venerdì 25 dicembre 2009

ZI091225

ZENIT

Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 25 dicembre 2009

Buon Natale con il Papa

Per questo Natale, ZENIT desidera farle i suoi auguri con le stesse parole che Benedetto XVI ha rivolto ai suoi amici e collaboratori: "Oggi ci illumina la Luce, perché è nato per noi il Signore". Il Papa ha accompagnato le sue parole con un'immagine molto familiare, la vetrata della sua cappella privata.

Può ricevere il biglietto del Papa su: http://www.zenit.org/page-0702?l=italian


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Dieci anni fa iniziava il Grande Giubileo del 2000
Un anno di celebrazione e rinnovamento per il mondo cattolico

di Carmen Elena Villa

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 24 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Dieci anni fa la Messa di Natale presieduta da Giovanni Paolo II nella Basilica di San Pietro fu caratterizzata da un evento speciale: l'inizio dell'Anno Giubilare.

Il Papa spalancò la porta santa del tempio cattolico più grande del mondo, che viene aperta solo ogni 25 anni e che negli anni ordinari rimane chiusa con mattoni e pietre, colpendola tre volte e cantando il versetto “Aperite mihi portas justitia”.

Con questa celebrazione, che si protrasse fino al 5 gennaio 2001 con la solennità dell'Epifania, la Chiesa ricordava i 2000 anni della nascita di Gesù.

Il cambio di millennio rivestiva così un significato speciale per i cattolici: al di là della modifica delle cifre sul calendario, “Cristo è il Signore del tempo. Ogni istante del tempo umano è sotto il segno della redenzione del Signore, che è entrato, una volta per sempre, nella 'pienezza del tempo'”, disse Giovanni Paolo II nella sua omelia del Te Deum il 31 dicembre 1999.

Risuonava l'inno ufficiale del Giubileo, “Gloria a te Cristo Gesù”, intonato da Andrea Bocelli: “Sia lode a te! Cristo Signore, offri perdono, chiedi giustizia: l'anno di grazia apre le porte. Solo in te pace e unità. Amen! Alleluia!”, dice nel primo paragrafo.

Anni di preparazione

Nei tre anni precedenti l'anno giubilare, le Diocesi di tutto il mondo hanno pianificato la preparazione dell'Anno Santo. Giovanni Paolo II ha deciso di dedicare ogni anno a una persona della Trinità: il 1997 è stato centrato sulla figura del Figlio, il 1998 sullo Spirito e il 1999 sul Padre.

Giovanni Paolo II aveva anche dichiarato il 1988 “anno mariano” per i 2.000 anni della nascita di Maria, che secondo la tradizione ricevette l'annuncio dell'Angelo Gabriele quando aveva tra i 12 e i 13 anni.

Nel 1998 l'ora venerabile Giovanni Paolo II ha pubblicato la bolla Incarnationis Mysterium, in cui convocava la celebrazione dell'anno giubilare.

Nel 1994 il Papa polacco ha pubblicato l'esortazione apostolica Tertio Millennio Adveniente, in cui invitava i fedeli a prepararsi a questo avvenimento facendo ricordare loro che Gesù è lo stesso “ieri, oggi e sempre”.

Era un'occasione per ringraziare per gli avvenimenti che hanno caratterizzato la Chiesa nel secondo millennio che terminava: i santi elevati agli altari e i tanti sconosciuti, le conquiste e i successi dell'umanità in settori come quello scientifico, quello artistico e quello culturale.

Roma si è vestita a festa per questa celebrazione. Negli anni precedenti si vedevano decine di ponteggi in varie chiese di Roma (tra cui la stessa Basilica di San Pietro) per dei restauri che permettessero loro di poter essere ammirate dalle centinaia di migliaia di pellegrini che durante l'anno hanno visitato la Città Eterna.

Migliaia di volontari lavoravano nei principali santuari romani con gilet azzurri per distinguersi. Guidavano i pellegrini che giungevano e fornivano aiuto logistico nelle celebrazioni più importanti.

Non è stata solo Roma, tuttavia, a prepararsi ad accogliere i pellegrini; lo hanno fatto anche le Chiese particolari del mondo. Sono stati molti i templi dichiarati santuari giubilari, e durante l'Anno Santo chi pregava in questi santuari, scelti previamente dalla Penitenzieria Apostolica, poteva ottenere l'indulgenza plenaria, in base ai canoni stabiliti dalla Santa Sede.

Eventi principali

Un avvenimento di spicco di quell'anno è stata la Giornata Mondiale della Gioventù celebrata a Tor Vergata, alla quale hanno partecipato circa tre milioni di giovani, che si sono riuniti per quella festa di fede sulle note di “L'Emmanuel”, inno dell'evento.

Ci sono state anche celebrazioni per le famiglie, gli anziani, i malati e gli handicappati, i membri del mondo della cultura e della scienza, i laici, i militari, il mondo agricolo, i carcerati (il Papa ha visitato il carcere di Regina Coeli di Roma), gli avvocati, gli sportivi (con una partita di calcio amichevole giocata nello Stadio Olimpico di Roma alla quale ha assistito il Santo Padre), i giornalisti.

Uno degli eventi che ha attirato maggiormente l'attenzione della stampa secolare è stato lo storico Mea culpa pronunciato il 12 marzo, seconda Domenica di Quaresima, in cui Giovanni Paolo II ha chiesto perdono per i peccati commessi dalla Chiesa in passato.

“Chiediamo perdono per le divisioni che sono intervenute tra i cristiani, per l'uso della violenza che alcuni di essi hanno fatto nel servizio alla verità, e per gli atteggiamenti di diffidenza e di ostilità assunti talora nei confronti dei seguaci di altre religioni”, ha detto il Pontefice nella sua omelia.

