mercoledì 17 marzo 2010

ZI100317

ZENIT

Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 17 marzo 2010

Santa Sede

Notizie dal mondo

Italia

Segnalazioni

Spiritualità

Udienza del mercoledì

Documenti


Santa Sede


Il Papa: Bonaventura e Tommaso d'Aquino, due vie a Dio
Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 17 marzo 2010 (ZENIT.org).- Nella prima Udienza generale dell'anno svoltasi in Piazza San Pietro, alla presenza di circa 11.000 persone, Benedetto XVI ha sottolineato la complementarietà di San Bonaventura da Bagnoregio e San Tommaso d’Aquino nel condurre a Dio.

“Entrambi hanno scrutato i misteri della Rivelazione – ha detto il Papa durante la catechesi –, valorizzando le risorse della ragione umana, in quel fecondo dialogo tra fede e ragione che caratterizza il Medioevo cristiano, facendone un’epoca di grande vivacità intellettuale, oltre che di fede e di rinnovamento ecclesiale, spesso non sufficientemente evidenziata”.

Sia Bonaventura, francescano, che Tommaso, domenicano, appartenevano poi agli Ordini Mendicanti, che “con la loro freschezza spirituale” “rinnovarono, nel secolo XIII, la Chiesa intera e attirarono tanti seguaci”.

“Tutti e due servirono la Chiesa con diligenza, con passione e con amore, al punto che furono invitati a partecipare al Concilio Ecumenico di Lione nel 1274, lo stesso anno in cui morirono: Tommaso mentre si recava a Lione, Bonaventura durante lo svolgimento del medesimo Concilio”.

Anche in Piazza San Pietro le statue dei due Santi sono parallele, collocate proprio all’inizio del Colonnato partendo dalla facciata della Basilica Vaticana: una nel Braccio di sinistra e l’altra nel Braccio di destra.

Diversità d'approccio teologico

Nonostante tutte queste analogie, ha rilevato il Papa, nei due Santi si possono cogliere “due diversi approcci alla ricerca filosofica e teologica, che mostrano l’originalità e la profondità di pensiero dell’uno e dell’altro”.

Una prima differenza concerne il concetto di teologia: “ambedue i dottori si chiedono se la teologia sia una scienza pratica o una scienza teorica, speculativa”.

“San Tommaso riflette su due possibili risposte contrastanti. La prima dice: la teologia è riflessione sulla fede e scopo della fede è che l’uomo diventi buono, viva secondo la volontà di Dio. Quindi, lo scopo della teologia dovrebbe essere quello di guidare sulla via giusta, buona; di conseguenza essa, in fondo, è una scienza pratica. L’altra posizione dice: la teologia cerca di conoscere Dio. Noi siamo opera di Dio; Dio sta al di sopra del nostro fare. Dio opera in noi l’agire giusto. Quindi si tratta sostanzialmente non del nostro fare, ma del conoscere Dio, non del nostro operare”.

Per questo, giunge alla conclusione che “la teologia implica ambedue gli aspetti”: è teorica perché cerca di conoscere sempre più Dio, è pratica perché cerca di orientare la nostra vita al bene.

C'è tuttavia un primato della conoscenza: “dobbiamo soprattutto conoscere Dio, poi segue l’agire secondo Dio”.

San Bonaventura, dal canto suo, allarga l’alternativa tra teorico (primato della conoscenza) e pratico (primato della prassi), aggiungendo un terzo atteggiamento, che chiama “sapienziale”, affermando che la sapienza abbraccia entrambi gli aspetti.

La sapienza “cerca la contemplazione (come la più alta forma della conoscenza) e ha come intenzione 'ut boni fiamus' - che diventiamo buoni, soprattutto questo: divenire buoni”.

Visto che “chi ama vuol conoscere sempre meglio e sempre più l’amato”, “la vera teologia non impegna la ragione”. Per San Bonaventura è quindi determinante il primato dell’amore.

Il fine dell'uomo

San Tommaso e San Bonaventura, ha ricordato il Papa, definiscono dunque in modo diverso la destinazione ultima dell’uomo, la sua piena felicità: per San Tommaso il fine supremo è “vedere Dio”, per San Bonaventura “amare Dio, l’incontrarsi ed unirsi del suo e del nostro amore”.

Su questa linea, ha aggiunto, “potremmo anche dire che la categoria più alta per San Tommaso è il vero, mentre per San Bonaventura è il bene”.

