martedì 16 marzo 2010

ZI100316

ZENIT

Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 16 marzo 2010

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La visita del Papa nel Regno Unito, "opportunità senza precedenti"
Dichiarazione del Governo britannico e della Conferenza Episcopale
ROMA, martedì, 16 marzo 2010 (ZENIT.org).- La visita di Papa Benedetto XVI nel Regno Unito, programmata dal 16 al 19 settembre prossimi, è un'"opportunità senza precedenti" per rafforzare i legami tra Regno Unito e Santa Sede e il ruolo della fede nel creare forti comunità.

Lo riferisce un comunicato stampa che ricorda come il Governo britannico e i Vescovi cattolici di Scozia, Inghilterra e Galles lo abbiano dichiarato in una conferenza stampa congiunta esprimendo la propria soddisfazione per il viaggio.

Quella di settembre sarà la prima visita papale in assoluto nel Regno Unito, visto che quella di Papa Giovanni Paolo II del 1982 è stata una visita pastorale.

Benedetto XVI verrà ricevuto al Palazzo di Holyroodhouse dalla Regina Elisabetta II e pronuncerà "un importante discorso" a rappresentanti della società civile britannica presso il Palazzo di Westminster.

Visiterà anche le West Midlands per beatificare il Cardinale John Henry Newman, teologo ed educatore del XIX secolo, durante una Messa pubblica a Coventry.

Altri eventi fondamentali della visita includeranno una Messa pubblica a Glasgow, una veglia di preghiera a Londra e un evento incentrato sull'istruzione.

Visita storica

Quella di Benedetto XVI sarà "una visita storica in un momento importante", ha dichiarato l'onorevole Jim Murphy, Ministro per la Scozia e incaricato del Governo britannico per la preparazione del viaggio.

"Il Papa riceverà un cordiale benvenuto dai cattolici e dalla gente di tutte le fedi", ha aggiunto.

"Oltre ad essere la leadership spirituale di più di un miliardo di cattolici nel mondo, compresi sei milioni nel Regno Unito, il Papa e la Santa Sede hanno una grande influenza sulla politica globale in aree come sviluppo internazionale, sostenibilità e le relazioni tra le religioni", ha riconosciuto il politico.

In questo contesto, ha osservato, la visita del Papa "rappresenta una opportunità senza precedenti per rafforzare i legami tra Regno Unito e Santa Sede su azioni a livello locale e globale per affrontare la povertà ed i cambiamenti climatici, così come l'importante ruolo della fede nel creare comunità forti e coese".

L'entusiasmo dei cattolici

Il Cardinale Keith O'Brien, Arcivescovo di Edimburgo e S. Andrews e Presidente della Conferenza dei Vescovi di Scozia, ha confessato di essere "entusiasta che il Papa abbia accettato il cortese invito del Governo britannico" a visitare il Regno Unito.

"Sono certo che riceverà una sentita accoglienza sia dai cattolici che dai membri delle altre fedi e dagli uomini di buona volontà", ha sottolineato. Nel corso della visita particolare attenzione verrà dedicata alle relazioni tra le Chiese cristiane. Il Papa farà infatti visita all'Arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, al Palazzo di Lambeth e pregherà con gli altri leader della Chiesa presso l'Abbazia di Westminster.

Il Cardinale O'Brien ha quindi ricordato che "una caratteristica distintiva dell'insegnamento di Papa Benedetto è stata di ricordare all'Europa le proprie radici cristiane e cultura e di essere la nostra guida sui grandi temi morali dei giorni nostri", e ha auspicato che "tutti noi apriremo i nostri cuori alle sue parole".

Dal canto suo monsignor Vincent Nichols, Arcivescovo di Westminster e Presidente della Conferenza dei Vescovi Cattolici di Inghilterra e Galles, ha ringraziato la Regina e il Governo britannico per l'"invito storico" rivolto al Papa e si è detto certo che "la presenza ed il messaggio di Papa Benedetto incoraggeranno tutti ad ambire di nuovo ad una visione della vita nella nostra società contrassegnata da reciproca fiducia, pietà e verità".

"La grande tradizione cristiana di fede e vita, che ha così formato la nostra cultura, ha molto di più da offrire - ha segnalato -. Questo gentile e profondo insegnante della sua fede incoraggerà e rafforzerà tutti coloro che riceveranno le sue parole".

Interessi comuni

La Santa Sede si interessa a molte delle aree prioritarie anche per la politica estera del Regno Unito.

Oltre a sostenere gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite per aiutare i Paesi in via di sviluppo, la Città del Vaticano è il primo Stato del mondo ad essere diventato "carbon neutral".

Nel 2006, Benedetto XVI ha poi acquistato la prima obbligazione della International Finance Facility for Immunisation, l'iniziativa del Regno Unito per raccogliere oltre 1 miliardo di dollari per immunizzare in 70 dei Paesi più poveri del mondo contro malattie come febbre gialla, poliomielite, morbillo e tetano (www.iff-immunisation.org).

Il Papa ha inoltre sostenuto le azioni del Governo britannico per incoraggiare la riforma delle istituzioni finanziarie internazionali e la costituzione di un trattato sul commercio delle armi. Il Governo del Regno Unito sostiene e incoraggia da parte sua la posizione della Chiesa Cattolica sui cambiamenti climatici.

Per ulteriori informazioni sulla visita del Papa nel Regno Unito: www.thepapalvisit.org.uk.

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Senza fondamento le accuse di insabbiamento contro il Primate d'Irlanda
La Conferenza Episcopale risponde a chi chiede la sua rinuncia
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 16 marzo 2010 (ZENIT.org).- Per la Conferenza Episcopale d'Irlanda, il Cardinale Seán Brady, Primate della Chiesa del Paese, non ha avuto alcuna responsabilità nel presunto insabbiamento di un caso di pedofilia da parte di un sacerdote avvenuto negli anni Sessanta.

Lo spiega un comunicato emesso questo martedì dall'Ufficio Stampa della Conferenza, in cui si risponde in modo dettagliato (con nomi e date) a chi negli ultimi giorni ha chiesto la rinuncia al governo pastorale del Cardinale Brady, Arcivescovo di Armagh, accusandolo di aver insabbiato il caso o perfino di aver costretto al silenzio le vittime.

La ricostruzione dei fatti, raccolta anche da "L'Osservatore Romano" e dalla "Radio Vaticana", parte dal marzo 1975, quando il Vescovo di Kilmore, Francis McKiernan, chiese all'allora padre Seán Brady di condurre un'inchiesta canonica su una denuncia di abusi sessuali su minori riguardante un sacerdote, Brendan Smiyth.

Padre Brady era allora un insegnante a tempo pieno presso il Saint Patrick College di Cavan. Visto che aveva conseguito un dottorato in Diritto Canonico, gli fu chiesto di condurre l'inchiesta.

Il sacerdote, tuttavia, "non aveva alcun potere decisionale per quanto riguardo l'esito dell'indagine, in quanto era il Vescovo McKiernan ad avere questa responsabilità", spiega il comunicato.

La nota prosegue ricordando che "il 29 marzo 1975, padre Brady e altri due sacerdoti intervistarono una ragazzo di anni 14 a Dundalk e il ruolo di padre Brady fu quello di prendere appunti".

Il 4 aprile 1975, inoltre, padre Brady intervistò un altro ragazzo di 15 anni nella casa parrocchiale di Ballyjamesduff, e in quell'occasione "condusse lui stesso l'inchiesta prendendo appunti".

Alla fine di entrambe le interviste, "i due ragazzi sono stati invitati a confermare con giuramento la veridicità delle loro dichiarazioni e a preservare la riservatezza delle interviste".

L'intenzione di questo giuramento, sottolinea la nota, "era quella di evitare ogni possibile collusione nella raccolta delle prove nel corso dell'indagine e di assicurare che il processo fosse abbastanza robusto per resistere a ogni contestazione da parte di padre Smyth".

Una settimana più tardi, padre Brady "passò le sue risultanze al Vescovo McKiernan per la sua immediata reazione".

Il 12 aprile 1975, infine, il Vescovo McKiernan riferì i risultati dell'inchiesta al superiore religioso di padre Smyth, l'abate di Kilnacrott.

"La responsabilità specifica per la vigilanza delle attività di padre Smith - conclude il testo - è stata, in ogni momento, dei suoi superiori religiosi".

Il Vescovo McKiernan ha poi revocato le facoltà sacerdotali a padre Smyth, consigliando anche l'intervento psichiatrico.