Quel giorno, ha esortato i fedeli a perdonare anche i peccati commessi contro la Chiesa.

Al termine dell'Anno Santo, il Papa ha pubblicato l'esortazione Novo Millennio Ineunte, documento che firmò in Piazza San Pietro il 6 gennaio 2001 davanti a una folla di fedeli che assistevano alla chiusura della Porta Santa.

In questa esortazione, il Pontefice ha proposto alcune linee di riflessione servite per guidare la comunità cristiana a riprendere il cammino dopo il rinnovato impulso dell'anno giubilare. Un invito ad approfondire, per “prendere il largo”, dopo ciò che era stato vissuto in quell'intenso anno di celebrazioni.

Iniziava così un'epoca di rinnovamento per i fedeli cattolici di tutto il mondo. Al termine di quell'evento, Giovanni Paolo II ricordò che “al di là delle numerose celebrazioni ed iniziative che lo hanno contraddistinto, è l'esperienza viva e consolante dell''incontro con Cristo' la grande eredità che il Giubileo ci lascia”.

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Portavoce vaticano: Natale, tempo di dialogo con i non credenti
Commenta la proposta del Papa di dialogo con atei e agnostici

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 24 dicembre 2009 (ZENIT.org).- E' Natale anche per i non credenti, constata il portavoce vaticano commentando la proposta di Benedetto XVI di creare spazi di dialogo con agnostici e atei.

Padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha dedicato l'editoriale del numero delle feste di “Octava Dies” al commento del bilancio del 2009 tracciato dal Papa insieme ai suoi collaboratori della Curia Romana (cfr. ZENIT, 21 dicembre 2009).

Il Vescovo di Roma ha concluso la sua analisi affermando che “al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto”.

Padre Lombardi spiega che “vivendo in un mondo largamente secolarizzato e in cui la fede appare sempre più difficile, sono parole di cui avevamo bisogno”.

“Il Papa ricorda che Gesù sgombera con passione dagli affari materiali un grande cortile del tempio – quello detto 'dei gentili', dei non appartenenti al popolo ebraico – proprio perché ci possa essere un luogo di preghiera aperto a coloro che 'conoscono Dio soltanto da lontano, che sono scontenti con i loro dèi, riti, miti; che desiderano il Puro e il Grande, anche se Dio rimane per loro il Dio ignoto'”.

“Il Papa è riuscito a far capire che 'le persone che si ritengono agnostiche o atee, devono stare a cuore a noi credenti'; e questo rispettando la loro libertà di pensiero e di volontà, rispettando il loro non voler essere considerate 'oggetto di missione' da parte nostra”.

“Non sempre le nostre parole lasciano intendere questo rispetto”, aggiunge il portavoce vaticano. “E tuttavia esse devono sentirci – come singoli e come comunità – cordialmente vicini, amichevoli esperti nel riconoscere il continuo tornare della domanda su Dio come essenziale all’esistenza umana, nostalgia profonda di amore e di luce”.

“La contemplazione dell’Incarnazione, che è insieme rivelazione e mistero, ci educhi a questa duplice amicizia con Dio e con l’uomo che non lo conosce”, conclude.

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Notizie dal mondo


Il Sudan in un momento cruciale della sua storia
Messaggio della Conferenza Episcopale

TORIT, giovedì, 24 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Durante l'assemblea plenaria della Conferenza Episcopale, celebrata a Torit, i Vescovi del Sudan hanno espresso la propria preoccupazione per la grave situazione politica in cui è immerso il Paese.

“La situazione politica nel nostro Paese ha raggiunto un momento cruciale e decisivo a causa della mancata attuazione di alcune componenti chiave dei protocolli”, si legge in un messaggio dell'episcopato riportato da “L'Osservatore Romano”.

A questo proposito, i presuli citano “la delimitazione delle frontiere tra Nord e Sud; l'abrogazione di leggi repressive e la promulgazione della legge sul referendum; il ritardo delle prossime elezioni che potrebbe pregiudicare il referendum nel 2011; la consultazione popolare per il Kordofan meridionale e gli Stati meridionali del Nilo Blu; la crisi in Abyei e il conflitto nel Darfur”.

I Vescovi sottolineano che il ritardo nell'affrontare concretamente tali questioni crea sentimenti di ansia e paura tra la gente.

“Lodiamo tutte le iniziative prese dalle parti per attuare il Comprehensive peace agreement (CPA)”, dichiarano.

“Il CPA rimane l'unico accordo valido per una pace giusta e duratura in Sudan. Sia il CPA che la Costituzione nazionale ad interim confermano il diritto di voto come un diritto fondamentale per i cittadini sudanesi”.

“Lo svolgimento corretto di elezioni libere è una disposizione fondamentale del CPA – continuano – . I cittadini dovrebbero avere la possibilità e la responsabilità di esercitare il loro diritto, quando le elezioni si svolgono in condizioni libere e corrette”.

“Mettere a rischio le prossime elezioni è inaccettabile per la gente del Sudan – avvertono –. Purtroppo, l'educazione civica degli elettori non è ben diffusa”.

Di conseguenza, “molte persone hanno perso il diritto di registrarsi”. In questo panorama, i Vescovi chiedono a coloro che si sono registrati “di essere vigili e di esercitare il loro diritto”.

Il CPA prevede il diritto all'autodeterminazione per il popolo del Sudan del Sud, attraverso un referendum internazionale vigilato al termine del periodo ad interim terminato quindici mesi fa.