Benedetto XVI ha comunque sottolineato che “sarebbe sbagliato vedere in queste due risposte una contraddizione”.

“Per ambedue il vero è anche il bene, ed il bene è anche il vero; vedere Dio è amare ed amare è vedere. Si tratta quindi di accenti diversi di una visione fondamentalmente comune”.

L'accento specifico della teologia di San Bonaventura, ha proseguito, si spiega a partire dal carisma francescano, basato sul “primato dell’amore”.

“Nella notte dell’intelletto l’amore vede ancora – vede quanto rimane inaccessibile per la ragione”. “Proprio nella notte oscura della Croce appare tutta la grandezza dell’amore divino; dove la ragione non vede più, vede l’amore”.

Questo, ha sottolineato il Papa, “non è anti-intellettuale e non è anti-razionale: suppone il cammino della ragione, ma lo trascende nell’amore del Cristo crocifisso”.

Per San Bonaventura, ha concluso, tutta la nostra vita è un pellegrinaggio, una salita verso Dio. Con le nostre forze soltanto, tuttavia, non è possibile arrivare alla meta.

“Dio stesso deve aiutarci, deve 'tirarci' in alto. Perciò è necessaria la preghiera”, che è “la madre e l’origine della elevazione”.

All'Udienza di questo mercoledì, nel contesto dell'Anno Sacerdotale, era presente un gruppo di una quarantina di giovani che frequentano il seminario di Ars, patria di San Giovanny Maria Vianney.

In vista della ricorrenza liturgica del transito di San Benedetto, il 21 marzo, c'era anche una delegazione dei promotori della fiaccola benedettina per la pace, giunta alla 35ma edizione.

La fiaccola verrà accesa nella Diocesi americana di Trenton, passando poi per Montecassino e Subiaco fino a giungere a Norcia, dove inizieranno i festeggiamenti del Santo.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Il 19 marzo il Papa firmerà la Lettera ai fedeli irlandesi
Sul tema degli abusi sessuali compiuti da sacerdoti nel Paese

ROMA, mercoledì, 17 marzo 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI firmerà venerdì prossimo, 19 marzo, la Lettera pastorale indirizzata ai cattolici dell'Irlanda e riguardante gli abusi sessuali compiuti da sacerdoti nel Paese.

L'annuncio è arrivato questo mercoledì durante i saluti ai pellegini irlandesi presenti all'Udienza generale svoltasi in piazza San Pietro.

“Come sapete – ha detto il Santo Padre – negli ultimi mesi, la Chiesa in Irlanda è stata messa a dura prova dalla crisi degli abusi sui minori”.

“Come segno della mia profonda preoccupazione ho scritto una Lettera pastorale per affrontare questa situazione dolorosa – ha continuato – . La firmerò nella Solennità di San Giuseppe, Custode della Sacra Famiglia e Patrono della Chiesa universale, e la invierò subito dopo”.

“Chiedo che la leggiate voi stessi, con cuore aperto e in uno spirito di fede. La mia speranza è che possa aiutare nel processo di pentimento, di guarigione e rinnovamento”, ha infine concluso.

Il 15 e il 16 febbraio scorsi si è tenuto in Vaticano un incontro che ha riunito i 24 Vescovi diocesani d'Irlanda e la cui finalità era quella di discutere sulle recenti rivelazioni sugli abusi sessuali perpetrati sui minori da parte del clero di questo paese. 

Il Pontefice aveva già incontrato l'11 dicembre 2009 il Cardinale Séan Brady, Arcivescovo di Armagh e presidente della Conferenza Episcopale Irlandese, e l'Arcivescovo Diarmuid Martin di Dublino, in seguito all'uscita del Rapporto Murphy, che riporta i casi di abusi avvenuti nell'Arcidiocesi di Dublino dal 1975 al 2004.

Durante l'incontro in Vaticano, il Papa aveva avuto l'opportunità di esaminare e discutere una bozza della Lettera pastorale, tenendo conto dei commenti dei presuli. Mentre, nell'udienza al termine dei lavori, ha incoraggiato l'episcopato irlandese “a far fronte ai problemi del passato con decisione e determinazione” e “ad affrontare la crisi attuale con onestà e coraggio”.



Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Benedetto XVI: "Dio non abbandona mai i suoi figli"
Riceve la cittadinanza onoraria di Romano Canavese
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 17 marzo 2010 (ZENIT.org).- Dio "non abbandona mai i suoi figli", per questo motivo non bisogna mai perdere la fiducia in Lui.