Brendan Smyth, arrestato e condannato a 12 anni, è morto in carcere a metà degli anni '90.

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Card. Bertone: garantire l'occupazione, ma senza assistenzialismo
Incontrandosi a Roma con la Giunta di Confindustria

ROMA, martedì, 16 marzo 2010 (ZENIT.org).- Occorre garantire l'occupazione, attraverso un sostegno finanziario all'impresa e una concertazione tra Governo e parti sociali, ma senza scadere nell'assistenzialismo. E' quanto ha detto il Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Tarcisio Bertone, incontrandosi questo martedì con gli imprenditori nella sede romana di Confindustria.

Nel contesto attuale, ha sottolineato il porporato, accompagnato dal presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, “certamente desta molta inquietudine il problema dell'occupazione e della sua tutela”. Infatti, “la perdita del lavoro per tanti occupati e la mancanza di prospettive di impegno per tante migliaia di giovani, pure qualificati, vanno ben oltre la perdita dello stipendio”.

“Le persone espulse dal lavoro o senza prospettive di lavorare entrano in una crisi esistenziale, perché il lavoro è una parte costitutiva della persona che senza di esso si sente fuori posto e inutile – ha detto -. Non di rado entrano in difficoltà i rapporti familiari con le conseguenze sociali ben note”.

Per questo ha continuato occorre tutelare l'occupazione “sviluppando l'impresa e rafforzandola competitivamente”.

“Ciò richiede un adeguato sostegno finanziario, oggi carente – ha affermato il Segretario di Stato vaticano –. Ma voi avete chiaro il modello di sviluppo cosiddetto italiano, quello centrato sulla figura dell'imprenditore con una visione a lungo termine, con un senso di responsabilità sociale sul territorio, con una cura quasi personale ai propri dipendenti, con un'attenzione al rischio e prudenza nell'uso di strumenti complessi”.

“Si rafforzi dunque questo modello e si convinca il sistema finanziario che è il migliore per il rilancio della nostra economia – ha continuato –. Conseguentemente, auspico che si sviluppi una strategia di 'concertazione' con le parti sociali e il governo per coordinare le scelte nella necessaria ristrutturazione a breve”.

“Sembra, infatti, doveroso fondare questo modello di ripresa sui valori di responsabilità  personale e sul merito, anziché sulla ricerca di forme di assistenza o di protezione”, ha precisato.

Il porporato ha poi preso come modello di riferimento quello indicato da Benedetto XVI nella sua ultima Enciclica Caritas in veritate, nella quale si auspica che anche le imprese vengano “assistite dalle istituzioni con la riforma degli ammortizzatori sociali, con sussidi indiretti, sgravi fiscali, creazione di posti di lavoro alternativi seguiti alle ristrutturazioni e alle conversioni di aziende”.

Licenziare, infatti, “è sempre una decisione dolorosa anche per la stessa impresa che si priva così di competenze che lei stessa ha concorso a creare”. Per questo sarebbe auspicabile una “sinergia tra le aziende e tutte le istituzioni” affinché la disoccupazione “non peggiori il reddito, lo stato sociale e la fiducia”.

Toccando poi il tema dell'immigrazione, il Cardinale Bertone ha detto che “una preoccupazione importante deve riguardare la formazione da offrire agli immigrati, perché il loro apporto al mondo del lavoro sia più qualificato”; una “formazione – ha aggiunto – che si dovrebbe andare a portare nei luoghi di partenza e passaggio degli immigrati”.

Per far decollare nuovamente il mercato economico e superare questa crisi frutto di un “deficit di valori morali”, è necessario inoltre che i valori di riferimento di chi fa impresa siano modellati sul desiderio di “uno sviluppo economico non egoistico, non scoraggiante la vita umana, non falsato e non illusorio”.

Da qui deriva, quindi, “il ritorno sull’investimento, la creazione di valore per l’azionista e la valutazione del rischio, non possono prescindere dal valore umano”, mentre purtroppo – ha osservato il Cardinale Bertone – “oggi è diffusa la cultura che considera normale, perciò accettabile se non addirittura da invidiare ed emulare, il prevalere della furbizia, del più organizzato, del più informato e del più ricco e potente”.

“Fare impresa è una missione potenzialmente elevatissima, ma essa è uno strumento per il benessere dell’uomo, il quale non è solo materia e perciò esige grandi attenzioni anche ai suoi bisogni spirituali”, ha sottolineato.

Inoltre, ha aggiunto, “per assicurare lo sviluppo dell’impresa, si deve credere nella vita e sostenerla con tutti i mezzi, aiutando le famiglie a formarsi, sostenendo la nascita e la crescita dei figli, assicurando così uno sviluppo vero e sostenibile per il sistema industriale”.

Infine, secondo il Cardinale, per “favorire la creazione di ricchezza dell’impresa, lo sviluppo economico deve essere distribuito ed esteso a tutti, solo così potrà esser mantenuto”.

“L’economia e la tecnica non possono avere autonomia morale – ha poi ricordato – ed “essendo mezzi, essi devono esser utilizzati per il bene comune e della persona”.

 

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Portavoce vaticano: nessun Vescovo coinvolto negli abusi in Brasile
Padre Lombardi smentisce le notizie diffuse dai media
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 16 marzo 2010 (ZENIT.org).- Nessun Vescovo brasiliano è coinvolto nell'episodio di abusi su minori emerso nei giorni scorsi in Brasile.

Lo ha dichiarato padre Federico Lombardi, S.I., direttore della Sala Stampa vaticana, dopo le notizie circolate negli ultimi giorni sui mezzi di comunicazione brasiliani.

In base a questi media, due Vescovi e un sacerdote della Chiesa cattolica brasiliana sarebbero stati allontanati a seguito di uno scandalo di pedofilia.

Era stato il sito "Uol Noticias" a diffondere la notizia dell'espulsione dei due presuli e del presbitero, precisando che le accuse erano partite da un gruppo di fedeli e dai familiari dei ragazzi di Araparica, nello Stato di Alagoas, nel nord-est del Brasile.

Secondo "Uol", un video a luci rosse di uno dei due presuli che abusa di un ragazzo sarebbe in vendita sulle bancarelle.

Padre Lombardi ha specificato che due degli accusati hanno il titolo di "monsignore" ma non si tratta di Vescovi, e che uno di loro è già stato dimesso da parroco ed è sotto processo da parte delle autorità civili.

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La Chiesa missionaria del Burkina Faso
Secondo il presidente dei Vescovi, monsignor Rouamba
di Carmen Elena Villa

ROMA, martedì, 16 marzo 2010 (ZENIT.org).- I Vescovi del Burkina Faso sono a Roma in visita ad limina apostolorum, un'occasione "per rinnovare il nostro legame di comunione con il Santo Padre", ha affermato ai microfoni della "Radio Vaticana" monsignor Séraphin François Rouamba, Vescovo di Koupéla, una piccola città nella zona orientale di questo Paese africano.

Monsignor Rouamba, che è anche presidente della Conferenza Episcopale del Burkina Faso e della Repubblica del Niger, ha confessato che una delle sfide per la Chiesa del Paese è coltivare la vocazione missionaria.

"Dobbiamo annunciare la nostra fede in tutte le Diocesi", ha detto. "I sacerdoti devono accettare di andare ovunque, in Burkina ma anche fuori dal Paese".

Echi del Sinodo

Il Vescovo di Koupéla si è anche riferito ai frutti dell'ultimo Sinodo per l'Africa, svoltosi nell'ottobre scorso in Vaticano. "All'inizio eravamo un po' scettici", ha confessato, "ma poi ci siamo resi conto che era opportuno, perché quando vediamo l'Africa oggi, il problema della giustizia e della pace è veramente molto attuale".

"Credo che il Papa abbia avuto una buona idea nello scegliere questo tema per la nostra Chiesa in Africa", ha commentato. "Occorre dire che le Chiesa africane avevano già posto al centro della loro attenzione il problema della giustizia e della pace".

Il Vescovo ha anche sottolineato la mediazione della Chiesa in questo e in altri Paesi sul tema della riconciliazione.

"Nel Burkina Faso ad esempio, la Chiesa ha contribuito, insieme alle altre confessioni religiose e alle autorità tradizionali, a cercare le vie per una riconciliazione durevole, perché le nostre diverse comunità nazionali hanno vissuto terribili fratture".

In questo contesto, il Sinodo "ha confortato le convinzioni dei cristiani e ha dato sostegno alle loro iniziative".

"Siamo sicuri che la prossima esortazione post-sinodale porrà basi molto solide a questa opera", ha indicato.

