venerdì 19 marzo 2010

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ZENIT

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Servizio quotidiano - 19 marzo 2010

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Il concerto di Haydn, il miglior regalo per l'onomastico del Papa
Eseguita in Vaticano l'opera sulle sette ultime parole di Cristo sulla croce

di Jesús Colina

ROMA, venerdì, 19 marzo 2010 (ZENIT.org).- Questo venerdì, solennità di san Giuseppe, la Santa Sede ha deciso di offrire in onore di Benedetto XVI, per il suo onomastico, un concerto su “Le sette ultime parole di Cristo sulla croce” di Joseph Haydn.

Il concerto, tenutosi nella Sala Clementina in Vaticano, ha presentato la versione curata dal musicista spagnolo José Peris Lacasa (Maella, Zaragoza, 1924), al quale il Papa ha espresso alla fine il suo apprezzamento, prima di intrattenersi a lungo a parlare con lui.

L'opera musicale, una delle più rappresentative del secolo dei Lumi, è stata eseguita dal quartetto d'archi Henschel de Munich e dal mezzosoprano tedesca, Susann Kelling, che, come ha detto il Papa, “ha messo la sua voce straordinaria al servizio delle parole sante del Signore Gesù”.

Alla fine del concerto, che il Papa ha ascoltato insieme a suo fratello, monsignor Georg Ratzinger, il Santo Padre ha presentato l'opera di Haydn come un esempio “tra i più sublimi di come si possano sposare l'arte e la fede”.

Dopo aver notato come l'ispirazione del compositore si fondi sul Vangelo, il Vescovo di Roma ha quindi mostrato, con le note della musica, come “sulla dura Croce Dio ha pronunciato in Cristo la parola d'amore più bella e più vera, che è Gesù, nel suo donarsi pieno e definitivo. È lui l'ultima parola di Dio, in senso non cronologico ma qualitativo”.

“Forse mi sono spinto un po' oltre con questa riflessione ma la colpa o forse il merito è di Franz Joseph Haydn”, ha detto infine il Papa dopo un discorso incentrato sulla creatività artistica della fede, prima di ringraziare i presenti non solo in italiano, ma anche in tedesco e spagnolo.

Nei giorni scorsi, il musicista José Peris Lacasa aveva spiegato da Madrid, in che modo era nata l'idea del concerto.

“Non so con certezza cosa sia accaduto – ha detto alla stampa -. Alcune persone dei circoli musicali devono aver parlato a Papa Benedetto XVI de 'Le ultime sette parole di Cristo' e lui stesso ha detto: 'Desidero ascoltare questa opera'. E così è cominciato tutto: ho ricevuto lettere, chiamate; e infine si è messo in contatto con me il Prefetto della Casa Pontificia, il Vescovo James Harvey”.

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Notizie dal mondo


Un francescano tra le decine di cristiani espulsi dal Marocco
"Ciò che serve è amore con libertà", risponde il Vescovo della Diocesi

di Patricia Navas

TANGERI, venerdì, 19 marzo 2010 (ZENIT.org).- Un religioso francescano di nazionalità egiziana è tra le decine di cristiani espulsi dal Marocco in questo mese di marzo.

Il Vescovado di Tangeri, la Diocesi dalla quale è stato espulso, ha chiesto le ragioni del provvedimento alle autorità marocchine, ma non ha ancora ricevuto alcuna risposta, ha spiegato a ZENIT il Vescovo, monsignor Santiago Agrelo, anch'egli francescano.

Il religioso è stato arrestato dalla polizia domenica 7 marzo. E' stato poi portato in aereo in Egitto. Era in Marocco da quasi due anni; aveva fatto la professione religiosa, anche se non aveva ancora concluso il periodo di formazione.

Il suo arresto ha avuto luogo durante il Vertice che l'Unione Europea e il Marocco hanno celebrato nel fine settimana nella città spagnola di Granada.

“Credo che da questa Diocesi di Tangeri non sia stato mai espulso nessuno per motivi religiosi”, ha dichiarato monsignor Agrelo, che al momento dell'arresto era in Spagna.

Il Vescovo ritiene che nella Diocesi ci siano 2.000-2.500 cattolici su oltre 4 milioni di abitanti.

Riconosce che non è possibile censire questa comunità di stranieri – solo i musulmani possono essere marocchini –, caratterizzata dalla mobilità.

L'arresto del giovane cattolico si unisce a quello di decine di cristiani espulsi dal Marocco in questo mese nel contesto della “lotta che le autorità marocchine mettono in atto contro i tentativi di diffusione del credo evangelico, destinato a scuotere la fede dei musulmani”, riferisce l'agenzia ufficiale Maghreb Arab Press.

Presenza storica

La presenza francescana nel Paese risale al 1219, quando furono martirizzati a Marrakech i primi francescani.

Durante il Medioevo i religiosi rimasero, con periodi di assenza, assistendo piccole comunità cristiane e i commercianti europei.

Dal 1630, quando il beato Juan de Prado rifondò la missione, i francescani si dedicarono ad assistere i cristiani prigionieri e li accompagnarono condividendone la vita e la prigionia, rafforzandoli nella fede e riscattandoli con le elemosine che ottenevano in Spagna.

Nel 1861 padre José Lerchundi fu destinato alle missioni del Marocco, e dopo un periodo di crisi realizzò la terza rifondazione. I francescani assistevano le sempre più numerose comunità cristiane, crearono scuole, fondarono ospedali e si dedicarono alla modernizzazione del Paese.

Il religioso espulso questo mese dal Marocco era uno degli otto francescani della Diocesi, che insieme a quelli che vivono in altre città del Marocco sono riconosciuti nel Paese per il loro servizio.

“L'amore ci rende liberi”

“Qui lavoriamo con i poveri come cristiani; tutti ci identificano come cristiani, conoscono il nostro lavoro – ha dichiarato monsignor Agrelo –. Credo che lo rispettino molto, e questo è il nostro modo di evangelizzare”.

Per il Vescovo di Tangeri, “le parole 'forti' non servono a nulla, né qui né in alcun luogo; ciò che serve è la carità, è l'amore... con libertà: questo ci rende liberi, forti e cristiani”.

“Desidero che tutte le persone abbiano libertà di coscienza e libertà religiosa”, ha aggiunto, sottolineando che “è una questione molto importante, che spetta al Governo”.

Rispetto delle leggi

A Rabat, l'Arcivescovo cattolico monsignor Vincent Landel e il pastore evangelico Jean Luc Blanc hanno diffuso un comunicato di fronte alle notizie degli ultimi mesi sull'espulsione dei cristiani stranieri di varie nazionalità “con l'accusa di proselitismo o di altre questioni che ignoriamo”.

“Abbiamo sempre potuto esercitare la nostra responsabilità, in virtù della libertà di culto riconosciuta agli stranieri cristiani”, afferma il testo, del 10 marzo.

“La nostra responsabilità è aiutare i nostri fratelli cristiani a incontrare i loro fratelli musulmani, imparando a conoscerli, rispettarli e amarli, senza alcun desiderio di proselitismo”, si legge.

“Il nostro unico obiettivo è partecipare alla costruzione di un Marocco in cui i musulmani, gli ebrei e i cristiani siano felici di condividere la responsabilità di edificare un Paese in cui si possano vivere giustizia, pace e riconciliazione”.

Essere cattolici in Marocco

La minoranza cattolica del Marocco ha riconosciuta la libertà di culto, ma non quella di coscienza e religione, per cui catechizzare o accogliere nella comunità cristiana un musulmano viola le leggi.

In Marocco, a differenza di altri Paesi musulmani, la Chiesa cattolica gode di uno status speciale concesso dal "Dahir Royal" di re Hassan II nel 1983, ricorda Fides.

Questo status le permette di esercitare pubblicamente e liberamente le proprie attività, soprattutto quelle relative al culto, al magistero e alla giurisdizione interna, alla beneficenza e all'insegnamento religioso dei suoi membri.