Benedetto XVI lo ha ricordato questo mercoledì mattina ricevendo nell'Auletta dell'Aula Paolo VI la cittadinanza onoraria di Romano Canavese, in provincia di Torino.

Il Pontefice si è detto "molto contento" di ricevere questa onorificenza essendo legato a Romano Canavese da "vincoli di affetto": in primo luogo, ha spiegato, perché "è il luogo che ha dato i natali al mio carissimo Segretario di Stato, il Cardinale Tarcisio Bertone, che conosco e stimo da tanti anni"; "poi perché io stesso, il 19 luglio dello scorso anno, ho avuto la gioia di visitare il vostro paese e di incontrare la gente laboriosa del Canavese".

"Il conferimento della cittadinanza onoraria attesta la stima, la vicinanza e l'affetto che nutrite nei miei confronti", ha osservato il Papa, constatando come con questo gesto, in un certo senso, sia stato accolto "nella grande famiglia di Romano Canavese, anche se la mia presenza non potrà essere fisica, ma certamente cordiale e paterna".

Il Pontefice ha ricordato che ciò che caratterizza Romano Canavese, oltre alla "gloriosa storia, che affonda le radici nel secondo secolo avanti la nascita di Cristo e ha avuto momenti di particolare rilievo, specie nell'Alto Medioevo e nel diciannovesimo secolo", è "soprattutto una lunga storia di fede, che inizia dal sangue dei martiri, tra i quali san Solutore, e giunge fino ai nostri giorni".

Per questo motivo, in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria, Benedetto XVI ha rinnovato agli abitanti della cittadina "l'invito a custodire e coltivare i genuini valori della vostra tradizione e della vostra cultura, che si radicano nel Vangelo".

In particolare, ha esortato "a testimoniare con impegno sempre nuovo la fede nel Signore crocifisso e risorto, l'attaccamento alla famiglia, lo spirito di solidarietà".

"Abbiate sempre fiducia nell'aiuto di Dio, che non abbandona mai i suoi figli ed è vicino con la sua amorosa premura a quanti si adoperano per il bene, la pace e la giustizia", ha chiesto.

La cittadinanza onoraria di Romano Canavese è stata attribuita al Pontefice per "l'impegno per il bene comune dell'intera famiglia umana che si concretizza nell'ultima Enciclica Caritas in Veritate, documento di grande spessore sociale che guarda a un mondo nuovo, e per l'impegno che ha ripetutamente espresso con il suo pensiero sulla tematica del lavoro", ha spiegato il consiglio comunale, come riporta "L'Osservatore Romano".

La pergamena con le motivazioni del conferimento è stata consegnata dal sindaco di Romano Canavese, Oscarino Ferrero, insieme al Cardinal Bertone e al Vescovo di Ivrea, Arrigo Miglio.

Il Segretario di Stato vaticano ha anche presentato al Papa la prima copia del volume che illustra la visita pastorale del Pontefice.

Erano presenti al conferimento l'Arcivescovo Giuseppe Bertello, Nunzio Apostolico in Italia, il Vescovo emerito Bettazzi, il Vescovo di Pinerolo Debernardi e il vicesindaco con una delegazione cittadina.

Al Pontefice è stata inoltre consegnata una lettera dei lavoratori del Canavese, che gli chiedono di rivolgere un appello a manager, imprenditori e politici di fronte alla grave crisi che investe il territorio.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Costituita una Commissione di inchiesta vaticana su Medjugorje
Presso la Congregazione per la Dottrina della Fede

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 17 marzo 2010 (ZENIT.org).- “È stata costituita presso la Congregazione per la Dottrina della Fede, sotto la presidenza del Cardinale Camillo Ruini, una Commissione internazionale di inchiesta su Medjugorje”. E' quanto ha annunciato questo mercoledì la Sala Stampa vaticana.

La Commissione vaticana studierà i fatti legati a Medjugorje, un piccolo villaggio della Bosnia-Erzegovina, situato a circa trenta chilometri dal capoluogo di Mostar, che dal 1981 è meta di pellegrinaggio di milioni di persone.

“Detta Commissione – continua la nota vaticana –, composta da Cardinali, Vescovi, periti ed esperti, lavorerà in maniera riservata, sottoponendo l’esito del proprio studio alle istanze del Dicastero”, guidato dal Cardinale statunitense William Levada.

