mercoledì 20 gennaio 2010

ZI100120

ZENIT

Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 20 gennaio 2010

Santa Sede

Notizie dal mondo

Italia

Interviste

Udienza del mercoledì


Santa Sede


Benedetto XVI: "passi positivi" nel cammino ecumenico
Nell'Udienza generale dedicata alla Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 20 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il 2009 è stato un anno caratterizzato da "positivi passi" in avanti nel cammino ecumenico, tuttavia è ancora necessario pregare perché i cristiani superino le loro divergenze e diano testimonianza della comune fede in Cristo.

E' quanto ha detto Benedetto XVI nell’Udienza generale del mercoledì, tenutasi nell'Aula Paolo VI e dedicata alla Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, che lo stesso Papa chiuderà il 25 gennaio prossimo, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, con la celebrazione dei Secondi Vespri della solennità della Conversione di San Paolo.

Nel suo discorso il Pontefice ha ricordato che la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani - che quest'anno ha come tema: “Di questo voi siete testimoni” (Lc 24,48) - si collega alla Conferenza missionaria di Edimburgo del giugno 1910, quando oltre mille esponenti del protestantesimo e dell’anglicanesimo si riunirono in quella città scozzese per riflettere sulla necessità di giungere all’unità al fine di “proporre con credibilità l’annuncio evangelico”.

A questo proposito, Benedetto XVI ha osservato che “il movimento ecumenico moderno si è sviluppato in modo così significativo da diventare, nell’ultimo secolo, un elemento importante nella vita della Chiesa, ricordando il problema dell’unità tra tutti i cristiani e sostenendo anche la crescita della comunione tra loro”.

Inoltre, ha aggiunto, “esso non solo favorisce i rapporti fraterni tra le Chiese e le Comunità ecclesiali […] ma stimola anche la ricerca teologica”.

Il Papa ha poi riconosciuto, però, l'esistenza di “divergenze” e “gravi problemi” nella reciproca conoscenza, superabili attraverso una conoscenza personale di Dio in Cristo.

“E’ evidente che conoscere Cristo, come processo intellettuale e soprattutto esistenziale, è un processo che ci fa testimoni – ha detto –. In altre parole, possiamo essere testimoni solo se Cristo lo conosciamo di prima mano e non solo da altri, dalla nostra propria vita, dal nostro incontro personale con Cristo”.

“Incontrandolo realmente nella nostra vita di fede diventiamo testimoni e possiamo così contribuire alla novità del mondo, alla vita eterna”, ha continuato.

A proposito del dialogo con gli ortodossi, il Papa ha evidenziato gli sforzi comuni nello studio del ruolo del Vescovo di Roma nella Chiesa indivisa del primo millennio: “Tali importanti iniziative attestano come sia in atto un dialogo profondo e ricco di speranze con tutte le Chiese d’Oriente non in piena comunione con Roma, nella loro propria specificità”.

Riferendosi, invece, al dialogo non sempre facile con il mondo protestante, il Papa ha ricordato che è necessario “tenere presente anche quanti progressi reali si sono raggiunti nella collaborazione e nella fraternità in tutti questi anni, in questi ultimi cinquant’anni”.

“Allo stesso tempo – ha proseguito –, dobbiamo sapere che il lavoro ecumenico non è un processo lineare. Infatti, problemi vecchi, nati nel contesto di un’altra epoca, perdono il loro peso, mentre nel contesto odierno nascono nuovi problemi e nuove difficoltà”.

“Pertanto dobbiamo essere sempre disponibili per un processo di purificazione, nel quale il Signore ci renda capaci di essere uniti”, ha quindi concluso.

Al termine della catechesi il Papa è quindi tornato sul tema dell’unità dei cristiani. In particolare, nel salutare i giovani li ha esortati a fare di questi giorni di riflessione “un invito ad essere ovunque operatori di pace e di riconciliazione”.

Rivolgendosi agli ammalati, li ha incoraggiati a fare di questa settimana “un momento propizio ad offrire le vostre sofferenze per una comunione dei cristiani sempre più piena”, mentre per i nuovi sposi, ha concluso, sia “l’occasione per vivere ancor più la vostra vocazione speciale con un cuore solo ed un’anima sola”.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Ebrei e cattolici offrono una risposta comune alla crisi ecologica
Incontro della Commissione bilaterale della Santa Sede e del Gran Rabbinato di Israele
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 20 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Ebrei e cattolici hanno una risposta comune per la crisi ecologica che vive il pianeta e la espongono nel comunicato pubblicato alla fine della riunione della Commissione Bilaterale della Santa Sede e del Gran Rabbinato di Israele celebrata a Roma dal 17 al 20 gennaio.

"Oggi l'umanità affronta una crisi ambientale unica, che è sostanzialmente il prodotto di uno sregolato sfruttamento materiale e tecnologico", spiega il documento dopo questo incontro, che negli ultimi due anni era stato sospeso per le divergenze poste dai rabbini sulla preghiera per gli Ebrei del Venerdì Santo e la vicenda Williamson.

"Sebbene questa crisi debba, ovviamente, essere gestita con i necessari strumenti tecnologici e l'autolimitazione, l'umiltà e la disciplina, i partecipanti hanno evidenziato la necessità essenziale per la società di riconoscere la dimensione trascendente della Creazione che è importante per garantire sviluppo sostenibile e progresso in un modo eticamente responsabile", affermano ebrei e cattolici.

"Non tutto ciò che è tecnicamente possibile è moralmente accettabile - avvertono -. E' questa consapevolezza a garantire che ogni aspetto del progresso umano promuove il benessere delle generazioni future e santifica il Nome Divino, proprio come la sua assenza porta a conseguenze distruttive per l'umanità e per l'ambiente e profana il Nome Divino".

Nel corso dell'incontro, i membri hanno assistito presso la Pontificia Università Gregoriana al commovente intervento di padre Patrick Desbois, che ha evidenziato l'opera di Yachad in Unum per individuare e commemorare i siti finora non identificati nell'Europa orientale nei quali sono stati commessi omicidi di massa durante la Shoah.

La Commissione ha esortato le rispettive comunit? religiose a sostenere e pubblicizzare questa importante opera per imparare dalle tragedie del passato, e proteggere e rispettare ovunque la santità della vita umana, affinché queste atrocità non si verifichino più.

La delegazione ebraica era presieduta dal Rabbino Capo Shear Yashuv Cohen, quella cattolica dal Cardinale argentino Jorge María Mejía.

I partecipanti alla riunione erano presenti nella grande sinagoga di Roma domenica scorsa, in occasione della visita di Benedetto XVI.

Nel corso dell'evento, il Papa ha ribadito categoricamente l'impegno della Chiesa cattolica per il dialogo e la fraternità con il popolo ebraico, condannando inequivocabilmente l'antisemitismo e l'antigiudaismo.

Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma, ha evidenziato in quell'occasione l'obbligo reciproco di cristiani ed ebrei di cooperare per proteggere l'ambiente secondo il mandato biblico (Genesi 2, 15).

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Benedetto XVI incontrerà i Vescovi irlandesi il 15 e 16 febbraio

ROMA, mercoledì, 20 gennaio 2010 (ZENIT.org).- I Vescovi irlandesi compiranno una visita in Vaticano il 15 e 16 febbraio prossimi per un nuovo incontro col Papa dopo quello dell’11 dicembre scorso.

E' quanto ha reso noto, questo mercoledì, il Direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, confermando le notizie diffuse questa mattina da alcune agenzie di stampa.

Al centro della visita, la questione degli abusi sui minori perpetrati da parte di membri del clero irlandese.

L'11 dicembre scorso il Papa aveva ricevuto il presidente della Conferenza Episcopale Irlandese, il Cardinale Seán Baptist Brady, Arcivescovo di Armagh, e monsignor Diarmuid Martin, Arcivescovo di Dublino, per valutare la situazione della Chiesa nel Paese in seguito alla recente pubblicazione del “Murphy Commission Report”.

Il Rapporto, che descrive dettagliatamente i casi di abuso nell'Arcidiocesi di Dublino dal 1975 al 2004 e la risposta della Chiesa e delle autorità statali a queste accuse, è stato pubblicato il 26 novembre 2009 da una Commissione d'inchiesta indipendente, dopo tre anni d'indagini supervisionate dal giudice Yvonne Murphy, dell'Alta Corte di Dublino.

In quell'occasione il Papa aveva espresso la sua intenzione di indirizzare una Lettera pastorale ai fedeli dell'Irlanda per indicare le iniziative da prendere in risposta alla situazione.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Il Papa benedice la statua di santa Raffaella Maria Porras y Ayllón
Fondatrice delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 20 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Questo mercoledì prima di raggiungere l'Aula Paolo VI per l'Udienza generale, il Santo Padre si è fermato in Via a benedire la statua di Santa Raffaella Maria Porras y Ayllón (1850-1925), religiosa spagnola, fondatrice delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù, canonizzata da Paolo VI il 23 gennaio 1977.

La statua, collocata presso le fondamenta della Basilica Vaticana e realizzata dallo scultore cordobese Marco Augusto Dueñas, che ha utilizzato un blocco di marmo di Carrara di 60 tonnellate, raffigura la santa con ai suoi piedi una bambina a simboleggiare l'opera educativa svolta dalla religiosa.

Presenti alla cerimonia gli ambasciatori presso la Santa Sede di Spagna e del Giappone, la superiora generale della Congregazione delle Ancelle, M. Mitsuyo Fukusawa, con le sue consigliere, le sedici provinciali e le superiore delle comunità in Italia, insieme a una cinquantina di familiari di santa Raffaella, al Sindaco e cittadini di Pedro Abad, la località di nascita della santa.