“Il ritardo della promulgazione della legge sul referendum e anche dell'istituzione della commissione referendaria del Sudan meridionale sono motivo di grande preoccupazione per tutti i sudanesi”, spiegano i Vescovi.

“Chiediamo all'assemblea legislativa nazionale di accelerare il processo, al fine di evitare conseguenze che potrebbero essere dannose per il Paese. Esortiamo i sudanesi a essere vigili e a non cedere il passo a coloro che possono riportare il Paese alla guerra”.

Il Sudan è stato teatro di guerre tremende, la prima delle quali, tra il 1955 e il 1972, ha provocato oltre un milione e mezzo di morti. La seconda, dal 1983 al 2005, ha causato 2,5 milioni di morti, più di 4 milioni di sfollati e danni incalcolabili.

“La guerra è il male e non possiamo accettare alcun ritorno a essa. Il periodo ad interim ha portato stabilità e sviluppo nella storia del Sudan”, constatano i Vescovi, esortando quindi la popolazione a “ripudiare la guerra” e invitando “tutte le parti del CPA a salvaguardare la pace e a trovare i mezzi pacifici per risolvere i problemi”.

“Osserviamo con grande preoccupazione che sono aumentati gli attacchi contro i civili e le infrastrutture governative”, constatano. “Questi non sono incidenti isolati, ma sembrano essere una campagna coordinata dai nemici della pace, per opporsi al CPA e destabilizzare il Paese”.



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Spirito della Liturgia


Il sacerdote nella celebrazione eucaristica del Natale in Oriente e Occidente
Rubrica di teologia liturgica a cura di don Mauro Gagliardi

ROMA, giovedì, 24 dicembre 2009 (ZENIT.org).- In prossimità del Santo Natale, Don Nicola Bux, noto teologo e liturgista, ci propone una bella e dotta meditazione teologico-liturgica, attingendo alla Rivelazione biblica ed alla Tradizione d’Occidente e di Oriente. Il testo, degno di attenta lettura, rappresenta anche un piccolo dono che la rubrica «Spirito della Liturgia» intende fare ai propri lettori, perché gustino spiritualmente le solenni celebrazioni che caratterizzano questi giorni di festa (don Mauro Gagliardi).





* * *

Nicola Bux

Come non si possono dividere nella Sacra Scrittura le parole e i gesti, così non si può separare la Parola dall’Eucaristia, la catechesi dai sacramenti, l’adorazione dalla comunione, perché significa separare la natura divina di Cristo da quella umana, quasi il Verbo non si fosse incarnato. La fede cattolica si propone nell’incontro sacramentale, fatto di gesti e parole, di segni, di bellezza, di luci, di immagini, di splendore, come è particolarmente evidente nelle liturgie orientali. Accade nei misteri, secondo tempi e modi diversi per ognuno, l’incontro col Signore, un’esperienza che san Paolo descrive come un processo di percezione della forma e di rapimento, diremmo di estetica ed estasi: «Noi tutti, che, a faccia svelata, rispecchiamo la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine salendo di gloria in gloria, conforme all’operazione del Signore che è spirito» (2Cor 3,18).

La ricerca costante del sacro descrive l’ampio spazio del mistero nel quale il sacerdote si muove quando celebra la sacra liturgia: l’uomo può essere rapito e portato ad esso con la contemplazione o più semplicemente può aderirvi con l’intelletto e la volontà grazie alla rivelazione. Sono alcuni sintomi dello scambio mirabile tra il cielo e la terra, tra il divino e l’umano inaugurato dall’incarnazione del Verbo. Gesù Cristo «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 44,3), il paradosso di colui che è il più bello e nello stesso tempo «non ha apparenza né bellezza per attirare il nostro sguardo» (Is 53,2): è lui, secondo la celebre frase di Dostoevskij, la bellezza redentrice che ci salverà. Niente riesce nel contatto meglio dell’arte creata dalla fede e del volto dei santi da cercare ogni giorno, come esorta la Didachè. Per imparare a vedere e conoscere la bellezza divina, secondo Giovanni Damasceno, non servono i concetti che creano idoli, ovvero la gnosi, ma è necessario lo stupore: si può dire che dall’adorazione abbia inizio l’intelligenza del mistero cristiano. I teologi mistici, da Dionigi Areopagita a Giovanni della Croce, sono partiti dalla forma dell’essere per giungere allo spirito interiore, secondo il metodo dell’incarnazione del Verbo: «la luce vera che illumina ogni uomo che viene nel mondo» (Gv 1,9); hanno mostrato la coincidenza, in certo modo, tra la mistica e l’estetica. Dio si è rivelato, ha manifestato la sua forma all’uomo; questi, attraverso il di Lui visibile nella liturgia, è attratto a partecipare alla gloria di Dio: «perché conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle cose invisibili» [1]. Infatti nel Credo si professa la fede in Dio creatore di tutte le cose visibili e invisibili: si noti l’attributo invisibili al sostantivo cose che usualmente è riferito alla materialità, mentre qui riguarda anche la sfera dell’invisibile.