“Il lavoro è molto discreto, data la delicatezza dell'argomento, e durerà un bel po' di tempo”, ha precisato il direttore della Sala Stampa, padre Federico Lombardi, S.I.

Interpellato dai giornalisti, il portavoce vaticano ha ricordato che, in passato, esisteva una Commissione diocesana che, in ragione della vastità del fenomeno, decise di affidare l'indagine alla Conferenza episcopale della Jugoslavia, che in seguito alla dissoluzione del Paese balcanico, non potè concludere i propri lavori.

In una sua dichiarazione su Medjugorje del 10 aprile del 1991, l'episcopato affermò di non poter constatare nulla di soprannaturale in quanto accadeva e sottolineò la necessità di assistere a livello pastorale, sotto la responsabilità del parroco e del Vescovo locale, tutti coloro che si recavano a pregare in quel luogo.

“Per questo motivo – ha ricordato padre Lombardi - i Vescovi della Bosnia ed Erzegovina hanno chiesto alla Congregazione per la Dottrina della Fede di prendere in mano la questione”.

La Commissione sarà quindi presieduta dal Presidente emerito della Conferenza Episcopale Italiana e sarà composta da una ventina circa di membri.

A novembre dello scorso anno, l'Arcivescovo di Sarajevo e Presidente della Conferenza Episcopale Bosniaca, il Cardinale Vinko Puljić, in una intervista a ZENIT aveva espresso il desiderio di poter avere indicazioni dalla Santa Sede “sulla costituzione di una commissione che segua il fenomeno, registrando i contenuti delle apparizioni e dei messaggi tenuto conto che ad oggi sono più di trentamila”.

Le apparizioni di Medjugorje avrebbero avuto inizio il 24 giugno del 1981, Solennità di san Giovanni Battista, quando la Madonna sarebbe apparsa su una collina chiamata in croato Podbrdo ad alcuni ragazzi dai 12 ai 20 anni, presentandosi loro come Regina della Pace.

Secondo quanto si racconta, da quel 1981 le apparizioni continuerebbero fino ad oggi. Si dice, inoltre, che ci siano stati solo cinque giorni senza apparizioni nel 1981-1982. I nomi dei sei veggenti sono: Vicka Ivankovic, Marija Pavlovic, Mirjana Dragicevic, Ivan Dragicevic, Ivanka Ivankovic e Jakov Colo.

Attualmente tre dei sei veggenti avrebbero ancora le apparizioni quotidiane (Vicka, Marija e Ivan), mentre agli altri la Madonna apparirebbe solo una volta all'anno.

La veggente Mirjana riceverebbe le apparizioni il due di ogni mese, durante le quali la Madonna prega con lei per i non credenti.

La Madonna lascerebbe ai veggenti molti messaggi che hanno come tema: la preghiera, il digiuno, la conversione, la riconciliazione e la confessione.

Stando ai dati raccolti, dal 1984 al 1987 la Madonna dà alla parrocchia di Medjugorje un messaggio ogni giovedì. Dal 1987 tramite la veggente Marija, la Madonna continua a dare i suoi messaggi il 25 di ogni mese, dalla parrocchia a tutto il mondo.

Ai sei veggenti la Madonna avrebbe rivelato anche dieci segreti. A tre di loro che non hanno più le apparizioni quotidiane (Ivanka, Mirjana, Jakov), la Madonna avrebbe rivelato tutti e dieci i segreti; agli altri tre (Vicka, Marija e Ivan), solo nove.

Il contenuto dei segreti è conosciuto solo dai veggenti. Si conosce solo il terzo segreto: un segno indelebile, visibile da tutti, indistruttibile e bellissimo, che la Madonna promette di lasciare sulla collina delle apparizioni, come conferma della loro veridicità.

Questi segreti verranno rivelati al mondo da un sacerdote francescano, padre Petar Ljubicic, scelto dalla veggente Mirjana, la quale comunicherà i segreti al francescano quando arriverà il tempo stabilito.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Il 25 marzo Benedetto XVI festeggerà i 25 anni della GMG
ROMA, mercoledì, 17 marzo 2010 (ZENIT.org).- Giovedì 25 marzo alle ore 19.00, la diocesi di Roma incontrerà il Santo Padre a Piazza San Pietro per ricordare il 25° anniversario della Giornata Mondiale della Gioventù (GMG), celebrata per la prima volta a Roma nel 1985.