Al termine della benedizione della statua è quindi stata celebrata una Santa Messa presso l'Altare della Cattedra della Basilica Vaticana; a presiedere il rito è stato mons. Salvatore Di Cristina, Arcivescovo di Monreale, con il quale hanno concelebrato il vicario generale di Córdoba, mons. Fernando Cruz Conde, un bisnipote di santa Raffaella, il gesuita P. Rafael Porras e altri sacerdoti.

Al termine dell'Udienza generale Benedetto XVI ha quindi rivolto un saluto speciale ai 450 pellegrini venuti da tutta Italia per la circostanza, incoraggiandoli a essere "testimoni dell'amore misericordioso di Dio".

La Congregazione delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù conta attualmente circa 1.300 religiose, il cui carisma si radica nel vissuto eucaristico e si definisce ulteriormente attraverso la missione formativa nelle scuole e collegi e nella vicinanza alla povertà e sofferenza; la loro attività si esplica in oltre venti Paesi di Europa, Africa, Asia e America.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Card. Sandri: le autorità internazionali devono aiutare l'Eritrea
Si è conclusa oggi in Vaticano l'assemblea della ROACO

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 20 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Le autorità internazionali devono intervenire e aiutare l'Eritrea a risolvere i propri conflitti e ad emergere dalla condizione di povertà in cui versa. Lo ha detto il Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali.

In una intervista concessa alla Radio Vaticana, il porporato ha toccato uno dei temi principali affrontati durante l’assemblea della ROACO, l’organismo che coordina le agenzie impegnate nel sostegno delle Chiese cattoliche orientali, riunitosi in Vaticano dal 18 al 20 gennaio.

Nell'incontro, a cui hanno preso parte i rappresentanti di una ventina di agenzie cattoliche, provenienti da dieci Paesi occidentali si è riflettuto sul sostentamento economico dei sacerdoti delle Chiese cattoliche orientali in Europa centrale e orientale e nel Medio Oriente concentrandosi sulla previdenza sanitaria e di anzianità. Inoltre si è dedicata speciale attenzione alla situazione delle Chiese cattoliche orientali in Eritrea, Etiopia e Iraq.

Nella sua prolusione all'assemblea della ROACO, il Cardinale Sandri aveva parlato in particolare di quanto sia difficile la situazione della piccola comunità cattolica in Etiopia, “un paese immenso, con una popolazione sempre crescente che forse già supera gli ottanta milioni di abitanti”.

L'Eritrea, ha spiegato ai microfoni della Radio Vaticana, è “molto provato dal punto di vista economico, sociale” e dominato da una “grandissima povertà, con tanta sofferenza anche dal punto di vista politico e sociale, perché di per sé c’è una grande mancanza di tutto quello che si riferisce ai diritti umani, alla dignità umana, alle libertà individuali”.

“Il Paese – ha aggiunto inoltre – è dominato da questa prospettiva militare di una possibile guerra e quindi tutti sono sottoposti ai condizionamenti della guerra”.

“Per esempio, i nostri cristiani, i nostri seminaristi, i nostri sacerdoti non possono partire – gli uomini – prima dei 48-50 anni: immagini, per farli studiare qui, a Roma, o in altre parti”.

“Tutto il condizionamento della vita politica e sociale – ha sottolineato il Cardinale – influisce anche sulla vita della Chiesa. Evidentemente, per poter portare avanti l’educazione, l’assistenza sanitaria, tutte le opere della Chiesa c’è bisogno di poter avere anche aiuto esterno”.

Per questo ha lanciato un appello affinché “le autorità internazionali abbiano un’attenzione speciale nei riguardi di questo Paese in modo da aiutarlo a risolvere i conflitti in sospeso che pesano su questo Paese, soprattutto quello con l’Etiopia, affinché non ci sia più lo spauracchio della guerra che domina tutta l’attività interna del Paese”.

Inoltre, ha auspicato che “tutte le agenzie cattoliche internazionali possano portare il loro aiuto a questi nostri fratelli che vivono in una povertà estrema e nella sofferenza”.

L'Eritrea, infatti, è stretta nella morsa di una grave crisi alimentare, resa ancor peggiore dai controlli sempre più serrati e dagli abusi dei diritti umani contro i cosiddetti dissidenti, soprattutto gruppi religiosi.

Il Governo impedisce alla popolazione di accedere alle risorse fondamentali. Le autorità bloccano il trasferimento di cibo da una regione del Paese all'altra, mettono al bando i mercati all'aperto che vendono cereali e spesso conducono ispezioni casa per casa alla ricerca di prodotti “ottenuti illegalmente”.

Tuttavia qualcosa si può fare: “Noi – ha detto il Cardinale Sandri – aiutiamo i nostri tre eparchi, cerchiamo di dare loro tutto l’aiuto per le opere educative, per le opere assistenziali, per le cliniche, per i seminari, per la formazione dei giovani... Però, ripeto, sono sempre un aiuto ed una vicinanza molto condizionati da questa situazione”.




Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


I giovani, speranza per un futuro di pace
Messaggio per la II Giornata di intercessione per la pace in Terra Santa
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 20 gennaio 2010 (ZENIT.org).- In occasione della II Giornata Internazionale di intercessione per la pace in Terra Santa, che si celebrerà in 1.000 città di tutto il mondo domenica 31 gennaio, è giunto agli organizzatori un messaggio di sostegno e di condivisione da parte del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.

Nel testo, firmato dal segretario, monsignor Mario Toso, si sottolinea in particolare l'importanza dei giovani per trasformare il pianeta in un luogo di pace per tutti.

Il mondo, scrive monsignor Toso, "è purtroppo segnato da ingiustizie e conflitti, da sentimenti di odio e violenza che turbano l'esistenza della famiglia umana e che non possono lasciare indifferenti".

"Tutti, e noi cristiani per primi, siamo chiamati ad essere operatori di pace. È la vocazione dei cristiani", osserva.

L'autentica pace, ricorda, "non è solo frutto del nostro impegno", ma "un dono di Dio", "frutto della fede".

Per questo, la Giornata di intercessione per la pace è particolarmente importante per "incontrarsi e fissare insieme lo sguardo su Gesù Cristo".

Rivolgendosi ai giovani, afferma che offrono "una testimonianza e un servizio all'umanità intera", facendosi, come diceva Papa Giovanni Paolo II, "sentinelle del mattino, le vedette che annunciano le luci dell'alba e la nuova primavera del Vangelo, di cui già si vedono le gemme".

"Non temete! - esclama nel suo messaggio -. Guardate con speranza all'Uomo Nuovo, al futuro, poiché proprio voi giovani siete la speranza per un futuro di giustizia e di pace!".

Anche se la situazione che vive oggi il mondo "potrebbe sembrare un monte insormontabile", "se avrete fede pari ad un granellino di senapa, 'potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile'".

"Perseverate nella preghiera per la pace!", aggiunge monsignor Toso, citando le parole di Sant'Agostino nel dire che questa è un "bene tanto grande, che anche tra le cose terrene e mortali nulla si desidera con maggior ardore, nulla infine si può avere di più perfetto".

Allo stesso modo, chiede di perseverare nella preghiera, "poiché come insegnava San Giovanni Bosco, che tanto ha amato i giovani", "Chi prega si occupa della cosa più importante di tutte".

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Benedetto XVI erige due nuovi Vicariati Apostolici
In Ghana e in Etiopia
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 20 gennaio 2010 (ZENIT.org).- La Sala Stampa della Santa Sede ha diffuso la notizia dell'erezione di due nuovi Vicariati Apostolici: di Donkorkrom (Ghana) e di Hosanna (Etiopia).

Donkorkrom

Questo martedì, Papa Benedetto XVI ha elevato la Prefettura Apostolica di Donkorkrom (Ghana) al rango di Vicariato con la stessa denominazione e configurazione territoriale, nominando primo Vicario Apostolico padre Gabriel Edoe Kumordji, S.V.D., attuale Prefetto Apostolico della stessa circoscrizione ecclesiastica, assegnandogli la sede titolare vescovile di Ita.

Padre Kumordji, S.V.D. è nato a Accra (Ghana) il 24 marzo 1956. Entrato nel Noviziato dei Verbiti a Nkwatia-Kwahu, ha emesso i voti semplici l'8 dicembre 1980. Ha studiato Filosofia (1976-1979) e Teologia (1980-1983) presso il Seminario Maggiore St. Victor di Tamale, conseguendo poi la Licenza e il Dottorato in Missiologia negli Stati Uniti.

Dopo un anno di esperienza pastorale nella diocesi di Sunyani, conclusosi con la professione dei voti solenni nel 1984, è stato ordinato sacerdote il 14 luglio 1985. Dopo l'ordinazione sacerdotale ha ricoperto vari ministeri, tra cui quelli di vicerettore della Casa di formazione per i Verbiti a Tamale e, dal 2005 al 2007, di Provinciale dei Verbiti e Presidente della Conferenza dei Superiori Maggiori in Ghana.

A seguito dell'erezione della Prefettura Apostolica di Donkorkrom, il 28 giugno 2007 è stato nominato Prefetto Apostolico. Attualmente è Presidente della Commissione Episcopale per le Opere Missionarie in Ghana.

La Prefettura Apostolica di Donkorkrom è situata nella zona delle "Afram Plains", nella regione orientale del Ghana, nel bacino del fiume Volta. Costituisce uno dei luoghi più isolati ed economicamente arretrati del Paese. Inizialmente sotto la giurisdizione della Diocesi di Koforidua, il 28 giugno 2007 è stata eretta Prefettura Apostolica, assumendo il nome di Donkorkrom, con sede nell'omonima capitale, e affidata alla Società del Verbo Divino, con il Rev.do P. Gabriel Kumordji, S.V.D. come primo Prefetto Apostolico.