Non esiste una struttura nazionale dell'episcopato cattolico: la Conferenza Episcopale Regionale dell'Africa del Nord (CERNA), che riunisce Algeria, Tunisia, Libia e Marocco, agisce come Conferenza Nazionale.

La CERNA, che ha sede in Algeria, dipende dalla Congregazione per i Vescovi, mentre le due Diocesi del Marocco – Tangeri e Rabat – e la Prefettura Apostolica del Sahara Occidentale dipendono dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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Anglicani canadesi chiedono la creazione di un ordinariato cattolico
Si tratta dei membri della Comunione Tradizionale Anglicana

TORONTO, venerdì, 19 marzo 2010 (ZENIT.org).- La Chiesa Anglicana Cattolica del Canada, una delle province della Comunione Tradizionale Anglicana (Traditional Anglican Communion, TAC), ha chiesto alla Santa Sede di creare per questa realtà un ordinariato cattolico.

La richiesta appare in una lettera inviata il 12 marzo dal collegio dei suoi Vescovi al Cardinale William Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, seguendo quanto stabilito dalla Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus di Benedetto XVI.

“In risposta al suo invito a contattare il suo dicastero per avviare il processo da voi delineato, chiediamo rispettosamente che la Costituzione Apostolica sia implementata in Canada”, si legge nel testo.

I tre Vescovi firmatari chiedono “di istituire un Consiglio di governo ad interim di tre sacerdoti (o Vescovi)” e di “dare a questo Consiglio il compito e l'autorità di proporre a Sua Santità una terna di nomi per la nomina dell'ordinario iniziale”.

Firmano il documento i reverendi Peter Wilkinson, OSG, Vescovo diocesano; Craig Botterill, Vescovo suffraganeo per il Canada Atlantico; Carl Reid, Vescovo suffraganeo per il Canada Centrale.

“Speriamo e preghiamo che queste proposte possano essere utili all'avvio del processo stabilito dalla risposta gentile e generosa del Santo Padre alla nostra richiesta”, concludono.

Gli anglicani canadesi della TAC portano così avanti i passi dei loro fratelli in Inghilterra, America Centrale e Stati Uniti e dei membri di Forward in Faith Australia.

La Comunione Tradizionale Anglicana è una comunione di Chiese anglicane nel Movimento Angelicano di Continuazione indipendente dalla Comunione Anglicana e dall'Arcivescovo di Canterbury.

La Comunione è stata creata nel 1991. Dal 2002 il suo superiore è monsignor John Hepworth, Arcivescovo della Chiesa cattolica anglicana dell'Australia.



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Gioia per la prossima beatificazione del Cardinale Newman
I membri degli Oratori che ha fondato esprimono la propria soddisfazione

BIRMINGHAM, venerdì, 19 marzo 2010 (ZENIT.org).- I sacerdoti degli Oratori inglesi fondati dal Cardinale John Henry Newman stanno esprimendo la propria gioia per l'annuncio ufficiale per cui Benedetto XVI beatificherà il loro fondatore durante la sua visita in Inghilterra a settembre.

Padre Richard Duffield, prevosto dell'Oratorio di Birmingham, ha sottolineato questo mercoledì in un comunicato che la devozione personale del Papa per Newman “ha dato un grande contributo alla comprensione della profondità e del significato dell'eredità del nostro fondatore”.

A suo avviso, la decisione del Papa di beatificare personalmente Newman “conferisce una benedizione unica agli Oratori Inglesi e a tutti coloro che si sono ispirati alla vita e all'operato di Newman”.

La beatificazione si svolgerà nell'Arcidiocesi di Birmingham, dove il Cardinale Newman trascorse la sua vita adulta: prima ad Oxford, dove visse come anglicano e venne accolto nella Chiesa cattolica, poi a Birmingham, dove fondò l'Oratorio di Birmingham e vi lavorò per più di quarant'anni.

John Henry Newman nacque nel 1801 e morì nel 1890. Si convertì alla fede cattolica nel 1845.

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Belgio: prima "Marcia per la vita" a carattere continentale
A Bruxelles, il 28 marzo prossimo
ROMA, Venerdì 19 marzo 2010 (ZENIT.org) - Una marcia internazionale "per la vita" si svolgerà a Bruxelles su iniziativa degli studenti. 

La marcià si terrà domenica 28 marzo in occasione del 20° anniversario della legge che ha depenalizzato l'aborto in Belgio (aprile 1990).

Nell’invito alla manifestazione gli organizzatori hanno scritto: "I giovani del Belgio sono particolarmente invitati a partecipare numerosi insieme ai giovani provenienti da diversi paesi europei (Francia, Spagna, Paesi Bassi, Austria, Italia, Ucraina ...) per dire che tutte le donne che affrontano una gravidanza non pianificata hanno il diritto di essere sostenute e aiutate a mantenere i loro figli piuttosto che ad essere indirizzate verso l’aborto. Le donne meritano di meglio che l’interruzione di gravidanza!”.

“In un paese dove quasi ogni anno vengono effettuati 18.033 aborti, questa marcia aiuterà a rompere il silenzio sulle sofferenze e sui traumi psicologici vissuti da molte donne – continuano gli organizzatori –. L'esperienza dopo un aborto è drammatica ed è praticata spesso contro la volontà delle mamme. L’interruzione di gravidanza è il cattivo frutto di pressioni economiche, sociali, familiari e mediche”.

"Vogliamo – aggiungono poi – attirare l'attenzione dei politici sulla necessità di adottare misure concrete per il sostegno delle donne, affinché possano mantenere i loro bambini e crescerli in buone condizioni. E perché l'aborto possa essere considerato una soluzione inaccettabile in una società giusta”.

La Marcia per la Vita del 28 marzo avverrà in silenzio come segno di rispetto per le vittime, e ogni simbolo di appartenenza politica sarà vietato.
 
Alla manifestazione interverranno relatori provenienti da diversi paesi europei.

Il raduno è alle ore 14.30, domenica 28 marzo a Place Royale.

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Italia


Per rinnovare la classe politica occorre educare alla cittadinanza
Intervento del Card. Bagnasco a un incontro a Milano di Comunione e Liberazione

ROMA, venerdì, 19 marzo 2010 (ZENIT.org).- “Il sogno di allargare le generazioni dei politici cristianamente ispirati passa attraverso la capacità di educare e formare al senso della cittadinanza e dello Stato, della legalità e dell’impegno nella società civile”. E’ quanto ha detto il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), il Cardinale Angelo Bagnasco, intervenendo giovedì a Milano a un incontro organizzato da Comunione e Liberazione e incentrato sul tema “L’avventura educativa”.

Nel suo discorso il porporato ha affermato che “l’appello alla partecipazione e alla passione, merce troppo rara nel nostro attuale contesto, se non vuol essere solo retorico, chiede energie e risorse da destinare all’educazione delle giovani generazioni”.

Giovani generazioni, ha osservato, “che, se hanno ricevuto, dandola per scontata, la democrazia, troppo spesso non sembrano in grado di abitarla e viverla in riferimento ai valori fondamentali della giustizia, della libertà e della pace”.

“Conosciamo i limiti e gli errori della condizione umana, ma ciò non può oscurare l’esperienza secolare della comunità cristiana”, ha poi continuato.

“A volte, a fronte di tante situazioni di violenza vecchie e nuove – ha continuato il Cardinale – al mondo ancora così lacerato da squilibri e ingiustizie, a forme d’involuzione culturale, potremmo chiederci: quanto ha inciso il cristianesimo nell’elevazione dell’umanità, quanto efficace è stata ed è la predicazione della fede?”.

Citando l’ “emergenza educativa”, tema degli Orientamenti pastorali della Cei per questo decennio, Bagnasco ha sottolineato che “la questione pedagogica va di pari passo con la questione antropologica” e che è necessario “allargare la razionalità”, come indicato dal Papa, cioè educare e lasciarsi educare a quel “pensare in grande” che Antonio Rosmini “amava spesso evocare di fronte alle piccinerie del proprio ambiente e ai riduzionismi di ogni genere che la cultura diffusa gli offriva e gli offre”.