Sarà un evento di festa e di preghiera dedicato ai giovani e a quelli che giovani sono stati e che hanno partecipato agli incontri che in questo quarto di secolo si sono svolti in tutto il mondo.

Nel corso dell'incontro, animato dal Coro della Diocesi di Roma diretto da mons. Marco Frisina, i giovani mediteranno sulle parole “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna” (Mc 10,17).

Benedetto XVI risponderà poi ad alcune domande dei giovani.

I biglietti per accedere in Piazza S. Pietro sono totalmente gratuiti e possono essere prenotati entro il 19 marzo presso il Servizio per la Pastorale Giovanile della Diocesi di Roma (P.zza S. Giovanni in Laterano, 6/A-00184 ROMA – Tel. 06/69886574 – Fax 06/69886472 – e-mail: pastoralegiovanile@vicariatusurbis.org).

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Notizie dal mondo


Pakistan: ragazza cristiana bruciata viva perché non denunciasse uno stupro
ROMA, mercoledì, 17 marzo 2010 (ZENIT.org).- Una ragazza cristiana pakistana è stata bruciata viva per impedirle di denunciare uno stupro subito dal figlio dell'uomo musulmano presso il quale lavorava come domestica.

La giovane, Kiran George, ha riportato ustioni sull'80% del corpo ed è morta giovedì scorso dopo due giorni di atroce agonia, ricorda l'agenzia AsiaNews. Dopo aver subito la violenza, aveva minacciato di querelare il suo aggressore, che l'ha uccisa.

Il fatto è avvenuto a Sheikhupura, una cittadina del Punjab, e ricorda la tragica vicenda di Shazia Bashir, la ragazzina cristiana di 12 anni violentata e uccisa da un potente avvocato di Lahore, che a tutt'oggi non è stato condannato (cfr. ZENIT, 25 gennaio 2010).

In un primo momento, Kiran si era confidata solo con le amiche temendo di perdere l'impiego di domestica presso la famiglia del suo assalitore, Mohammad Ahmda Raza. Quando poi ha minacciato il giovane di riferire l'accaduto alla polizia, Raza l'ha cosparsa di benzina con l'aiuto della sorella e le ha dato fuoco.

Il padre del ragazzo, anziché portare Kiran in ospedale, ha chiamato i suoi genitori dicendo loro che i vestiti si erano incendiati mentre puliva la cucina. Prima di morire, la giovane ha tuttavia raccontato la vicenda alla polizia, che ha aperto un'indagine.

La folla contro i cristiani

Sempre nel Punjab, il 10 marzo scorso una folla di musulmani ha svaligiato e dato alle fiamme la casa di una famiglia cristiana.

Sembra che la scintilla che ha scatenato la rabbia degli estremisti sia stato il presunto coinvolgimento di un cristiano nell'assassinio del figlio di un latifondista della zona.

L'indagato, Yasir Abid, è "sottoposto al regime di custodia cautelare", ha dichiarato ad AsiaNews Peter Jacob, segretario esecutivo di Giustizia e Pace della Chiesa cattolica pakistana (Ncjp).

Le famiglie cristiane hanno denunciato anche "l'incendio deliberato" di alcune copie della Bibbia custodite all'interno della casa.

La polizia ha avviato le indagini e valuterà se aprire un'inchiesta anche per il reato di blasfemia. In questo caso, ha spiegato Jacob, la magistratura "non agirà in base alla sezione 295-B del Codice Penale pakistano", che prevede pene fino all'ergastolo per chi dissacra il Corano ma non contempla i libri sacri di altre confessioni religiose.

"Siamo contro le leggi sulla blasfemia - ha dichiarato Peter Jacob -, e questo vale a prescindere dal testo sacro o da chi si è reso colpevole del crimine". Ad ogni modo, auspica "indagini approfondite" e la punizione di chi "ha incendiato la casa della famiglia cristiana".

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Card. Brady: la Chiesa in Irlanda si assuma la responsabilità degli abusi
"Dio ci sta chiamando a un nuovo inizio", afferma nella festa di San Patrizio
di Roberta Sciamplicotti

ROMA, mercoledì, 17 marzo 2010 (ZENIT.org).- Nel giorno della festa di San Patrizio, che si celebra questo mercoledì, il Cardinale Seán Brady ha esortato la Chiesa in Irlanda ad assumersi la responsabilità degli abusi commessi in passato da membri del clero e a considerare questo momento difficile l'occasione per "un nuovo inizio".

