sabato 13 febbraio 2010

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ZENIT

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Servizio quotidiano - 12 febbraio 2010

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Il Papa ai futuri sacerdoti: il cristianesimo non è moralismo ma dono
Nella Lectio divina di fronte ai seminaristi della diocesi di Roma

di Mirko Testa

ROMA, venerdì, 12 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Il cristianesimo non consiste nel rispettare delle norme esteriori quanto nel penetrare il mistero di Dio, che si è sacrificato gratuitamente ed ha sofferto per amore, e modellare su di esso il nostro agire.

E' quanto ha detto, questo venerdì sera, Benedetto XVI incontrandosi nella Cappella del Seminario Romano Maggiore con i circa 200 alunni seminaristi della diocesi di Roma - accompagnati dai loro rettori, direttori spirituali ed educatori – e con i ragazzi dell'anno propedeutico che stano verificando la loro vocazione e la possibilità di entrare in seminario l'anno prossimo.

La tradizione vuole che in occasione della Festa della Patrona dell’istituto - la Madonna della Fiducia, che viene celebrata il 13 febbraio - il Pontefice incontri i seminaristi e si trattenga con loro a cena.

Quest’anno, per la prima volta, si sono raccolti insieme al Seminario Romano per incontrare il Papa tutti i seminaristi della diocesi di Roma, compresi quelli quindi del Pontificio Seminario Romano Minore, del Collegio diocesano “Redemptoris Mater”, dell'Almo Collegio Capranica e del Seminario della Madonna del Divino Amore.

Prima dell'incontro il Pontefice, accompagnato dal Rettore del Seminario Romano Maggiore, mons. Giovanni Tani, e dal Cardinale Vicario Agostino Vallini, si è raccolto per qualche istante in preghiera.

A fare gli onori di casa è stato mons. Tani che in un breve indirizzo di saluto ha ricordato che “da anni, precisamente dal 1993, in occasione del Sinodo Romano è il Papa che ordina insieme tutti i presbiteri della sua diocesi. In questi ultimi anni si sono aggiunti altri momenti comunitari vissuti da tuti i seminaristi di Roma”.

“Di particolare importanza è la settimana di settembre durante la quale i seminaristi dei 4 seminari maggiori vivono insieme – ha continuato –. Innanzitutto, per conoscersi e poi per riflettere e confrontarsi su temi di formazione al presbiterato e su aspetti della vita della diocesi di Roma”.

“Viviamo con gioia e trepidazione questo momento, Santità, durante il quale lei come primo nostro formatore ci aiuterà ad ascoltare la Parola del Signore e a camminare nella sua volontà”, ha poi terminato.

Dio, radice della sua vigna

Subito dopo il Papa ha tenuto la lectio divina incentrata sulla parabola della vite e dei tralci (Gv 15,1-8), che ben si colloca nell'Anno sacerdotale in corso, perché “parla indirettamente ma profondamente del sacramento, della chiamata, dello stare nella vigna del Signore e di essere servitore del suo mistero”.

La vite – ha spiegato il Pontefice – è una immagine veterotestamentaria che serve a indicare il Popolo di Dio: “Dio ha piantato una vite in questo mondo. Dio ha coltivato questa vite, la sua vigna, protetto questa sua vigna”.

Allo stesso tempo, ha continuato, “questa immagine della vite, della vigna ha un significato sponsale ed è espressione del fatto che Dio cerca l'amore della sua creatura, che vuole entrare in una relazione di amore, in una relazione sponsale con il mondo tramite il Popolo da lui eletto”.

Tuttavia, ha commentato il Santo Padre, “la storia concreta è una storia di infedeltà” che invece di “uva preziosa” ha generato “solo piccole cose immangiabili”.

Infatti, “questa unità, questa unione senza condizione tra uomo e Dio” non si è tramutata “nella comunione dell'amore”. Al contrario, “l'uomo si ritira in se stesso, vuole avere se stesso, vuole avere Dio per sé, vuole avere il mondo per sé. E così la vigna viene devastata” e “diventa un deserto”.

Ma “Dio – ha continuato il Santo Padre – si fa uomo e diventa egli stesso così radice della vite” e “così la vite è indistruttibile poiché Dio stesso si è impiantato in questa terra”.

Ecco dunque che “il cristianesimo non è un moralismo. Non siamo noi che dobbiamo fare quanto Dio si aspetta dal mondo”, perché in realtà “dobbiamo, innanzitutto, entrare in questo mistero ontologico in cui Dio si dà”.

Dobbiamo “stare in Lui”, identificarci con Lui, essere “nobilitati nel suo sangue” per “agire con Cristo”, perché - ha spiegato il Papa - “l'etica è conseguenza dell'essere” e “l'essere precede l'agire”. “Non è più una obbedienza, una cosa esteriore ma è realizzazione del dono del nuovo essere”.

Vivere nella creatività dell'amore di Cristo

Successivamente il Papa ha ricordato l'invito rivolto da Gesù agli apostoli nel contesto dell'Ultima Cena: “amatevi come io vi ho amati”, commentando che quella qui espressa è “una radicalizzazione dell'amore del prossimo a imitazione del Cristo”.

“Ma anche qui la vera novità non è quanto facciamo noi, la vera novità è quanto ha fatto il Signore. Il Signore ci ha dato se stesso”, ci “ha dato la vera novità di essere membri nel suo Corpo”.

E quindi, “la nuova Legge non è un altro mandato più difficile degli altri. La nuova Legge è un dono”, è “la presenza dello Spirito Santo datoci nel sacramento del Battesimo, nella Cresima e datoci ogni giorno nella Santissima Eucaristia”.

“La novità quindi è che Dio si è fatto conoscere – ha aggiunto –, che Dio si è mostrato, che Dio non è più il Dio ignoto, cercato ma non trovato o solo indovinato da lontano”. “Dio si è fatto vedere nel volto di Cristo”, “si è mostrato nella sua totale realtà, ha mostrato che è ragione e amore” e così ci ha resi suoi amici.

“Purtroppo ancora oggi – ha osservato il Pontefice – molti vivono lontani da Cristo, non conoscono il suo volto e così l'eterna tentazione del dualismo si rinnova sempre e forse non c'è solo un principio buono ma anche un principio del male”, così che a dominare è la visione di un mondo in balia di “due realtà ugualmente forti”.

“Anche nella teologia cattolica – ha poi lamentato – si diffonde adesso questa tesi che Dio non sarebbe onnipotente”. Si tenta cioè una sorta di “apologia di Dio”, secondo cui Dio “non sarebbe responsabile per il male che troviamo ampiamente nel mondo”.

“Ma che povera apologia: un Dio non onnipotente”. “E come potremmo affidarci a questo Dio, come potremmo essere sicuri nel suo amore se questo amore finisce dove comincia il potere del male?”, si è domandato.

“Ma Dio non è più sconosciuto: nel volto del Cristo crocifisso vediamo Dio e vediamo la vera onnipotenza, non il mito dell'onnipotenza”, quel mito alimentato dagli uomini che concepiscono la potenza come “capacità di distruggere, di far male”.

Al contrario, ha spiegato il Papa, “la vera onnipotenza è amare fino al punto che Dio può soffrire” per noi.

Ecco dunque che la stessa vera giustizia si rivela non più come una “obbedienza ad alcune norme” ma come “l'amore creativo che trova di per sé la ricchezza e l'abbondanza del bene”; come il “vivere nella creatività dell'amore con Cristo e in Cristo”, di un amore impregnato di “dinamismo”.

Pregare come processo di purificazione

Il Papa è quindi passato a parlare del valore della preghiera e dell'importanza di invocare da Dio “il dono divino”, “la grande realtà”, “perché ci dia il suo Spirito così che possiamo rispondere alle esigenze della vita e aiutare gli altri nelle loro sofferenze”.

“E' giusto pregare Dio anche per le cose piccole della nostra vita di ogni giorno – ha precisato il Pontefice – ma allo stesso tempo il pregare è un cammino, direi una scala: dobbiamo sempre più imparare le cose che possiamo pregare e le cose che non vanno pregate perché sono espressione del mio egoismo” o della “mia superbia”.

In questo modo, pregare “diventa un processo di purificazione dei nostri pensieri, dei nostri desideri”.