“Ci troviamo di fronte – ha spiegato il Presidente della CEI – ad una specie di esilio della parola in un mondo disorientato”; ad un'epoca di “frammentazione del sapere”.

Ecco quindi, ha concluso, che occorre vincere il “dubbio radicale” e la “disperazione epistemologica” partendo dalla consapevolezza che “l’emergenza educativa sta nell’urgenza d’insegnare e imparare a pensare, oltrepassando quella modalità diffusa e superficiale propria non solo di quanti apprendono, ma anche spesso di quanti insegnano”.

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Il 25 settembre verrà beatificata a Roma Chiara Badano
Esempio per i giovani di "testimonianza di fede e di fortezza"

ROMA, venerdì, 19 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il Vescovo della diocesi di Acqui, mons. Pier Giorgio Micchiardi, insieme alla Postulazione della Causa di canonizzazione, ha annunciato la prossima beatificazione di Chiara Badano, la prima appartenente al Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich, a raggiungere questo traguardo.

Il solenne rito avrà luogo sabato 25 settembre, alle ore 16:00, nel santuario della Madonna del Divino Amore a Roma e sarà presieduto da mons. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.

Successivamente, alle ore 20:30, nell’Aula Paolo VI, i giovani animeranno un incontro di festa. Mentre domenica 26 settembre, nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura, sarà celebrata una Messa di ringraziamento, presieduta dal Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone.

Il decreto riguardante il miracolo, attribuito all’intercessione di Chiara Badano, è stato promulgato dalla Congregazione delle Cause dei Santi, dietro autorizzazione del Santo Padre,

il 19 dicembre scorso. Si tratta della guarigione improvvisa di un bambino di Trieste affetto da una gravissima forma di meningite fulminante, cui i medici avevano dato 48 ore di vita.

Nello spiegare cosa lo ha spinto ad avviare il processo di beatificazione della giovane Badano, l’allora Vescovo di Acqui, mons. Livio Maritano, ha detto: “Mi è parso che la sua testimonianza fosse significativa in particolare per i giovani. C’è bisogno di santità anche oggi. C’è bisogno di aiutare i giovani a trovare un orientamento, uno scopo, a superare insicurezze e solitudine, i loro enigmi di fronte agli insuccessi, al dolore, alla morte, a tutte le loro inquietudini”.

“E’ sorprendente – ha aggiunto – questa testimonianza di fede, di fortezza da parte di una giovane di oggi: colpisce, determina molte persone a cambiare vita, ne abbiamo testimonianza quasi quotidiana”.

Chiara Lubich, a cui Chiara Badano era strettamente legata, anche attraverso una fitta corrispondenza, nel marzo 2000, a conclusione della fase diocesana del processo, così si rivolgeva al Movimento nel mondo: “Quanta luce in questa nostra Chiara! La si legge sul suo volto, nelle sue parole, nelle sue lettere, nella sua vita tutta protesa ad amare concretamente tanti! Possiamo bere alla sua vita. E’ modello e testimone per giovani e anziani: ha saputo trasformare la sua 'passione' in un canto nuziale!”.

Attesa per 11 anni dai suoi genitori, Chiara nasce a Sassello il 29 ottobre 1971 e cresce in una famiglia semplice che la educata alla fede.

A nove anni incontra il Movimento dei Focolari nel partecipare con papà e mamma a Roma al Family Fest - una manifestazione mondiale del Movimento dei Focolari: è l’inizio, per tutti e tre, di una nuova vita.

Aderisce come Gen (Generazione Nuova), dove scopre Dio come Amore e ideale della vita, e si impegna a compiere in ogni istante, per amore, la sua volontà.

Ha 17 anni quando un forte dolore alla spalla accusato durante una partita a tennis insospettisce i medici. Cominciano esami clinici di tutti i tipi per definire l’origine del male. Ben presto si rivela l’origine del grave male che l’ha colpita: tumore osseo.

Si susseguono controlli medici ed esami e a fine febbraio ’89 Chiara affronta il primo intervento: le speranze sono poche. Nell’ospedale si alternano le ragazze che condividono lo stesso ideale e altri amici del Movimento per sostenere lei e la sua famiglia con l’unità e gli aiuti concreti.

I ricoveri nell’ospedale di Torino diventano sempre più frequenti e con essi le cure molto dolorose che Chiara affronta con grande coraggio. Ad ogni nuova, dolorosa “sorpresa” la sua offerta è decisa: “Per te Gesù, se lo vuoi tu, lo voglio anch’io!”.

Presto arriva un’altra grande prova: Chiara perde l’uso delle gambe. Un nuovo doloroso intervento si rivela inutile. E’ per lei una sofferenza immensa: si ritrova come in un tunnel oscuro.

“Se dovessi scegliere fra camminare e andare in Paradiso – confida a qualcuno – sceglierei senza esitare: andare in Paradiso. Ormai mi interessa solo quello”.

Il suo rapporto con Chiara Lubich è strettissimo. Lei la chiamava “Chiara Luce”.

All’inizio dell’estate del '90 i medici decidono di interrompere le terapie: il male è ormai inarrestabile.

Il 19 luglio la giovane informa Chiara Lubich della sua situazione: “La medicina ha deposto le sue armi. Interrompendo le cure, i dolori alla schiena sono aumentati e non riesco quasi più a girarmi sui fianchi. Mi sento così piccola e la strada da compiere è così ardua…, spesso mi sento soffocata dal dolore. Ma è lo Sposo che viene a trovarmi, vero? Sì, anch’io ripeto con te 'Se lo vuoi tu, lo voglio anch’io'… Sono con te certa che insieme a Lui vinceremo il mondo!”.

Chiara Lubich a giro di posta le risponde: “Non temere Chiara di dirGli il tuo sì momento per momento. Egli te ne darà la forza, siine certa! Anch’io prego per questo e sono sempre lì con te. Dio ti ama immensamente e vuole penetrare nell’intimo della tua anima e farti sperimentare gocce di cielo. 'Chiara Luce' è il nome che ho pensato per te; ti piace? È la luce dell’Ideale che vince il mondo. Te lo mando con tutto il mio affetto…”.

Chiara Luce muore il 7 ottobre 1990. Aveva pensato a tutto: ai canti per il suo funerale, ai fiori, alla pettinatura, al vestito, che aveva desiderato bianco, da sposa…Le sue ultime parole rivolte alla mamma: “Sii felice, io lo sono!”.

Il papà le aveva chiesto se era disponibile a donare le cornee: aveva risposto con un sorriso luminosissimo. Subito dopo la partenza di Chiara Luce per il Cielo arriva un telegramma di Chiara Lubich per i genitori: “Ringraziamo Dio per questo suo luminoso capolavoro”.

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Al via "la migrazione delle immagini. Oriente Occidente"
Una rassegna culturale che verrà inaugurata il 31 marzo a Venezia

di Chiara Santomiero

ROMA, venerdì, 19 marzo 2010 (ZENIT.org).- Prenderà il via il prossimo 31 marzo, a Venezia, la rassegna culturale “La migrazione delle immagini. Oriente Occidente” che presenta un programma di ricerca sui santi Pietro e Marco, nato per riscoprire le figure dell’apostolo e dell’evangelista, i rapporti tra Roma e Venezia e il legame con le tradizioni iconografiche del Mediterraneo orientale e di ambito russo.

La rassegna prevede una serie di appuntamenti che coinvolgono oltre alle città di Roma e Venezia, anche Aquileia, Vicenza e Zara, in Croazia.

“In questi eventi – spiega Letizia Caselli, docente presso l’università IUAV di Venezia e responsabile scientifico della rassegna – saranno proposte e discusse alcune questioni in chiave biblica, antropologica, archeologica, storica, storico-artistica e teatrale”.