Una Chiesa in crescita

L'Arcivescovo di Koupéla ha ricordato che nella sua Diocesi si battezzano ogni anno 5.000 bambini e circa 4.800 adulti.

In base alle ultime statistiche, i cattolici rappresentano il 19 % della popolazione totale (quasi 13,5 milioni di abitanti), i protestanti il 4% e i musulmani il 60,5%. Circa il 15% degli abitanti professa le religioni tradizionali africane.

Il presule ha spiegato che tra le sfide della Chiesa c'è la promozione delle comunità cristiane di base, indispensabili affinché i fedeli "si sentano una famiglia e possano condividere insieme la loro fede, il loro amore e le loro speranze".

Un'altra sfida, ha aggiunto, è l'inculturazione: "Se non evangelizziamo la nostra cultura, non potremo mai evangelizzare in profondità i nostri fedeli, resterebbe un'evangelizzazione superficiale".

"Siamo ancora troppo timidi - confessa -, ma siccome siamo tutti convinti della necessità di questa inculturazione, gli sforzi in questo senso continueranno".

La Chiesa conta molto sulla cooperazione dei laici, soprattutto nella missione catechetica, considerando che "il catechista e la sua famiglia in molti luoghi sono l'unica espressione della Chiesa".

A Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, c'è una scuola di formazione teologica per laici, che ha conferito 45 diplomi dopo quattro anni di corso.

"Per noi è molto incoraggiante vedere tanti laici che dopo il lavoro vengono da noi, perché sanno che hanno bisogno di conoscere meglio la loro religione e Gesù Cristo, per testimoniarlo meglio ovunque", riconosce il Vescovo.

Dialogo interreligioso

Monsignor Rouamba si è quindi riferito alle relazioni con altri credo e ha dichiarato che, nonostante le differenze, il rapporto con i musulmani in termini generali è buono. "Per fare qualche esempio, quando facciamo le nostre visite pastorali nelle Diocesi, vengono anche i protestanti e i musulmani", ha constatato.

"Ho avuto commercianti musulmani che sono venuti a trovarmi per chiedermi di contribuire alla costruzione di una parrocchia. Il motivo è semplice: dove si costruisce una parrocchia si sa che ci sarà una scuola, un dispensario, e, siccome i cattolici non fanno discriminazioni, ne beneficia tutta la popolazione".

I cattolici del Burkina Faso, ha concluso monsignor Rouamba, si sentono una famiglia. La Chiesa nel Paese "tanto ha ricevuto", e "deve sapere che adesso deve dare altrettanto, nei limiti delle sue possibilità".

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Forum di giovani a Rocca di Papa sul tema "Imparare ad amare"
Incontro promosso dal Pontifico Consiglio per i Laici dal 24 al 28 marzo

ROMA, martedì, 16 marzo 2010 (ZENIT.org).- Dal 24 al 28 marzo prossimo giovani delegati delle Conferenze episcopali dei cinque continenti e di Movimenti, Associazioni e Comunità internazionali si riuniranno a Rocca di Papa sotto gli auspici del Pontificio Consiglio per i Laici, per un Forum sul tema “Imparare ad amare”.

L’appuntamento si inserisce nella serie dei Forum internazionali organizzati dalla Sezione Giovani del Pontificio Consiglio con la finalità di offrire un’opportunità di confronto sui grandi temi della condizione giovanile visti nell’ottica della fede e all’interno di un’esperienza di autentica comunione ecclesiale.

Dopo i precedenti raduni dedicati al tema della testimonianza cristiana nel mondo dell’università (2004) e del lavoro (2007), il Forum del 2010 presenta un taglio formativo e intende affrontare il tema dell’educazione all’amore declinandolo nelle sue diverse dimensioni, come vocazione, scelta di vita, comunione, sessualità.

Dalla riflessione sulle premesse, l’attenzione si sposterà sul tema della preparazione prossima al matrimonio attraverso la presentazione di diversi percorsi formativi. Le giornate del Forum sono scandite da conferenze, testimonianze, tavole rotonde e sessioni dei gruppi linguistici, con una celebrazione eucaristica quotidiana e momenti di preghiera e riflessione personale.

Ad introdurre la discussione sarà il Cardinale Stanisław Ryłko, Presidente del Pontificio Consiglioper i Laici; dopo una breve presentazione dei partecipanti, del programma e della tematica del Forum, il Cardinale Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna, svolgerà una conferenza dal titolo “Creati per amare: la verità e la bellezza dell’amore”.

Tra gli altri relatori, lo psicoanalista e specialista in psichiatria sociale mons. Tony Anatrella parlerà della realtà giovanile contemporanea e delle sfide per una crescita formativa nell’amore autentico, mentre il Vescovo Jean-Laffitte, Segretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia, si soffermerà sugli effetti della rivoluzione sessuale nel contesto della tavola rotonda intitolata “Le derive della sessualità oggi”.

Tra i momenti di dibattito si inseriscono anche le testimonianze di coppie di sposi provenienti da Canada, Rwanda, Stati Uniti, Italia e Francia, che evocheranno la bellezza del matrimonio cristiano, la fecondità dell’amore, le gioie e le difficoltà dell’esperienza matrimoniale nella vita quotidiana e i possibili itinerari formativi per i giovani fidanzati.

La sera del 25 marzo, i delegati parteciperanno all’incontro del Santo Padre con i giovani di Roma e del Lazio, nel quale verrà particolarmente ricordato il XXV anniversario della Giornata Mondiale della Gioventù.

Infine, il 28 marzo, assisteranno alla Santa Messa di Benedetto XVI nella Domenica delle Palme e della Passione del Signore, una festa liturgica alla quale è unita la celebrazione diocesana della XXV Giornata Mondiale della Gioventù, che quest'anno ha come tema "Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?" (Mc 10,17).

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Anno Sacerdotale


Card. Scherer: valorizzare la grandezza della vocazione sacerdotale
Chiede preghiere e collaborazione con i presbiteri

SAN PAOLO, martedì, 16 marzo 2010 (ZENIT.org).- L'Arcivescovo di San Paolo (Brasile), il Cardinale Odilo Scherer, afferma che l'Anno Sacerdotale vissuto dalla Chiesa è un'“opportunità speciale” perché “il sacerdote e la comunità dei fedeli riscoprano la vera identità del sacerdozio, la grandezza della vocazione sacerdotale e l'importanza del servizio dei presbiteri per la vita della Chiesa”.

Senza i sacerdoti, “la Chiesa non vive. La natura stessa della Chiesa cattolica include il ministro ordinato, come presenza sacramentale di Gesù Cristo alla guida e in mezzo alla comunità dei fedeli”, segnala monsignor Scherer in un articolo pubblicato sulla rivista arcidiocesana “O São Paulo”.

La Chiesa, spiega, “è più di una semplice organizzazione umana, visto che è anche opera della grazia di Dio e dell'azione dello Spirito Santo. E' un mistero umano-divino, e se vogliamo comprenderla correttamente non dobbiamo mai dimenticare né separare questa sua duplice dimensione”.

“E' sempre in questa realtà umano-divina della Chiesa che dobbiamo comprendere la figura del sacerdote – indica –; pur essendo umano come tutti i suoi fratelli, è stato chiamato da Dio e posto alla guida della comunità dei fedeli per rappresentare Cristo, buon Pastore e Capo del corpo; in nome di Cristo e con il suo potere, serve e santifica il popolo, che non appartiene a lui, ma a Dio”.

“Il sacerdote è al servizio degli uomini nelle cose che sono di Dio. Per questo, diciamo che rappresenta a livello sacramentale Gesù Cristo davanti alla Chiesa e, in nome di Cristo, svolge la sua missione nella Chiesa”.

“Senza questa relazione con Cristo e la Chiesa – prosegue monsignor Scherer –, non si comprende bene la figura del sacerdote e si corre il rischio di vedere in lui un funzionario di cose ('affari') religiose, un mago che 'mette le mani' in cose sacre o un semplice agente dei servizi sociali”.

L'Arcivescovo di San Paolo ricorda che il presbitero “resta umano e soggetto a tutte le debolezze della condizione umana; per questo, deve valorizzare le sue buone qualità e capacità umane, per porle meglio al servizio del dono divino che ha ricevuto con la vocazione e l'ordinazione sacerdotale”.

“Deve percorrere il cammino di santità e i difetti e le debolezze umane non devono offuscare la grandezza del dono che ha ricevuto, non per merito suo, ma per grazia e bontà di Dio; non per la propria vanità, ma per servire il regno di Dio e per il bene dei fratelli”.