“Rimanere in Cristo è un processo di lenta purificazione, di liberazione da me stesso”, un “cammino vero” che si apre alla gioia e che è caratterizzato da “un sottofondo sacramentale”.

“Così – ha continuato – possiamo imparare che Dio risponde alle nostre preghiere”, e spesso “le corregge, le trasforma, le guida perché siamo finalmente e realmente rami del suo Figlio, della 'vite vera', membri del suo Corpo”.

“Ringraziamo Dio per la grandezza del suo amore – ha quindi concluso –. Preghiamo perché ci aiuti a crescere nel suo amore e a rimanere realmente nel suo amore”.

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Esperienza diretta in parrocchia e classi ristrette per i futuri sacerdoti
Alcuni cambiamenti nell'iter formativo dei seminaristi

ROMA, venerdì, 12 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Un anno pastorale, durante il quale i seminaristi potranno compiere un'esperienza diretta in parrocchia per quattro giorni alla settimana e la formazione di classi con un numero inferiore di studenti: sono queste le due principali innovazioni nel progetto formativo del seminario di oggi.

In una intervista a “L'Osservatore Romano”, il Rettore del Pontificio Seminario Romano Maggiore, mons. Giovanni Tani, ha spiegato che la comunità del suo seminario “è composta da alunni non solo di Roma, ma anche di altre diocesi d'Italia e del mondo”.

“Abbiamo 14 studenti non italiani; provengono dall'Argentina, da Haiti, da Paesi europei e dell'Est asiatico – ha continuato –. Ci sono poi 44 alunni provenienti da tutta Italia, in rappresentanza di 20 diocesi. I seminaristi romani sono 28. Complessivamente la comunità conta 86 alunni”.

Mons. Tani ha poi rivelato al quotidiano vaticano che “dal prossimo anno gli studenti seguiranno un anno pastorale, cioè un periodo durante il quale ancora prima di aver ricevuto l'ordinazione diaconale, per quattro giorni alla settimana, dal giovedì alla domenica, presteranno servizio nelle varie parrocchie della città”.

“La seconda novità – ha continuato – è che anche per l'anno successivo, il settimo dell'iter formativo, quello dell'ordinazione diaconale, prevede quattro giorni di presenza nelle parrocchie.

“Ovviamente ciò comporta che, se si considera l'anno propedeutico obbligatorio, salgono a otto gli anni di permanenza complessiva in seminario. Al termine del settimo anno gli studenti avranno già concluso anche gli studi”, ha aggiunto.

“Un altro cambiamento importante è la suddivisione della comunità in piccoli gruppi – ha spiegato ancora il Rettore del Pontificio Seminario Romano Maggiore –. Le classi così ridotte verranno seguite da un educatore che sarà a contatto quotidiano con gli alunni. Una classe avrà per due anni lo stesso educatore per la filosofia e per tre anni un altro educatore per la teologia”.

“L'intento – ha chiarito – è quello di favorire una conoscenza più approfondita degli studenti, in modo da offrire dei consigli e degli aiuti più appropriati”.

Intervistato dalla Radio Vaticana, mons. Tani parlando invece degli aspetti che è necessario approfondire in un percorso di formazione ha spiegato che “l’attenzione principale è quella alla persona affinché riesca a comprendersi, a conoscersi e a capire veramente che la chiamata viene da Dio, che non è un’autochiamata, che non è un autopromuoversi al sacerdozio”.

“Ci vuole una dedizione di sé alla preghiera, al dialogo col Signore, che sia intensa e che sia profonda – ha detto –. Che la preghiera non sia soltanto rituale ed esterno, ma che sia veramente un dialogo profondo dell’io con il Signore”.

“Poi, ci vuole una capacità di relazione con gli altri, che sia soprattutto saper mettere gli altri al primo posto e non ricercare se stessi, ma cercare veramente il bene dell’altro”, ha continuato.

Circa le iniziative per l'Anno sacerdotale, mons. Tani ha detto che il suo seminario sta promuovendo una serie di incontri a sfondo vocazionale per i giovani.

“Queste conversazioni hanno due cadenze – ha affermato –: la prima comprende tre momenti nell'arco dell'anno, dove i giovani sono invitati a riflettere sulla vocazione e sul senso della vita”.

“La seconda cadenza è mensile – ha proseguito –: appuntamenti di meditazione e riflessione incentrati sulla lectio divina sul Vangelo di Giovanni, dove si narra dell'episodio del cieco nato”.

“Vi partecipano un centinaio di giovani e in alcuni di loro si sta manifestando una chiamata vocazionale”, ha concluso.

[Per maggiori informazioni: www.seminarioromano.it]

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Benedetto XVI: da cristiani nelle società secolarizzate
Nell'udienza ai Vescovi della Romania in visita "ad Limina"

ROMA, venerdì, 12 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Testimoniare i valori cristiani nelle società secolarizzate, valorizzare le radici cristiane dell’Europa e promuovere il dialogo tra ortodossi e cattolici. Sono queste le consegne che Benedetto XVI ha lasciato ai Vescovi romeni nel riceverli questo venerdì in udienza in occasione della loro visita “ad Limina Apostolorum”.

“Purtroppo – ha detto il Papa –, nel nostro tempo non sono poche le insidie verso l'istituzione familiare in una società secolarizzata e disorientata”.

“Le famiglie cattoliche dei vostri Paesi – ha aggiunto –, che, durante il tempo della prova, hanno testimoniato, talora a caro prezzo, la fedeltà al Vangelo, non sono immuni dalle piaghe dell'aborto, della corruzione, dell'alcolismo e della droga, come pure del controllo delle nascite mediante metodi contrari alla dignità della persona umana”.

Per combattere queste sfide, è stato l’invito del Papa ai presuli, “occorre promuovere consultori parrocchiali che assicurino un'adeguata preparazione alla vita coniugale e familiare, nonché organizzare meglio la pastorale giovanile”.

E ciò soprattutto, ha continuato, perché “la trasformazione del sistema industriale e agricolo, la crisi economica, l’emigrazione all’estero, non hanno favorito la tenuta dei valori tradizionali, che vanno, perciò, riproposti e rafforzati”.

Poco prima, nel suo indirizzo di saluto, l'Arcivescovo di Bucarest e Presidente dell’episcopato romeno, mons. Ioan Robu, aveva spiegato che al fine di far fronte all'alto tasso di famiglie segnate da separazioni e divorzi, alla piaga dell'aborto come metodo di pianificazione delle nascite e all'abbandono dei bambini “si sta sviluppando la pastorale dei giovani e delle famiglie e si è potenziato il servizio sociale della Caritas”.

Nel suo discorso il Papa ha quindi sottolineato che “occorre, soprattutto, un deciso impegno per favorire la presenza dei valori cristiani nella società, sviluppando centri di formazione dove i giovani possano conoscere i valori autentici, impreziositi dal genio della cultura dei vostri Paesi, così da poterli testimoniare negli ambienti dove vivono”.

“La Chiesa – ha continuato – vuole dare il suo contributo determinante alla costruzione di una società riconciliata e solidale, capace di far fronte al processo di secolarizzazione in atto”.

Il Pontefice ha poi parlato delle relazioni tra cattolici e ortodossi.

A questo proposito l'Arcivescovo di Bucarest aveva affermato che il dialogo con la Chiesa Ortodossa “procede molto lentamente e non è riuscito ancora a risolvere il problema della restituzione degli edifici sacri confiscati dal regime alla Chiesa greco-cattolica nel 1948”.

“È nostra convinzione – aveva aggiunto, secondo quanto riferito da “L'Osservatore Romano” - che i medesimi luoghi di culto potrebbero ben essere utilizzati dai greco-cattolici e dagli ortodossi con celebrazioni svolte di comune accordo in momenti diversi”.

E in alcuni casi — aveva proseguito l'Arcivescovo Robu – è ancora più angoscioso “assistere impotenti alla demolizione di edifici sacri un tempo appartenuti alla Chiesa unita. Va comunque rilevato che, al di là di tali questioni, insieme ai nostri fratelli ortodossi, proprio perché abbiamo tante cose in comune, stiamo sviluppando promettenti collaborazioni a livello sociale - tramite la Caritas - e in ambito spirituale; ma pure nel settore accademico, nell'Università Babes-Bolyai di Cluj, all'istituto di Storia ecclesiastica e al Centro di bioetica, costituito in collaborazione con l'Università Cattolica di Milano, afferiscono docenti della Facoltà Teologica ortodossa, e delle facoltà teologiche greco-cattolica e romano-cattolica, oltre che di quella riformata”.