Se, infatti, alcuni aspetti relativi a Pietro e Marco, spesso raffigurati insieme nella tradizione artistica e iconografica d’Oriente e d’Occidente, sono certi, altri – soprattutto relativamente alla diffusione del loro culto – costituiscono, secondo Caselli “un vero e proprio 'giallo' religioso, storico e anche archeologico”.

“Certamente tra i due santi sono esistite relazioni strette – ha affermato il card. Albert Vanhoye, presidente onorario della società internazionale per lo studio della retorica biblica e semitica, intervenendo alla conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa svoltasi a Roma nei giorni scorsi -. Nella sua prima lettera, Pietro presenta Marco come suo figlio e quando fu liberato dalla prigione, andò a stare a casa della madre di Marco. L’evangelista, a sua volta, ha riferito le catechesi di Pietro con grande spontaneità e attenzione ai particolari concreti”.

“S. Marco – ha aggiunto p. Philippe Luisier, docente di lingua e letteratura copta al Pontificio Istituto orientale di Roma – è stato inviato da Pietro ad Alessandria ed ancora oggi il Patriarca ortodosso copto di Alessandria, che è al Cairo, porta il titolo della predicazione di S. Marco”.

Anche le reliquie di S. Marco “giungono certamente da Alessandria ma non sappiamo dove fosse conservato il corpo. La tradizione copta afferma, inoltre, che la testa di S. Marco sia rimasta ad Alessandria dove era grandemente venerata e aveva un ruolo importante nell’insediamento dei nuovi patriarchi ortodossi copti che dovevano toccarla”.

In maniera opposta si esprime la “Translatio Marci evangelistae Venetias” che racconta la traslazione delle reliquie di S. Marco a Venezia. “Si sottolinea – ha affermato Emanuela Colombi, docente di storia del cristianesimo antico e medioevale all’Università di Udine – che il corpo è integro, all’interno di una narrazione ricca di dettagli concreti, come il famoso espediente da parte dei mercanti di rivestire il corpo del santo di carne di maiale in modo da evitare il controllo dei Saraceni, così come la presenza di avvenimenti miracolosi quale la sensazione per chi lo trasporta che il corpo sia 'ora lieve e ora pesante', che nel sistema delle attese del lettore medievale sono tutti vissuti come avvenimenti storici e degni di credibilità”.

Ma “come per tutti i testi che sono mezzi di informazione bisogna chiedersi: chi ha voluto che fossero scritte queste cose? Perché? Quando?”, ha aggiunto la Colombi.

Infatti, ha spiegato, non si è certi “che il testo sia stato scritto subito dopo gli avvenimenti che narra, avvenuti nell’828, né che avesse da subito la forma che è giunta sino a noi né che il culto di san Marco sia stato avvertito subito e da tutti come fondante l’identità veneziana”.

E’ un fatto che “fino all’XI secolo a Venezia nessuno porta il nome di Marco e non ci sono vie o chiese a lui dedicate mentre nel 974 l’imperatore Ottone II ha concesso dei privilegi alla chiesa di Grado in quanto custode dei corpi dei santi Marco ed Ermagora, il primo vescovo di Aquileia, consacrato vescovo – secondo una leggenda – proprio da S. Marco, inviato da Pietro ad evangelizzare il nord dell’Italia”.

“Solo la collaborazione interdisciplinare dello storico con l’archeologo, con il filologo, il paleografo, con lo storico dell’arte e dell’iconografia – ha concluso la Colombi – può fornire la chiave per leggere le testimonianze del nostro passato”.

“Il programma di ricerca che produce la rassegna ‘La migrazione delle immagini. Oriente Occidente’ – ha ricordato Letizia Caselli – coinvolge trenta studiosi e 14 istituzioni universitarie ed è completamente auto sostenuto per testimoniare la centralità della cultura come strumento di dialogo tra popoli e tradizioni diverse”.

L’obiettivo è “porgere una riflessione che parta dal livello alto della ricerca universitaria ma sia capace di coinvolgere un pubblico più vasto, soprattutto di giovani, suscitando curiosità capaci di essere variamente declinate”.

All’appuntamento di Venezia, presso l’Ateneo Veneto, dedicato all’approfondimento storico e a una lettura teatrale tratta dalla “Translatio Marci evangelistae Venetias”, seguirà l’incontro di studio “San Pietro e San Marco. Aspetti, luoghi della santità e della agiografia tra Oriente e Occidente” che si terrà presso l’Istituto Patristico Augustinianum di Roma il prossimo 29 aprile.

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Il compito della famiglia nel terzo millennio
Parla il Cardinale Ouellet, Arcivescovo di Québec e Primate del Canada

di Carmen Elena Villa

ROMA, venerdì, 19 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il primo decennio del XXI secolo è stato caratterizzato, tra le altre cose, da “confusione di valori e perdita di riferimenti”, un elemento che ha colpito molto le famiglie. Lo ha affermato mercoledì l'Arcivescovo di Québec e Primate del Canada, il Cardinale Marc Ouellet.

Il porporato è intervenuto sul tema “Il compito della famiglia nel terzo millenio” al congresso “Oriente e occidente: in dialogo sull'amore e la famiglia”, svoltosi martedì e mercoledì presso l'Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia della Pontificia Università Lateranense di Roma.

“L'umanità vive oggi una crisi senza precedenti”, ha segnalato il Cardinale Ouellet, sottolineando alcuni aspetti come la crisi delle risorse, il collasso finanziario, il terrorismo internazionale e il relativismo morale. Ciò incide anche sulla crisi della fede. “Nell'ultimo secolo ha modificato l'immagine che l'uomo aveva di se stesso”, ha dichiarato.

La crisi crea anche una “confusione alimentata da un linguaggio ambiguo”. Per questo, osserva il porporato, la crisi attuale “non è solo morale o spirituale, ma sopratutto antropologica, e mette in discussione l'umanità”.

Magistero e famiglia

Il porporato ha ricordato come il Concilio Vaticano II abbia saputo affrontare le sfide che allora si intravedevano in vista dell'arrivo del terzo millennio. Ha anche sottolineato come la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes si riferisca al tema della famiglia, che deve vivere a somiglianza della Trinità. “Dio ha preso l'iniziativa, ora il Salvatore degli uomini viene incontro ai coniugi”, ha ricordato.

Allo stesso modo, ha ribadito l'importanza della famiglia come chiesa domestica, che può essere capace di vivere “secondo la grazia della somiglianza trinitaria”, e ha segnalato che bisogna “ricollocare la visione della famiglia al cuore della Chiesa”.

“L'incontro introduce la famiglia nel rapporto tra Cristo e la Chiesa e introduce una nuova dinamica. Impegna agli sposi ad amarsi in Dio e con Dio”, ha aggiunto.

Nutrirsi di Dio per proiettarsi nel mondo

Il Cardinale Ouellet ha sottolineato come l'Esortazione Apostolica Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II, pubblicata nel 1981, sia un frutto della riflessione compiuta durante il Concilio Vaticano II sulla vocazione e il ruolo della famiglia, soprattutto sulla necessità di approfondire il tema dell'uomo e della donna come esseri creati a immagine e somiglianza di Dio.

Ha anche ricordato la vocazione della famiglia ad essere chiesa domestica, in base alla frase di San Giovanni Crisostomo che diceva “Fa' della tua casa una Chiesa”, sottolineando che in questo senso oggi c'è molto da scoprire, visto che la famiglia “non è soltanto un'immagine della Chiesa, ma anche una realtà ecclesiale”.

Nel matrimonio, ha aggiunto, si verifica “l'unità del noi in maniera non simbolica ma reale”, e gli sposi “si donano e ricevono Cristo anche nel quotidiano”, con il risultato di “un carisma di unità, fedeltà e fecondità”.