Bisogna domandarsi: l’uomo moderno è capace di capire la liturgia cattolica? Di comprendere che in essa il “Cielo scende sulla terra”, il mistero si fa incontrare e toccare? Romano Guardini dubitava della capacità dell’uomo moderno di comprenderla [2]. L’uomo moderno vive nell’immanentismo, nel materialismo, ma nello stesso tempo avverte l’insoddisfazione, il bisogno di uscire da tale morsa, di trovare una soluzione a tale situazione e allora bisogna fargli intravedere una possibilità di risposta alla domanda che porta dentro di sé. La liturgia è la risposta al bisogno di incontrare il senso della vita, di avvicinarsi al mistero, quasi di avvertirlo ed esserne in qualche modo avvolto, coinvolto: è questo ciò che tocca l’essere umano, ciò che evoca nell’animo umano la nostalgia di assoluto, di divino. Gesù ha rivelato a Nicodemo la sua duplice natura, divina e umana, nell’unità della Persona: «Nessuno è asceso al cielo, se non colui che è disceso al cielo, il Figlio dell’uomo» (Gv 3,13). Nello stesso tempo ha rivelato il fine della sua venuta nel mondo: donare la vita eterna e la salvezza (cf. Gv 3,15-17), far sì che l’essere umano e il cosmo raggiungano Dio; per questo, quindi, doveva aprire un varco, offrire una scala per salire, per compiere l’ascensione verso Dio.

Nella discesa del Verbo si avvera la condivisione, da parte del Logos eterno, della vita dell’essere umano; quindi il mistero si è fatto carne, è entrato nella nostra quotidianità e perciò non dobbiamo avere paura. L’angelo disse a Maria: Non temere, non avere paura. Gesù lo ricordava ai discepoli: non abbiate paura, sono io.

Il ministero del sacerdote, specialmente nella sacra liturgia natalizia, è simile a quello degli angeli: annunciare la Presenza del Salvatore che vince ogni paura. L’essere umano ha paura quando non apre gli occhi sul fatto che il mistero si è fatto carne, è diventato uno di noi. Infatti, se grande è quello che ci è stato promesso, secondo sant’Agostino, ancor più grande è quello che è accaduto: il fatto inaudito di Dio che scende nel mondo assumendo la nostra umanità, condividendola totalmente dall’interno e quindi svelando alla storia il suo significato e imprimendole la direzione finale.

La concezione “cosmica” adorante di Dio presente nel mistero sacramentale era propria di padri come Agostino; di monaci come Nicodemo, della santa montagna dell’Athos; di teologi come Tommaso d’Aquino. Essi si sentivano perciò responsabili dell’introduzione dei fedeli al mistero, vedevano il sacerdote quale amministratore dei misteri, quindi interprete o mistagogo del mistero divino-umano, che è la luce della verità venuta nel mondo. La luce è essa stessa una realtà misteriosa, ed è umile, perché vuol far vedere non se stessa ma tutto il resto; è trasparenza della realtà; è composta di tutti i colori, sì da riuscire trasparente. In modo magistrale, sant’Ambrogio insegna che «La luce dei misteri riesce più penetrante se colpisce di sorpresa anziché arrivare dopo le prime avvisaglie di qualche trattazione previa» [3].

Nella liturgia bizantina acclama il coro dopo la comunione: «Abbiamo visto la vera luce, abbiamo ricevuto lo Spirito celeste, abbiamo trovato la vera fede, adorando la Trinità indivisa, poiché essa ci ha salvati». Per comprendere questo, bisogna seguire l’itinerario che essa compie e che ha come il suo fulcro nella frase del salmo «Nella tua luce noi vediamo la luce» (Sal 36,10). Da quando Dio si è fatto uomo e la forma ha irradiato la divinità, la liturgia comunica quella luce, perché l’essere umano guardando la luce veda, percepisca la luce di Dio. Ecco perché la liturgia è sinonimo di bellezza, di luce – i testi liturgici romani del Natale hanno a tema la luce apparsa, manifestata in Cristo –: come la luce fisica fa funzionare i nostri occhi, che altrimenti al buio, pur perfetti, non funzionerebbero, così è Gesù Cristo, che ha detto: «Io sono la luce del mondo, chi mi segue non cammina nelle tenebre» (Gv 8,12); cioè, io faccio vedere, faccio funzionare gli occhi del vostro spirito; senza di me l’essere umano non vede, resta cieco perché la luce fa essere gli occhi e fa esistere le cose. Se il mondo fosse permanentemente nel buio, tutte le cose del mondo non avrebbero forma ed esistenza, dunque la luce è sinonimo di vita. «Nella tua luce vediamo la luce» vuol dire: nella contemplazione di te noi capiamo, comprendiamo il senso della vita. Siamo al centro del mistero di Dio uno e trino, manifestato in Gesù nell’Epifania, nel Battesimo, nella Trasfigurazione. Cristo comunica attraverso la forma umana trasfigurata lo splendore del Padre, la gloria di Dio. La carne di Cristo è il sacramento del Padre, la carne di Cristo è sacramento della divinità. La discesa (catabasi) e l’abbassamento (kenosi) di Dio va dal mistero dell’incarnazione al mistero della redenzione. Il Natale è l’inizio, anche se la sua celebrazione nell’anno liturgico si è affermata solo dopo che la Chiesa aveva posto al centro del tempo annuale il mistero della Pasqua.

Nel rito bizantino per la preparazione dei doni (proskomidia), in cui la Chiesa commemora gli anni trascorsi da Gesù prima della vita pubblica, si adoperano degli strumenti sacri che ricordano la Natività, come la stella o asterisco, formata da due semicerchi di metallo prezioso, incrociati uno sull’altro, alla cui sommità è posta una croce e, nella parte inferiore, una stelletta, sulla patena o disco del pane – la mangiatoia dove è stato adagiato il Dio bambino –, a simboleggiare l’astro che guidò i Magi alla grotta.

Il luogo della preparazione (protesi) è come la grotta misteriosa in cui il Salvatore si degnò di nascere quando il Cielo venne portato sulla terra: esso divenne grotta e questa si cambiò in cielo [4], in essa fu confezionato per la prima volta il pane del sacrificio. Poi, quanto annunciato nell’ouverture della protesi, la liturgia lo dispiega come in una sinfonia: nella liturgia dei catecumeni il rito del “piccolo ingresso” con l’evangeliario, che sta a significare l’incarnazione con cui il Verbo ha fatto il suo ingresso nel mondo.