Il Presidente dei Vescovi romeni aveva quindi espresso preoccupazione circa l'atteggiamento assunto dalle autorità politiche in merito alla cattedrale di San Giuseppe di Bucarest: “le nostre istanze, presentate al presidente della Repubblica e al Governo, sono cadute nel vuoto e quello che potremmo definire un 'ecomostro' cresce sempre più a fianco dello storico e sacro edificio”.

Rispondendo alle ansie dei presuli romeni, il Pontefice si è detto “consapevole delle difficoltà che devono affrontare, in questo ambito, le comunità cattoliche”, auspicando che “si possano trovare soluzioni adeguate, in quello spirito di giustizia e carità che deve animare i rapporti tra fratelli in Cristo” e che la “testimonianza di fraternità tra loro” prevalga “sulle divisioni e sui dissidi e apra i cuori alla riconciliazione”.

Benedetto XVI ha poi ricordato “la storica visita” di Giovanni Paolo II in Romania nel 1999, ed ha espresso il desiderio che il sentimento di unità messo in evidenza da quella visita “alimenti la preghiera e l’impegno a dialogare nella carità e nella verità e a promuovere iniziative comuni”.

Il Santo Padre ha quindi indicato nella difesa delle radici cristiane dell’Europa e dei valori cristiani, su temi come la famiglia, la bioetica, i diritti umani, l’onestà nella vita pubblica e l’ecologia un possibile ambito di collaborazione tra ortodossi e cattolici.

“L’impegno unitario su tali argomenti offrirà un importante contributo alla crescita morale e civile della società – ha commentato –. Un costruttivo dialogo tra ortodossi e cattolici non mancherà di essere fermento di unità e di concordia non solo per i vostri Paesi, ma anche per l’intera Europa”.


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Notizie dal mondo


Haiti: a un mese dal terremoto, tre giornate di preghiera per le vittime
Iniziativa del Governo haitiano dal 12 al 15 febbraio

ROMA, venerdì, 12 febbraio 2010 (ZENIT.org).- A un mese dal terremoto che ha sconvolto Haiti il 12 gennaio scorso, il Governo di Haiti ha dichiarato i giorni che vanno da questo venerdì a lunedì 15 febbraio giornate di preghiera.

Il sisma ha provocato almeno 230.000 morti. Delle 500.000 persone rimaste senza un tetto, molte vivono ora in campi improvvisati a Port-au-Prince.

Il Nunzio Apostolico ad Haiti, l'Arcivescovo Bernardito Cleopas Auza, ha ospitato questo giovedì un incontro della Caritas presso l'Ambasciata della Santa Sede a Port-au-Prince per analizzare le operazioni di soccorso e le sfide a lungo termine come l'istruzione, l'agricoltura, la ricostruzione e la preparazione contro i disastri.

“Dobbiamo aiutare gli haitiani a diventare autosufficienti – ha dichiarato –. Haiti ha bisogno di più sostegno strutturato”.

“Ad ogni modo”, ha confessato, “guardo al futuro con fiducia”.

All'incontro hanno partecipato anche il Segretario Generale di Caritas Internationalis, Lesley-Anne Knight, il presidente di Caritas America Latina e Caribe, il Vescovo Fernando Bargallo, le organizzazioni Caritas di tutto il mondo e i direttori diocesani di Caritas Haiti.

“La Caritas si impegna non solo a ricostruire la infrastrutture distrutte, ma anche ad assicurare la dignità e lo sviluppo sostenibile di tutti gli haitiani”, ha detto Lesley-Anne Knight. Finora l'organizzazione ha fornito cibo a più di 200.000 persone, medicinali a 10.000 e altro materiale di base a 60.000.

Il Catholic Relief Services (CRS) ha distribuito riso del Programma Alimentare Mondiale a quasi 200.000 persone e spera di arrivare a 260.000 assistiti.

La Caritas sta fornendo assistenza sanitaria in dieci luoghi e ha formato 40 persone per portare messaggi sulla salute pubblica nei campi. Ha anche sostenuto l'ospedale S. Francesco di Sales effettuando 20-25 interventi chirurgici al giorno.

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Giustizia e Pace Europa chiede all'UE di lottare contro l'esclusione sociale
In occasione dell'anno dedicato a questo tema

di Nieves San Martín

PARIGI, venerdì, 12 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Il 2010 è stato dichiarato “Anno europeo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale”. In questa occasione, Giustizia e Pace Europa rivolge un appello agli Stati Europei chiedendo azioni di solidarietà in tempi di crisi.

Giustizia e Pace Europa è una rete di 31 commissioni di Giustizia e Pace che hanno ricevuto dalle loro Conferenze Episcopali il mandato per parlare della lotta alla povertà e a favore dei diritti umani, della pace, della riconciliazione e dello sviluppo.

“Dobbiamo riconoscere che l'unica opportunità che abbiamo per trovare una risposta duratura alle crisi attuali sta nei nostri sforzi rinnovati per la solidarietà globale e la cooperazione – afferma l'organizzazione ecclesiale –. Le crisi attuali sono un allarme urgente di fronte al potenziale distruttivo di una crescente crisi economica non regolata e di un modello di sviluppo che non mette al centro la giustizia sociale”.

Per questo, la Conferenza delle Commissioni Giustizia e Pace d'Europa lancia un appello a tutti gli Stati europei affinché intraprendano una serie di passi nella “lotta contro la povertà e l'esclusione sociale”.

L'organizzazione ecclesiale chiede l'avvio di misure efficienti di lotta alla povertà e all'esclusione, partendo dalla convinzione che questa lotta sia importante per il futuro di un Paese almeno quanto la difesa del sistema finanziario.

Chiede di introdurre un sistema di norme e direttive “per assicurare che le attività economiche e finanziarie non siano svolte a detrimento dello sviluppo umano, né contro i nostri doveri di solidarietà internazionale, e che non violino i diritti umani”.

Sollecita inoltre lo sviluppo della trasparenza economica con l'introduzione di standard e certificati perché le imprese rispettino norme e direttive, e chiedono che lo stesso valga anche per il settore bancario e finanziario (ad esempio, il dovere delle multinazionali di pagare le tasse nel luogo di produzione).

L'organizzazione insiste sull'introduzione di un'imposta sulle transazioni e sui benefici finanziari a favore dell'aiuto allo sviluppo o del finanziamento di strutture di pubblica utilità, sul sostegno a una politica di sviluppo centrata sulle condizioni di vita e di lavoro che rispetti la dignità umana in tutti i Paesi e sulla soppressione delle condizioni di disuguaglianza per lo sviluppo e il commercio.

Conclude quindi la sua dichiarazione chiedendo maggiori sforzi in Europa per limitare le cause e le conseguenze dei cambiamenti climatici, esortando parallelamente a sostenere i Paesi in via di sviluppo che affrontano questi cambiamenti mettendo a disposizione risorse finanziarie e tecniche.


[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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Quello che le donne cattoliche vogliono per San Valentino

di Genevieve Pollock

HYATTSVILLE, venerdì, 12 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Il giorno di San Valentino si avvicina, e molti uomini si apprestano a preparare quello che sembra un esame generale annuale dello stato delle loro relazioni.

Si chiedono: “Quest'anno vorrà qualcosa di materiale, come diamanti o rose, o piuttosto un'uscita di sera?”, “Mi ha lanciato dei suggerimenti che non ho colto?”, “E se pensassi di sapere quello che vuole e poi lei mi dice qualcosa che mi coglie impreparato?”.

ZENIT ha chiesto a Rebecca Ryskind Teti, moglie e madre, di rivelare quello che le donne vogliono davvero il 14 febbraio. La Teti collabora come editor a Faith & Family Magazine e scrive articoli nella sezione In Good Company della Catholic News Agency.

Cura anche il blog www.faithandfamilylive.com, e ha chiesto alle sue lettrici, donne di ogni Paese, i progetti e le speranze che hanno per questa domenica.

“I regali aiutano”, ha dichiarato collegandosi al bombardamento di annunci televisivi che danno l'impressione che tutte le donne il 14 febbraio vogliano diamanti e telefoni cellulari.