“L'amore è il cammino della perfezione umana in Cristo”, ha segnalato il porporato, mostrando come l'amore coniugale sia l'unione di eros e agape. “Un amore pienamente umano, sensibile, spirituale, fedele, esclusivo fino alla morte che non si esaurisce e che continua a suscitare nuove vite”.

Un amore che, a somiglianza della Trinità, “comporta di per sé un'apertura al Figlio e ancor più profondamente: il Figlio e lo Spirito che si donano agli sposi come frutto dell'amore”, una comunione che “include non solo l'apertura allo Spirito o al Figlio, ma anche alla società”.

In questo modo, ha indicato l'Arcivescovo di Québec, la famiglia “partecipa alla missione salvifica della Chiesa”, e sia gli sposi che i figli diventano “Focolari di comunione interpersonale abitata da Cristo e scuola da libertà”, perché si possa così “rispondere alla confusione di valori della cultura di morte e della cultura del possesso e dell'effimero”.

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Per una società ed una economia a misura d'uomo
Convegno a Milano sulla "Caritas in Veritate"
MILANO, venerdì, 19 marzo 2010 (ZENIT.org).- A Milano il 13 marzo scorso, presso l'Auditorium dell'Istituto Gonzaga, si è tenuto un convegno organizzato dalla Fondazione Enzo Peserico www.fondazioneenzopeserico.org sul tema "Per una società ed una economia a misura d'uomo. Riflessioni intorno alla Lettera Enciclica Caritas in Veritate".

Il convegno ha affrontato il tema dello sviluppo, da ripensare a partire dalla dottrina sociale, dalla carità che non può essere disgiunta dalla verità; contro l'ideologia del relativismo e del materialismo, che ha dimostrato il suo fallimento sociale ed economico.

In apertura del convegno, Sabrina Pagani Peserico, presidente della Fondazione organizzatrice e vedova di Enzo Peserico, ha ricordato la figura del marito, testimone esemplare di uno stile di vita cristiano che, in ogni ambito, familiare, sociale, educativo e professionale, è riuscito a dimostrare che si può vivere secondo i principi del Vangelo, augurandosi che la Fondazione che porta il suo nome possa continuare ad indicare quella strada e quell'esperienza.

Stefano Fontana, Direttore dell'Osservatorio Internazionale "Cardinale Van Thuân" sulla dottrina sociale della Chiesa, nella relazione sul tema "Libertà e responsabilità: l'autentica vocazione dell'attività economica", ha ricordato che la Caritas in veritate è molto di più di un'enciclica sull'economia.

Il Pontefice ha sorpreso con l'affermazione che la logica del dono appartiene fin da subito alla normale attività economica (n. 36). Fontana è partito da qui per dimostrare come l'economia abbia bisogno di elementi non economici per essere se stessa.

Il dono infatti non può essere collocato dopo l'attività economica ma deve appartenerle fin da principio. Esso rappresenta la vocazione dell'economia in quanto le indica cosa sia e quali siano i suoi fini, ma l'economia per poterlo accogliere e riconoscere deve già possederlo nella forma dell'attesa. Infatti non è possibile desiderare se non ciò che in qualche modo già si conosce.

Secondo Fontana questo spiega non solo il rapporto tra economia e logica del dono, ma anche quello tra ragione e fede, tra giustizia e carità. Nessun livello si dà da solo la propria verità; ognuno si costituisce in virtù di un conferimento di senso che gli deriva da altro. Questo conferimento di senso non può essere prodotto, ma solo accolto in dono.

Fontana è così potuto tornare al cuore stesso della Caritas in veritate, appunto alla verità e all'amore. La loro esperienza da parte nostra è esperienza di un senso che ci è dato in dono e da cui dipendiamo per la nostra identità e la nostra dignità.

E' aperta così la strada ad un "posto di Dio nel mondo", ad una luce di verità e al calore di un amore che fa in modo che tutto il resto scopra la propria verità e dignità, compresa l'economia, ma non solo essa.

Stefano Zamagni, professore ordinario di Economia Politica all'Università di Bologna, ha svolto una relazione sul tema "Le radici della crisi e la ricerca dell'armonia perduta", in cui si è chiesto perché la Caritas in veritate sia tanto letta e discussa.

Il motivo è che essa individua con chiarezza i tre principali paradossi del nostro disagio di civiltà. Il primo è che mentre aumenta il reddito aumentano più che proporzionalmente le disuguaglianze. Il secondo è che abbiamo un sistema agroalimentare in grado di sfamare 12 miliardi di persone e si muore ampiamente ancora di fame e denutrizione. Il terzo è il paradosso della felicità: superati i 32 mila dollari, ulteriori aumenti di ricchezza fanno diminuire l'indice di felicità.

Questo pone in crisi l'essenza stessa del modello capitalistico e il senso stesso della vita economica. Nessuno infatti può fare a meno della felicità. Secondo Zamagni la Caritas in veritate denuncia l'esistenza di tre pericolose separazioni. La prima separazione è quella tra economia e società. All'economia è stata infatti affidata la produzione della ricchezza con il criterio dell'efficienza, mentre alla società sono state affidate la redistribuzione e l'equità con il criterio della solidarietà.

La seconda separazione è tra lavoro e ricchezza. Finora si era pensato che la ricchezza derivasse dal lavoro, oggi con l'attività finanziaria e speculativa non si pensa più così. Ciò comporterebbe tra l'altro la fine della stessa dottrina sociale della Chiesa secondo la quale il lavoro è collaborazione all'opera creativa di Dio.

La terza separazione è tra mercato e democrazia poichè si ritiene che le regole del mercato debbano nascere dal mercato stesso. La Caritas in veritate indica, secondo Zamagni, tre principi guida per ricomporre in armonia queste fratture. Il primo è che la fraternità, parola che compare per la prima volta nell'enciclica, deve entrare dentro il mercato e non collocarsi dopo. La seconda è la "libertà per", che coincide con il problema educativo e con l'emergenza educativa. La terza è il bene comune, che non è un bene totale, somma dei beni individuali, ma il prodotto di un'etica delle virtù.

Massimo Introvigne, sociologo delle religioni e Vice responsabile nazionale di Alleanza Cattolica, ha concluso i lavori con una relazione sul tema "Fede, ragione, persona, comunità", ripercorrendo quattro aspetti dell'enciclica non trattati dai due precedenti relatori: la natura e il fondamento della dottrina sociale della Chiesa; il ricordo dell'enciclica di Papa Paolo VI Populorum progressio; una descrizione di quanto profondamente è cambiata la società negli oltre quarant'anni che ci separano da quel testo; e infine una presentazione delle principali sfide sulle quali, nel contesto attuale, si deve focalizzare un'azione condotta alla luce della dottrina sociale della Chiesa.

Denunciando i rischi del relativismo, ha ricordato che difendere la verità e proporla, annunciarla e testimoniarla è una forma di carità. A proposito della Populorum progressio, Benedetto XVI ribadisce la necessità di leggerla alla luce della Tradizione della dottrina sociale della Chiesa. E al sostantivo "sviluppo" il Pontefice unisce sempre l'aggettivo "integrale", per sottolineare che lo sviluppo che sta a cuore alla Chiesa non è mai solo quello economico.

Se cresce il prodotto interno lordo ma crescono anche gli aborti e i suicidi, o si diffonde l'ateismo, non siamo di fronte a un vero sviluppo. Come afferma Benedetto XVI "Oggi occorre affermare che la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica" (n. 75). In conclusione, se si esclude la dimensione spirituale non si uscirà dalle crisi dei nostri giorni, né dalla crisi economica né dalla solitudine, e non si opererà veramente per lo sviluppo integrale.


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Segnalazioni


Giornata di studio a 40 anni dal Missale Romanum
Il 24 marzo alla Pontificia Università della Santa Croce

ROMA, venerdì, 19 marzo 2010 (ZENIT.org).- Mercoledì prossimo 24 marzo si terrà a Roma, presso la Pontificia Università della Santa Croce (Piazza Sant'Apollinare, 49), una Giornata di studio nel 40º anniversario della promulgazione del Missale Romanum.