Sebbene tale allegoria sia tardiva, il realismo dell’immagine o icona da proporre alla venerazione attraverso gli atti liturgici, al contrario dello spiritualismo simbolico e per certi versi “iconoclasta”, corrisponde all’essenza del cristianesimo che è il mistero presente nel fatto storico della Persona e della vita di Gesù Cristo. La liturgia latina, che pure possedeva analoghe espressioni, dovrebbe recuperarle onde evitare il simbolismo astratto che non attrae l’uomo al mistero. Simbolismo e raffigurazione non sono la stessa cosa, nell’arte come nella liturgia. Dunque, la liturgia manifesta il suo nesso causale con i misteri della vita di Cristo, in cui l’economia salvifica passa dalla cosmicità alla storicità.

Note

[1] Messale Romano, prefazio di Natale I.

[2] Liturgie und liturgische Bildung, Würzburg 1966, pp. 9-18.

[3] Sant’Ambrogio, De mysteriis, 2: SCh 25bis, 156.

[4] Cf. N. Cabasilas, Esposizione della Divina Liturgia,IV: PG 150, 377D-380A.

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Italia


A Natale Gesù ci dice: "Coraggio, sono con te"
L'Ordinario militare al personale impegnato nelle missioni internazionali di pace
ROMA, giovedì, 24 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Nella lettera ai militari impegnati nelle missioni internazionali di pace in occasione del Natale, l'Arcivescovo Vincenzo Pelvi, Ordinario militare per l'Italia, ricorda che il Signore è sempre vicino e ci dà la forza per affrontare anche i momenti più difficili. 

“Che il Signore è con te, vorrei venirlo a dire in Afghanistan, in Libano, nella ex Jugoslavia… e in tante altre parti del mondo”, afferma il presule nel testo, che verrà letto dai cappellani militari durante la Messa di Natale e sarà consegnato a tutti i militari.

“Sì, vorrei proprio venire a gridare questa bella notizia, ad annunciare questo vangelo: il Signore è nato ed è veramente presente”.

L'Ordinario Militare ammette che “quando arrivano le grandi feste della tradizione cristiana, la nostalgia dei propri cari può rendere tristi”.

Per questo, desidera essere “particolarmente vicino” ai militari in questi giorni in cui avvertono “maggiormente la lontananza da casa”.

“La tua è una missione di pace, una questione di amore, un servizio a popoli, talvolta così diversi per cultura, lingua e religione, che ti guardano con riconoscenza e crescente simpatia – scrive a ogni militare –. Lodo Dio per il tuo innato bisogno di aiutare gli altri, con le virtù proprie di ogni cristiano: l’amore ai poveri, lo spirito di sacrificio, il senso del dovere. La tua è una chiara lezione di pace evangelica nella complessa storia dei nostri giorni”.

“Hai lasciato la tua famiglia, la tua casa e patria per donare amore a chi piange e soffre nelle terre più dimenticate. Così dai al Bambino Gesù un volto di uomo e puoi dire con certezza che Dio ha un volto, perché lo vedi nelle mani, negli occhi, nei gesti dei poveri che nessuno ama”.

“Nulla andrà perduto di quello che fai… non un sorriso, non un abbraccio, non una parola, non un gesto, non un bicchiere d’acqua”.

“Vedi intorno a te un mucchio di rovine, eppure guardi al futuro, perché Cristo dà consistenza alla vita e dona eternità a ciò che porti nel cuore”.

L'Arcivescovo ricorda poi che nelle nostre preghiere “siamo sempre lì a domandare: aiutami, dammi, fammi, concedimi”. “Ora tocca a noi, a te, aiutare Dio, aiutarlo a restare vivo nel cuore, nei gesti e negli occhi degli uomini, aiutarlo a nascere, a trovare casa, aiutarlo a crescere in questo nostro mondo. Il Dio Bambino rifiutato, superfluo, perduto, tocca a te farlo nascere ogni giorno nella storia degli innocenti”, aggiunge.

“Il Natale che celebriamo ti ricorda che il Signore è con te, vuole essere complice benefico nella tua vita, tuo vero amico – conclude l'Ordinario militare –. Possa anche tu sentire davvero forte la presenza di Gesù Bambino in questo Natale. Egli chiede di essere accolto da tutti noi e dice a ciascuno: 'Coraggio, io sono con te'”.

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Interviste


Nazareth esulta a Natale dopo il ritrovamento archeologico
Intervista al vescovo locale, mons. Giacinto Boutros Marcuzzo
di Isabelle Cousturié 

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 24 dicembre 2009 (ZENIT.org).- La scoperta a Nazareth di una casa risalente ai tempi di Gesù, nei pressi della grotta dell'Annunciazione, ha reso ancora più gioioso il Natale della comunità cristiana locale.

Allo stesso tempo ha sollevato una domanda, a cui non si riesce a dare ancora una risposta: perché i primi cristiani hanno conservato questa casa, mentre non si sono curati delle case attorno ad essa?

È questo l'interrogativo rivolto da ZENIT a mons. Giacinto Boutros Marcuzzo, Vescovo ausiliare del Patriarcato latino di Gerusalemme, incaricato in modo particolare di Nazareth.

Mons. Marcuzzo, che importanza attribuisce alla scoperta, per la prima volta, a Nazareth, di una casa risalente all'epoca di Gesù?