“Gli annunci esagerano per vendere prodotti concreti, ma nella misura in cui un regalo è una dimostrazione di qualcosa di più profondo – amore, affetto o riconoscenza – è ovviamente molto gradito”.

“Le cose materiali non hanno il potere di renderci felici, ma fanno sì che la nostra routine quotidiana sia un po' più dolce. Non viviamo di solo pane, ma anche grazie al pane”.

La maggior parte delle donne che ha interpellato, riferisce, “dice di aspettarsi piaceri semplici: un biglietto, un po' di cioccolata, forse un'unica rosa. Alcune aspettano un'opportunità per mettersi un po' in ghingheri e uscire, altre si aspettano una tranquilla serata casalinga”.

“Il desiderio sembra essere quello di spezzare la routine dei compiti e dei doveri per poter godere un po' della compagnia dell'altro”.

La vera bellezza

La Teti ha quindi richiamato la “Teologia del Corpo” di Giovanni Paolo II, sottolineando che grazie a questa la Chiesa “comprende più profondamente che mai il senso della definizione della Genesi 'maschio e femmina li creò'”.

“L'uomo e la donna insieme presentano all'umanità un'immagine di Dio. La vocazione della donna è rivelare la bellezza di Dio al modo”, ha spiegato.

La donna, osserva, “è fatta per essere bella”. “L'enfasi della nostra cultura sulla bellezza fisica non è sbagliata, ma poco profonda, e spesso mal indirizzata”.

“Il modo più profondo in cui una donna è bella è quando rivela agli altri la propria bontà, indicando l'amore che Dio ha per loro. E' questo il 'genio femminile': rivelare la bontà della persona umana, e quindi la bellezza di Dio”.

Secondo la Teti, “quello che Madre Teresa di Calcutta ha fatto per i poveri ogni donna può farlo nel suo ambiente, e sicuramente ogni madre lo fa in casa per il marito e i figli”.

“E' il più felice e soddisfacente 'lavoro' delle donne, ma ogni donna ha il bisogno emotivo di sentire che la sua bellezza è apprezzata”.

Per questo, “una delle cose migliori che un uomo può fare per sua moglie è darle una piccola garanzia del fatto che è ancora bella ai suoi occhi”.

“Per la maggior parte delle mogli, è questo il vero significato di un gesto romantico: è un segno che non vengono apprezzate come cuoche, autiste, domestiche e bambinaie, ma come mogli”.

Rebecca Ryskind Teti ha quindi chiesto ai lettori di Faith & Family come fare perché San Valentino possa diventare una festa per tutta la famiglia. Alcune donne hanno suggerito di studiare i vari santi di nome Valentino, altre persone trasformano questo giorno in un'occasione per ricordare persone che altrimenti potrebbero essere dimenticate, inviando biglietti a malati o anziani invalidi.

“Quasi tutti scambiano biglietti con i membri della famiglia, celebrando l'amore familiare. E ovviamente i dolci devono essere a forma di cuore”.

Radici cristiane

Il giorno di San Valentino, ricorda la Teti, affonda le radici nel cristianesimo. Vari San Valentino, infatti, furono martiri della Chiesa delle origini.

“Credo che dobbiamo ringraziare Geoffrey Chaucer per questo - ha sottolineato -. Non si sa molto di ognuno dei San Valentino, tranne che furono martiri, e non sembra ci sia alcuna associazione tra la giornata e il romanticismo fino a che Chaucer scrisse un poema sul matrimonio di Riccardo II con Anna di Boemia”.

Lo scrittore, sottolinea, “fece di San Valentino il santo patrono del matrimonio, e il suo poema include anche allusioni a Cupido e a Venere. Dopo questo, sembra esserci stata una confusione tra Cupido e San Valentino, e il giorno di San Valentino è stato associato all''amore cortese' delle corti medievali”.

Anche se questo giorno non è una festa di precetto, “per quanti vogliono celebrarlo non c'è alcun motivo per cui non possa essere un'opportunità per celebrare l'amore umano in tutte le sue dimensioni – inclusa quella romantica ed erotica, che è parte del dono di Dio agli sposi”.

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Giochi Olimpici Invernali: una promessa di amicizia e pace tra i popoli
Messaggio del presidente della Conferenza Episcopale del Canada

VANCOUVER, venerdì, 12 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Alla vigilia dell'inaugurazione dei Giochi Olimpici Invernali in Canada, monsignor Pierre Morissette, Vescovo di Saint-Jérôme e presidente della Conferenza Episcopale Canadese, ha espresso il desiderio che lo sport possa “essere una promessa di amicizia e pace tra i popoli”.

I Giochi si svolgeranno da questo venerdì al 28 febbraio a Vancouver. E' la terza volta che il Canada accoglie l'evento: Montreal ospitò le Olimpiadi estive nel 1976, Calgary quelle invernali nel 1988.

In una lettera del 4 febbraio ai visitatori e agli atleti, il presidente della Conferenza Episcopale ha ricordato i valori espressi dal motto dei Giochi Olimpici: Citius, Altius, Fortius (Più veloce, Più alto, Più forte).

“Queste tre parole sono state scelte nel 1894 come motto ufficiale dei Giochi Olimpici”, ha spiegato. Un'idea lanciata da un sacerdote domenicano, Henri Didon, “che voleva così motivare i suoi studenti nella ginnastica per permettere loro di giungere all'eccellenza personale”, segnala.

Da allora, “questo motto ha ispirato gli atleti a livello mondiale”. “Auspico che, cattolici o membri di altre confessioni religiose, possiamo applicare questo stesso principio alla nostra vita, per essere capaci di diventare esseri umani riconosciuti a livello internazionale”, ha confessato monsignor Morissette.

Il presule invita anche gli atleti e i visitatori a “riflettere sull'obiettivo del movimento olimpico”, che è quello di “contribuire a edificare un mondo pacifico e migliore, educando i giovani attraverso la pratica sportiva senza discriminazione di alcun genere, in uno spirito di amicizia, solidarietà e sportività”.

I cattolici, ricorda, condividono la speranza espressa da Benedetto XVI per i Giochi Olimpici estivi 2008 che l'evento offra “alla comunità internazionale un vero esempio di coesistenza tra persone di varie provenienze, nel rispetto della loro comune dignità”.

“Per riprendere le parole del Papa, possa ancora una volta lo sport essere una promessa di amicizia e di pace tra i popoli!”.

Oltre ai “numerosi popoli e culture che compongono le varie comunità piene di vita dell'ovest del Canada”, monsignor Morissette ha auspicato che scoprano “alcune delle ricchezze della Chiesa cattolica canadese”.

“Potete essere certi dell'accoglienza delle parrocchie e delle comunità cattoliche prima, durante e dopo i Giochi”, ha concluso.

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Taizé: 3.500 giovani a Manila per il 5° incontro asiatico
L'Arcivescovo di Manila presiede la Messa

di Isabelle Cousturié

MAKATI, venerdì, 12 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Il 5º incontro di giovani organizzato a Manila (Filippine) dalla Comunità di Taizé si è concluso domenica scorsa con una Messa presieduta dal Cardinale Gaudencio Borbon Rosales, Arcivescovo della città.

Dopo gli incontri di Chennai (India) nel 1985 e nel 1988, Manila nel 1991 e Calcutta (India) nel 2006, questo appuntamento è stato l'ultima tappa del pellegrinaggio di fiducia intrapreso in Asia dalla Comunità.

Più di 3.500 giovani, soprattutto asiatici, si sono dati appuntamento dal 3 al 7 febbraio presso l'Istituto Tecnico Don Bosco di Makati, vicino Manila.

Per la maggior parte erano filippini, ma 500 giovani provenivano da altri Paesi asiatici e 200 dall'Europa e dall'America, come hanno reso noto i salesiani attraverso la loro agenzia informativa, ANS.

Tra i presenti c'erano anche alcuni musulmani di Mindanao, giunti per unirsi alla preghiera.

Durante il pellegrinaggio, chiamato “pellegrinaggio della speranza”, i giovani non filippini sono stati accolti da famiglie di tutto il Paese.

Nel mondo i fratelli di Taizé sono più di cento, e la maggior parte di loro era presenta a Manila.

Le attività sono state condivise anche da molti salesiani, circa 80 professi e più di 50 aspiranti, prenovizi e giovani salesiani in formazione.