La Circoscrizione si estende su un'area pari a 4.285 kmq e ha una popolazione di 160.000 abitanti, in rapido aumento soprattutto a causa dell'immigrazione. I cattolici sono 17.000 (il 10%), distribuiti in 7 parrocchie e 98 mission stations, servite da 12 sacerdoti (3 diocesani fidei donum e 9 religiosi Verbiti), 110 catechisti e 7 religiose. Ci sono anche 34 Istituti di educazione e 1 di beneficenza.

Hosanna

Questo mercoledì il Papa ha inoltre eretto il nuovo Vicariato Apostolico di Hosanna (Etiopia), con territorio distaccato dall'attuale Vicariato Apostolico di Soddo-Hosanna, nominando primo Vicario Apostolico il reverendo Woldeghiorghis Mathewos, Padre spirituale del Seminario Maggiore di Soddo-Hosanna ad Addis Abeba, assegnandogli la sede titolare vescovile di Turuda.

Il reverendo Mathewos è nato nel 1942 a Wassera, nella regione Kambatta del Vicariato Apostolico di Soddo-Hosanna. Ha studiato Filosofia e Teologia al Seminario Pontifìcio di Saint Peter a Bangalore (1962-1969) ed è stato ordinato sacerdote il 4 maggio 1969 a Hosanna, primo sacerdote nativo del Vicariato Apostolico di Soddo-Hosanna.

Dopo l'ordinazione sacerdotale ha svolto varie mansioni, tra cui quella di Direttore del Centro Catechistico del Vicariato e Formatore nel Seminario Minore Interdiocesano di Oletta (1969-1978); di Rettore del Pre-Seminario di Hosanna (1995-2004); di Direttore Spirituale del Seminario Maggiore di Soddo-Hosanna ad Addis Abeba e di Vice-Rettore dello stesso Seminario dal 2005.

Il Vicariato Apostolico di Hosanna, affidato ai Frati Minori Cappuccini, ha una superficie di 12.000 kmq e una popolazione di 2.400.000 abitanti, 135.000 dei quali cattolici.

I fedeli sono serviti da 20 parrocchie, con 28 sacerdoti diocesani, 7 sacerdoti religiosi, 14 fratelli religiosi e 37 religiose. Ci sono anche 20 seminaristi e 160 catechisti.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Notizie dal mondo


Catastrofe ad Haiti, "un'opportunità per mettere al primo posto la persona"
Afferma il presidente di Caritas Haiti, monsignor Pierre Dumas
PORT-AU-PRINCE, mercoledì, 20 gennaio 2010 (ZENIT.org).- La catastrofe di Haiti può rappresentare "un'opportunità per esprimere solidarietà e perché le persone si aiutino a vicenda".

"Credo che ci sia stata data l'opportunità di ricostruire insieme il nostro Paese in un altro modo, per comprendere i legami che ci uniscono" e per costruire "una Nazione haitiana migliore".

Lo afferma in un'intervista diffusa da Caritas Internationalis monsignor Pierre-André Dumas, Vescovo di Anse-à-Veau e Miragoâne e presidente di Caritas Haiti. Il presule, che era a Port-au-Prince al momento del sisma, ha perso una nipote e un cognato nella catastrofe.

Nell'intervista, monsignor Dumas riferisce che il giorno prima del terremoto stava visitando parte della sua Diocesi, suffraganea di Port-au-Prince, e già allora la terra dava segni di movimento.

Mentre attraversava un fiume ha osservato con quanti lo accompagnavano che "l'acqua era quasi 'effervescente' e c'erano delle onde. Abbiamo deciso di rimanere a dormire lì la notte, nel centro diocesano per la formazione di Matean, che è lungo la costa. Nella notte le onde hanno iniziato a colpire l'edificio e ho pensato 'E' uno tsunami!'", ha spiegato.

Il giorno dopo, pochi minuti dopo essere arrivato a Port-au-Prince, c'è stato il terremoto. "C'è stato un enorme boato e ho visto saltare la casa. Non ho avuto neanche il tempo di uscire dalla porta prima che tutto tornasse alla calma".

In quei momenti drammatici, ha ricordato il Vescovo, "tutti sono usciti per strada. Una delle prime cose che ho fatto è stato cercare di mettermi in contatto con i membri del mio personale, per tranquillizzarli. Ho detto loro di non avere paura e che quella era un'opportunità per esprimere solidarietà e perché le persone si aiutassero a vicenda".

Lamentando la morte dei propri cari, monsignor Dumas ha aggiunto che "per noi che siamo rimasti ora c'è solo il dolore. E' una prova per tutti noi. Non durerà per sempre, ma dobbiamo superare questa prova con la fede, per poterne uscire rafforzati".

Il presule ha quindi rivolto un appello al popolo haitiano perché approfitti di questa crisi per una crescita personale e sociale, per "ricostruire, senza pregiudizi né discriminazioni".

"Credo che la nostra carità e il modo di vivere questa crisi ci aiuteranno a rafforzare la nostra umanità - ha confessato -. Ci aiuteranno ad essere più generosi, aperti e disponibili gli uni con gli altri, perché sono state distrutte le forme simboliche del nostro vivere insieme. Tutti i simboli fisici che ci univano - la Cattedrale, il palazzo presidenziale, i ministeri, le scuole, le comunità religiose e molti altri luoghi - sono ridotti a un cumulo di macerie".

"Dobbiamo far fronte ad alcune questioni. Al momento tutto ruota intorno all'emergenza, ma arriverà il giorno della ricostruzione. E ciò non significa ricostruire le cose com'erano prima, perché avremo l'occasione di costruire una Nazione haitiana migliore, in cui la persona venga anteposta a tutto il resto", ha concluso.



Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Nigeria: i Vescovi denunciano gli scontri degli ultimi giorni a Jos
Dovuti più a fattori etnici e politici che a quelli religiosi, sostengono
ROMA, mercoledì, 20 gennaio 2010 (ZENIT.org).- I Vescovi della Provincia Ecclesiastica di Ibadan (Nigeria) hanno denunciato con vigore le violenze scoppiate il 17 gennaio a Jos, nello Stato nigeriano di Plateau, che hanno provocato un numero di vittime ancora incerto e l'imposizione del coprifuoco da parte dell'Esercito.

"Il nostro Paese negli ultimi mesi ha speso una quantità enorme di tempo e risorse per una campagna di 'rebranding'" (ovvero di miglioramento dell'immagine del Paese a livello internazionale), scrivono i Vescovi in un comunicato riportato da Fides.

"Abbiamo gridato ai quattro venti per convincere il mondo intero che non siamo nazione terrorista . Eppure, purtroppo, la recente crisi religiosa a Jos, nello Stato di Plateau, ha dimostrato brutalmente la nostra ipocrisia e inettitudine. Alcuni estremisti che affermano di essere musulmani hanno aggredito i cristiani nelle loro chiese e case, uccidendo e bruciando. Come Nazione, ancora una volta, siamo stati colti di sorpresa e di conseguenza, sono state perse vite preziose e proprietà".

"È triste che eventi simili accaduti nel recente passato non siano stati studiati e affrontati in maniera convincente e non siano state prese misure per prevenirli - riconoscono i presuli -. Questa situazione persistente non è di buon auspicio per una Nazione che pretende di essere sulla via dello sviluppo e dell'integrazione nazionale".

I Vescovi denunciano quindi "tutti i colpevoli di questa cospirazione vergognosa nei confronti di un particolare segmento della nostra Nazione", chiedendo "alle autorità competenti di intervenire con decisione prima che le cose sfuggano di mano".

Allo stesso modo, esortano i leader religiosi a "parlare con coraggio, denunciare e contrastare l'estremismo religioso e il fanatismo, dovunque si trovino".

Monsignor Ignatius Ayau Kaigama, Arcivescovo di Jos, ha dichiarato dal canto suo a Fides che "le versioni che sono state finora pubblicate sull'origine degli scontri non sono corrette".

In particolare, ha spiegato, "non è vero che sia stata attaccata e bruciata una chiesa", così come è da accertare un'altra versione riportata dalla stampa per la quale "la scintilla che ha provocato gli scontri sarebbe stata l'assalto al cantiere di una casa in costruzione di un musulmano".

Per monsignor Kaigama, i motivi delle violenze sono più legati a fattori etnici e politici che a quelli religiosi.

"All'origine degli scontri odierni, come quelli del novembre 2008, vi sono i contrasti tra gli hausa, di religione musulmana, e le popolazioni indigene, in gran parte cristiane, per il controllo politico della città", ha affermato.

"Vi sono ancora diverse circostanze che vanno chiarite", ha aggiunto, citando in particolare "la partecipazione agli scontri di uomini dotati di armi sofisticate, che non si sa da dove provengano".

Non è la prima volta che Jos è teatro di gravi scontri: nel settembre 2001 ci furono disordini durante i quali vennero date alle fiamme chiese e moschee, provocando 915 morti; nel novembre 2008 la violenza è costata la vita a 400 persone.

I disordini a Jos avvengono mentre la Nigeria sta attraversando una crisi politica per l'assenza del Presidente Umaru Yar'Adua, ricoverato da novembre in Arabia Saudita per problemi cardiaci. Recentemente l'opposizione ha organizzato manifestazioni per chiedere maggiori informazioni sullo stato di salute del Presidente e su chi stia effettivamente governando la Nigeria.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Portogallo: la Comunità di Taizé animerà il Carnevale di Porto
Giovani di tutta Europa si iscrivono all'appuntamento

PORTO, mercoledì, 20 gennaio 2010 (ZENIT.org).- In occasione del Carnevale, dal 13 al 16 febbraio, si riuniranno a Porto (Portogallo) migliaia di giovani, animati dalla Comunità di Taizé, per il II Incontro Iberico dei Giovani.