Nell'omelia della Messa che ha presieduto nella Cattedrale di Armagh, città della quale è Arcivescovo, in occasione della festa del patrono nazionale, il Cardinale ha sottolineato che "l'Irlanda e il suo popolo hanno molto di cui essere orgogliosi", ricordando "l'enorme contributo di questa Nazione alla fede e all'eredità cristiane nel mondo".

"Ogni terra e il suo popolo, tuttavia, hanno momenti di vergogna", ha riconosciuto. "C'è sempre tensione tra le possibilità a cui aspiriamo e le nostre memorie ferite e gli errori del passato".

Anche San Patrizio "ha conosciuto questa tensione nella sua vita". "Anche se portava la gioia e la vita del Vangelo al popolo irlandese, era attanagliato dai peccati del suo passato", al punto da definirsi "un peccatore e l'ultimo di tutti i fedeli".

Tutti noi, ha proseguito il porporato, che presiede la Conferenza Episcopale Irlandese, "sperimentiamo questa tensione tra l'essere chiamati a seguire Gesù - a vivere i suoi valori - e la realtà della nostra natura di peccato".

In questo contesto, "c'è vera libertà quando si riconosce umilmente la piena verità del nostro peccato".

Il Cardinale Brady ha quindi ricordato un "episodio doloroso" del suo passato riemerso in questi giorni. Molte persone lo hanno accusato di aver insabbiato un caso di pedofilia da parte di un sacerdote avvenuto negli anni Sessanta e ne hanno quindi chiesto la rinuncia al governo pastorale (cfr. ZENIT, martedì, 16 marzo 2010).

"Voglio dire a chiunque sia stato ferito da qualsiasi mio errore che mi scuso con tutto il cuore - ha dichiarato -. Chiedo perdono anche a tutti coloro che si sono sentiti delusi da me. Guardando al passato, mi vergogno di non aver sempre sostenuto i valori che professo e in cui credo".

Bisogno di rinnovamento

Per il Cardinale, quelli attuali sono "momenti cruciali" per la Chiesa in Irlanda.

"Credo fermamente che Dio ci stia chiamando a un nuovo inizio, a un momento di energia, riforma e rinnovamento sull'esempio di Patrizio", ha commentato.

"Attendo con impazienza la Lettera Pastorale di Papa Benedetto XVI ai Fedeli d'Irlanda come importante fonte di questo rinnovamento". Proprio questo mercoledì, nei suoi saluti al termine dell'Udienza generale, il Papa ha rivelato che firmerà la Lettera venerdì 19 marzo, festa di San Giuseppe.

Il rinnovamento, ha spiegato il Cardinale Brady, "inizia con un sincero ascolto della Parola di Dio" e prosegue con l'ascolto "dello Spirito come fonte del nostro rinnovamento".

Allo stesso modo, "dobbiamo continuare a far fronte con umiltà all'enormità del dolore provocato dagli abusi sui minori da parte di alcuni membri del clero e dalla risposta del tutto inadeguata a questi abusi in passato".

Secondo il porporato, i due anni che mancano alla celebrazione del prossimo Congresso Eucaristico Internazionale, in programma a Dublino nel 2012, devono implicare "un riconoscimento sincero, totale e onesto del nostro peccato".

"Come Vescovi, dobbiamo riconoscere i nostri fallimenti", ha constatato. "L'integrità della nostra testimonianza al Vangelo ci sfida a confessare ogni cattiva gestione e ogni insabbiamento di abusi sui minori e ad assumercene la responsabilità".

"Il Signore ci chiama a un nuovo inizio. Nessuno di noi sa dove questo porterà".

In questo periodo pasquale , il porporato ha ammesso che pregherà molto "per discernere la volontà dello Spirito Santo".

"Rifletterò su ciò che ho ascoltato dalle persone che sono state ferite dagli abusi", ha concluso. "Pregate per le vittime. Pregate per la Chiesa. Pregate per me".

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Messi a tacere in Germania diversi casi di abuso commessi da sacerdoti
Le dichiarazioni dell'incaricato speciale dell'episcopato tedesco per gli abusi sessuali

ROMA, mercoledì, 17 marzo 2010 (ZENIT.org).- In Germania diversi casi di abuso commessi in passato da sacerdoti sono stati insabbiati. A dichiararlo è mons. Stephan Ackermann, Vescovo di Treviri e incaricato speciale della Conferenza episcopale tedesca per tutte le questioni collegate agli abusi sessuali.