Il delegato per la pastorale giovanile della provincia “San Giovanni Bosco” del Nord delle Filippine, Raymond Callo, è stato uno dei membri del comitato organizzatore del pellegrinaggio.

In un'intervista realizzata presso l'Istituto Tecnico Don Bosco pubblicata dall'ANS, fratel Alois ha detto di conoscere molti salesiani in vari luoghi del mondo e che spera di poter incontrare il Rettor Maggiore durante la sua visita a Roma nel mese di marzo.

Fratel Alois ha celebrato la festa di Don Bosco all'Istituto Tecnico con l'équipe di preparazione e di pastorale giovanile, dicendosi colpito dal modo in cui gli studenti sentono l'amore di Don Bosco per loro.

Dopo l'Asia, il prossimo incontro di giovani organizzato dalla Comunità di Taizé avrà luogo in America Latina dall'8 al 12 dicembre 2010.

Questo secondo incontro latinoamericano si svolgerà a Santiago del Cile.

Dal 28 dicembre 2010 al 1° gennaio 2011 si celebrerà poi l'incontro europeo, a Rotterdam (Olanda).

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Italia


In ginocchio davanti ai poveri: il Papa ai centri della Caritas di Roma
Le iniziative nell'anno europeo contro la povertà e l'esclusione sociale

di Chiara Santomiero

ROMA, venerdì, 12 febbraio 2010 (ZENIT.org).- “La visita del Santo Padre ai servizi della Caritas diocesana di Roma vuole essere un gesto di fede e consolazione e un segno di incoraggiamento a tutte le Chiese europee all’inizio dell’anno dedicato alla lotta alla povertà e all’esclusione sociale”: lo ha affermato giovedì il cardinale Agostino Vallini, vicario generale del Papa per la diocesi di Roma, illustrando alla stampa il programma dell’incontro che Benedetto XVI avrà domenica prossima con responsabili, volontari ed ospiti del Poliambulatorio e Ostello “Don Luigi Di Liegro” di via Marsala, accanto alla stazione Termini.

Questi due servizi, insieme alla mensa sociale, costituiscono “un polo integrato di accoglienza e contrasto all’emarginazione sociale che la Chiesa di Roma ha voluto in un luogo simbolo della città”. Il luogo dove più che altrove si riunisce il popolo degli esclusi. “Se la comunità ecclesiale – ha proseguito Vallini – non vedesse questa folla di uomini e donne tradirebbe il mandato di Gesù: 'avevo fame e mi avete dato da mangiare, ero forestiero e mi avete ospitato…ogni volta che avete fatto queste cose ad uno dei miei fratelli, l’avete fatto a me'”.

Un mandato a cui rimase sempre fedele don Luigi Di Liegro, cui sono intitolati i due servizi: “il primo direttore della Caritas di Roma, infaticabile nel sollecitare la comunità cristiana nell’avere a cuore i poveri”.

“Un cuore che vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente”: proprio a questo, secondo don Vittorio Nozza, direttore di Caritas italiana, deve educare l’anno europeo contro la povertà.

Un fenomeno che non smette di allargarsi e assume contorni sempre più preoccupanti.

“In Italia – ha spiegato Nozza – le famiglie in condizione di povertà relativa sono stimate dall’Istat in 2 milioni 737 mila: si tratta complessivamente di 8 milioni 78 mila persone, cioè il 13,6% della popolazione”.

Nell’Unione europea i dati raccontano di “79 milioni di persone, cioè il 17% della popolazione, che vivono sotto la soglia della povertà e 19 milioni di questi sono bambini”. Secondo la Fao “1 miliardo e 20 milioni di persone soffrono la fame nel mondo e 2,6 miliardi, cioè il 40% della popolazione mondiale, vivono con meno di due dollari al giorno”.

Né le previsioni consentono di sperare in un miglioramento: “l’Ocse – ha sottolineato Nozza – stima che nella seconda metà del 2010 il tasso di disoccupazione nell’area europea si avvicinerà al 10% con 57 milioni di disoccupati mentre la Banca mondiale prevede nell’anno in corso 90 milioni di disoccupati in più in tutto il mondo”.

Sono andati in crisi, secondo gli studi delle Caritas europee “tre pilastri fondamentali: il mercato del lavoro, la famiglia e lo stato socio-assistenziale portando precarietà nel mondo del lavoro, un indebolimento dei vincoli di solidarietà nelle famiglie e nelle comunità e una riduzione degli interventi sociali con conseguente indebolimento del tessuto sociale”.

Lo scandalo della povertà è quindi, ha affermato Nozza, “un problema che oggi riguarda tutti e non si connota più per la sola mancanza di risorse finanziarie” ma per un insieme di condizioni che formano “un gomitolo di pesantezza che avvolge le persone”.

Obiettivo dell’anno europeo contro la povertà e l’esclusione sociale sarà “un’ampia azione di informazione, sensibilizzazione e animazione delle parrocchie e dei territori attraverso sussidi ed eventi”.

Tra gli eventi previsti, il prossimo 4-5 giugno, a Madrid, si svolgerà il convegno internazionale sulla povertà in Europa; in estate sono previsti seminari tematici su povertà infantile, welfare state, migranti, rom, povertà-studio-lavoro in diversi Paesi d’Europa mentre a settembre, a Trieste, si svolgerà una conferenza sui progetti anti-esclusione tra Italia, Austria, Slovenia e Croazia con la partecipazione di poveri.

Il 13 ottobre, a Roma, verrà presentato il 10° rapporto Caritas-Zancan su povertà ed esclusione sociale in Italia e il 17 ottobre, in Europa e in Italia, sono previste iniziative per la Giornata mondiale ‘Stand Up’di lotta alla povertà. A dicembre, infine, si svolgerà il meeting di chiusura della campagna Caritas e la presentazione in Parlamento europeo delle firme raccolte alla petizione di Caritas Europa.

“Ogni cittadino – ha spiegato Nozza - viene invitato a compiere dieci semplici gesti quotidiani, tra cui spiegare a un bambino cosa significhi essere poveri, comprare equo e solidale e la rivista che ci propone il venditore di strada, rinunciare ad un regalo per fare una donazione a una organizzazione di carità”.

In Italia, ha specificato mons. Nozza, oltre al “Prestito della speranza” promosso dalla Conferenza episcopale italiana per rispondere alla crisi economico-finanziaria, sono in atto a livello diocesano almeno 125 iniziative: 72 nell’ambito di microcredito, 29 di fondi speciali per famiglie; 8 di empori/spese solidali o carte acquisti; 5 di consulenze lavoro; 5 di sostegno e consulenza casa; 6 iniziative di aiuti in genere.

Il primo evento della campagna di Caritas Europa, dopo l’apertura a Bruxelles il 21 gennaio scorso, è proprio la visita del Papa ai servizi della Caritas di Roma, “gesto al quale sono stati invitati ad unirsi – con la visita a un’opera di assistenza della propria diocesi – tutti i vescovi europei”.

In ginocchio davanti ai poveri, presenza di Cristo. “E’ la prima cosa – ha raccontato mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma – che si fa al Poliambulatorio di via Marsala quando immigrati, persone senza dimora, rom chiedono di essere visitati: si lavano loro i piedi”.

Ci sono diversi servizi a Roma della Caritas, così come di altre istituzioni, che “cercano di dare risposte alla povertà salvaguardando al tempo stesso la dignità delle persone” ma il desiderio di mons. Feroci è che “la Caritas in quanto istituzione possa sparire dalla nostra città perché vorrebbe dire che l’attenzione agli ultimi è talmente radicata e diffusa che non ce ne sarebbe più bisogno”.

“Non possiamo lasciare – ha affermato p. Erny Gillen, presidente di Caritas Europa, in conclusione dell’incontro – che nessuno scivoli nella spirale della povertà e della solitudine: è ciò che chiamiamo responsabilità della comunità umana”.

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Interviste


Storie di donne che si ribellano all'omologazione
Intervista al neonatologo Carlo Bellieni

di Antonio Gaspari

ROMA, venerdì, 12 febbraio 2010 (ZENIT.org).- In una collana a cura del dottor Carlo Bellieni, neonatologo del Policlinico Universitario "Le Scotte" di Siena, è appena uscito per le edizioni Cantagalli il libro “La carne e il cuore: storie di donne”.