In una lettera di convocazione diffusa martedì scorso, fratel David, della Comunità, afferma che i giovani “cercheranno di approfondire la comprensione del mistero della fede e di impegnarsi per trasformare il mondo e condividere la gioia di vivere”.

“Dal nord al sud del Portogallo, da Coimbra a Madeira, da Faro alle Azzorre, e anche nelle comunità emigrate di vari Paesi, ci sono già molte centinaia di giovani portoghesi che si preparano a passare il fine settimana di Carnevale a Porto”.

“Anche in Spagna ci sono gruppi che preparano pellegrinaggi in varie città. Dal Brasile alla Polonia, dal Cile alla Lituania, dalla Norvegia alla Slovenia (...) le iscrizioni non smettono di arrivare al nostro indirizzo di posta elettronica a Taizé”, ha confessato fratel David.

I membri della Comunità di Taizé saranno a Porto dal 1° febbraio. Insieme ai giovani volontari, organizzeranno nelle due settimane che precedono l'Incontro Iberico preghiere quotidiane nel centro di Porto, nella chiesta di S. José das Taipas, alle 19.00.

Fratel Alois, priore della Comunità, si recherà in Portogallo per l'Incontro, che tra le altre attività prevede musica, preghiera, laboratori e riflessioni.

Per ulteriori informazioni: http://www.taize.fr/pt

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Italia


Le iniziative per i 400 anni dalla morte di padre Matteo Ricci
Prersentato il programma dei gesuiti d'Italia

di Chiara Santomiero

ROMA, mercoledì, 20 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Rivisitare la figura di Matteo Ricci, in occasione del quarto centenario della morte, cercando l’ispirazione che ha mosso la sua straordinaria avventura di incontro con la cultura cinese del 1600: è questo l’obiettivo del programma di iniziative presentato oggi alla stampa dal provinciale d’Italia della Compagnia di Gesù, padre Carlo Casalone, e da padre Francesco De Luccia, supervisore degli eventi per il 2010.

“Il programma delle iniziative – ha spiegato Casalone intervenendo alla sede della Radio Vaticana – ripercorre gli assi portanti dell’impegno dei gesuiti in Italia che sono l’interazione con la cultura del nostro tempo, il lavoro con i giovani e l’impegno nel sociale”.

Si parte mettendo al centro lo “stile” missionario di Matteo Ricci con un convegno a Milano, sabato 23 gennaio, organizzato dalla Fondazione culturale S. Fedele.

“Il tema del convegno – ha sottolineato uno degli organizzatori, padre Giuseppe Zito – si riferisce all’opera più importante di Ricci, 'Dell’amicizia' che scrisse in cinese, traducendo degli aforismi greci e latini e aggiungendone di suoi”.

“Lo stile amicale – ha proseguito Zito – è la cifra della presenza di Ricci in Cina che non si è recato in questo paese da colonizzatore, ma come persona interessata a una cultura che aveva molto da dare ed è anche ispirazione per essere missionari oggi con un atteggiamento di dialogo e scambio”.

Tutto questo sarà declinato secondi i linguaggi dell’arte, del video, del cinema e della musica, con – tra gli altri momenti dell’iniziativa – la mostra dello scultore giapponese Hidetoshi Nagasawa che interpreta con la sensibilità di artista orientale un soggetto della spiritualità occidentale come la croce e la proiezione del docufilm di Gjon Kolndrekaj, “Matteo Ricci, un gesuita nel Regno del Drago”.

Nel focus della tavola rotonda su “Gli eredi di Matteo Ricci” ci sarà il confronto tra sinologi e teologi sul confronto tra Oriente e Occidente e sul come dire il Vangelo in cinese ma anche essere cristiani cinesi in Italia.

A maggio le iniziative si sposteranno a Roma dove sono previste delle visite guidate alla Chiesa e alla Casa del Gesù nella quale ebbe origine la Compagnia che nel 2010 festeggia anche il 470° anniversario della Fondazione: “rivisitarne le origini – ha spiegato De Luccia – significa non solo dare la possibilità a quanti sono interessati di conoscere le stanzette di S. Ignazio e i luoghi dove la Compagnia mosse i primi passi, ma anche incontrare i gesuiti che oggi cercano di interpretare lo stesso carisma che ha guidato l’azione di Matteo Ricci”.

Dedicati ai più giovani sono il pellegrinaggio a piedi da Loreto a Macerata guidato durante la settimana santa da alcuni padri gesuiti sulle orme di Matteo Ricci e del carisma ignaziano e un campo missionario a Pechino, in agosto, come occasione di condivisione con la chiesa locale.

Ad ottobre, ha annunciato De Luccia, è previsto un convegno a Napoli del Jesuit Social Network, formato dalle associazioni, le cooperative e le fondazioni che in vario modo fanno riferimento alla Compagnia di Gesù e operano a favore dei più poveri.

Per la chiusura dell’anno, infine, è prevista l’inaugurazione a Scutari, in Albania, della nuova sede del liceo gestito dai padri gesuiti.

Tutto il programma delle iniziative dell’anno ricciano passerà attraverso la comunicazione – altra novità annunciata nella conferenza stampa – del neo-istituito ufficio di comunicazione della Provincia d’Italia che avrà l’obiettivo, dopo il 2010 “di rendere più efficace la comunicazione sia ad intra che ad extra, qualificando maggiormente la presenza della Compagnia nel foro mediatico”.

“Dalla celebrazione dell’anno di Matteo Ricci – ha concluso De Luccia – ci aspettiamo di stimolare occasioni di incontro e dialogo con il mondo della cultura e della più vasta opinione pubblica presentando una figura che ha molto da dire al nostro tempo con la sua capacità di lasciarsi affascinare, non solo intellettualmente ma anche affettivamente, da una cultura totalmente ‘altra’ da lui”.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Inculturazione ed evangelizzazione, sfide dei francescani in Cina
Spiega il Ministro generale dei Frati Minori, padre Rodríguez Carballo

di Roberta Sciamplicotti

ROMA, mercoledì, 20 gennaio 2010 (ZENIT.org).- L'inculturazione e la diffusione del Vangelo sono due delle priorità dell'Ordine dei Frati Minori nella sua missione in Cina, ha spiegato padre José Rodríguez Carballo, Ministro generale dell'Ordine, intervenendo il 15 gennaio alla Pontificia Università Antonianum di Roma in occasione della Festa del Grande Cancelliere e dell'Università.

In questo contesto, si è svolta una giornata di studio sulla Chiesa in Cina per celebrare l'VII Centenario dell'ordinazione episcopale di fr. Giovanni da Montecorvino, primo Vescovo nel Paese asiatico, nominato Arcivescovo dell'attuale Pechino e Patriarca dell'Oriente.

Il Ministro generale dei Frati Minori ha ricordato come la società cinese stia vivendo attualmente "un periodo storico di transizione verso una collaborazione sempre più ampia con il mondo occidentale, specialmente a livello economico".

"La gioventù appare vuota di valori, e tra i più sensibili appare la ricerca di una nuova spiritualità che possa dare un senso alla loro vita", ha riconosciuto.

"In questo senso, il cristianesimo, in quanto religione straniera, appare a molta gente (...) come quella che può offrire qualcosa di nuovo e di più rispetto alle religioni o ideologie già conosciute o sperimentate in Cina. E questo spiega in parte la relativa crescita dei cristiani nel continente, e la partecipazione anche dei buddisti alle celebrazioni più importanti della Chiesa cattolica".

In questo contesto, la sfida per la Chiesa cinese e per i francescani è "come essere di aiuto alla società in questo tempo di transizione", ha osservato padre Carballo.

A tale proposito, ha sottolineato alcuni impegni che l'Ordine dovrà affrontare, il primo dei quali è quello dell'inculturazione.

"Per noi francescani, la prima forma di inculturazione è la implantatio Ordinis in Cina. Formare veri Frati minori autoctoni vuol dire incarnare il nostro carisma nella religiosità e cultura cinesi, e di conseguenza offrire alla Chiesa un modello vissuto d'inculturazione".

Una seconda sfida è quella di "contribuire in maniera importante alla comunione interna all'unica Chiesa che è in Cina", seguita dall'impegno per le opere sociali e la promozione umana.

"Oggi ancora l'evangelizzazione in Cina passa attraverso le attività sociali e caritative, dove la testimonianza silenziosa ma viva di tanti religiosi si fa messaggio eloquente dei valori del Vangelo di Gesù Cristo".

Impegno richiede inoltre l'accompagnamento e la formazione dei francescani in Cina, dove sono presenti varie Congregazioni femminili e almeno 4.000 membri dell'Ordine Francescano Secolare.

Caratteristiche della missione francescana in Cina

Tra gli aspetti caratteristici dell'evangelizzazione francescana in Cina, padre Rodríguez Carballo ha sottolineato in primo luogo "l'utilizzo da parte dei missionari delle 'vie umane' che si presentavano loro".

Allo stesso modo, è stata fondamentale "la promozione umana e culturale": "non pochi francescani si dedicarono alla lingua cinese" e vennero costituite "molte opere di carattere umanitario e caritativo" dedicate soprattutto alle popolazioni delle zone rurali.

L'attività principale era ad ogni modo la diffusione del Vangelo, per "far conoscere la persona di Gesù Cristo, provocare e accompagnare le conversioni al cristianesimo e offrire la grazia di Dio con l'amministrazione dei Sacramenti".

Nell'annuncio missionario, così come nella cultura cinese, un ruolo molto importante è anche quello della parola. Giovanni da Montecorvino aveva già tradotto nella lingua dei dominatori Tartari il Salterio e il Nuovo Testamento, e nel Novecento fra Gabriele M. Allegra decise di tradurre tutta la Bibbia in cinese dai testi originali.

