lungo il 19enne
che domenica mattina aveva raccontato di avere visto la ragazzina all'ora della
scomparsa parlare con due uomini a fianco di una Citroen rossa con le quattro
frecce accese. Una circostanza che in seguito aveva ammesso essere falsa, e per
la quale il giovane (che conosce bene Yara e la sua famiglia) era stato
denunciato per procurato allarme e falso ideologico.

Ieri però i carabinieri si sono resi conto di una coincidenza: i cani che
hanno seguito la pista della ragazza scomparsa li hanno condotti al cantiere di
un centro commerciale, lungamente ispezionato, che si trova proprio davanti
alla ditta di proprietà del padre di quel ragazzo. Al termine del lunghissimo
colloquio, il ragazzo è uscito visibilmente provato. Intanto nel piazzale
davanti al palazzetto dello sport dove hanno visto Yara l'ultima volta ci sono
i cani delle unità cinofile, il soccorso alpino, la protezione civile,
carabinieri e sommozzatori. «Solo qui siamo in settanta almeno. Fino adesso
abbiamo fatto solo buchi nell'acqua», ammette sconfortato Giovanni Valsecchi
della Protezione civile. «Non stiamo seguendo una pista. Stiamo facendo delle
battute. Ci piacerebbe non trovarla, perché se la troviamo noi...», guarda in
faccia al peggio del peggio Giovanni Martinelli, coordinatore nazionale delle
unità cinofile dell'Associazione nazionale alpini, venticinque anni a cercare
uomini sepolti sotto le valanghe, ma questa è tutta un'altra storia. Dove non
arrivano gli uomini che battono il terreno centimetro dopo centimetro in un
raggio di dieci chilometri dal paese, dove captano il niente anche i macchinari
più sofisticati come le sonde che analizzano la diversa densità del terreno, ci
provano i cani specializzati nella ricerca delle persone scomparse. Attorno a
Brembate ce ne saranno una decina al lavoro.

Tre di loro puntano nella stessa direzione. Wallace e Joker, un Bloodhound
messo a disposizione dalla polizia di Lugano, puntano verso Mapello.
Piergiorgio, un Bordercollie bergamasco, è sulle stesse tracce. A Mapello alle
18 e 49 di venerdì scorso si è spento il cellulare di Yara. Attorno a Mapello
ci sono campi coltivati e incolti, cascine dismesse e questo gigantesco centro
commerciale in costruzione, piloni di cemento fino al secondo piano, rete di
recinzione di plastica, che potrebbe essere il set di un film dell'orrore -
immerso nel niente del buio, circondato da stradine deserte - ora che nessuno
riesce ad immaginare altri film. Joker il Bloodhound punta il muso sicuro. Gli
operai al lavoro venerdì scorso giurano di aver visto niente. Lunedì hanno
colato il cemento per fare la soletta di base al pavimento. In un angolo ci
sono brandelli di un paio di leggins come quelli che indossava Yara l'altro
giorno.

Non sono di Yara. E non è suo il cappello di lana trovato tra cumuli di terra
smossa, montagne di detriti, laterizi ancora da utilizzare nella costruzione
del centro commerciale. «Controlliamo tutto anche se per ora serve a
niente...», spiegano dalla Protezione civile. Col primo buio arrivano le
fotoelettriche e le torce. Gli uomini della scientifica passano il cemento
centimetro dopo centimetro. Alle sei di sera si ritirano i mezzi e oggi si
ricomincia. «Andiamo avanti a cercarla anche se non sappiamo dove. Andiamo
avanti fino a che ce lo chiedono ma i cani hanno il naso in aria, non fiutano
ancora tracce della bambina», ammette il coordinatore nazionale del Soccorso
alpino. E in quell'«ancora» è sospeso il nulla che ha inghiottito Yara
Gambirasio, 13 anni di Brembate, l'ultimo sorriso solo nelle foto che
tappezzano il paese.

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