Si tratta della testimonianza di due femministe, quattro suore, due ginecologi e una psichiatra: un mix esplosivo che svela un universo femminile che è molto lontano dai modelli omologati proposti in TV.

E così emergono mille sorprese di come le donne guardano alla diagnosi prenatale, alle bambole, all'interruzione di gravidanza, all'amore per il corpo.

Nell’introduzione il dott. Bellieni ha raccontato che “c’è un mondo femminile che non ne può più, che esplode, erompe, dirompe, magari lo fa in silenzio, ma è piena fino al collo di tritolo mentale che attende solo di poter deflagrare”.

“Non ne possono più di un richiamo al maquillage per assomigliare a bambole di cera – aggiunge –, non ne possono più delle donne degli spot che sorridono parlando di detersivi e cereali come se parlassero di paradiso terrestre o di rivoluzione del proletariato e non ne possono più delle donne-ritocchino con una chirurgia che sembra diventata semplice e obbligatoria”.

“Insomma, sono donne che vogliono finalmente scegliere loro come essere e non sentire il peso del grande fratello mediatico che pone loro davanti un ideale impossibile da raggiungere per farle distruggere e per vendere loro di tutto”.

Presi dalla curiosità, abbiamo intervistato Bellieni.

Perchè questo libro?

Bellieni: Il mondo femminile viene affrontato troppo secondo degli schemi obsoleti. Lungi dall'essere sincretista, il libro "La carne e il cuore" lascia che le donne si esprimano, rompendo questi steccati che ormai sono stretti. La donna - come l'uomo- non è un cliché, e anche le migliori intenzioni sono zoppe se non hanno dentro una reale scelta. Qui mostriamo suore, femministe, dottoresse che si mettono in gioco, che scelgono e ragionano, e che possono fare un tratto di percorso fianco a fianco.

Quali storie vengono raccontate?

Bellieni: A 50 anni da quando Sergio Zavoli portò i microfoni in un convento di clausura, sono entrato il più possibile in punta di piedi nel convento di clausura di Lecceto (Siena) ed ho chiesto a quattro giovani suore di parlare di un tema inatteso: la loro femminilità.

La lunga intervista è un evento: ne esce un ritratto anticonformista, forte, provocatorio di chi vive isolato dal mondo per scelta. Inusuale è il libro poi, perché, per creare una guida al mondo femminile, associa alle suore un saggio di due note femministe (Paola Tavella e Alessandra di Pietro) sui messaggi pubblicitari rivolti alle bambine, e un’intervista a tre noti medici (due ginecologi, Nicola Natale e Alessandra Kustermann) e una psichiatra (Claudia Ravaldi), di estrazioni culturali e religiose diverse, che si confrontano senza mezzi termini su aborto, fecondazione in vitro, sterilità.

Quali valenze hanno queste storie e perchè ha deciso di farle pubblicare?

Bellieni: Mentre in TV milioni di spettatori passano notti a guardare il “Grande Fratello”, improbabile convivenza per poche settimane di una dozzina di ragazzi, i conventi di clausura offrono una sfida ben più forte: venti ragazze e donne che vivono per anni chiuse tra quattro mura. Sono felici? Litigano? Nascono invidie e rivalità? Vivono una femminilità dimezzata? Le risposte sono sorprendenti e sconvolgono chi legge.

L'intervista alle dottoresse e al ginecologo mostra come ci sia una convergenza su certi temi etici tra persone che sembrerebbero invece separate da steccati, e come, quando si affronta con serietà e giudizio il proprio lavoro a contatto con le donne, prevalga l'amore all'uomo e alla vita. Le femministe sono state gentilissime a collaborare e a mettersi in gioco, proprio per mostrare che anche per chi non vive un'esperienza di fede, il rispetto della dignità umana e la lotta all'omologazione siano non solo possibili ma doverosi.

Qual è il filo conduttore che tiene insieme le differenti storie?

Bellieni: Come dice il titolo della collana ("Il coraggio di scegliere"), le persone che si esprimono in questo libro sono persone che hanno fatto una scelta, e questo è il fulcro reale di una rinascita etica. Si crede erroneamente che valga ancora la divisione netta quasi politica sui temi della vita, mentre si può appartenere all'uno e all'altro campo per inerzia o, talora, senza un giudizio. Proprio per affermare il rispetto della vita e l'amore alla dignità umana, abbiamo mostrato che la vera divisione oggi è tra chi usa la ragione e chi "vivacchia". Negli anni scorsi, ad esempio, abbiamo trovato alleati impensati tra gli ecologisti magari non cattolici nella battaglia per la legge 40; questo mostra come l'amore alla verità crei un lavoro comune: certo, certe differenze restano, ma è possibile una strada insieme, nel rispetto e nella collaborazione.

Come direttore della collana che cosa l’ha convinto a far pubblicare questo libro?  

Bellieni: Devo ringraziare l'editore Cantagalli, per il coraggio di iniziare una collana così "forte". Questo è il primo di una serie di libri non didascalici, ma provocatori. D'altronde la vita non è una routine, ma una lotta; e può essere utile mostrare come questa lotta ci faccia trovare alleati impensati e sveli delle defezioni altrettanto impensate, di cui la prima è quella che noi stessi facciamo troppo spesso.

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Parola e vita


Beato chi accoglie la Vita
VI domenica del Tempo Ordinario, 14 febbraio 2010

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 12 febbraio 2010 (ZENIT.org).-“Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.

Ed egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:

'Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio.

Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati.

Beati voi, che ora piangete, perché riderete.

Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo, infatti, agivano i loro padri con i profeti.

Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione.

Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame.

Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete.

Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti'” (Lc 6,17-26).

Così dice il Signore: 'Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore. Sarà come un tamerisco nella steppa; non vedrà venire il bene, dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere. Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. E’ come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si da pena, non smette di produrre frutti'” (Ger 17,5-8).

Fratelli...se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. (…) Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1 Cor 15,12.20).

Le Beatitudini sono stati di appagamento profondo dell’essere, non conformi e addirittura sconcertanti dal punto di vista delle esigenze naturali, poichè non solo non corrispondono ai comuni criteri della pubblicità, ma li contraddicono e li capovolgono paradossalmente.

Diciamo che il “prodotto” reclamizzato dalle Beatitudini non promette nulla di buono a prima vista, come un cibo scaduto o addirittura avariato e nauseabondo.

Per di più, il nome del prodotto (“beatitudini”) sembra rimandare a qualcosa di ultraterreno, inafferrabile come il paradiso o irrealizzabile come un viaggio nello spazio.

Le Beatitudini rischiano così di fare bella figura solo come genere letterario religioso, il genere delle utopie, delle illusioni in cui si rifugiano quelli che non sopportano la loro situazione presente, o che non hanno i piedi per terra: “...esultate perché la vostra ricompensa è grande nel cielo” (Lc 6,23).

Così, le “Beatitudini” fanno sorridere i grandi, sapienti e intelligenti come sono, sempre in cerca del piacere effimero, ma i bambini le conoscono per esperienza innata, ed è anche questo il loro paradosso: coloro, come i bambini, che non hanno ancora assaporato l’amarezza della vita, possiedono già e vivono splendidamente il segreto della felicità.

La “beatitudine”, infatti, è il segno e il frutto di una cosa molto semplice: la fiducia immediata dei piccoli: “io resto quieto e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre” (Salmo 131/130, v.2); è espressione di gioiosa reciproca appartenenza nell’amore, è la felicità del bambino dinanzi al volto della mamma, la sua sazietà dopo la poppata, e la tenerezza sconfinata di lei: “..perchè tu sei con me” (Salmo 23/22, v.4). Tutto ciò, per l’adulto, corrisponde al rapporto di fede e amore con Dio Padre.

Noi grandi abbiamo un bisogno vitale di contemplare il mistero delle Beatitudini, cioè di farne esperienza nel cuore.

Ora, tale esperienza interiore è un dono certo della Divina Misericordia (come dono del sole è il suo calore), per tutti coloro che credono nell’amore di Dio per loro e concretamente ripongono in Lui la loro fiducia (Ger 17,5-8), certa e salda qualunque cosa abbiano commesso contro di Lui.

A chi ancora non ha fatto questa consolante esperienza, è chiesta l’umiltà di credere a coloro che li hanno preceduti in tale grazia: “Gesù Cristo è lo stesso, ieri e oggi e per sempre!” (Eb 13,8).