Dopo aver attraversato tante difficoltà, non poteva poi non essere particolarmente rilevante la testimonianza del martirio, da quello dei primi missionari alle terribili esperienze di "tanti altri frati, rimasti senza nome, che hanno dato la loro vita a causa degli stenti o delle sofferenze di vario genere o del carcere, dove vennero rinchiusi come in una tomba".

In questo contesto, padre Rodríguez Carballo ha ricordato che "dire vocazione francescana significa dire impegno per uscire da sé", è "mettersi in cammino, per le strade del mondo, per annunciare il Vangelo, come fratelli e minori", perché "il Vangelo è un dono destinato ad essere condiviso".

"È l'ora di rispondere, con fantasia e creatività, a questa esigenza della nostra vocazione", ha dichiarato.

L'Ordine dei Frati Minori "non può rinunciare a obbedire il mandato di Gesù: 'Andate dunque e ammaestrate tutte le Nazioni'". "In questa obbedienza ci giochiamo la fedeltà alla nostra vocazione e missione di Portatori del dono del Vangelo".

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Interviste


Mons. Forte: la teologia, scuola di umiltà contro il nichilismo
L'Arcivescovo di Chieti-Vasto analizza il pensiero teologico di Benedetto XVI

di Mirko Testa


ROMA, mercoledì, 20 gennaio 2010 (ZENIT.org).- In un'epoca che ha visto il tramonto della ragione totalizzante, la teologia come scuola di umiltà e ascolto della Parola di Dio può diventare un antidoto contro le tentazioni dell'oblio del senso, figlio del nichilismo.

Ne è convinto mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto e Presidente della Commissione per la Dottrina della Fede, l'Annuncio e la Catechesi della Conferenza Episcopale Italiana, che in questa intervista a ZENIT analizza gli ultimi interventi di Benedetto XVI in materia di teologia.

Lo scorso anno, nell'omelia per la messa celebrata alla presenza dei membri della Commissione Teologica Internazionale, il Papa ha spiegato che il vero teologo non è colui che cerca di misurare il mistero di Dio con la propria intelligenza ma colui che è cosciente della propria limitatezza. In quell'occasione il Papa ha indicato nell'umiltà la via per giungere alla verità, mettendo in guardia contro i teologi saccenti che si comportano come gli antichi scribi. Crede che il Papa faccia riferimento a una tendenza visibile ai nostri giorni?

Mons. Bruno Forte: Io credo che questo sia un punto fondamentale che distingue la teologia cristiana da ogni forma di gnosi. La differenza fondamentale è che nella teologia tutto nasce dall'ascolto, quindi dall'auditus Verbi, mentre nella gnosi tutto è autoproduzione intellettuale del soggetto. Questo è il vero motivo per cui l'unica autentica eresia cristiana è la gnosi: la presunzione di un'autoredenzione dell'uomo che non abbia bisogno dell'intervento dell'Altro e dall'Alto, cioè dell'intervento di Dio. Una teologia che si fondi, com'è nella sua natura, sulla Rivelazione, non può che essere innanzitutto ascolto e quindi è humilitas: un atteggiamento di profonda disponibilità e docilità di fronte all'azione di Dio, che entra nella storia in maniera sorprendente e al tempo stesso la conferma nella sua dignità, aprendola al novum adveniens della sua promessa.

E' un tema che Ratzinger da teologo ha ripetutamente sottolineato e che gli deriva dalla sua frequentazione di Agostino, che è il genio dell'intellectus fidei vissuto nell'ascolto, nell'uso dell'intelligenza al servizio dell'ascolto della Parola di Dio e gli deriva anche da Bonaventura. Direi che è il filone agostiniano-francescano quello che predomina nella formazione teologica di Joseph Ratzinger, che nel suo magistero di Papa riemerge nel suo richiamo forte all'humilitas e all'auditus. Aggiungerei che questo tema risulta quanto mai importante oggi in una società che ha conosciuto l'ebrezza della ragione e dunque la tentazione gnostica nei vari volti della ideologia moderna e che oggi in questa inquietudine della post-modernità se non si apre all'ascolto e all'humilitas rischia la grande tentazione del nichilismo, cioè del non-senso. In altre parole: chi potrà salvarci? A questa domanda non si può che rispondere: l'Altro che viene a noi, cioè il Dio vivente e questo implica l'umiltà dell'accoglienza. La gnosi in questa società post-moderna, dove la ragione totalizzante ha conosciuto una crisi profonda e il bisogno del suo superamento critico, viene spiazzata nella sua stessa convinzione fondamentale, che è l'assolutezza del soggetto e della sua capacità di conoscenza o di produzione del vero.

Nel settembre del 2007, nel visitare l'abbazia cistercense di Heiligenkreuz il Papa ha denunciato una certa “teologia che non respira più nello spazio della fede”, ponendo l'accento invece sulla “teologia in ginocchio”, una bella espressione coniata da Hans Urs von Balthasar. Allo stesso modo nel presentare la figura di san Bernardo di Chiaravalle durante una Udienza generale, Benedetto XVI ha detto che senza fede e preghiera la ragione da sola non riesce a trovare Dio e la teologia diventa un “vano esercizio intellettuale”. E' questo uno scenario presente nell'ambito della teologia attuale?

Mons. Bruno Forte: Il primo elemento decisivo è che proprio perché nasce dall'ascolto della Parola di Dio, la teologia ha bisogno non solo di una radicale humilitas ma anche di una forma di accoglienza amorosa, perciò orante di essa. Von Balthasar ha insistito moltissimo su questo aspetto, sostenendo che la santità non è un superfluo rispetto all'esercizio del teologo, ma ne è una condizione fondamentale. Non è un caso che grandissimi teologi, specie i Padri della Chiesa, sono stati anche dei santi. Dunque il bisogno di mettersi in ginocchio davanti al mistero e di ascoltare, di vivere l'auditus non solo con l'umiltà ma con l'amoroso e perseverante accoglienza della fede orante, è connaturale all'identità della teologia cristiana. E anche in questo nel pensiero di Joseph Ratzinger c'è non solo la continuità con il filone agostiniano e bonaventuriano, ma c'è anche un'altra intuizione molto importante, peraltro ripresa nel Vaticano II, e cioè che c'è un rapporto tra il vissuto cristiano, il pensato cristiano e la liturgia.

La liturgia in quanto culmen et fons, come dice il Vaticano II, è ciò da cui tutto parte e a cui tutto tende dell'esistenza cristiana, sia nel suo vissuto che nella sua dimensione riflessa. Ecco perché una teologia senza anima liturgica, cioè senza capacità di lodare e invocare Dio, è un vano esercizio intellettuale. E' un'altra forma di quella gnosi che rischia di inquinare la capacità dell'uomo di aprirsi a Dio. Nella grande visione teologica cristiano-cattolica l'uomo è stato fatto capax Dei: ebbene questa capacità è condizionata da una parte dall'humilitas e dall'altra dalla capacità di invocare il dono di Dio e di lasciarsene pervadere in un atteggiamento dossologico e liturgico, e cioè di glorificazione di Dio, che è non di meno disponibilità a lasciarsi plasmare dalla Sua azione nella nostra vita. Quando tutto questo è portato alla parola nasce propriamente la teologia.

E qui c'è anche un'altra considerazione da fare sul rapporto tra teologia e spiritualità. Noi abbiamo vissuto una crisi di questo rapporto nell'epoca della teologia moderna, cioè di quella teologia influenzata dalla contrapposizione illuministica tra Vernunftswahrheit e Geschichtswahrheit, verità di ragione e verità di fatto. Nella concezione illuministica solo la verità di ragione è verità, perché presenta un'assolutezza e universalità che invece le verità di fatto non hanno. Il cristianesimo, al contrario, si fonda su una verità di fatto, che è la rivelazione storica di Dio. Allora sembrava a una certa teologia di impianto illuministico-liberale che non potesse conciliarsi l'esercizio teologico puro con una forma di spiritualità, di vissuto spirituale, lasciato piuttosto alla devozione.

Questo fossato tra teologia e spiritualità ha prodotto grandi danni nell'epoca della teologia moderna: lo si è visto soprattutto nella teologia liberale e in alcune forme del modernismo cattolico, ma continua a produrre danni laddove, per esempio, negli anni '60 e '70 alcune forme della teologia cristiana si sono lasciate condizionare dall'ideologia moderna anche rivoluzionaria. Oggi noi sentiamo, invece, di ritornare allo statuto originale fondante del fare teologia che è quello di portare al pensiero l'esperienza del Mistero proclamato e quindi ascoltato e celebrato nella liturgia, vissuto e testimoniato nella fede e nella carità.

Quindi teologia non è solo docta fides, cioè una fides quaerens intellectum, ma anche docta caritas, cioè è il portare alla parola il vissuto dell'amore, il dono dell'amore di Dio che ci viene fatto nella liturgia e nella Grazia dei sacramenti, ma che deve essere poi testimoniato nel vissuto dei gesti dell'eloquenza silenziosa della carità. Teologia e spiritualità così ritrovano il nesso fondamentale che le costituisce reciprocamente come teologia e spiritualità cristiane. Una teologia senza spiritualità rischia di essere vuota, una spiritualità senza teologia rischia di essere cieca, parafrasando il noto detto di Kant su intuizione e concetti.

L'adesione al “Processo di Bologna” da parte della Santa Sede ha portato a un riordino globale della formazione teologica in Italia, volto a ricalibrare gli standard curricolari esistenti alla luce di quelli richiesti. Secondo lei, il fatto di doversi conformare a delle precise caratteristiche di “scientificità” non porta l'insegnamento di questa disciplina a mettere da parte una concezione che presuppone la fede nella ricerca teologica?