Per questo, “il sacerdote è anche chiamato a esercitarsi nella pratica delle virtù e nell'ascesi, per sottomettere le debolezze umane alla legge della grazia e della santità di Dio. Nell'unione profonda con Dio e nella sintonia costante con la sua volontà troverà la sua forza”.

Monsignor Scherer riconosce che “purtroppo, al giorno d'oggi, l'immagine vera e bella del sacerdozio è spesso offuscata dalla diffusione di notizie sulle debolezze umane dei presbiteri”.

Allo stesso modo, compaiono “falsari, che usurpano le funzioni sacerdotali e ingannano il popolo, sfruttano la fede a livello commerciale e screditano il servizio dei sacerdoti”.

“Tutto ciò fa soffrire i presbiteri, che devono cercare di vivere degnamente il sacerdozio – ha confessato –. Ad ogni modo, sono certo che la Provvidenza di Dio farà sì che questa sofferenza sia purificatrice”.

Lungi dal “distruggere il sacerdozio”, infatti, questa sofferenza “farà sì che torni ad emergere in tutta la sua grandezza e bellezza; così tornerà anche ad attirare giovani ben disposti a consacrarsi interamente al sacerdozio di Cristo nel servizio alla Chiesa e all'umanità”.

Il Cardinale Scherer cita quindi San Giovanni Maria Vianney, proclamato da Benedetto XVI patrono di tutti i sacerdoti, che diceva: “Quando si vuole distruggere la religione, si inizia attaccando il sacerdote”.

“La preghiera per i presbiteri, i diaconi e i seminaristi, insieme al sostegno e alla collaborazione con loro, si tradurranno nella vitalità delle comunità della Chiesa e in abbondanti frutti nella missione ecclesiale”, conclude il porporato.

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Notizie dal mondo


India: una bambina identifica un parlamentare come assassino di suo padre
Omicidio commesso nell'ondata di violenza anticristiana del 2008

ROMA, martedì, 16 marzo 2010 (ZENIT.org).- Nello Stato indiano dell'Orissa, una bambina ha identificato un parlamentare come assassino di suo padre, una delle vittime dei massacri anticristiani perpetrati dagli indù. La vittima poteva scegliere tra rinnegare la propria fede o morire.

La piccola, di sei anni, ha identificato Manoj Pradham, membro dell'Assemblea Legislativa dell'Orissa, come omicida del padre, torturato e poi massacrato nell'ondata di violenza del 2008, informa Eglises d'Asie (EDA), l'agenzia delle Missioni Estere di Parigi.

Lipsa Nayak e sua madre facevano parte delle centinaia di testimoni citati dai due tribunali speciali istituiti in Orissa per giudicare le questioni relative agli attacchi contro i cristiani. Quando il giudice ha chiesto loro se potevano identificare l'assassino, la bambina ha indicato Manoj Pradhan, un leader del Bharatiya Janata Party (BJP, Partito del Popolo Indiano), vetrina politica dei nazionalisti indù.

La madre della piccola ha spiegato alla Corte che il marito si era rifugiato nella foresta con la sua famiglia, ma un gruppo lo aveva individuato. La giovane vedova, di 25 anni, ha raccontato come egli abbia reagito con calma e determinazione quando gli è stato chiesto di rinnegare la sua fede per non essere ucciso.

"Hanno giocato con lui per qualche giorno prima di farlo a pezzi e bruciarlo con il cherosene", ha dichiarato, aggiungendo che la figlia, che all'epoca aveva quattro anni, è stata testimone del crimine.

In un'udienza svoltasi il 12 marzo, gli avvocati della difesa e il Pubblico Ministero hanno sottoposto la piccola a un interrogatorio durato 90 minuti, chiedendole delle persone che aveva visto uccidere suo padre e quale fosse il luogo del crimine.

"Ha risposto a tutte le domande senza esitazione", ha dichiarato all'agenzia Ucanews Me Raj Kishore Pradhan, un avvocato collaboratore del Pubblico Ministero.

Manoj Pradhan rappresenta la circoscrizione di G. Udayagiri del distretto di Kandhamal nell'Assemblea dell'Orissa. E' stato accusato di essere uno dei principali istigatori delle violenze del 2008, e doveva rispondere di nuovi capi d'accusa, tra cui 14 incendi criminali, saccheggi e una decina di omicidi. Arrestato nel 2008, si è presentato alle elezioni dell'aprile-maggio 2009 ed è stato eletto al Parlamento dell'Orissa. Dopo essere uscito di prigione a luglio, è stato assolto da tutte le accuse dalle Corti Speciali di Giustizia dell'Orissa "per insufficienza di prove".

"C'è una bambina che ha trovato il coraggio di testimoniare contro quello che rappresenta il potere politico", ha sottolineato Me Pradhan. Il suo esempio, ha aggiunto, "dovrebbe esortare altri a testimoniare in tribunale e permettere che si faccia giustizia".

Anche padre Manoj Kumar Nayak, che è dello stesso villaggio, spera che la testimonianza della bambina renda finalmente giustizia alle vittime.

Il sacerdote cattolico sottolinea che il parlamentare Manoj Pradhan fa parte delle 307 persone assolte per mancanza di prove sufficienti dalle Corti Speciali di Giustizia. A suo avviso, la maggior parte dei sospettati non è stata sempre condotta davanti a un tribunale, o addirittura non è mai stata arrestata.

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Card. Policarpo: la Chiesa è l'ultima realizzazione della volontà divina
"I peccati della Chiesa non annulleranno mai la fedeltà a Gesù Cristo"
LISBONA, martedì, 16 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il Cardinal-Patriarca di Lisbona, monsignor José Policarpo, ha dichiarato questa domenica che la Chiesa "è l'ultima realizzazione" della volontà divina prima della fine dei tempi e che per Dio è anche "l'ultima speranza" di avere un popolo che gli sia fedele.

Nella quarta catechesi quaresimale di quest'anno, pronunciata nella Cattedrale, ricorda l'agenzia Ecclesia, monsignor Policarpo ha sottolineato che tutti i membri della Chiesa sono chiamati "popolo sacerdotale" perché "la santità della loro vita è il vero culto che Dio attende".

Dio vuole che la Chiesa sia mediatrice tra Lui e tutta l'umanità, favorendo la "realizzazione ultima" del disegno divino, cioè il desiderio "di riunire, alla fine, in un solo Popolo tutti gli uomini, che lo lodino, contemplino la sua gloria e sperimentino la gioia dell'amore".

Per monsignor Policarpo, la rivelazione della volontà divina per l'umanità è una "manifestazione della persistenza di Dio".

"I peccati della Chiesa non annulleranno mai la fedeltà di Gesù Cristo", ha aggiunto.

"Non c'è pericolo di una delusione per Dio, perché la Chiesa è Cristo, si identifica con Cristo, la sua fedeltà è quella di Cristo, la forza che la muove è lo stesso Spirito di Cristo".

Come risposta all'azione divina, Dio attende dalla Chiesa un "atteggiamento sacerdotale", che contribuisca a far sì che i suoi membri possano "sentire già nella storia la gioia dell'intimità con Lui".

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Il 25 marzo, festa dell'Apostolato "Giovani per la vita"
Il Card. Antonelli: l'adozione spirituale, un contributo a favore della vita

GERUSALEMME, martedì, 16 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il prossimo 25 marzo la Chiesa celebra la Solennità dell’Annunciazione del Signore. In quella data si festeggerà, per il secondo anno, l’Apostolato “Giovani per la vita”, un'associazione di giovani volontari, che diffonde il messaggio della difesa della vita, soprattutto tra i più giovani e attraverso la promozione della preghiera dell’adozione spirituale.

In preparazione della festa liturgica e dell’associazione, l’Apostolato propone ai suoi membri e amici, e non solo, una novena che è possibile trovare e scaricare dal sito dell’Apostolato www.youthfl.org.

In un messaggio inviato in vista dell'evento, il Cardinale Ennio Antonelli, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, ha scritto che “oggi il tema importantissimo della vita umana violata, manipolata, non difesa e addirittura uccisa in nome di pseudo-diritti, costringe la famiglia dei credenti a concentrare la propria attività in questa decisiva direzione”.

“Mentre gioiamo nella liturgia per l’annuncio della nascita del nostro Salvatore Gesù – continua a sostegno della cultura della vita, il nostro pensiero va oggi a tutti i bambini che stanno venendo alla luce e a quelli che stanno già vivendo nel grembo della loro mamma, in attesa della nascita”.