A introdurre i lavori dell'incontro, che avrà inizio alle 9:00, sarà mons. Michael Kunzler, della Theologische Fakultät Paderborn, con una relazione su “La veracità come criterio di rinnovamento liturgico”.

Subito dopo ci sarà l'intervento del prof. Juan José Silvestre, della Pontificia Università della Santa Croce, dal titolo “Avere in noi i sentimenti di Gesù Cristo: aspetti performativi dell'Ordo Missae del Missale Romanum 1970”.

A seguire l'intervento di mons. Renato de Zan, del Pontificio Ateneo S. Anselmo, dal titolo “Il Lezionario del Missale Romanum: ermeneutica ecclesiale della Bibbia”.

La Giornata di studio si concluderà con un dialogo tra i partecipanti.

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Interviste


Torniamo alla tradizione, sarà un progresso
Intervista al teologo e liturgista, don Nicola Bux

di Antonio Gaspari

ROMA, venerdì, 19 marzo 2010 (ZENIT.org).- Nel luglio del 2007 con il Motu Proprio "Summorum Pontificum" il Pontefice Benedetto XVI ha ripristinato la celebrazione della Messa in latino.

L’evento ha suscitato scalpore. Si sono levate vibranti voci di protesta, ma anche coraggiose acclamazioni.

Per spiegare il senso e la pratica delle riforma liturgica di Benedetto XVI, don Nicola Bux, sacerdote, esperto di liturgia orientale e consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni  Liturgiche del Sommo Pontefice, ha pubblicato il libro “La riforma di Benedetto XVI. La liturgia tra innovazione e tradizione” (Piemme, Casale Monferrato 2008), con prefazione di Vittorio Messori.

Nel libro don Nicola spiega come la ripresa del rito latino non sia un passo indietro, un ritorno ai tempi precedenti il Concilio Vaticano II, bensì un guardare avanti, riprendendo dalla tradizione passata quanto di più bello e significativo essa può offrire alla vita presente della Chiesa.

Secondo don Bux quello che il Pontefice vuol fare nella sua paziente opera di riforma è rinnovare la vita del cristiano, i gesti, le parole, il tempo del quotidiano restaurando nella liturgia un sapiente equilibrio tra innovazione e tradizione. Facendo con ciò emergere l’immagine di una Chiesa sempre in cammino, capace di riflettere su se stessa e di valorizzare i tesori di cui è ricco il suo scrigno millenario.

Per cercare di approfondire il significato ed il senso della Liturgia, i suoi cambiamenti, il rapporto con la tradizione e il mistero del linguaggio con Dio, ZENIT ha intervistato don Nicola Bux.

Che cos’è la liturgia e perché è così importante per la Chiesa e per il popolo cristiano?

Bux: La sacra liturgia è il tempo e il luogo in cui sicuramente Dio si fa incontro all’uomo. Pertanto il metodo per entrare in rapporto con lui è proprio quello di rendergli culto: egli ci parla e noi gli rispondiamo; gli rendiamo grazie ed egli si comunica a noi. Il culto, dal latino colere, coltivare un rapporto importante, appartiene al senso religioso dell’uomo, in ogni religione sin dai primordi.

Per il popolo cristiano, la sacra liturgia e il culto divino attuano dunque il rapporto con quanto ha di più caro, Gesù Cristo Dio – l’attributo sacra significa che in essa tocchiamo la sua presenza divina. Per questo la liturgia è la realtà e “attività” più importante per la Chiesa

In che cosa consiste la riforma di Benedetto XVI e perché ha suscitato tanto scalpore?

Bux: La riforma della liturgia, termine da intendere secondo la Costituzione liturgica del Concilio Vaticano II, come instauratio ossia ristabilimento al posto giusto nella vita ecclesiale, non comincia con Benedetto XVI ma con la storia stessa della Chiesa, dagli apostoli all’epoca dei martiri con papa Damaso fino a Gregorio Magno, da Pio V e Pio X a Pio XII e Paolo VI. La instauratio è continua, perché il rischio che la liturgia decada dal suo posto, che è quello di essere sorgente della vita cristiana c’è sempre; la decadenza avviene quando si sottomette il culto divino al sentimentalismo e all’attivismo personali di chierici e laici, che penetrando in esso lo trasformano in opera umana e intrattenimento spettacolare: un sintomo oggi è dato dall’applauso in chiesa che sottolinea indistintamente il battesimo di un neonato e l’uscita di una bara dal funerale. Una liturgia diventata intrattenimento, non necessita di riforma? Ecco quanto Benedetto XVI sta facendo: l’emblema della sua opera riformatrice rimarrà il ristabilimento della Croce al centro dell’altare al fine di far comprendere che la liturgia è rivolta al Signore e non all’uomo, ancorché ministro sacro.

Lo scalpore c’è sempre ad ogni giro di boa della storia della Chiesa, ma non bisogna impressionarsi.

Quali sono le differenze tra i cosiddetti innovatori e i tradizionalisti?

Bux: Questi due termini vanno chiariti in premessa. Se innovare significa favorire l’instauratio di cui parlavo, è proprio quella di cui c’è bisogno; come pure, se traditio significa custodire il deposito rivelato sedimentato anche nella liturgia. Se invece innovare volesse dire trasformare la liturgia da opera di Dio ad azione umana, oscillando tra un gusto arcaico che ne vuole conservare solo gli aspetti che aggradano e un conformismo alla moda del momento, andiamo fuori strada; o al contrario, essere conservatori di tradizioni meramente umane che si sono sovrapposte a mo’ di incrostazione sul dipinto non facendo più cogliere l’armonia dell’insieme. In realtà i due opposti finiscono per coincidere e rivelare la contraddizione. Un esempio: gli innovatori sostengono che la Messa in antico era celebrata rivolta al popolo. Gli studi dimostrano il contrario: l’orientamento ad Deum, ad Orientem, è quello proprio del culto dell’uomo a Dio. Si pensi all’ebraismo. Ancora oggi tutte le liturgie orientali lo conservano. Come mai gli innovatori, amanti del ripristino degli elementi antichi nella liturgia postconciliare non l’hanno conservato?

Che significato ha la tradizione nella storia e nella fede cristiana?

Bux: La tradizione è una delle due fonti della Rivelazione: la liturgia, come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica (1124), ne è elemento costitutivo. Benedetto XVI nel libro Gesù di Nazaret, ricorda che la Rivelazione si è fatta liturgia. Poi ci sono le tradizioni di fede, di cultura, di pietà che sono entrate e hanno rivestito la liturgia, sì che oggi conosciamo varie forme di riti in Oriente e in Occidente. Tutti comprendono quindi perché la Costituzione liturgica, dopo aver ricordato che solo la Santa Sede è l’autorità competente a regolare la sacra liturgia, al n 22, § 3 affermi perentoriamente: “nessun’altro, assolutamente, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica”.

Sarebbe possibile secondo lei tornare oggi alla messa in latino?

Bux: Il Messale Romano rinnovato da Paolo VI è in latino e costituisce l’edizione cosiddetta tipica, perché ad essa devono far riferimento le edizioni in lingua corrente curate dalle Conferenze Episcopali nazionali e territoriali, approvate dalla Santa Sede. Pertanto, la Messa in latino s’è continuata a celebrare anche col nuovo Ordo, sebbene raramente. Ciò ha finito per contribuire all’impossibilità per un’assemblea composita di lingue e nazioni, di partecipare ad una Messa celebrata nella lingua sacra universale della Chiesa Cattolica di rito latino. Così, al suo posto sono nate le cosiddette Messe internazionali, celebrate in modo che le parti di cui si compone la Santa Messa, si recitino o cantino in più lingue; così ciascun gruppo capisce solo la sua!