Mons. Bruno Forte: Questa è un'antica questione che ritorna sempre e di nuovo nella storia della teologia. Vorrei dare due risposte: una di carattere storico e una di carattere attuale, ma anche di sapore metodologico. La prima è quella che diede San Tommaso alla stessa questione che lei mi sta ponendo, quando apre la Summa teologica con un'audacia impensabile al tempo dei Padri della Chiesa. Tommaso si chiede: utrum praeter philosophicas disciplinas aliam doctrinam haberi? Cioè si chiede non se siano legittime le discipline filosofiche, ma se sia legittima la teologia, con un impianto assolutamente moderno che sembra rivendicare l'autonomia della ragione. La sua risposta è che la razionalità richiesta alle discipline scientifiche è soprattutto nello scire per causas, nel conoscere attraverso le connessioni tra premesse e deduzioni. Ora questo scire per causas può essere esercitato in due modi: partendo dai principi primi interni alla scienza, le cosiddette scienze subalternanti (egli parla ad esempio della matematica che ha dei suoi principi più intrinseci dai quali si parte e che sono indimostrabili – in questo Tommaso anticipa Goedel – e da cui si deducono delle conseguenze); dall'altra parte ci sono però ci sono però delle scienze subalternate che usano i principi offerti loro da altre scienze. A questo proposito, Tommaso fa come esempio intrigante quello della musica che dipende dalla matematica, proprio per le sue armonie e i suoi rapporti di proporzione. Analogamente - dice Tommaso - la teologia dipende dalla scientia Dei et beatorum cioè dalla Rivelazione. In altre parole, la fonte della conoscenza teologica è lumen fidei per il naturale, quanto però all'argomentare essa ha lo stesso statuto epistemologico di tutte le altre scienze e quindi ha piena dignità della universitas scientiarum.

Come risponderemmo oggi di fronte agli sviluppi della teologia, ma anche della epistemologia moderna? Io risponderei rifacendomi alla grande conquista del Novecento filosofico e teologico che è la riscoperta poderosa della ermeneutica, cioè della scienza dell'interpretazione. Quando molti anni fa da Decano della Facoltà Teologica a Napoli invitai a una quaestio quodlibetalis Hans-Georg Gadamer, il padre dell'ermeneutica contemporanea, autore di “Verità e metodo”, un giovane di primo anno gli pose questa domanda: “che cos'è l'ermeneutica?”. Al che Gadamer, senza scomporsi, dopo un attimo di riflessione, disse: “Ermeneutica significa che quando lei ed io parliamo ci sforziamo di raggiungere il mondo vitale che è dietro le parole dell'altro e da cui esse provengono”.

Allora, l'epistemologia illuminata dall'ermeneutica vuol dire non solo comprendere l'immediatamente percettibile, il visibile, il fenomenico, il razionale, ma comprendere anche o perlomeno cercare di raggiungere quei mondi vitali da cui queste espressioni provengono. In questo contesto si scopre che scienza non è solo quella dei fenomeni, ma che c'è un insieme di scienze, che sono le scienze dello spirito, le quali si sforzano di raggiungere un non detto, un non dicibile, un non totalmente tematizzabile, che però è il mondo vitale in cui si situano i processi umani, i processi storici e così via. E c'è un ulteriore livello che attinge a quell'esperienza del mistero della vita e del mondo che noi tutti facciamo e che non è riconducibile a una mera formula linguistica o razionale, cioè un eccesso del Mistero che circonda il mondo, che circonda la vita di ognuno di noi e che noi attingiamo continuamente nella sorpresa, nello stupore, che soltanto fino a un certo punto riusciamo a ricondurre alla parola.

Ora, una scienza che prenda sul serio lo stupore davanti a questo Mistero, la possibilità che esso si dica senza tradirsi, cioè la possibilità della Rivelazione, e che ne faccia materia del suo pensare, diventa una scienza assolutamente preziosa. In una simile dimensione ermeneutica, interpretativa della realtà, che non si ferma all'immediato ma cerca sempre di cogliere le ulteriorità, le connessioni profonde, la teologia mi sembra che si presenti con piena dignità come una scienza di cui l'uomo ha bisogno per vivere e per morire, come ha bisogno per vivere e per morire di Dio e del senso della vita.

Nel 1986 intervenendo a Brescia a un incontro organizzato dalla redazione italiana della rivista “Communio” Ratzinger aveva affermato che nella coscienza diffusa della teologia cattolica l'autorità della Chiesa appare spesso come un'istanza estranea alla scienza, come qualcosa che limita se non mortifica la ricerca. Secondo lei, soprattutto dopo quanto avvenuto con la Teologia della Liberazione, è ancora così avvertita questa percezione?

Mons. Bruno Forte: Il compito del Magistero nella Chiesa non è un compito regressivo, ma un compito quasi prospettico. In un famoso saggio del 1953 che fece storia nel dibattito teologico, Karl Rahner interrogandosi sul Concilio di Calcedonia e sulla sua definizione dogmatica, che resta vincolante per ogni cristiano qualunque sia la sua appartenenza confessionale, di Cristo come una persona divina nelle due nature umana e divina, si chiedeva “Chalkedon - Ende oder Anfang?” (Calcedonia è una fine o un inizio?). La sua risposta era molto chiara: il dogma non è una fine, non arresta il pensiero, non lo paralizza, ma pone quei paletti rispetto ai quali indietro non si torna, perché voler tornare indietro significherebbe cadere da una parte nelle forme dell'arianesimo, cioè una visione solo umana e mondana di Cristo, che così non sarebbe più mediatore dell'Alleanza e Salvatore, dall'altra in una forma di modalismo, cioè un Dio che appare tra gli uomini ma che non ha veramente assunto la nostra carne mortale, non s'è veramente compromesso con l'umano.

Diceva Karl Rahner, giustamente, che la definizione dogmatica di Calcedonia in questo senso è un baluardo contro il regresso, non contro il progresso. Ilario di Poitiers, a sua volta, intuiva una bellissima dimensione di questo esercizio del discernimento magisteriale della Chiesa. Egli diceva: il dogma viene definito per una esigenza di carità, per aiutare a non perdere la rotta, a non perdere la strada rispettosa, quella che Dio ci ha indicato. Anche qui la visione era chiaramente non difensiva o repressiva, ma prospettica.

E proprio il caso della Teologia della Liberazione che lei citava, mi sembra un esempio eloquente, perché gli interventi fondamentali in proposito da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede sono stati due: uno eminentemente critico, che ha messo in luce i limiti spesso connessi con la dipendenza ideologica di questa teologia; l'altro che ne ha messo in luce invece le acquisizioni, i contributi positivi soprattutto in vista di una teologia ispirata al primato della carità e del servizio. Io credo che in questa azione il magistero abbia compiuto esattamente ciò che diceva Ilario di Poitiers, e che molto più recentemente affermava Karl Rahner, cioè una azione non repressiva per spegnere la vita, ma di custodia e di promozione di quella vita autentica che soltanto la verità di Dio riesce a far sprigionare in noi. Riassumerei con la frase di Giovanni 8,32, che Giovanni Paolo II amava ripetere e che ripetè ancora a noi della Commissione Teolgica Internazionale quando si lavorava sul documento “Memoria e riconciliazione” per accompagnare la richiesta di perdono per le colpe della Chiesa: “La verità vi farà liberi”.

E allora, quanto più si serve la causa della verità, quanto più il magistero si pone al sevizio della testimonianza della verità, tanto più esso favorisce la libertà, l'autentica libertà che dà senso, pienezza, vita e salvezza al cuore dell'uomo.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Su vita e famiglia l'Europa ha bisogno di cambiare politica
Intervista all'on. Luca Volontè, membro della Commissione Affari Sociali del Consiglio d'Europa

di Antonio Gaspari

ROMA, mercoledì, 20 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Nonostante il crollo demografico che sta creando enormi problemi di carattere economico e sociale, nell’Unione europea ci sono ancora gruppi che sostengono una ulteriore riduzione delle nascite.

Un politica ancora più favorevole all’aborto e alle teorie malthusiane verrà sostenuta il 29 gennaio al Consiglio d’Europa dalla Christine McCafferty, nel corso della presentazione del  Rapporto "Quindici anni dopo il programma d'azione della Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo".

Nel 1994 si svolse a Il Cairo la conferenza delle Nazioni Unite su popolazione e sviluppo. Un'altra conferenza sul tema sarebbe dovuta avvenire dieci anni dopo, ma i gruppi a favore dell’aborto preferirono glissare perchè l’amministrazione statunitense, allora guidata da George Bush, si sarebbe opposta alle politiche antivita.

Ora, con la nuova amministrazione americana gli stessi gruppi malthusiani sono convinti di riuscire a far passare le loro politiche sui temi di vita e famiglia.

Per meglio comprendere i termini del dibattito, ZENIT ha intervistato l’on. Luca Volontè, membro della Commissione Affari Sociali del Consiglio d’Europa.

In che cosa consiste il Rapporto “Quindici anni dopo il programma d'azione della Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo” su cui la McCafferty terrà una relazione il 29 gennaio prossimo?

Volontè: Il Rapporto ha l’obiettivo di introdurre il ‘diritto all’aborto’ come diritto umano. Ribadisce, nell’opinone dei Socialisti europei e della relatrice McCafferty, componente autorevole del Board della International planned parenthood federation (Ippf), che la riduzione della popolazione mondiale è fondamentale per lo sviluppo e il benessere delle nazioni (ideologia Malthusiana). Inoltre, presenta aspetti ulteriori e molto preoccupanti invitando i Governi dei 47 Paesi Europei ad introdurre fin dalla prima infanzia scolastica, una educazione sessuale e una introduzione ai metodi di ‘salute sessuale riproduttiva’. In una parola, si vorrebbe trasformare  l’occasione dei 15 anni dalla conferenza de Il Cairo, in un ulteriore passo verso quelle ideologie anti-umane che non trovano sinora alcun consenso internazionale.

