lunedì 2 giugno 2008

Allarme “son” fascisti, Trasformismi, revisionismi e violenza, Di Giovanni Tizian

Allarme "son" fascisti!
Trasformismi, revisionismi e violenza.
 
Di Giovanni Tizian
 

In Italia stiamo assistendo ad una bizzarra e preoccupante manipolazione dei valori fondanti la nostra Repubblica.

Assistiamo increduli a ciniche e interessate manovre affinché la storia della Resistenza, assieme ai valori che l'accompagnano, sia rivisitata, ammorbidita. Qualcuno chiede che i libri di storia siano oggetto di una revisione mirata, con l'obiettivo di anestetizzare la forza e il senso profondo della Resistenza italiana.

Parimenti si va diffondendo un sentimento di rassegnata accettazione degli ex neofascisti oggi liberal/ popolari.

Attualmente gli ex di Nuovo Ordine, Fiamma tricolore e i vari pupilli di Almirante occupano posizioni di prestigio nella nostra distratta penisola. Una marcia su Roma soft, senza troppi proclami, ma con parecchi trasformismi, i cui maestri sono certamente il neo sindaco di Roma Gianni Alemanno e il neo presidente della Camera Gianfranco Fini.

La spietata caccia al clandestino, al Rom, al Sinti, all'immigrato e il misconoscimento del Gay Pride da parte della valletta Mara Carfagna, attualmente ministro per le pari opportunità, sono l'ennesima dimostrazione del clima d'intolleranza che pervade le città italiane, da Nord a Sud.

Si aggiunga la diffusione della violenza come stile di vita tra i giovani.

I nuovi boia chi molla pronti a tutto pur di manifestare la loro di violenza indiscriminata, la loro intolleranza verso "il resto" diverso da loro, costituiscono un bacino di manovalanza ottimale da utilizzare per le operazioni squadriste organizzate.

Le ultime tremende e brutali azioni compiute dai neo-fascisti romani rappresentano l'ultima e desolante conferma di ciò che sta accadendo nella nostra povera Italia.

La vile violenza di questi gironi, ispirata da imbelli dogmi xenofobi, corroborata dall'ignobile nazionalismo esasperato e da quella "voglia" di revisionismo ormai dilagante , ha chiaramente un matrice politica, nonostante gli infastiditi tentativi di negare l'evidenza da parte di quelli che ora girano con la giacca la cravatta e l'auto blu.

L'attacco al quartiere Pigneto prima, alla Sapienza dopo, l'incendio all'ex mattatoio di Perugia (centro sociale), senza dimenticare il pestaggio a morte dell'innocente Nicola e tutte le altre aggressioni avvenute in questo scorcio di 2008, sono chiaramente degli attacchi di stampo razzista e fascista.

L'antifascismo è chiamato ad una dura prova, una nuova, l'ennesima, resistenza.

Ciò che abbiamo di fronte è una bestia nera difforme sostenuta, consciamente e inconsciamente, dalle differenti lobby politiche le quali, con modalità sostanzialmente simili, hanno cavalcato l'onda della paura, del terrore clandestino, dei comunisti assassini e del revisionismo strategico.

Deve destare preoccupazione la spregiudicatezza di questi militanti neri armati di spranghe, mazze e catene. Se fino a qualche tempo fa le azioni squadriste erano limitate alle ore notturne, e avevano come obiettivi zone, individui e punti delle città ignorati dai riflettori , oggi si è passati ad azioni in pieno giorno, quasi questi figuri cercassero la ribalta, sentendosi legittimati ad agire, sdoganati, forse spalleggiati da un supposto sentire comune che li svincola da ogni remora etica.

La politica che plaude alla giustizia fai da te solletica nelle menti barbare e grette dei nuovi fasci la tentazione antica e pericolosa di farsi armati paladini della 'pulizia' sociale.

Lo spirito antifascista della costituzione è in pericolo a causa dell'indifferenza verso le intolleranze e del continuo attacco alle azioni partigiane che furono, grazie anche alla leggerezza con cui certi intellettuali probabilmente in grave crisi senile di identità usano la storia per riediare ai propri errori e alla propria sconfitta politica e esistenziale.

Il giornalista Giampaolo Pansa. Pansa, ex comunista duro e puro, in un capitolo del suo libro, "I tre inverni della paura" ci fornisce un esempio . Lo scrittore parla di circa 2.200 vittime dei partigiani comunisti dopo la liberazione. I dati tuttavia ingannano se non sono accompagnati da una spiegazione del contesto in cui agirono i nostri partigiani. L'Italia era in guerra, un conflitto mondiale che ha comportato una situazione interna fortemente instabile. Il regime fascista divenuto sempre più totalitario sopprimeva ogni voce dissenziente che si levava dalle contrade di ogni città.