In un'intervista pubblicata sul sito internet del quotidiano tedesco “Rhein Zeitung” il presule ha rivelato: “Sulla base delle nostre conoscenze attuali, c'è stato un insabbiamento. In questo momento ne dobbiamo prendere atto con dolore. Là dove non c'è stata una reale volontà di far chiarezza e i colpevoli sono stati semplicemente trasferiti, dobbiamo ammettere che c'è stato occultamento in tutta una serie di casi”.

Alla domanda se le diocesi non abbiano agito con troppa negligenza nei confronti dei responsabili di abusi, il presule ha risposto che “gettando uno sguardo indietro ai decenni passati si vede che tutte le diocesi sono state in qualche modo colpite. Dalle discussioni che ho avuto negli ultimi giorni, ho imparato che ci siamo concentrati troppo sul tutelare i colpevoli”.

“Cosa possiamo dire – ha continuato –: abbiamo fatto delle considerazioni sbagliate. Considerazioni sbagliate sulla reputazione della Chiesa, su talune istituzioni, sul discredito”.

Il presule si è detto poi contento della tavola rotonda su come affrontare il problema dell'abuso sessuale indetta dai Ministri tedeschi per la Famiglia e la Cultura, il 23 aprile prossimo a Berlino, durante la quale verranno esaminate anche possibili misure di prevenzione.

A questo proposito, ha suggerito, “le diverse istituzioni sociali, che operano nel settore dei bambini e dei giovani, devono collaborare più strettamente”.

Il Vescovo di Treviri ha quindi confermato che il 30 marzo verrà attivato in Germania un numero verde per le vittime, ed eventualmente anche per i responsabili di abusi, cui verranno assegnati “uomini e donne qualificati delle nostre parrocchie, insieme a psicologi e terapeuti che sanno come affrontare le questioni degli abusi sessuali”.

Inoltre, ha aggiunto, “d'ora in avanti nelle singole diocesi e nelle comunità religiose vi saranno degli incaricati cui rivolgersi quando si tratta di segnalare dei casi precisi”.

Per quanto riguarda invece il modo in cui la Chiesa intende rivedere la selezione e formazione dei candidati al sacerdozio, mons. Ackermann ha detto: “Prenderò in qualsiasi caso contatto con i formatori nei seminari, in modo da passare al microscopio i diversi aspetti legati alla formazione ed eventualmente migliorarli”.

“Tuttavia – ha proseguito – vorrei sottolineare che la stragrande maggioranza dei casi, che ci sono ormai noti, risale agli anni '60, '70 o '80. Almeno a partire dagli anni '80 la psicologia è divenuta un requisito standard nella formazione dei sacerdoti”.

La ragione alla base degli scandali avvenuti, ha spiegato il presule, non va rintracciata in “precise prese di posizione morali”: “Gli abusi si sono verificati in istituzioni dai più diversi orientamenti. Il fatto che molti crimini siano venuti alla luce così tardi, è dovuto ai sistemi chiusi, sia in istituzioni cattoliche, che in collegi non legati alla Chiesa o anche in famiglia”.

In merito ai risarcimenti alle vittime, il Vescovo ha quindi spiegato: "Ho ricevuto in questo senso molte chiamate e il denaro non è in primo piano”.

“Finora – ha continuato – abbiamo assicurato l'assistenza spirituale a tutte quelle persone che avevano bisogno di un sostegno finanziario per trattamenti terapeutici. Una cosa questa che porteremo avanti anche in seguito. Da qui ci dobbiamo chiedere se non ci possa essere una forma di risarcimento materiale o immateriale per le vittime”.

“E' importante per noi che ci sia un risarcimento delle ingiustizie commesse da queste persone”, ha detto mons. Stephan Ackermann, precisando però che “non cerchiamo un riscatto nel pagamento del denaro dovuto”.



Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Italia


Omaggio a Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari
Nel secondo anniversario della sua morte
di Marine Soreau

ROMA, mercoledì, 17 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il Movimento dei Focolari ha celebrato il secondo anniversario della morte della sua fondatrice, Chiara Lubich, avvenuta il 14 marzo 2008 a Rocca di Papa, vicino Roma.

"L'Osservatore Romano" ha dedicato vari articoli a Chiara Lubich nelle sue edizioni del 14 e del 15-16 marzo.