Il Forum della associazioni familiari italiane e altre associazioni come la ECLJ (European Center for Law & Justice) hanno fortemente criticato questo Rapporto, sostenendo che promuove l'aborto come un mezzo di pianificazione familiare e sostiene il controllo della popolazione secondo una mentalità malthusiana. Qual è il suo parere il proposito?

Volontè: Ho collaborato molto attivamente con i Forum delle famiglie italiani ed europei, lavoro assiduamente con diversi istituti europei e americani che si prodigano per la difesa e la promozione dei valori della famiglia fondata sul matrimonio eterosessuale e la vita umana. Dunque, lo testimoniano i mie puntuali emendamenti, firmati da esponenti di molte nazionalità, con molti amici ci stiamo impegnando per modificare radicalmente il Rapporto Mc Cafferty o, diversamente, per ‘bocciarlo’ in Assemblea.

L’Europa soffre di una gravissima crisi demografica. Attualmente nella Ue si pratica un aborto ogni 25 secondo e un divorzio ogni trenta. Sulla base di queste cifre drammatiche, le sembra che sia necessario discutere piani di allargamento della possibilità di aborto? Non sarebbe il caso di discutere come aiutare le donne per limitare il numero di interruzioni volontarie di gravidanza?

Volontè: Sono assolutamente d’accordo con lei. La crisi demografica europea, oltre ad essere inaccettabile sul piano laico e religioso (basta qui ricordare l’enorme tradizione giudaico-cristiana e la lucidissima battaglia laica di Norberto Bobbio e Pier Paolo Pasolini in Italia), è totalmente irrazionale per chiunque abbia a cuore il futuro dell’Europa. L’inverno demografico avrà conseguenza devastanti sul welfare di tutti i Paesi, ridurrà la ricchezza e diminuirà la forza lavoro e l’innovazione del continente europeo. Di questo dovremmo discutere e su questi problemi dovremmo impegnare l’Assemblea e il Comitato dei Ministri dei 47 Paesi del Consiglio d'Europa.

Quanto al secondo aspetto, il desiderio di maternità e paternità dei giovani europei e delle famiglie europee è altissimo rispetto al numero reale di figli. Si è discusso di questa ingiustizia, di cosa devono fare gli Stati per assecondare questi desideri a Vienna nel giugno scorso, i Governi sono all’opera per valorizzare questo desiderio positivo dei cittadini europei, mentre l’Assemblea pare distratta e ancorata ancora ad una mentalità cieca e sorda. Confido che, anche grazie ad un mio Rapporto già approvato in Commissione Affari Sociali, si possa intraprendere la giusta strada di investimento sulla coesione familiare per produrre coesione sociale e capitale umano.

Non crede sia arrivato il tempo per adottare politiche economiche e sociali a sostegno della cultura della vita e della famiglia?

Volontè: Tutti gli indicatori e gli studi statistici e sociali ci spingono ad investire sulla coesione familiare, sulla famiglia come cellula e fattore di educazione, responsabilità, virtù civili e dunque ‘buoni cittadini’. I dati sul disfacimento dei giovani che hanno vissuto condizioni di ‘rotture’ familiari sono drammatici, la dispersione di capitale umano e i costi per i welfare nazionali stanno portando interi Paesi al collasso. Questo decennio, così drammatico, è la più grande occasione che la Provvidenza ci dà per rilanciare con forza, come ci ricordava Giovanni Paolo II e ci dice Benedetto XVI, la Dottrina Sociale della Chiesa e la centralità della vita e della famiglia. Noi ne siamo da sempre convinti. Ora che la storia lo conferma sarebbe paradossale che i cristiani impegnati nella loro vita pubblica si chiudessero, intimoriti, nel silenzio.

Su questi temi come si sono schierati i gruppi politici presenti al Consiglio d’Europa?

Volontè: In Consiglio di Europa (47 Paesi di cui 27 sono membri della Ue), si fronteggiano due ampi schieramenti. Quello Popolare, generalmente favorevole ma troppo timido nella difesa di questi valori, con ampi settori dei conservatori (GDE) e quello guidato dai Socialisti, con alleanze significative con settori Liberali e della Sinistra estrema, legati alle vecchie ideologie di origine marxista leninista, maltusiana, eugenetica e libertaria.

Insomma un perenne invaghimento irrazionale del ’68. Sempre più urgente è rispondere concretamente all’appello del Cardinale Ratzinger del 2004, quando invitava tutti i credenti, non solo i politici, a concepirsi come ‘una minoranza creativa’ e, aggiungo io, ‘combattiva’. Anche nel Ppe se si combatte dando ragione delle proprie convinzioni, con l’aiuto di Dio, si possono vincere le battaglie fondamentali per il futuro dell’Europa, se invece si antepone ‘successo’, ‘carriera’ e ‘calcolo’ allora l’unica conseguenza è l’abbandono del futuro europeo nelle mani suicide di idee e culture che hanno già dimostrato il loro fallimento.

Non perdiamo la Speranza, preghiamo vicendevolmente per essere degni testimoni in questo terribile e fecondo tempo che il Signore ci dona, certi della verità delle parole del Papa Benedetto, “Dio si fa carne e ci accompagna nella nostra vita”.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Udienza del mercoledì


Benedetto XVI parla della Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani
Catechesi all'Udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 20 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale nell'aula Paolo VI, dove ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa ha parlato della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani.





* * *

Cari fratelli e sorelle!

Siamo al centro della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, un’iniziativa ecumenica, che si è andata strutturando ormai da oltre un secolo, e che attira ogni anno l’attenzione su un tema, quello dell’unità visibile tra i cristiani, che coinvolge la coscienza e stimola l’impegno di quanti credono in Cristo. E lo fa innanzitutto con l’invito alla preghiera, ad imitazione di Gesù stesso, che chiede al Padre per i suoi discepoli "Siano uno, affinché il mondo creda" (Gv 17,21). Il richiamo perseverante alla preghiera per la piena comunione tra i seguaci del Signore manifesta l’orientamento più autentico e più profondo dell’intera ricerca ecumenica, perché l’unità, prima di tutto, è dono di Dio. Infatti, come afferma il Concilio Vaticano Secondo: "il santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell’unica Chiesa di Cristo, una e unica, supera tutte le forze umane" (Unitatis Redintegratio, 24). Pertanto, oltre al nostro sforzo di sviluppare relazioni fraterne e promuovere il dialogo per chiarire e risolvere le divergenze che separano le Chiese e le Comunità ecclesiali, è necessaria la fiduciosa e concorde invocazione al Signore.

Il tema di quest’anno è preso dal Vangelo di san Luca, dalle ultime parole del Risorto ai suoi discepoli "Di questo voi siete testimoni" (Lc 24,48). La proposta del tema è stata chiesta dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, in accordo con la Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese, ad un gruppo ecumenico della Scozia. Un secolo fa la Conferenza Mondiale per la considerazione dei problemi in riferimento al mondo non cristiano ebbe luogo proprio ad Edimburgo, in Scozia, dal 13 al 24 giugno 1910. Tra i problemi allora discussi vi fu quello della difficoltà oggettiva di proporre con credibilità l’annuncio evangelico al mondo non cristiano da parte dei cristiani divisi tra loro. Se ad un mondo che non conosce Cristo, che si è allontanato da Lui o che si mostra indifferente al Vangelo, i cristiani si presentano non uniti, anzi spesso contrapposti, sarà credibile l’annuncio di Cristo come unico Salvatore del mondo e nostra pace? Il rapporto fra unità e missione da quel momento ha rappresentato una dimensione essenziale dell’intera azione ecumenica e il suo punto di partenza. Ed è per questo specifico apporto che quella Conferenza di Edimburgo rimane come uno dei punti fermi dell’ecumenismo moderno. La Chiesa Cattolica, nel Concilio Vaticano II, riprese e ribadì con vigore questa prospettiva, affermando che la divisione tra i discepoli di Gesù "non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma anche è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura" (Unitatis Redintegratio, 1).

In tale contesto teologico e spirituale si situa il tema proposto in questa Settimana per la meditazione e la preghiera: l’esigenza di una testimonianza comune a Cristo. Il breve testo proposto come tema "Di questo voi siete testimoni" è da leggere nel contesto dell’intero capitolo 24 del Vangelo secondo Luca. Ricordiamo brevemente il contenuto di questo capitolo. Prima le donne si recano al sepolcro, vedono i segni della Risurrezione di Gesù e annunciano quanto hanno visto agli Apostoli e agli altri discepoli (v. 8); poi lo stesso Risorto appare ai discepoli di Emmaus lungo il cammino, appare a Simon Pietro e successivamente, agli "Undici e agli altri che erano con loro" (v. 33). Egli apre la mente alla comprensione delle Scritture circa la sua Morte redentrice e la sua Risurrezione, affermando che "nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati" (v. 47). Ai discepoli che si trovano "riuniti" insieme e che sono stati testimoni della sua missione, il Signore Risorto promette il dono dello Spirito Santo (cfr v. 49), affinché insieme lo testimonino a tutti i popoli. Da tale imperativo – "Di tutto ciò", di questo voi siete testimoni (cfr Lc 24,48) -, che è il tema di questa Settimana per l’unità dei cristiani, nascono per noi due domande. La prima: cosa è "tutto ciò"? La seconda: come possiamo noi essere testimoni di "tutto ciò"?