Abusi, torture, maltrattamenti e fucilazioni per motivi politici erano pratiche quotidiane. Successivamente dopo il 1943 le rappresaglie ingiustificate cancellavano per sempre quei volti di donne e bambini colpevoli solo di essere probabili conoscenti dei ribelli. Le vittime civili in Italia furono 14,150, le donne fucilate 683, le fanciulle arrestate e torturate dal regime furono 4.633, di 185.639 partigiani combattenti 28.870 non fecero più ritorno a casa. Di questi 28.870, 6.000 erano emiliani. Pansa parla proprio delle zone del reggiano, zona rossa per eccellenza. La descrive come il triangolo della morte in balia delle violenze dei partigiani comunisti. In una terra come l'Emilia, in cui il numero dei partigiani ha raggiunto le 40.000 unità, ci sono state le violenze post conflitto, le vendette su civili sostenitori dell'odio fascista, ma è anche vero, e questo Pansa non lo considera, il contrario. Su quanti cittadini sospetti il regime ha riversato il suo barbaro e incivile odio questo Pansa non lo scrive, come non si esprime sul ruolo che il fattore psicologico gioca in certe situazioni. Le vendette furono cosa reale, ma in quale paese in guerra valgono le regole di civile e quotidiana convivenza? Infangare la memoria della Resistenza, tralasciando un approfondita analisi delle motivazioni che hanno spinto una minima parte di ribelli ad agire seguendo l'impulso di vendetta può legittimare le tesi relativiste più bieche.

Mettere l'accento sulle cattiverie commesse dai partigiani rossi nel periodo successivo la caduta del regime vuol dire mostrare ai giovani un relativismo culturale che offusca la memoria collettiva di uno stato repubblicano nato grazie al sacrificio umano di migliaia di "ribelli della montagna" che abbandonarono le loro vite tranquille in città, in campagna e nei borghi per liberare l'Italia dall'oppressione nazifascista. Nessun tipo di violenza può e deve essere giustificata in tempi normali. Ma quelli non erano tempi sani, quelli erano tempi di tirannia, di cieca violenza, di fame esasperata e di miseria disumanizzante. La vittima spesso si trasforma in carnefice, probabilmente per questo meccanismo psicologico una parte, magari la più disperata ed esasperata dalle crudeltà di un ventennio assassino, ha riversato il proprio risentimento sui fiancheggiatori dei fascisti, dei nazisti e del duce.

La guerra di liberazione ha avuto sicuramente i suoi lati oscuri, ma le violenze perpetrate dai compagni partigiani sono da far rientrare in un contesto di guerra in cui tutto diventa lecito pur di afferrare la libertà per troppo tempo subalterna all'ordine e alla disciplina. Non si può scrivere sul sangue dei vinti come se gli eroi alla fine fossero i sostenitori del duce e i criminali i partigiani comunisti. Questa voglia di revisionismo ( come per le Foibe) è di una pericolosità estrema soprattutto in un momento storico in cui torna di moda la persecuzione degli zingari ( già perseguitati dai nazisti e dai fascisti) e le azioni squadriste di quarantenni pieni di odio. L'odio tra culture differenti è la religione professata, il sabato e la domenica, nelle curve e durante la settimana per le strade e nei quartieri etichettati a "rischio diverso". Nelle stanze del potere romano in pochi sono a conoscenza che alla lotta partigiana si sono aggiunti alcuni Rom scampati alle persecuzioni fasciste. Ma questo non può redimere il capro espiatorio dalla sua diversità.

Fortunata è la Spagna ad avere una classe politica che è ancora capace di opporsi alla deriva di destra. Zapatero e compagneros hanno cancellato quel patto che avrebbe dovuto, attraverso una forzosa dimenticanza, chiudere i conti con il passato. La creazione di una memoria condivisa che mira alla riabilitazione degli eroi fascisti e al discredito degli antifascisti conduce all'equiparazione tra le due categorie rendendo vano il sacrificio delle vite umane di giovani partigiani partiti per conquistare un mondo diverso, una democrazia popolare. Probabilmente è quest'opera di revisionismo che legittima Roberto Fiore, FN a portare avanti la causa delle Foibe rimontata ad hoc. Consente a Romagnoli di Fiamma Tricolore di affermare tesi che negano l'olocausto in maniera dolce, ad esempio con frasi del tipo: "probabilmente ci sono stati i forni crematori ma non avendoli mai visti di persona non ne ho la certezza" oppure "Hitler probabilmente ha commesso qualche errore, ma ciò non può intaccare la sua capacità di grande statista". E' sempre in questa atmosfera di laissez-faire assoluto, per cui qualunque figura e qualsiasi evento storico possono essere rivisti (anche un personaggio macabro e inquietante come Almirante), che prendono forma e si potenziano le frange squadriste della gioventù neo fascista. Gasati dai loro condottieri e dal clima di accettazione passiva della giustizia fai da te, armati di spranghe e catene si arrogano il diritto di diventare gli "spazzini delle città". In questa tragica situazione, la cosa più buffa è vedere amoreggiare gli esponenti politici che vorrebbero bruciare il tricolore e quelli invece che il tricolore lo innalzano come simbolo identitario per eccellenza.

Dopo "il sangue dei vinti", con il suo ultimo libro "Tre lunghi inverni", Pansa, si unisce allo tsunami revisionista che travolge, infanga una generazione che ha regalato agli italiani la democrazia.

Sempre che interessi ancora a qualcuno la Democrazia.

Fnt

 
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