“Il dramma sociale dell’aborto – continua il porporato – diventato una pratica corrente, tollerato nell’indifferenza generale, anzi rivendicato come diritto, ci costringe ad elevare con più insistenza preghiere al Signore perché illumini la coscienza di ogni donna a rispettare la vita del proprio figlio e la società a dare concreto sostegno alla maternità”.

“L’adozione – scrive il Cardinale Antonelli – è un grande atto d’amore, quando viene fatta da coniugi impossibilitati ad avere figli, e soprattutto quando viene desiderata e realizzata da un uomo e una donna per la sola volontà di fare del bene a bambini disagiati”.

“L’idea della adozione spirituale che la vostra associazione promuove – aggiunge – è anch’essa un atto d’amore e una risposta significativa all’emergenza grave che vede oggi milioni di bambini non voluti, non accolti, e ai quali si impedisce la possibilità stessa di nascere”.

“Auspico – conclude infine – che questa intuizione della adozione spirituale sia ancora più conosciuta, apprezzata e diffusa, come contributo orante dei credenti a sostegno della cultura della vita”.

L’Apostolato, presente in Italia, come in Polonia, Israele, Francia, Spagna, Messico, Ungheria, Stati Uniti, Brasile e altri paesi, è uno dei principali promotori della preghiera. La novena, proposta da un’associazione polacca e intitolata “Salva il Santo”, ha anche il patrocinio di mons. Stanisław Stefanek, Vescovo di Łomżyński.

L’Apostolato inoltre propone 24 ore (dal 24 al 25 marzo sera) di preghiera e di intercessione per la Vita, specialmente quella di tutti i bambini non-ancora-nati. Si potrà aderire come singoli o come gruppi e comunità impegnandosi ad organizzare un incontro di preghiera (Messa, Adorazione Eucaristica, Rosario, etc.). Sul gruppo di facebook (Apostolato “Giovani per la Vita”) e sul sito dell’Apostolato si potrà trovare l’elenco aggiornato degli incontri di preghiera.

[Per ulteriori informazioni è possibile contattare i responsabili dell’Apostolato: email@youthfl.org]


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Italia


Il caso di Re Maya mostra come l'orrore degli abusi sia esteso
"C'è una nuova generazione di 'sette' pericolose", dice Introvigne
TORINO, martedì, 16 marzo 2010 (ZENIT.org).- L’arresto a Roma del fondatore di “Re Maya” Omar Danilo Speranza per abuso sessuale di bimbe di 10-12 anni e truffa aggravata dimostra come l'orrore degli abusi sia esteso, riconosce il sociologo torinese Massimo Introvigne, Direttore del CESNUR (Centro studi sulle nuove religioni). 

Intervenendo a margine di un convegno a Torino, dove ha presentato il suo nuovo libro I satanisti. Storia, riti e miti del satanismo (Sugarco), Introvigne ha spiegato che “gruppi come Re Maya rappresentano una seconda generazione di nuovi movimenti religiosi, quelli che con espressione meno tecnica sono spesso chiamati ‘sette’”.

“Le ‘sette’ di prima generazione mantenevano molte caratteristiche sociali delle religioni tradizionali: avevano una struttura e dottrine precise e conservavano riferimenti a universi simbolici e religiosi tratti o dal cristianesimo o dalle religioni orientali”.

“Nella seconda generazione di ‘sette’, di cui Re Maya è un esempio, tutto questo è sparito, sostituito dai soli rapporti personali con il capo e da vaghi sincretismi dove l’emozione sostituisce la dottrina. Non tutti i gruppi di seconda generazione sono criminali ma i rischi di derive pericolose si moltiplicano”.

“La tolleranza di cui personaggi come Speranza, da anni chiacchierato – ha continuato Introvigne –, sono riusciti a beneficiare nasce dal relativismo, tanto spesso denunciato da Benedetto XVI, per cui tutte le religioni sono uguali e non ci sono criteri che permettano di dire che un’esperienza che si presenta come religiosa è autentica e positiva mentre un’altra è falsa e dannosa”.

Infine il sociologo torinese ha osservato che “il caso Re Maya mette l’opinione pubblica italiana di fronte a un dato noto agli specialisti ma forse non al grande pubblico: il rischio di abusi sessuali non è più forte nella Chiesa Cattolica che altrove”.

“Al contrario, come dimostrano gli studi di Philip Jenkins, questi abusi nelle organizzazioni religiose diverse dalla Chiesa Cattolica sono da due a dieci volte più frequenti a seconda del tipo di organizzazioni – ha continuato – . E c’è una ragione sociologica per questo: per quanto i controlli nella Chiesa Cattolica non abbiano sempre funzionato, almeno dei sistemi di controllo esistono, mentre non è così per una miriade di gruppi e gruppuscoli”.

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La 'bellezza' della Croce, paradosso del mistero cristiano
Intervento di mons. Timothy Verdon presso la Basilica Cattedrale di Trieste

di Antonio Gaspari

ROMA, martedì, 16 marzo 2010 (ZENIT.org).- “I cristiani riescono a vedere la bellezza di Gesù sofferente e sfigurato che ha accettato la morte perchè noi potessimo vivere”. Con queste parole monsignor Timothy Verdon ha dato inizio alla sua relazione su “Il Dio dei cristiani e la bellezza”.

Un intervento svolto presso la Basilica Cattedrale di Trieste il 10 marzo scorso nell’ambito degli Incontri quaresimali alla Cattedra di San Giusto.

Monsignor Verdon è uno storico dell'arte formatosi alla Yale University. Dal 1994 è sacerdote a Firenze, dove dirige l'Ufficio diocesano per la catechesi attraverso l'arte.

Autore di libri e articoli in italiano e inglese sul tema dell'arte sacra, è stato Consultore della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e Fellow della Harvard University Center for Renaissance Studies; tuttora insegna presso la Stanford University e la Facoltà Teologica dell'Italia Centrale.

E’ anche Presidente della Commissione per l'Ecumenismo ed il Dialogo Interreligioso dell'Arcidiocesi fiorentina oltre che canonico della Cattedrale di Firenze e membro del Consiglio d'amministrazione della fabbriceria.

Il Cristo è bello, ha sottolineato il religioso, perchè è “promessa per il nostro avvenire; cifra del mistero pasquale che, sì, è sofferenza ma che è soprattutto gloria”.

E “l’arte offre un sostegno alla nostra fede”, ha spiegato monsignor Verdon, anche se “questo Dio bello in cui crediamo, facendosi uomo in Gesù Cristo, si è lasciato abbrutire”.

Ma come ha compreso san Cirillo d’Alessandria, nell’accettare e vivere la Croce Gesù ha redento il mondo e qui sta la bellezza.

Facendo riferimento ad una celebre tela del maestro spagnolo Diego Velasquez, il professore statunitense ha sottolineato “la bellezza paradossale del Signore Crocifisso, il cui segno visivo è oggi contestato in Europa”.

Monsignor Verdon ha quindi ricordato una piccola placchetta votiva rinvenuta sotto l’altare papale di San Pietro negli scavi voluti da Pio XII – un’opera forse del IV secolo – ed ha sottolineato “l’antica mistagogia cristiana che ha visto tutta la vita di Cristo nel segno della croce”.

Richiamando poi l’esempio della croce di Papa Pasquale I, un capolavoro di smalto cloisonné su lamina d’oro realizzato forse da un maestro siriaco attivo a Costantinopoli nei primi decenni del IX secolo e conservata nel Museo Sacro della Biblioteca Vaticana, ne ha descritto il programma iconografico focalizzato sul mistero natalizio.

“La croce in oggetto è in realtà di una stauroteca, cioè un contenitore per frammenti della vera croce, e così - ha commentato il professore americano - l’impatto dell’oggetto non era solo intellettuale ma anche viscerale”.

Poiché l’oggetto cruciforme conteneva il legno su cui Cristo era morto, il credente contemplava queste scene della sua nascita con profonda commozione; non a caso il centro, corrispondente alla testa di Cristo in un crocifisso, è occupato dalla Natività stessa, col bambino in una mangiatoia allusiva alla futura offerta del corpicino come alimento.

Monsignor Verdon ha quindi fatto riferimento anche ai riquadri musivi di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, dove il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci viene raccontato con Cristo che estende le braccia a destra e a sinistra per dare i pani e i pesci agli apostoli.