Se vediamo il contesto del capitolo, "tutto ciò" vuole dire innanzitutto la Croce e la Risurrezione: i discepoli hanno visto la crocifissione del Signore, vedono il Risorto e così cominciano a capire tutte le Scritture che parlano del mistero della Passione e del dono della Risurrezione. "Tutto ciò" quindi è il mistero di Cristo, del Figlio di Dio fattosi uomo, morto per noi e risorto, vivo per sempre e così garanzia della nostra vita eterna.

Ma conoscendo Cristo – questo è il punto essenziale - conosciamo il volto di Dio. Cristo è soprattutto la rivelazione di Dio. In tutti i tempi, gli uomini percepiscono l’esistenza di Dio, un Dio unico, ma che è lontano e non si mostra. In Cristo questo Dio si mostra, il Dio lontano diventa vicino. "Tutto ciò" è quindi, soprattutto col mistero di Cristo, Dio che si è fatto vicino a noi. Ciò implica un’altra dimensione: Cristo non è mai solo; Egli è venuto in mezzo a noi, è morto solo, ma è risorto per attirare tutti sé. Cristo, come dice la Scrittura, si crea un corpo, riunisce tutta l’umanità nella sua realtà della vita immortale. E così, in Cristo che riunisce l’umanità, conosciamo il futuro dell’umanità: la vita eterna. Tutto ciò, quindi, è molto semplice, in ultima istanza: conosciamo Dio conoscendo Cristo, il suo corpo, il mistero della Chiesa e la promessa della vita eterna.

Veniamo ora alla seconda domanda. Come possiamo noi essere testimoni di "tutto ciò"? Possiamo essere testimoni solo conoscendo Cristo e, conoscendo Cristo, anche conoscendo Dio. Ma conoscere Cristo implica certamente una dimensione intellettuale - imparare quanto conosciamo da Cristo - ma è sempre molto più che un processo intellettuale: è un processo esistenziale, è un processo dell'apertura del mio io, della mia trasformazione dalla presenza e dalla forza di Cristo, e così è anche un processo di apertura a tutti gli altri che devono essere corpo di Cristo. In questo modo, è evidente che conoscere Cristo, come processo intellettuale e soprattutto esistenziale, è un processo che ci fa testimoni. In altre parole, possiamo essere testimoni solo se Cristo lo conosciamo di prima mano e non solo da altri, dalla nostra propria vita, dal nostro incontro personale con Cristo. Incontrandolo realmente nella nostra vita di fede diventiamo testimoni e possiamo così contribuire alla novità del mondo, alla vita eterna. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dà un'indicazione anche per il contenuto di questo "tutto ciò". La Chiesa ha riunito e riassunto l'essenziale di quanto il Signore ci ha donato nella Rivelazione, nel "Simbolo detto niceno-costantinopolitano, il quale trae la sua grande autorità dal fatto di essere frutto dei primi due Concili Ecumenici (325 e 381)" (CCC, n. 195). Il Catechismo precisa che questo Simbolo "è tuttora comune a tutte le grandi Chiese dell’Oriente e dell’Occidente" (Ibid.). In questo Simbolo quindi si trovano le verità di fede che i cristiani possono professare e testimoniare insieme, affinché il mondo creda, manifestando, con il desiderio e l’impegno di superare le divergenze esistenti, la volontà di camminare verso la piena comunione, l’unità del Corpo di Cristo.

La celebrazione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani ci porta a considerare altri aspetti importanti per l’ecumenismo. Innanzitutto, il grande progresso realizzato nelle relazioni tra Chiese e Comunità ecclesiali dopo la Conferenza di Edimburgo di un secolo fa. Il movimento ecumenico moderno si è sviluppato in modo così significativo da diventare, nell’ultimo secolo, un elemento importante nella vita della Chiesa, ricordando il problema dell’unità tra tutti i cristiani e sostenendo anche la crescita della comunione tra loro. Esso non solo favorisce i rapporti fraterni tra le Chiese e le Comunità ecclesiali in risposta al comandamento dell’amore, ma stimola anche la ricerca teologica. Inoltre, esso coinvolge la vita concreta delle Chiese e delle Comunità ecclesiali con tematiche che toccano la pastorale e la vita sacramentale, come, ad esempio, il mutuo riconoscimento del Battesimo, le questioni relative ai matrimoni misti, i casi parziali di comunicatio in sacris in situazioni particolari ben definite. Nel solco di tale spirito ecumenico, i contatti sono andati allargandosi anche a movimenti pentecostali, evangelici e carismatici, per una maggiore conoscenza reciproca, benchè non manchino problemi gravi in questo settore.

La Chiesa cattolica, dal Concilio Vaticano II in poi, è entrata in relazioni fraterne con tutte le Chiese d’Oriente e le Comunità ecclesiali d’Occidente, organizzando, in particolare, con la maggior parte di esse, dialoghi teologici bilaterali, che hanno portato a trovare convergenze o anche consensi in vari punti, approfondendo così i vincoli di comunione. Nell’anno appena trascorso i vari dialoghi hanno registrato positivi passi. Con le Chiese Ortodosse la Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico ha iniziato, nell’XI Sessione plenaria svoltasi a Paphos di Cipro nell’ottobre 2009, lo studio di un tema cruciale nel dialogo fra cattolici e ortodossi: Il ruolo del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo millennio, cioè nel tempo in cui i cristiani di Oriente e di Occidente vivevano nella piena comunione. Questo studio si estenderà in seguito al secondo millennio. Ho già più volte chiesto la preghiera dei cattolici per questo dialogo delicato ed essenziale per l’intero movimento ecumenico. Anche con le Antiche Chiese ortodosse d’Oriente (copta, etiopica, sira, armena) l’analoga Commissione Mista si è incontrata dal 26 al 30 gennaio dello scorso anno. Tali importanti iniziative attestano come sia in atto un dialogo profondo e ricco di speranze con tutte le Chiese d’Oriente non in piena comunione con Roma, nella loro propria specificità.

Nel corso dell’anno passato, con le Comunità ecclesiali di Occidente si sono esaminati i risultati raggiunti nei vari dialoghi in questi quarant’anni, soffermandosi, in particolare, su quelli con la Comunione Anglicana, con la Federazione Luterana Mondiale, con l’Alleanza Riformata Mondiale e con il Consiglio Mondiale Metodista. Al riguardo, il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani ha realizzato uno studio per enucleare i punti di convergenza a cui si è giunti nei relativi dialoghi bilaterali, e segnalare, allo stesso tempo, i problemi aperti su cui occorrerà iniziare una nuova fase di confronto.

Tra gli eventi recenti, vorrei menzionare la commemorazione del decimo anniversario della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, celebrato insieme da cattolici e luterani il 31 ottobre 2009, per stimolare il proseguimento del dialogo, come pure la visita a Roma dell’Arcivescovo di Canterbury, il Dottor Rowan Williams, il quale ha avuto anche colloqui sulla particolare situazione in cui si trova la Comunione Anglicana. Il comune impegno di continuare le relazioni e il dialogo sono un segno positivo, che manifesta quanto sia intenso il desiderio dell’unità, nonostante tutti i problemi che si oppongono. Così vediamo che c’è una dimensione della nostra responsabilità nel fare tutto ciò che è possibile per arrivare realmente all’unità, ma c’è l’altra dimensione, quella dell’azione divina, perché solo Dio può dare l’unità alla Chiesa. Una unità "autofatta" sarebbe umana, ma noi desideriamo la Chiesa di Dio, fatta da Dio, il quale quando vorrà e quando noi saremo pronti, creerà l’unità. Dobbiamo tenere presente anche quanti progressi reali si sono raggiunti nella collaborazione e nella fraternità in tutti questi anni, in questi ultimi cinquant’anni. Allo stesso tempo, dobbiamo sapere che il lavoro ecumenico non è un processo lineare. Infatti, problemi vecchi, nati nel contesto di un’altra epoca, perdono il loro peso, mentre nel contesto odierno nascono nuovi problemi e nuove difficoltà. Pertanto dobbiamo essere sempre disponibili per un processo di purificazione, nel quale il Signore ci renda capaci di essere uniti.

Cari fratelli e sorelle, per la complessa realtà ecumenica, per la promozione del dialogo, come pure affinché i cristiani nel nostro tempo possano dare una nuova testimonianza comune di fedeltà a Cristo davanti a questo nostro mondo, chiedo la preghiera di tutti. Il Signore ascolti l’invocazione nostra e di tutti i cristiani, che in questa settimana si eleva a Lui con particolare intensità.



[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i partecipanti al pellegrinaggio promosso dalle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù, in occasione dell’inaugurazione e benedizione della statua della loro Fondatrice, collocata presso le fondamenta della Basilica Vaticana. Cari amici, sull’esempio di santa Raffaella Maria, siate anche voi testimoni dell’amore misericordioso di Dio. Saluto con affetto i fedeli della parrocchia Santo Nome di Maria in Caserta, convenuti così numerosi in occasione del 25° anniversario di fondazione della loro comunità cristiana. Mentre vi ringrazio per la vostra visita, auspico che questa fausta ricorrenza susciti nuovo impulso per progredire nella fedele e generosa adesione a Cristo e alla Chiesa. Saluto la Pia Associazione del Sacro Cuore di Gesù in Trastevere, che in questi giorni ricorda con opportune iniziative l’80° anniversario della morte del Cardinale Rafael Merry del Val.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli, che oggi vorrei esortare a tradurre in atteggiamenti concreti la preghiera per l’unità dei cristiani. Questi giorni di riflessione costituiscano per voi, cari giovani, un invito ad essere ovunque operatori di pace e di riconciliazione; per voi, cari ammalati, un momento propizio ad offrire le vostre sofferenze per una comunione dei cristiani sempre più piena; e per voi, cari sposi novelli, l’occasione per vivere ancor più la vostra vocazione speciale con un cuore solo ed un’anima sola.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su



Nessun commento:

Related Posts with Thumbnails