Ascoltiamo le parole di un testimone tanto autorevole quanto umile e radioso della verità delle Beatitudini:“Ma allora che cosa sono le Beatitudini? Anzitutto si inseriscono in una lunga tradizione di messaggi A.T., quali troviamo per esempio, nel salmo 1 e nel testo parallelo di Ger 17,7: 'Benedetto l’uomo che confida nel Signore...'. La cornice data da Luca al Discorso della montagna chiarisce la destinazione particolare delle Beatitudini di Gesù: 'Alzati gli occhi verso i suoi discepoli...'. Le singole affermazioni delle Beatitudini nascono dallo sguardo verso i discepoli; descrivono, per così dire, lo stato effettivo dei discepoli di Gesù: sono poveri, affamati, piangenti, odiati e perseguitati (cfr Lc 6,20s). Rappresentano dei paradossi: i criteri mondani vengono capovolti non appena la realtà è guardata nella giusta prospettiva, ovvero dal punto di vista della scala dei valori di Dio, che è diversa dalla scala dei valori del mondo. Proprio coloro che secondo i criteri mondani sono considerati poveri e perduti sono i veri fortunati, i benedetti e possono rallegrarsi e giubilare nonostante tutte le loro sofferenze. Sono promesse escatologiche, non nel senso che la gioia che annunciano sia spostata in un futuro infinitamente lontano o esclusivamente nell’aldilà. Se l’uomo comincia a guardare e a vivere a partire da Dio, se cammina in compagnia di Gesù, allora vive secondo nuovi criteri e allora un po’ di ciò che deve venire è già presente adesso. A partire da Gesù entra gioia nella tribolazione(Benedetto XVI, “Gesù di Nazaret”, p. 94).

Quando un uragano (o un terremoto) si abbatte su una casa, se essa è costruita sulla roccia resiste, ma se le fondamenta sono sabbiose finisce per crollare, e grande è la sua rovina. Questa parabola di Gesù è scelta spesso dagli sposi come Vangelo della loro Messa nuziale (Mt 7,24-29).

Va notato che, nel caso del crollo della casa, Gesù non parla poi di una possibile ricostruzione dalle macerie, ma la fa intendere implicitamente a motivo di Se stesso, poiché egli, che è la Misericordia, “è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10).

Ricordiamo il suo incontro con l’adultera, una donna sulla quale si scatena la furia integralista degli scribi e farisei, e che Gesù salva e “ricostruisce” tre volte: dalle macerie morali di un matrimonio adultero, dalle macerie esistenziali della sua stessa vita ormai condannata a morte, dalle macerie eterne della Geenna (Gv 8,1s).

Tempo fa ho veduto realizzarsi il paradosso delle Beatitudini in una casa abitata da una coppia sposata con tre figli adolescenti. La vita scorreva da anni senza scosse rilevanti,..il tempo cambiava solo per qualche giornata di pioggia e il torrente accanto alla casa non era mai straripato.

Un giorno, complice determinante il medico che lo definì “solo un progetto di vita”, il quarto figlio fu da loro ucciso volontariamente sulla soglia dei tre mesi di vita. Allora un uragano di angoscia, di rimorsi, di accuse e di dolore si abbattè su questa casa ed essa crollò subito miseramente. Dopo mesi e mesi di pianti, insonnia e sedute psicologiche, venne per grazia l’ora dell’incontro con la Misericordia di Dio, in confessionale: “Una cosa c’era prima: la superbia di poter controllare tutto, di stare nella sicurezza, di bastare a te stesso. Non era cattiveria, ma..una superficialità, la superbia dell’autosufficienza”. Queste le parole accorate di lui, ormai uscito sacramentalmente dalla stretta dell’angoscia.

Questa diagnosi del “pre-aborto” era giusta, e corrisponde alle parole di Geremia: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando dal cuore il suo Signore. Sarà come un tamarisco nella steppa, non vedrà venire il bene...” (Ger 17,5s).

Un bambino è sempre “il bene” che viene da parte di Dio, ma se si vive come se Dio non ci fosse è facile non riconoscerlo, ingannando mortalmente il proprio cuore. Certo, per la fondamenta già fragili della casa che ho raccontato fu fatale anche l’inganno del medico, ma ora, ritrovata la pace nel perdono di Dio, il “guai a voi, ricchi,..guai a voi sazi...” si sta mutando nella verità delle Beatitudini per tutta la famiglia.

Scrive Romano Guardini: “Per il suo amore Dio è in grado di elevarsi e, senza recare attentato alla verità e alla giustizia gli è lecito dichiarare che la colpa non esiste più. Dio è in grado non solo di dire, ma di far sì creativamente che io non sia più colpevole” (R.G., “Il Signore”, cap. 9).


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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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Forum


Perplessità sul "Lessico sui diritti umani" senza diritto alla Vita

di Stefano Fontana*

ROMA, venerdì, 12 febbraio 2010 (ZENIT.org).- “Vita e Pensiero”, l’editrice dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, pubblica il Lessico sui diritti umani, a cura di Susan Marks e Andrew Clapham (Milano 2009, pp. 528, € 32, prima edizione inglese 2005) realizzando così un’operazione culturale che desta molte perplessità.

Non esiste nel Lessico nessuna voce riferita al diritto alla vita, né al diritto alla famiglia o al diritto della famiglia, né al diritto alla libertà di educazione inteso come diritto dei genitori e quindi della famiglia. Non solo non esistono queste voci, ma nemmeno nella trattazione di ambiti contigui, come per esempio la voce “Bambini”, oppure “Donna”, “Salute”, “Sessualità”, si notano minimi riferimenti al diritto alla vita e mai si può leggere la parola famiglia.

Quale sia il senso di una simile operazione culturale da parte dell’Università cattolica di Milano mi sfugge. Questa mancanza suscita in Francesco Bestagno, nella Introduzione, solo la fuggevole annotazione che il metodo degli autori «porta a risultati che possono non essere unanimemente condivisi» (p. 5).

Ciononostante egli afferma che il Lessico «tende a individuare i valori sostanziali alla base delle norme internazionali analizzate» e sostiene che l’idea di fondo del libro è che «l’effettivo godimento dei diritti fondamentali della persona consistono nella diffusione nell’intera società di una cultura dei diritti umani, e il suo radicamento nella società civile» (p. 8). Mi chiedo come sia possibile “individuare i valori sostanziali” e “diffondere una cultura dei diritti” umani senza parlare di vita e famiglia.

La mia osservazione critica riguarda sì la coerenza di questa pubblicazione con le finalità della Cattolica e con l’insegnamento della Chiesa, ma soprattutto la scientificità dell’operazione. Si potrebbe infatti sostenere che l’editrice dell’Università cattolica deve pubblicare qualsiasi libro, a patto che sia scientificamente fondato.

Ma una trattazione sui diritti umani che dimentichi il diritto alla vita e alla famiglia può considerarsi scientificamente fondata, oppure risulta essere viziata di riduzionismo ideologico? Una delle principali caratteristiche dei diritti umani è la loro indivisibilità: non li si può separare, stanno insieme tutti oppure cadono tutti. L’eliminazione dalla trattazione del diritto alla vita e alla famiglia priva della adeguata luce anche la trattazione di altri diritti, come per esempio quelli relativi alla sessualità.

La voce “Sessualità” (pp. 395-414) infatti è completamente dipendente dall’ideologia del genere, intende la sessualità come “orientamento sessuale” culturalmente e storicamente orientato e fa propria unicamente la prospettiva di Foucault. Nella voce “Salute” (381-394) si parla ovviamente del «diritto alla salute riproduttiva». L’impianto antropologico è individualista.

Come si vede non si tratta solo della mancanza di uno o due tasselli. Questa mancanza stravolge anche la trattazione degli altri diritti e rivela una scelta ideologica di fondo di amputazione o riduzionismo antropologico.

Non solo quindi una simile pubblicazione cozza contro centinaia di pronunciamenti del magistero della Chiesa, ma non assolve nemmeno ai propri doveri di scientificità. Non si capisce come mai l’Università cattolica non pubblichi un proprio “Lessico sui diritti umani” decentemente impostato sia sul piano antropologico che scientifico.

Se poi si osserva la realtà del panorama internazionale, l’esistenza di violazioni macroscopiche del diritto alla vita, alla famiglia, alla dignità della sessualità, alla dignità della donna sono sotto gli occhi di tutti.