Mons. Marcuzzo: A dire il vero non è il primo ritrovamento risalente ai tempi di Gesù. Forse è il ritrovamento più recente di una casa dei tempi di Gesù. E' chiaro, che ci sono altri resti che per disgrazia sono andati distrutti nel corso della storia, e ad ogni modo, contiamo sulla famosa Grotta dell'Annunciazione, che fungeva anche da abitazione, circondata da grotte che si possono visitare. Inoltre, rimangono vestigia nella casa delle Sorelle di Nazareth, attorno alla cosiddetta Tomba del Giusto, tradizionalmente conosciuta come la tomba di San Giuseppe, anche se forse è un po' più tarda.

Tuttavia, le rovine di questa casa che devono essere ancora portate alla luce, secondo gli archeologi, corrisponderebbero a quelle di una casa databile all'epoca di Cristo. Pertanto, questo è il primo fatto interessante ed è di estrema importanza.

Inoltre, questa casa si trova al centro di quattro luoghi molto conosciuti. Pertanto, è stata certamente un luogo di passaggio per Gesù, per la Sacra Famiglia, per Maria di Nazareth e San Giuseppe, poiché si trova a pochi metri, cento al massimo, dalla grotta della Annunciazione, così come dalla Grotta o Chiesa di San Giuseppe, e dalla famosa sinagoga dei tempi di Gesù, così come a un centinaio di metri o poco più dalla Tomba del Giusto. Pertanto, era un luogo centrale.

Infine, l'interesse legato alla scoperta di questa casa, accolta con entusiasmo tanto dagli archeologi israeliani, come dai nostri, e dalle associazioni Maria di Nazareth e Chemin Neuf, la comunità incaricata dell'accoglienza presso questo centro, si deve al fatto che è stata conservata, mentre le case intorno ad essa sono state distrutte. Perché, quindi, è stata conservata? Questo fatto ci solleva degli interrogativi interessanti. Per ora non abbiamo una risposta. Perché sono stati conservati i muri di questa casa? Perché proprio questa e non le altre attorno?

Per disgrazia, da questo punto di vista, e per fortuna, dall'altro, successivamente sono stati eretti altri muri su questo muro primitivo, specialmente sul lato est, per esempio, durante il periodo di Mameluk. Perché hanno voluto costruire questo muro? Piano piano, forse, giungeremo a delle risposte.

Per il momento, ci accontentiamo di gioire per questa scoperta archeologica che mostra veramente l'esistenza, se ne avevamo ancora bisogno, di Nazareth ai tempi di Gesù.

Come è stata accolta la notizia a Nazareth?

Mons. Marcuzzo: Abbbiamo esultato di gioia per questa scoperta, poiché anche se piccola è una conferma della nostra antichità, del nostro essere radicati in questo luogo. Quando l'archeologia mostra la presenza biblica e cristologica, mariana o ecclesiale, la nostra comunità, è chiaro, si sente incoraggiata. E' un fatto importante per la nostra comunità soprattutto di fronte alle sfide che deve affrontare in questa vita, giorno dopo giorno, in Terra Santa.

Come si vive il Natale a Nazareth?

Mons. Marcuzzo: Credo che la festa di Natale sia uguale ogni anno, e al contempo, che sia una festa nuova con un messaggio nuovo. Quest'anno continuaimo a vivere l'atmosfera della visita papale, con il suo significato ufficiale, chiaramente, ma soprattutto pastorale, spirituale e biblico.

Abbiamo vissuto questa festa di Natale alla luce di una beatificazione che ha avuto luogo il 22 di novembre: una religiosa palestinese di Gerusalemme (madre Maria Alfonsina), morta a Ain-Karim, la città della Visitazione, che fondò una congregazione di religiose palestinesi e giordane, del Medio oriente, conosciuta con il nome di Suore del Santo Rosario di Gerusalemme. Questa beatificazione è stata per la nostra comunità un momento di ossigeno, di luce e di incoraggiamento.

Inoltre, per quanto riguarda la pace, viviamo un momento di grande speranza, di fede, poiché la pace è un anelito molto sentito in Terra Santa. Il nostro auspicio è che questa festa sia una occasione per raggiungere una pace più stabile e per dare vita a nuovi sentieri di pace, e che il prossimo anno possiamo realmente festeggiare la pace.

Abbiamo bisogno che gli uomini di buona volontà, i responsabili politici incaricati delle relazioni tra i nostri popoli si convertano veramente alla pace e che abbiano “il coraggio della pace”, come ha detto il nostro Patriarca nel suo messaggio per il Natale di quest'anno. Abbiamo paura della pace! La pace certamente è sempre un'avventura, un rischio, però dobbimo rischiare poiché da questo solo può venire il bene.

Rivolgo a tutti voi e a tutta la famigia di ZENIT, a tutti i lettori e amici di ZENIT, i miei migliori auguri da Nazareth. Dalla mia finestra vedo la Basilica dell'Annunciazione illuminata per il Natale e impartisco una benedizione speciale, in Maria e Gesù, a tutti voi e ai credenti di buona volontà.



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Documenti


Omelia di Benedetto XVI per la Messa di mezzanotte di Natale

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 24 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo dell'omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere, nella Basilica Vaticana, la Messa di mezzanotte per la Solennità del Natale del Signore.