Si era sostenuto che il latino non lo capiva nessuno; ora, se la Messa in un santuario è celebrata in quattro lingue, ciascun gruppo finisce per comprenderne solo un quarto. A parte altre considerazioni, come ha auspicato il Sinodo del 2005 sull’Eucaristia, si deve tornare alla Messa in latino: almeno una domenicale nelle cattedrali e nelle parrocchie. Ciò aiuterà, nella conclamata società multiculturale odierna, a recuperare la partecipazione cattolica sia quanto al sentirsi Chiesa universale, sia quanto al radunarsi insieme ad altri popoli e nazioni che compongono l’unica Chiesa. I cristiani orientali, pur dando spazio alle lingue nazionali, hanno conservato il greco e lo slavo ecclesiastico nelle parti più importanti della liturgia come l’anafora e le processioni con le antifone per il Vangelo e l’Offertorio.

A instaurare tutto ciò contribuisce sommamente l’antico Ordo del Messale Romano anteriore, ripristinato da Benedetto XVI col Motu proprio Summorum Pontificum, che, semplificando, viene chiamata Messa in latino: in realtà è la Messa di S. Gregorio Magno, in quanto la sua struttura portante risale all’epoca di quel Pontefice ed è rimasta intatta attraverso le aggiunte e semplificazioni di Pio V e degli altri pontefici fino a Giovanni XXIII. I padri del Vaticano II l’hanno celebrata quotidianamente senza avvertire alcun contrasto con l’aggiornamento che stavano compiendo.

Il Pontefice Benedetto XVI ha  sollevato il problema degli abusi liturgici. Di che cosa si tratta?

Bux: Per la verità, il primo a lamentare le manomissioni nella liturgia fu Paolo VI, a pochi anni dalla pubblicazione del Messale Romano nell’udienza generale del 22 agosto 1973. Paolo VI poi, era convinto che la riforma liturgica attuata dopo il Cconcilio, veramente avesse introdotto e sostenuto fermamente le indicazioni della Costituzione liturgica (discorso al sacro collegio del 22 giugno 1973). Ma la sperimentazione arbitraria continuava e acuiva all’opposto la nostalgia dell’antico rito. Il Papa nel concistoro del 27 giugno 1977 ammoniva “i contestatori” per le improvvisazioni, banalità, leggerezze e profanazioni, chiedendo loro severamente di attenersi alla norma stabilita per non compromettere la regula fidei, il domma, la disciplina ecclesiastica, lex credendi e orandi; nonché i tradizionalisti, perché riconoscessero l’“accidentalità” delle modifiche introdotte nei sacri riti.

Nel 1975, la bolla Apostolorum Limina di Paolo VI per l’indizione dell’anno santo, a proposito del rinnovamento liturgico aveva annotato: “Noi stimiamo estremamente opportuno che questa opera sia riesaminata e riceva nuovi sviluppi, di modo che, basandosi su ciò che è stato fermamente confermato dall’autorità della Chiesa, si possa vedere ovunque quelle che sono veramente valide e legittime e continuarne l’applicazione con zelo ancora maggiore, secondo le norme e i metodi consigliati dalla prudenza pastorale e da una vera pietà”.

Tralascio le denunce di abusi e ombre nella liturgia da parte di Giovanni Paolo II in più occasioni, in particolare nella Lettera Vicesimus quintus annus dall’entrata in vigore della Costituzione liturgica. Benedetto XVI, quindi, ha inteso riesaminare e dare nuovo impulso proprio aprendo una finestra col Motu proprio, affinché pian piano cambi l’aria e riporti sul giusto binario quanto è andato oltre l’intenzione e la lettera del Concilio Vaticano II in continuità con l’intera tradizione della Chiesa. 

Lei ha più volte affermato che in una corretta liturgia bisogna rispettare i diritti di Dio. Ci spiega cosa intende sostenere? 

Bux: La liturgia, termine che in greco indica l’azione rituale di un popolo che celebra, per esempio, i suoi fasti, come avveniva ad Atene o come avviene ancora oggi per l’inaugurazione delle Olimpiadi o altre manifestazioni civili, evidentemente è prodotta dall’uomo. La sacra liturgia, reca questo attributo, perché non è a nostra immagine – in tal caso il culto sarebbe idolatrico, cioè creato dalle nostre mani – ma è fatta dal Signore onnipotente: nell’Antico Testamento, con la sua presenza indicava a Mosè come doveva predisporre nei minimi particolari il culto al Dio unico e vero insieme al fratello Aronne. Nel Nuovo Testamento, Gesù ha fatto altrettanto nel difendere il vero culto cacciando i mercanti dal Tempio e dando agli Apostoli le disposizioni per la Cena pasquale. La tradizione apostolica ha recepito e rilanciato il mandato di Gesù Cristo. Dunque, la liturgia è sacra, come dice l’Occidente, e divina, come dice l’Oriente, perché istituita da Dio. San Benedetto la definisce Opus Dei, opera di Dio, a cui nulla va anteposto. Proprio la funzione mediatrice tra Dio e l’uomo propria del sommo sacerdozio di Cristo, ed esercitata nella e con la liturgia dal sacerdote ministro della Chiesa, sta ad attestare che la liturgia discende dal cielo, come dice la liturgia bizantina in base all’immagine dell’Apocalisse. E’ Dio che la stabilisce e quindi indica come lo si deve “adorare in spirito e verità”, cioè in Gesù Figlio suo e nello Spirito Santo. Egli ha il diritto di essere adorato come Lui vuole.

Su tutto questo è necessaria una profonda riflessione, in quanto la sua dimenticanza è all’origine degli abusi e delle profanazioni, già descritte egregiamente nel 2004 dall’Istruzione Redemptionis Sacramentum della Congregazione per il Culto Divino. Il recupero dello Ius divinum nella liturgia, contribuisce molto a rispettarla come cosa sacra, come prescrivevano le rubriche; ma anche le nuove devono tornare ad essere seguite con spirito di devozione e obbedienza da parte dei ministri sacri ad edificazione di tutti i fedeli e per aiutare tanti che cercano Dio a incontrarlo vivo e vero nel culto divino della Chiesa. I vescovi, i sacerdoti e i seminaristi tornino ad imparare e ad eseguire i sacri riti con tale spirito e contribuiranno alla vera riforma voluta dal Vaticano II e soprattutto a ravvivare la fede che, come ha scritto il Santo Padre nella Lettera ai Vescovi del 10 marzo 2009, rischia di spegnersi in tante parti del mondo.

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Notizie Flash


Un video promuove la preghiera per le vittime degli abusi
Trasmesso da televisioni cattoliche e pagine web

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 19 marzo 2010 (ZENIT.org).- Ha iniziato a circolare su Internet un video che risponde alla richiesta di Benedetto XVI di pregare per le vittime degli abusi da parte dei sacerdoti, emersi in modo particolarmente intenso nelle ultime settimane.

Il video presenta una delle preghiere proposte dall'Arcidiocesi di Dublino, che maggiormente ha sofferto a causa di questi scandali, recitata in molte parti del mondo.

Il video, pubblicato dall'agenzia multimediale cattolica www.H2onews.org, viene trasmesso dalle televisioni cattoliche del mondo e dalle pagine web in nove lingue.

La preghiera recita:

“Signore, soffriamo molto


per ciò che alcuni di noi hanno fatto ai tuoi figli:
sono stati trattati in maniera totalmente crudele,
specialmente nell'ora del bisogno.
Gli abbiamo lasciato dentro una sofferenza
che porteranno per tutta la vita.
Questo non era nei tuoi piani per loro e per noi.
Per favore, Signore, aiutaci ad aiutarli.
Guidaci, Signore. Amen”.

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Parola e vita


La vita lapidata dalla legge
V Domenica di Quaresima, 21 marzo 2010

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 19 marzo 2010 (ZENIT.org).- Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed ella rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,1-11).