“Ma la posa – ha spiegato – è quella che egli assumerà successivamente sulla croce, come se l’anonimo artista avesse intuito che, nel Nuovo Testamento, ogni racconto di un pasto in qualche modo prepara il lettore a comprendere il senso del pasto decisivo in cui, la notte prima di morire, Cristo offrì il proprio corpo nel segno del pane, e il sangue nel vino, per soddisfare la fame spirituale dell’umanità”.

Monsignor Verdon ha detto che il mistero della Croce è presente ovunque nell’arte cristiana, come in uno straordinario dipinto del XIV secolo, opera di un maestro greco attivo in Italia, Nicoletto Semitecolo, che fa vedere Cristo crocifisso senza la croce lignea, inchiodato alle mani del Padre.

“E’ una raffigurazione della Trinità - ha rilevato il canonico della Cattedrale di Firenze- in cui l’affermazione di Cristo di essere ‘una cosa sola’ con il Padre significa lasciarsi crocifiggere alla volontà di Dio di offrire un segno materiale ed indiscutibile del suo amore per gli uomini”.

In questo contesto monsignor Verdon ha inserito un’opera trecentesca del maestro veronese Turone de Maxio, una miniatura in un antifonale conservato nell’Archivio del Capitolo del Duomo di Verona.

In quest’opera, ha spiegato, “l’immagine, che ha per tema la Trinità, fa vedere Cristo in croce nel seno di Dio Padre che gli alita lo Spirito, più o meno come farà ancora Masaccio nel Quattrocento: era questo infatti il modo di visualizzare il mistero del Dio uno e trino nell’arte occidentale della fine del Medioevo”.

“Il Dio che è ‘Bellezza antica e nuova’, sin dall’eternità è bellezza crocifissa per noi!”, ha infine concluso monsignor Verdon.

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Il 20 marzo il ricordo a Milano delle vittime delle mafie
Presentata la Giornata della Memoria e dell'Impegno promossa da Libera

ROMA, martedì, 16 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il 20 marzo, si svolgerà a Milano la quindicesima edizione della “Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie” promossa dall'associazione Libera, presieduta da don Luigi Ciotti.

La Giornata della Memoria e dell’Impegno ricorda tutte le vittime innocenti delle mafie e rinnova in nome di quelle vittime il suo impegno di contrasto alla criminalità organizzata.

Questo appuntamento tradizionalmente si svolge ogni anno, il 21 marzo, primo giorno di primavera, ma quest’anno viene anticipata al sabato 20 marzo per favorire la massima partecipazione di quanti arriveranno da ogni parte d’Italia.

“Legami di legalità, legami di responsabilità” - spiega un comunicato di Libera – è lo slogan che accompagnerà questa Giornata, durante la quale si incontreranno a Milano circa 500 familiari (italiani e stranieri) delle vittime delle mafie in rappresentanza di un coordinamento di oltre 3000 familiari. Saranno presenti rappresentanti delle Ong provenienti da circa 30 paesi europee e di associazioni provenienti dall'America Latina.

“Milano – prosegue il comunicato – è la città in cui fu ucciso nel 1979 Giorgio Ambrosoli, avvocato esperto in liquidazioni coatte amministrative, che stava indagando sui movimenti del banchiere siciliano Michele Sindona”.

“Milano – si afferma ancora – è la città in cui il 27 luglio del 1993 ci fu una delle bombe che esprimevano l'attacco diretto allo Stato da parte della mafia: la strage di via Palestro, nei pressi del Padiglione di Arte Contemporanea. Ci furono cinque morti: i vigili del fuoco Carlo Lacatena, Stefano Picerno e Sergio Pasotto e il vigile urbano Alessandro Ferrari, con loro Driss Moussafir, cittadino immigrato dal Marocco, venuto in Italia nella speranza di trovare lavoro e dignità”.

“La Lombardia – spiega la nota di Libera – è la prima regione per segnalazione operazioni sospette in tema di riciclaggio all’Ufficio Informazione Finanziaria e offre numerose e diversificate possibilità di reimpiego dei capitali accumulati illecitamente dalle cosche”.

“La Lombardia è la terza regione per numero di aziende confiscate alla criminalità organizzata con 165 aziende, di cui ben 116 si trovano a Milano”; ed “è la quinta regione per numero di beni immobili confiscati con 665 beni immobili confiscati di cui ben 420 si trovano a Milano e provincia”, si legge ancora nella nota.

Nel pomeriggio del 19 marzo si svolgerà presso il Centro San Fedele l'incontro tra i familiari delle vittime delle mafie seguito dalla veglia ecumenica presso la Chiesa di San Fedele. Il 20 marzo, invece, appuntamento con il corteo con partenza da Porta Venezia per arrivare a Piazza Duomo passando per via Palestro.

Sul palco di Piazza Duomo saranno letti gli oltre 900 nomi di vittime innocenti delle mafie, semplici cittadini, magistrati, giornalisti, appartenenti alle forze dell’ordine, sacerdoti, imprenditori, sindacalisti, esponenti politici e amministratori locali morti per mano delle mafie solo perché, con rigore e coerenza, hanno compiuto il loro dovere.

Da questo terribile elenco mancano tuttavia le altre tantissime vittime dei traffici delle mafie: quelle dei morti sul lavoro, della tratta degli esseri umani, i tanti morti provocati dal traffico degli stupefacenti, le vittime del caporalato, dello sfruttamento della prostituzione, del traffico delle armi e quelle avvelenate e uccise dalla criminalità dei rifiuti.

Alla manifestazione di Libera, grazie alla collaborazione con il MEI e all'adesione di molti operatori del settore culturale e musicale italiano, hanno aderito oltre 40 artisti della scena musicale italiana tra i quali Frankie Hi Nrg, Pierpaolo Capovilla del Teatro degli Orrori, Alessandro Benvenuti, Piotta, Vallanzaska, Nomadi, Enrico Capuano e tanti altri.


Per ulteriori informazioni: www.libera.it

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Madre Agnese Tribbioli, "Giusta tra le nazioni"

di Nina Serago

ROMA, martedì, 16 marzo 2010 (ZENIT.org).- “Un’operaia silenziosa” così è stata definita Madre Agnese Tribbioli, fondatrice nel 1927 della Congregazione delle Pie Operaie di San Giuseppe,  da suor Emanuela Vignozzi, Vicaria Generale della Congregazione e ospite ai microfoni  di Tele Radio Padre Pio.

Di grande importanza fu l’opera di Madre Agnese a favore degli ebrei durante la Seconda Guerra mondiale, ai quali la Madre diede rifugio nella Casa generalizia dell’Istituto, salvandoli dai nazifascisti. Per la sua azione di difesa degli ebrei, il 15 settembre 2009, la Commissione esaminatrice dell’Istituto Yad Vashem di Gerusalemme ha stabilito che il nome di Madre Agnese Tribbioli fosse inserito nell’elenco dei “Giusti tra le nazioni”.

Il riconoscimento ufficiale dell’onorificenza avverrà nel corso di una cerimonia che si svolgerà a Firenze il 18 marzo 2010, presso il Salone dei 500 Palazzo Vecchio. A Madre Marta Lombardi, attuale Superiora della Congregazione, Gideon Meir, Ambasciatore d’Israele in Italia, consegnerà la Medaglia e la Pergamena dell’Istituto YAD Vashem di Gerusalemme.

“Un evento importante che sottolinea e valorizza l’operato silenzioso di una semplice donna il cui principio ispiratore della sua vita consacrata è sempre stata l’accoglienza –  ricorda suor Emanuela -e di cui è in corso la causa di beatificazione”.  

“Il 18 marzo rappresenta per tutti noi – continua suor Emanuela –, e per la nostra Congregazione una data importante. Essere riconosciuta 'Giusta tra le nazioni' da esponenti di altre religioni significa aver conquistato un tassello importante che va ad arricchire il processo di beatificazione di Madre Agnese Tribbioli”.

“La Madre – ha continuato – è stata sempre molto umile, modesta, non raccontava mai quello che aveva effettuato nel corso della sua vita. Anche in questo caso operò silenziosamente, per non allarmare la comunità per i rischi che avrebbe creato questa azione assistenziale nei confronti degli ebrei”. 

“Se siamo arrivati a questo riconoscimento – ha detto poi – è grazie all’interessamento di Cesare e Vittorio Sacerdoti, figli di uno dei tanti ebrei salvati dalla Madre. In tutti questi anni, sono stati  promotori di questa iniziativa che hanno vissuto come un dovere di riconoscenza verso la Madre che li ha salvati”.