 





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Cari fratelli e sorelle,

"Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio" (Is 9, 5). Ciò che Isaia, guardando da lontano verso il futuro, dice a Israele come consolazione nelle sue angustie ed oscurità, l’Angelo, dal quale emana una nube di luce, lo annuncia ai pastori come presente: "Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore" (Lc 2, 11). Il Signore è presente. Da questo momento, Dio è veramente un "Dio con noi". Non è più il Dio distante, che, attraverso la creazione e mediante la coscienza, si può in qualche modo intuire da lontano. Egli è entrato nel mondo. È il Vicino. Il Cristo risorto lo ha detto ai suoi, a noi: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28, 20). Per voi è nato il Salvatore: ciò che l’Angelo annunciò ai pastori, Dio ora lo richiama a noi per mezzo del Vangelo e dei suoi messaggeri. È questa una notizia che non può lasciarci indifferenti. Se è vera, tutto è cambiato. Se è vera, essa riguarda anche me. Allora, come i pastori, devo dire anch’io: Orsù, voglio andare a Betlemme e vedere la Parola che lì è accaduta. Il Vangelo non ci racconta senza scopo la storia dei pastori. Essi ci mostrano come rispondere in modo giusto a quel messaggio che è rivolto anche a noi. Che cosa ci dicono allora questi primi testimoni dell’incarnazione di Dio?

Dei pastori è detto anzitutto che essi erano persone vigilanti e che il messaggio poteva raggiungerli proprio perché erano svegli. Noi dobbiamo svegliarci, perché il messaggio arrivi fino a noi. Dobbiamo diventare persone veramente vigilanti. Che significa questo? La differenza tra uno che sogna e uno che sta sveglio consiste innanzitutto nel fatto che colui che sogna si trova in un mondo particolare. Con il suo io egli è rinchiuso in questo mondo del sogno che, appunto, è soltanto suo e non lo collega con gli altri. Svegliarsi significa uscire da tale mondo particolare dell’io ed entrare nella realtà comune, nella verità che, sola, ci unisce tutti. Il conflitto nel mondo, l’inconciliabilità reciproca, derivano dal fatto che siamo rinchiusi nei nostri propri interessi e nelle opinioni personali, nel nostro proprio minuscolo mondo privato. L’egoismo, quello del gruppo come quello del singolo, ci tiene prigionieri dei nostri interessi e desideri, che contrastano con la verità e ci dividono gli uni dagli altri. Svegliatevi, ci dice il Vangelo. Venite fuori per entrare nella grande verità comune, nella comunione dell’unico Dio. Svegliarsi significa così sviluppare la sensibilità per Dio; per i segnali silenziosi con cui Egli vuole guidarci; per i molteplici indizi della sua presenza. Ci sono persone che dicono di essere "religiosamente prive di orecchio musicale". La capacità percettiva per Dio sembra quasi una dote che ad alcuni è rifiutata. E in effetti – la nostra maniera di pensare ed agire, la mentalità del mondo odierno, la gamma delle nostre varie esperienze sono adatte a ridurre la sensibilità per Dio, a renderci "privi di orecchio musicale" per Lui. E tuttavia in ogni anima è presente, in modo nascosto o aperto, l’attesa di Dio, la capacità di incontrarlo. Per ottenere questa vigilanza, questo svegliarsi all’essenziale, vogliamo pregare, per noi stessi e per gli altri, per quelli che sembrano essere "privi di questo orecchio musicale" e nei quali, tuttavia, è vivo il desiderio che Dio si manifesti. Il grande teologo Origene ha detto: se io avessi la grazia di vedere come ha visto Paolo, potrei adesso (durante la Liturgia) contemplare una grande schiera di Angeli (cfr in Lc 23, 9). Infatti – nella Sacra Liturgia, gli Angeli di Dio e i Santi ci circondano. Il Signore stesso è presente in mezzo a noi. Signore, apri gli occhi dei nostri cuori, affinché diventiamo vigilanti e veggenti e così possiamo portare la tua vicinanza anche ad altri!

Torniamo al Vangelo di Natale. Esso ci racconta che i pastori, dopo aver ascoltato il messaggio dell’Angelo, si dissero l’un l’altro: "'Andiamo fino a Betlemme' … Andarono, senza indugio" (Lc 2, 15s.). "Si affrettarono" dice letteralmente il testo greco. Ciò che era stato loro annunciato era così importante che dovevano andare immediatamente. In effetti, ciò che lì era stato detto loro andava totalmente al di là del consueto. Cambiava il mondo. È nato il Salvatore. L’atteso Figlio di Davide è venuto al mondo nella sua città. Che cosa poteva esserci di più importante? Certo, li spingeva anche la curiosità, ma soprattutto l’agitazione per la grande cosa che era stata comunicata proprio a loro, i piccoli e uomini apparentemente irrilevanti. Si affrettarono – senza indugio. Nella nostra vita ordinaria le cose non stanno così. La maggioranza degli uomini non considera prioritarie le cose di Dio, esse non ci incalzano in modo immediato. E così noi, nella stragrande maggioranza, siamo ben disposti a rimandarle. Prima di tutto si fa ciò che qui ed ora appare urgente. Nell’elenco delle priorità Dio si trova spesso quasi all’ultimo posto. Questo – si pensa – si potrà fare sempre. Il Vangelo ci dice: Dio ha la massima priorità. Se qualcosa nella nostra vita merita fretta senza indugio, ciò è, allora, soltanto la causa di Dio. Una massima della Regola di san Benedetto dice: "Non anteporre nulla all’opera di Dio (cioè all’ufficio divino)". La Liturgia è per i monaci la prima priorità. Tutto il resto viene dopo. Nel suo nucleo, però, questa frase vale per ogni uomo. Dio è importante, la realtà più importante in assoluto nella nostra vita. Proprio questa priorità ci insegnano i pastori. Da loro vogliamo imparare a non lasciarci schiacciare da tutte le cose urgenti della vita quotidiana. Da loro vogliamo apprendere la libertà interiore di mettere in secondo piano altre occupazioni – per quanto importanti esse siano – per avviarci verso Dio, per lasciarlo entrare nella nostra vita e nel nostro tempo. Il tempo impegnato per Dio e, a partire da Lui, per il prossimo non è mai tempo perso. È il tempo in cui viviamo veramente, in cui viviamo lo stesso essere persone umane.