Le violente politiche del figlio unico che violano tanti altri diritti per violare quello alla vita; le violenze perpetrate a tante donne dei paesi poveri per imporre il mito ideologico della “salute riproduttiva”; l’aborto di massa sono massicci spaccati di realtà. Che credito dare ad un Lessico sui diritti umani che non se ne cura? La prima regola deontologica di chi esercita ricerca scientifica è di non fingere che la realtà non esista.

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*Stefano Fontana è Direttore dell’Osservatorio Internazionale "Cardinale Van Thuan" sulla Dottrina Sociale della Chiesa.

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Documenti


Discorso del Papa ai Vescovi della Romania in visita "ad Limita"

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 12 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI nel ricevere questo venerdì i presuli della Conferenza Episcopale di Romania, in occasione della visita "ad Limina Apostolorum".

 


* * *

Venerati Fratelli nell’Episcopato!

È per me motivo di grande gioia incontrarvi nel corso della visita ad limina, ascoltarvi e riflettere insieme sul cammino del Popolo di Dio a voi affidato. Saluto con affetto ciascuno di voi e ringrazio, in particolare, Mons. Ioan Robu per le cordiali parole che, a nome di tutti, mi ha indirizzato. Rivolgo un pensiero speciale a Sua Beatitudine Lucian Mureşan, Arcivescovo Maggiore della Chiesa Greco-cattolica Romena. Voi siete Pastori di comunità di riti diversi, che pongono le ricchezze della propria lunga tradizione a servizio della comunione, per il bene di tutti. In voi saluto le comunità cristiane della Romania e della Repubblica di Moldova, in passato così duramente provate, e rendo omaggio a quei Vescovi e innumerevoli sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli che, nel tempo della persecuzione, hanno mostrato indomito attaccamento a Cristo e alla sua Chiesa e hanno conservata intatta la loro fede.

A voi, cari Fratelli nell'Episcopato, desidero esprimere il mio ringraziamento per il vostro generoso impegno a servizio della rinascita e dello sviluppo della comunità cattolica nei vostri Paesi ed esortarvi a continuare ad essere zelanti Pastori del gregge di Cristo, nell’appartenenza all'unica Chiesa e nel rispetto delle diverse tradizioni rituali. Conservare e tramandare il patrimonio della fede è un compito di tutta la Chiesa, ma particolarmente dei Vescovi (cfr Lumen gentium, 25). Il campo del vostro ministero è vasto ed esigente: si tratta, infatti, di proporre ai fedeli un itinerario di fede cristiana matura e responsabile, specialmente attraverso l'insegnamento della religione, la catechesi, anche degli adulti, e la preparazione ai Sacramenti. In tale ambito occorre promuovere una maggiore conoscenza della Sacra Scrittura, del Catechismo della Chiesa Cattolica e dei documenti del Magister@, in particolare del Concilio Ecumenico Vaticano II e delle Encicliche Papali. E’ un programma impegnativo, che richiede l'elaborazione comune di piani pastorali miranti al bonum animarum di tutti i cattolici dei diversi riti ed etnie. Ciò esige testimonianza di unità, sincero dialogo e fattiva collaborazione, senza dimenticare che l'unità è primariamente frutto dello Spirito Santo (cfr Gal 5,22), che guida la Chiesa.

In quest'Anno Sacerdotale, vi esorto ad essere sempre autentici padri dei vostri presbiteri, primi e preziosi collaboratori nella vigna del Signore (cfr Christus Dominus, 16.28); con loro esiste un legame anzitutto sacramentale, che a titolo unico li rende participi della missione pastorale affidata ai Vescovi. Impegnatevi a curare la comunione tra voi e con loro in un clima di affetto, di attenzione e di dialogo rispettoso e fraterno; interessatevi alle loro condizioni spirituali e materiali, al loro necessario aggiornamento teologico e pastorale. Nelle vostre diocesi non mancano Istituti religiosi impegnati nella pastorale. Sarà vostra speciale cura dedicare loro la dovuta attenzione e fornire ogni possibile aiuto perché la loro presenza sia sempre più significativa e i consacrati possano svolgere il loro apostolato secondo il proprio carisma e in piena comunione con la Chiesa particolare.

Dio non manca di chiamare uomini e donne al suo servizio: di questo dobbiamo essere grati al Signore, intensificando la preghiera perché Egli continui a inviare operai nella sua messe (cfr Mt 9,37). E’ compito primario dei Vescovi promuovere la pastorale vocazionale e la formazione umana, spirituale e intellettuale dei candidati al Sacerdozio nei Seminari e negli altri Istituti formativi (cfr Optatam Totius, 2.4), garantendo loro la possibilità di acquisire una profonda spiritualità e una rigorosa preparazione filosofico-teologica e pastorale, anche mediante la scelta attenta degli educatori e dei docenti. Analoga cura va posta nella formazione dei membri degli Istituti di vita consacrata, in particolare di quelli femminili.

La fioritura di vocazioni sacerdotali e religiose dipende in buona parte dalla salute morale e religiosa delle famiglie cristiane. Purtroppo, nel nostro tempo non sono poche le insidie verso l'istituzione familiare in una società secolarizzata e disorientata. Le famiglie cattoliche dei vostri Paesi, che, durante il tempo della prova, hanno testimoniato, talora a caro prezzo, la fedeltà al Vangelo, non sono immuni dalle piaghe dell'aborto, della corruzione, dell'alcolismo e della droga, come pure del controllo delle nascite mediante metodi contrari alla dignità della persona umana. Per combattere queste sfide, occorre promuovere consultori parrocchiali che assicurino un'adeguata preparazione alla vita coniugale e familiare, nonché organizzare meglio la pastorale giovanile. Occorre, soprattutto, un deciso impegno per favorire la presenza dei valori cristiani nella società, sviluppando centri di formazione dove i giovani possano conoscere i valori autentici, impreziositi dal genio della cultura dei vostri Paesi, così da poterli testimoniare negli ambienti dove vivono. La Chiesa vuole dare il suo contributo determinante alla costruzione di una società riconciliata e solidale, capace di far fronte al processo di secolarizzazione in atto. La trasformazione del sistema industriale e agricolo, la crisi economica, l’emigrazione all’estero, non hanno favorito la tenuta dei valori tradizionali, che vanno, perciò, riproposti e rafforzati.

In questo contesto, risulta particolarmente importante la testimonianza di fraternità tra Cattolici e Ortodossi: prevalga sulle divisioni e sui dissidi e apra i cuori alla riconciliazione. Sono consapevole delle difficoltà che devono affrontare, in questo ambito, le comunità cattoliche; auspico che si possano trovare soluzioni adeguate, in quello spirito di giustizia e carità che deve animare i rapporti tra fratelli in Cristo. Nel maggio 2009, avete ricordato il X anniversario della storica visita che il Venerabile Papa Giovanni Paolo II realizzò in Romania. In quella occasione, la Provvidenza divina offriva al Successore di Pietro la possibilità di compiere un viaggio apostolico in una Nazione a maggioranza ortodossa, dove da secoli è presente una significativa comunità cattolica. Il desiderio di unità suscitato da quella visita alimenti la preghiera e l’impegno a dialogare nella carità e nella verità e a promuovere iniziative comuni. Un ambito di collaborazione oggi particolarmente importante tra Ortodossi e Cattolici riguarda la difesa delle radici cristiane dell'Europa e dei valori cristiani e la comune testimonianza su temi come la famiglia, la bioetica, i diritti umani, l’onestà nella vita pubblica, l'ecologia. L’impegno unitario su tali argomenti offrirà un importante contributo alla crescita morale e civile della società. Un costruttivo dialogo tra Ortodossi e Cattolici non mancherà di essere fermento di unità e di concordia non solo per i vostri Paesi, ma anche per l’intera Europa.

Al termine del nostro incontro, il mio pensiero si volge alle vostre Comunità. Portate ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, a tutti i fedeli della Romania e della Repubblica di Moldova i miei saluti e il mio incoraggiamento, assicurando il mio affetto e la mia preghiera. Mentre invoco l’intercessione della Madre di Dio e dei Santi delle vostre Terre, imparto di cuore la mia Benedizione a voi e a tutti i membri del Popolo di Dio affidati alla vostra premura pastorale.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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