“Nessuno di noi si sarebbe aspettato un evento così mediatico per una donna così silenziosa”, ha osservato suor Emanuela.

Un riconoscimento che verrà consegnato alla vigilia della Solennità di San Giuseppe di cui Madre Agnese era tanto devota chiamando così la congregazione da lei fondata Pie Operaie di San Giuseppe.

 “La Madre aveva preso come esempio San Giuseppe – sottolinea suor Emanuela Vignozzi  – l’uomo del silenzio, l’uomo che ha lavorato nel nascondimento ed è parte integrante del carisma della nostra congregazione”.

“Trovarci alla vigilia di San Giuseppe, con questa onorificenza pubblica, ci onora e ci invita a ringraziare il Signore che ci ha donato questa gioia e questa luce. Essere riconosciuta 'Giusta tra le nazioni' non fa altro che confermare la santità di Madre Agnese Tribbioli”, conclude infine. 

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Documenti


Discorso del Card. Bertone alla riunione della Giunta di Confindustria
Uno sviluppo che guarda lontano

ROMA, martedì, 16 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito ampi stralci del discorso pronunciato questo martedì dal Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, in occasione della riunione della Giunta di Confindustria.




* * *

Un'enciclica è «senza tempo» perché è un richiamo, pastorale e dottrinale, sul senso da dare alle azioni umane, secondo lo spirito cristiano. Ma una enciclica è anche «nel tempo» perché si riferisce ai problemi reali di oggi che, per chi fa impresa, sono complessi e talora preoccupanti, e Benedetto xvi nella Caritas in veritate non tralascia di evidenziarli con chiarezza.

Non sono qui per ripercorrere dettagliatamente i contenuti di tale documento pontificio, ma per ribadire in questa assemblea di imprenditori, preoccupati di una sana imprenditorialità che coniughi il profitto con lo sviluppo sociale, ciò che è ormai opinione diffusa: che la crisi non è soltanto economica, ma è stata originata da deficit di valori morali e da comportamenti pratici contrari alla legge di Dio e conseguentemente contrari all'uomo; dannosi per la giustizia e negativi per la crescita materiale e spirituale della società. Dai recenti interventi di Benedetto xvi si può individuare una «trilogia» di piste da percorrere per arginare questo deficit di valori. Anzitutto occorre prendere in seria considerazione l'emergenza educativa. «La chiedono i genitori — dice il Papa — preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri figli; la chiedono gli insegnanti, che vivono la triste esperienza del degrado delle loro scuole; la chiede la società nel suo complesso, che vede messe in dubbio le basi stesse della convivenza; la chiedono nel loro intimo gli stessi ragazzi e giovani, che non vogliono essere lasciati soli di fronte alle sfide della vita» (Lettera alla diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell'educazione, 21 gennaio 2008).

Un'altra imprescindibile necessità è la formazione di una nuova generazione di laici cristiani impegnati nel mondo del lavoro, dell'economia, della politica, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile (Omelia per la celebrazione eucaristica sul sagrato di Nostra Signora di Bonaria, 7 settembre 2008).

Il terzo elemento, che si evince dall'enciclica stessa, è l'approfondimento critico e valoriale della categoria della relazione. «Serve un nuovo slancio di pensiero per comprendere meglio le implicazioni del nostro essere una famiglia; l'interazione tra i popoli del pianeta ci sollecita a questo slancio, affinché l'integrazione avvenga nel segno della solidarietà piuttosto che della marginalizzazione» (Caritas in veritate 53).

Possiamo così  riassumere i valori che devono guidare l'imprenditore:  fare impresa è una missione potenzialmente elevatissima, ma essa è uno strumento per il benessere dell'uomo, il quale non è solo materia e perciò esige grandi attenzioni anche ai suoi bisogni spirituali. Quando l'imprenditore si occuperà anche di questi, avrà acquisito un vero vantaggio competitivo.

Per assicurare lo sviluppo dell'impresa, si deve credere nella vita e sostenerla con tutti i mezzi, aiutando le famiglie a formarsi, sostenendo la nascita e la crescita dei figli, assicurando così uno sviluppo vero e sostenibile per il sistema industriale.

Per favorire la creazione di ricchezza dell'impresa, lo sviluppo economico deve essere distribuito ed esteso a tutti, solo così potrà esser mantenuto.

L'economia e la tecnica non possono avere autonomia morale. Essendo mezzi, essi devono esser utilizzati per il bene comune e della persona.

La responsabilità dell'imprenditore e il comportamento cosiddetto etico sono personali, perché è la persona che dà senso alle proprie azioni.

Una ulteriore domanda viene tuttavia spontanea: questi comportamenti sono validi per una corretta conduzione dell'azione di sviluppo in un mondo che cambia? Per rispondere a tale domanda è necessario chiedersi quali, in questo momento, sono i veri grandi cambiamenti che pretendono considerazione per un'azione imprenditoriale di sviluppo. Al riguardo, occorre ricordare che è cambiata la crescita economica a seguito di fattori diversi, a cominciare dall'introduzione di un distorto modello di crescita, dovuto al crollo delle nascite. Grazie alle azioni che hanno tentato di compensarne le conseguenze non previste, quali la spinta alla produttività esasperata, la delocalizzazione produttiva, il consumismo a debito delle famiglie..., si è creato uno sviluppo artificiale e insostenibile, il cui crollo ha prodotto distruzione di ricchezza e vulnerabilità delle imprese, delle famiglie, delle persone e degli stessi Stati.

Inoltre, sta anche cambiando la distribuzione del potere e dell'influenza politica a livello globale, che modifica il peso delle culture e, di conseguenza, il comportamento e i modelli imprenditoriali. Tale fenomeno potrà ancor più alterare pericolosamente la visione della dignità dell'uomo e della persona. Sta mutando, infine, anche il processo economico-finanziario, che da crescita drogata sta modificandosi in decrescita necessaria per ridurre il debito dei sistemi economici, provocando così maggior difficoltà per l'economia reale, chiamata a fronteggiare la crisi con minor sostegno finanziario e con rischi di conflittualità sociale.

Dai valori sottolineati discendono alcune raccomandazioni che mi sembrano significative. Certamente desta molta inquietudine il problema dell'occupazione e della sua tutela. Ce lo ricorda anche la Costituzione — che resta fondamentale per la vita civile del Paese — quando mette il lavoro alla base della democrazia. La perdita del lavoro per tanti occupati e la mancanza di prospettive di impegno per tante migliaia di giovani, pure qualificati, vanno ben oltre la perdita dello stipendio. Le persone espulse dal lavoro o senza prospettive di lavorare entrano in una crisi esistenziale, perché il lavoro è una parte costitutiva della persona che senza di esso si sente fuori posto e inutile. Non di rado entrano in difficoltà i rapporti familiari con le conseguenze sociali ben note. A questo riguardo,  non voglio solo fare richiami generici e irrealistici. Come si garantisce l'occupazione, senza fare assistenzialismo? Conoscete meglio di me la risposta. Si tutela sviluppando l'impresa e rafforzandola competitivamente. Ciò richiede un adeguato sostegno finanziario, oggi carente. Ma voi avete chiaro il modello di sviluppo cosiddetto italiano, quello centrato sulla figura dell'imprenditore con una visione a lungo termine, con un senso di responsabilità sociale sul territorio, con una cura quasi personale ai propri dipendenti, con un'attenzione al rischio e prudenza nell'uso di strumenti complessi. Si rafforzi dunque questo modello e si convinca il sistema finanziario che è il migliore per il rilancio della nostra economia. Conseguentemente, auspico che si sviluppi una strategia di «concertazione» con le parti sociali e il governo per coordinare le scelte nella necessaria ristrutturazione a breve.

Sembra, infatti, doveroso fondare questo modello di ripresa sui valori di responsabilità  personale e sul merito, anziché sulla ricerca di forme di assistenza o di protezione.

Parlando dell'oggi dell'impresa e dei valori che la devono guidare, non bisogna dimenticare gli sforzi di coloro che nel recente passato, in contesti certo differenti, sì da rendere forse problematico il volerli qui richiamare, con il rischio di semplificarli o mal interpretarli, hanno contribuito ad elaborare un modello di impresa con un forte senso di responsabilità sociale. Mi riferisco all'esperienza dell'azienda Olivetti, che mi piace ricordare dato che quest'anno ricorre il 50° anniversario della morte dell'ingegnere Adriano Olivetti (1960). Io sono originario della diocesi di Ivrea e questa esperienza è presente nella mia memoria e ha influito sulla mia sensibilità sociale.