Alcuni commentatori fanno notare che per primi i pastori, le anime semplici, sono venuti da Gesù nella mangiatoia e hanno potuto incontrare il Redentore del mondo. I sapienti venuti dall’Oriente, i rappresentanti di coloro che hanno rango e nome, vennero molto più tardi. I commentatori aggiungono: questo è del tutto ovvio. I pastori, infatti, abitavano accanto. Essi non dovevano che "attraversare" (cfr Lc 2, 15) come si attraversa un breve spazio per andare dai vicini. I sapienti, invece, abitavano lontano. Essi dovevano percorrere una via lunga e difficile, per arrivare a Betlemme. E avevano bisogno di guida e di indicazione. Ebbene, anche oggi esistono anime semplici ed umili che abitano molto vicino al Signore. Essi sono, per così dire, i suoi vicini e possono facilmente andare da Lui. Ma la maggior parte di noi uomini moderni vive lontana da Gesù Cristo, da Colui che si è fatto uomo, dal Dio venuto in mezzo a noi. Viviamo in filosofie, in affari e occupazioni che ci riempiono totalmente e dai quali il cammino verso la mangiatoia è molto lungo. In molteplici modi Dio deve ripetutamente spingerci e darci una mano, affinché possiamo trovare l’uscita dal groviglio dei nostri pensieri e dei nostri impegni e trovare la via verso di Lui. Ma per tutti c’è una via. Per tutti il Signore dispone segnali adatti a ciascuno. Egli chiama tutti noi, perché anche noi si possa dire: Orsù, "attraversiamo", andiamo a Betlemme – verso quel Dio, che ci è venuto incontro. Sì, Dio si è incamminato verso di noi. Da soli non potremmo giungere fino a Lui. La via supera le nostre forze. Ma Dio è disceso. Egli ci viene incontro. Egli ha percorso la parte più lunga del cammino. Ora ci chiede: Venite e vedete quanto vi amo. Venite e vedete che io sono qui. Transeamus usque Bethleem, dice la Bibbia latina. Andiamo di là! Oltrepassiamo noi stessi! Facciamoci viandanti verso Dio in molteplici modi: nell’essere interiormente in cammino verso di Lui. E tuttavia anche in cammini molto concreti – nella Liturgia della Chiesa, nel servizio al prossimo, in cui Cristo mi attende.

Ascoltiamo ancora una volta direttamente il Vangelo. I pastori si dicono l’un l’altro il motivo per cui si mettono in cammino: "Vediamo questo avvenimento". Letteralmente il testo greco dice: "Vediamo questa Parola, che lì è accaduta". Sì, tale è la novità di questa notte: la Parola può essere guardata. Poiché si è fatta carne. Quel Dio di cui non si deve fare alcuna immagine, perché ogni immagine potrebbe solo ridurlo, anzi travisarlo, quel Dio si è reso, Egli stesso, visibile in Colui che è la sua vera immagine, come dice Paolo (cfr 2 Cor 4, 4; Col 1, 15). Nella figura di Gesù Cristo, in tutto il suo vivere ed operare, nel suo morire e risorgere, possiamo guardare la Parola di Dio e quindi il mistero dello stesso Dio vivente. Dio è così. L’Angelo aveva detto ai pastori: "Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia" (Lc 2, 12; cfr 16). Il segno di Dio, il segno che viene dato ai pastori e a noi, non è un miracolo emozionante. Il segno di Dio è la sua umiltà. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo; diventa bambino; si lascia toccare e chiede il nostro amore. Quanto desidereremmo noi uomini un segno diverso, imponente, inconfutabile del potere di Dio e della sua grandezza. Ma il suo segno ci invita alla fede e all’amore, e pertanto ci dà speranza: così è Dio. Egli possiede il potere ed è la Bontà. Ci invita a diventare simili a Lui. Sì, diventiamo simili a Dio, se ci lasciamo plasmare da questo segno; se impariamo, noi stessi, l’umiltà e così la vera grandezza; se rinunciamo alla violenza ed usiamo solo le armi della verità e dell’amore. Origene, seguendo una parola di Giovanni Battista, ha visto espressa l’essenza del paganesimo nel simbolo delle pietre: paganesimo è mancanza di sensibilità, significa un cuore di pietra, che è incapace di amare e di percepire l’amore di Dio. Origene dice dei pagani: "Privi di sentimento e di ragione, si trasformano in pietre e in legno" (in Lc 22, 9). Cristo, però, vuole darci un cuore di carne. Quando vediamo Lui, il Dio che è diventato un bambino, ci si apre il cuore. Nella Liturgia della Notte Santa Dio viene a noi come uomo, affinché noi diventiamo veramente umani. Ascoltiamo ancora Origene: "In effetti, a che gioverebbe a te che Cristo una volta sia venuto nella carne, se Egli non giunge fin nella tua anima? Preghiamo che venga quotidianamente a noi e che possiamo dire: vivo, però non vivo più io, ma Cristo vive in me (Gal 2, 20)" (in Lc 22, 3).

Sì, per questo vogliamo pregare in questa Notte Santa. Signore Gesù Cristo, tu che sei nato a Betlemme, vieni a noi! Entra in me, nella mia anima. Trasformami. Rinnovami. Fa’ che io e tutti noi da pietra e legno diventiamo persone viventi, nelle quali il tuo amore si rende presente e il mondo viene trasformato. Amen.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]

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