A proposito del gesto di scrivere per terra da parte di Gesù, trovo questo commento: “Gv usa in questo caso – unica volta in tutto il NT – il verbo katagraphò, che significa 'tracciare segni, disegnare', ma anche 'mettere per iscritto un’accusa'. Probabilmente si tratta di un puro e semplice diversivo, che serve a Gesù per disinteressarsi del problema e di quelli che lo pongono...” (nota al v. 8,6 in “Vangeli e Atti degli apostoli”, Nuova versione ufficiale della CEI).

Un disinteresse sicuramente apparente, infatti: “Gesù, immerso nel tranello, rimane silenzioso, sembra persino disinteressarsi della donna posta là in mezzo. Poi, senza dire niente, 'si china giù' e si mette a scrivere 'per terra col dito'. Questo gesto è sicuramente significativo perché, dopo aver risposto ai suoi interlocutori, lo compie di nuovo (v.8). Un gesto ripetuto, carico quindi di importanza, che trasmette più delle parole; un gesto misteriosamente evasivo” (M. Brunini, in “Maestro, dove abiti?”, Collana “Bibbia e spiritualità”, n. 21, p. 97).

Il Vangelo non precisa se la donna adultera, posta “in mezzo”, se ne stesse in piedi o fosse accasciata a terra dinnanzi a Gesù, ma se non lo era fisicamente, è verosimile che lo fosse moralmente, come fa intendere ancora l’autore citato: “Il 'chinarsi' richiama, anzitutto, l’attenzione. Il chinarsi fino a terra forse rivela la condivisione di colui che viene dall’alto, con coloro che giacciono nella polvere della terra, ossia nel peccato. Gesù, di fronte ad avversari sicuri delle proprie certezze e della propria legge, si pone 'come colui che si confonde con la terra, che lascia le sue impronte sulla terra, che si fa peccato con coloro che vivono nel fango della morte'. Il chinarsi e l’alzarsi sono i gesti propri della compassione, della condivisione e della misericordia. Lo 'scrivere per terra con il dito' rinvia alla promessa della legge nuova scritta nei cuori (Ger 31,33-34). La misericordia divina, che trabocca dall’alleanza nuova donata agli uomini in Gesù, non è più scritta nella 'pietra' che uccide, ma 'tracciata' dallo Spirito nella 'terra del cuore'” (id., p. 98).

All’interno di questo primo senso morale (la “terra del cuore” è la coscienza), la parola “terra”, viene a significarne un altro, gravido di valore ontologico, quello evocato dalla Bibbia quando canta con stupore il prodigio della vita umana, plasmata dalla “terra come prototipo originale (Gen 2,7) e poi ri-formata ogni volta nella “terra” del grembo: “Non ti erano nascoste le mia ossa quando venivo formato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi; erano tutti scritti nel tuo libro i giorni che furono fissati quando ancora non ne esisteva uno” (Salmo 139/138, v. 15-16). La “terra” è dunque anche il grembo femminile, perfettamente progettato da Dio per accogliere, custodire e far crescere il piccolissimo essere che è già un uomo: già come persona; non ancora come ossa, muscoli e articolazioni.

L’incontro del Signore con la donna adultera richiama un altro famoso peccato di adulterio: quello del re Davide con Betsabea, moglie di Uria l’Ittita (2Sam 11-12). Anche sullo sfondo di tale secondo racconto appaiono le pietre che Gesù fa’ cadere oggi dalle mani dei farisei, dal momento che, dai tempi di Mosè, l’adulterio comportava per entrambi i colpevoli la pena di morte per lapidazione, come stabilito da quella Legge (Dt 22, 22-24) cui si appellano gli interlocutori di Gesù. Nel caso di Davide e Betsabea, però, ci sarebbe stata una terza vittima, innocente: il loro bambino, nascosto nella “terra” del grembo di Betsabea, la quale aveva fatto sapere al re: “Sono incinta” (2 Sam, 11,5).

Ma gli adultèri narrati da Samuele e da Giovanni non si somigliano solo per questi aspetti, bensì anche per l’ipocrisia e la malizia omicida che fa da sfondo oscuro ad entrambi. Infatti, all’insidia perversa che scribi e farisei tendono a Gesù corrisponde la premeditazione del re Davide, che non esita ad organizzare subdolamente l’omicidio del marito di Betsabea, dando alla sua morte procurata l’apparenza di una eroica caduta in guerra. E come Giovanni mette in scena un vero e proprio tribunale radunato in giudizio nei confronti della donna adultera, così anche Samuele conclude il suo racconto con il giudizio del re Davide, inesorabilmente smascherato dal profeta Natan.

Il messaggio di conversione che raggiunge noi da questi due racconti di miseria e di misericordia, è di assoluta attualità, dato che violenza e sopruso, ipocrisia e falsità, inganno e premeditazione omicida, costituiscono la trama quotidiana di una mentalità diffusa e perversa che certe nostre leggi contribuiscono a far acquisire sempre più, ammantate come sono di plausibilità, in forza di buone ragioni cliniche, educative e perfino umanitarie. Sappiamo, a drammatico esempio, che in Europa, ogni 11 secondi, una persona è “lapidata” nel grembo dalla legge, mentre nel mondo si aggira su 50 milioni il numero annuo di tali esecuzioni capitali.

Ha detto bene Giovanni Paoli II: “Tutta l’esistenza umana è, in un certo senso, un grande tribunale. La gente ascolta, sente, ma la verità qualche volta li raggiunge, e qualche volta no. Soprattutto nella nostra società moderna in cui si sono sviluppati tanto i modi del parlare, i metodi del parlare, tutti i cosiddetti metodi per comunicare il pensiero. La parola dell’uomo è diventata molto più potente; e questa parola più potente o testimonia la verità o il contrario” (G.P.II, in “Non temiamo la verità”, p. 188).

Parole chiare, parole che giudicano ed interpellano la nostra società, i nostri legislatori e governanti, i medici, gli operatori dei media, le famiglie, gli insegnanti, i sacerdoti, ecc., insomma: ogni persona di buona volontà, chiamata, in forza della sacralità della vita stessa che ha ricevuta in dono, a difenderne e promuoverne il rispetto incondizionato e il valore assoluto fin dal suo inizio, nel concepimento, e fino al suo termine, nella morte naturale.

Le ipocrite e legali pietre di oggi, sono i macigni della legge 194 e della legge 40; sono la vendita approvata delle varie pillole “dei giorni dopo” e dei vari farmaci/mezzi contragestativi (spirale, RU 486); sono le pietre che eventualmente piomberanno sulla vita per lo smottamento/emendamento recentemente approvato dalla Camera in materia di idratazione e alimentazione di pazienti in coma. Emendamento studiato a tavolino per includere nella licenza di uccidere gli ammalati che non si trovano affatto lungo il piano irreversibilmente inclinato della morte naturale per causa patologica terminale, perché vivono su quel piano orizzontale di naturale sopravvivenza che si chiama “stato vegetativo persistente”.

Il dito del Signore, chinatosi a scrivere per terra di fronte all’adultera e ai suoi accusatori spietati, è quello che ha scritto sulle Tavole della Legge la Verità della vita (Es 31,18). E gli occhi di questa donna risuscitata dalla Misericordia, sono forse gli unici ad aver fissato con attenzione, e compreso, quei segni che per sempre le ricorderanno l’incontro più puro della sua vita, quello che l’ha purificata da tutti gli altri e l’ha restituita alla sua verità, dignità e libertà.

Una grazia offerta non solo a lei, ma anche a tutti quelli che “se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani” (Gv 8,9). Infatti, smascherando con autorità e dolcezza la loro ipocrisia, il Signore ha purificato lo sguardo della loro coscienza, offrendo anche a loro, e ad ognuno di noi che lo abbiamo ascoltato oggi, la grazia della conversione da quel peccato che Gesù considera impedimento maggiore dell’adulterio per poter entrare nel regno dei cieli (Mt 21,31).

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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