In un convegno, voluto proprio dalla diocesi di Ivrea, intitolato «Olivetti ancora una sfida», tenutosi il 19 febbraio 2010, se ne è evidenziata la figura, ricordando i valori importanti e attuali dell'esperienza olivettiana. Il primo elemento ricordato è certamente quello di un umanesimo profondo nella gestione del mondo del lavoro. Un secondo elemento fondante è costituito dal senso di responsabilità con cui l'azienda ha affrontato il tema del suo rapporto con il territorio.

Per l'ingegnere Olivetti il movente del lavoro non è «quanto vale» ma «che cosa vale», con la conseguente traduzione in progresso civile dei risultati del processo produttivo. Secondo la concezione olivettiana l'impresa nasce e si sviluppa per poter ridistribuire gran parte dei profitti facendoli ritornare alla comunità circostante, con il conseguente armonico sviluppo dell'essere umano. Abissale la sua distanza dalla prospettiva dell'impresa predatoria impegnata a sfruttare le risorse locali senza restituire in ricchezza e bellezza. Egli si sforzava sempre e ovunque di radicare la fabbrica sul territorio di riferimento, al fine di farlo crescere materialmente, culturalmente, esteticamente.

L'ingegnere Adriano Olivetti è stato un esempio di umanesimo cristiano imprenditoriale (cfr. Luigino Bruni, Stefano Zamagni,  Olivetti Adriano in Dizionario di economia civile, Città Nuova, 2009, pp. 635-640), conquistato dopo una svolta significativa della sua vita. Non è mia intenzione proporre la sua figura in chiave politica o ideologica  — che può essere discussa a seconda dei punti di vista —  ma piuttosto evidenziare che nella sua originale visione religiosa egli è stato simbolo del «dono» come vocazione. Egli volle donare i suoi averi per il bene comune. Per lui il dono era inteso come vocazione teologica di carità nella verità, non come filantropia. Perciò desidero simbolicamente ricordarlo alla luce dell'enciclica Caritas in veritate.

Un altro esempio più vicino a noi  — anche se non vorrei privilegiarlo rispetto ad altre valide realizzazioni —  è dato dal Gruppo Cerutti, fondato dall'ingegnere Giovanni Cerutti, che mi piace citare per averne conosciuto l'operato quando ero arcivescovo di Vercelli. In particolare ricordo la signora Tere Cerutti Novarese, recentemente scomparsa, che è stata alla guida del Gruppo per molti anni, prima accanto al marito Luigi, figlio di Giovanni, e poi come presidente. La filosofia aziendale e la storia di ottant'anni di attività del Gruppo ci presentano un'azienda vincente sul piano tecnologico e nello stesso tempo particolarmente attenta al fattore umano. Si deve riconoscere a Tere Cerutti — donna di fede profonda con notevoli doti di efficiente imprenditrice — la passione per le relazioni umane all'interno dell'azienda e tra l'azienda e i suoi interlocutori sparsi in tutto il mondo.

Viene allora da chiederci: come testimoniare con coraggio l'identità cristiana in questo momento di crisi? Credo che la risposta più opportuna possa essere trovata nella conclusione dell'enciclica, quando si afferma che «L'amore di Dio (...) ci dà il coraggio di operare e di proseguire nella ricerca del bene di tutti» (78). E ancora quando dice che «Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio» (79). Posso immaginare la vostra perplessità, ma vi parlo da pastore e non solo da studioso. La Chiesa, voi lo sapete, non svolge soltanto il compito di incoraggiare, ma anche quello di insegnare. Essa, infatti, ha una visione non solo naturale, ma anche soprannaturale.

Riguardo al lavoro, ad esempio, occorre notare che nei tempi antichi l'uomo libero non lavorava: il lavoro era riservato agli schiavi. Gesù Cristo invece, prima di annunciare per tre anni il Vangelo, per venti anni ha lavorato come falegname; Paolo di Tarso si manteneva fabbricando tende e scriveva ai cristiani «chi non lavora non mangi», e Benedetto da Norcia inseriva nella regola per i suoi monaci il principio del «prega e lavora»; così il lavoro diventava per l'uomo un'attività con pari dignità della preghiera e diventava una sua attività fondamentale, costitutiva. Nella modernità il lavoro, nella organizzazione di Frederick W. Taylor, veniva ridotto a puro mezzo di produzione, ma per il cristiano il lavoro umano va ben oltre perché è il corrispondere alla volontà di Dio su ciascuno: è così un atto di gratuità, un atto d'amore, una liturgia.

Vi invito, perciò, a riflettere attentamente su queste affermazioni. Gli imprenditori sono alla ricerca continua di nuove strategie vincenti, di nuovi vantaggi competitivi. Ebbene, non ho mai saputo che si fosse stabilita una strategia fondata su un vantaggio da molti ignorato: la grazia. L'addendo in più che rende ogni futuro imprevedibile. Si può pensare che la fiducia in Dio possa diventare un vantaggio? Che l'attenzione alla vita spirituale dei dipendenti diventi un vantaggio, che provoca più produttività, minori costi, minori rischi?

Ci si chiede come testimoniare con coraggio l'identità cristiana. Da quanto fin qui detto abbiamo visto emergere chiaramente la risposta: l'imprenditore cristiano considera l'impresa un mezzo e il profitto un utile strumento di misura. Entrambi, però, devono avere un fine, che è la persona umana. Il rispetto della dignità della persona si deve vedere anzitutto nell'attenzione dell'imprenditore verso il proprio comportamento, come pure verso i dipendenti, fornitori, clienti, azionisti, investitori. Tale attenzione provoca un valore, che si chiama fiducia. Occorre approntare strategie di sviluppo fondate proprio sul vantaggio competitivo della «fiducia», quella vera, non intesa soltanto come strumento di marketing, come avviene spesso con il termine «etica», usato specialmente quando questa viene a mancare. È necessario, quindi, che il mondo economico globale torni ad aver bisogno delle vostre capacità potenziate dalla risorsa «fiducia». Non si creda che modelli economici attualmente vincenti, ma che ci spaventano perché sono fondati su costi del lavoro troppo bassi, tecnologie troppo alte e prodotti di scarsa qualità, siano anche sostenibili. Se non sono centrati sulla valorizzazione dell'uomo, non lo saranno per molto. È una legge naturale fondata sul rispetto dell'uomo e delle leggi economiche naturali. Ignorarle produce gli effetti che abbiamo appena vissuto e che si riprodurranno in futuro in altre circostanze e condizioni. Vi invito, pertanto, a fornire al mondo l'esempio di come si governa una impresa con modelli cristiani di lealtà, trasparenza, sicurezza, qualità, capacità innovativa, senso di responsabilità e dovere. Tali scelte di alto profilo porteranno molti ad accorrere a voi per lavorare, per comprare, per fornire, per investire e per finanziare.

Per concludere vorrei ritornare all'inizio di questo mio intervento per riaffermate l'urgenza di una solida educazione delle nuove generazioni. È noto che il capitale umano di un'azienda passa attraverso la formazione, e questa rappresenta un vero obiettivo economico e sociale per il miglioramento dei rendimenti degli investimenti. Anche nei Paesi poveri il capitale umano ha questa funzione, nel senso che l'assorbimento di nuova tecnologia non può avvenire che attraverso la conoscenza. L'educazione però deve contribuire alla formazione delle idee e del pensiero dell'uomo in termini di socialità.

Prendo in prestito alcuni concetti espressi dal professore Ettore Gotti Tedeschi, in un recente articolo scritto per «Il Sole 24 Ore»: «Continuiamo a notare, opportunamente, una grande ansia di richiamare esigenze di etica e di fare proposte di nuovi modelli di capitalismo: temo però che grandi soluzioni con questo approccio giuridico economico sul capitalismo o sulla responsabilità sociale dell'impresa non si troveranno. Soluzioni vere si produrranno solo se si hanno idee e progetti per cambiare l'uomo anziché gli strumenti (...) Se l'uomo ha un pensiero vero, forte e maturo, il suo lavoro ne trae beneficio. Con conseguenze evidenti sui modelli di capitalismo migliori (...)» (I buoni preti? Meglio degli economisti, 11 marzo 2010, pagina 15).

In questo modo la società può sperare in quella nuova generazione di uomini e di donne capaci di elaborare con competenza e rigore soluzioni di sviluppo sostenibile, e di impegnare le loro migliori energie morali nell'ambito della politica.

 

[L'OSSERVATORE ROMANO - Edizione quotidiana - del 17 marzo 2010]

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