A Roma, l'attuale presidente del Movimento dei Focolari, Maria Voce, ha ricordato la vita della Lubich, caratterizzata dal suo grande desiderio di unità, durante un congresso organizzato il 14 marzo per renderle omaggio.

"Celebriamo una vita, quella vita per l'unità che è iniziata con Chiara Lubich, portatrice di un evidente e grande dono di Dio, e che vuole continuare a portare i suoi frutti da un capo all'altro della terra e a beneficio di tutta l'umanità", ha affermato.

"Questa vita s'esprime nelle mille realizzazioni concrete della spiritualità dell'unità che da lei abbiamo ereditato".

Durante il congresso, il Cardinale Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, ha ricordato la fondatrice dei Focolari come "una figura che ha inciso profondamente nella vita della Chiesa e del mondo del XX secolo".

E' stata un "grande segno di speranza, insieme ai vari carismi suscitati dallo Spirito Santo nella Chiesa di oggi", ha aggiunto.

Una vita basata su sapienza e unità

Dal canto suo, il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, monsignor Gianfranco Ravasi, si è soffermato "sulla sapienza e sull'unità" su cui Chiara Lubich ha basato la sua esistenza.

Nella Messa che ha presieduto il 13 marzo in sua memoria, ha ricordato la sapienza come "un grande dono divino che ha bisogno sì di intelligenza, ma soprattutto di una grande carica di umanità, di una grande capacità di dare senso, sapore, all'esistenza".

Quanto all'unità, non significa solo "essere gli uni accanto agli altri", ma sperimentare "quell'io in te e tu in me" di cui parla il Vangelo, "quell'unità che è comunione".

Il presule ha quindi concluso la sua omelia con la preghiera di Chiara Lubich: "Ti voglio bene perché sei entrato nella mia vita più dell'aria nei miei polmoni, più del sangue nelle mie vene. Sei entrato dove nessuno poteva entrare, quando nessuno poteva aiutarmi, ogni qualvolta nessuno poteva consolarmi. Ogni volta ho letto nelle tue parole la spiegazione, nel tuo amore la soluzione".

Movimento riconosciuto nel 1964

Nata a Trento il 22 gennaio 1920, Chiara Lubich ha fondato il Movimento dei Focolari nel 1943.

Lanciata sotto i bombardamenti della II Guerra Mondiale e tra i poveri di Trento, l'iniziativa, basata sul rinnovamento spirituale e sociale, iniziò come un'avventura che ella stessa definiva "divina".

Chiara Lubich aveva appena 23 anni quando decise di consacrarsi in modo definitivo e totale a Dio.

Il suo Movimento è oggi fonte di ispirazione per più di 4 milioni di persone, delle quali oltre 100.000 sono membri attivi e impegnati.

La sua influenza va al di là della religione cattolica, giungendo a milioni di persone di varie Chiese, di diverse religioni (ebrei, musulmani, buddisti, indù) o senza convinzioni religiose, tutte coinvolte in uno stesso progetto: vivere e diffondere la fraternità universale e contribuire alla costruzione di un'unica famiglia umana.

Riconosciuto ufficialmente con il nome "Opera di Maria" nel 1964, il Movimento dei Focolari ha promosso la nascita di un gran numero di luoghi di formazione spirituale e sociale, così come di incontri ecumenici e interreligiosi.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Il Cardinale Rodríguez Maradiaga rilancia la solidarietà a Locri

ROMA, mercoledì, 17 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il Cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, Arcivescovo di Tegucigalpa (Honduras) e dal 2007 Presidente della Caritas Internazionale, ha visitato Locri il 15 e 16 marzo.

Tre gli obiettivi della visita: incontrare le varie realtà territoriali che sono animate dai confratelli salesiani; predicare il ritiro mensile del clero della diocesi, informando anche del ruolo che svolge la Caritas a livello internazionale; esprimere la gratitudine ai disabili, agli ammalati, ai pellegrini e al personale dell'Unitalsi della Calabria per aver favorito la costruzione di una Scuola Materna in cui quotidianamente vengono accolti, formati e nutriti centinaia di bambini del poverissimo barrio Nueva Capital di Tegucigalpa.

A partire dalla mattina di lunedì 15 fino al pomeriggio di martedì 16 il Cardinale ha incontrato migliaia di persone, in luoghi e circostanze diverse, offrendo sempre una decisa ed entusiasmante testimonianza di semplicità e di ascolto e trasmettendo il forte impegno a fare della solidarietà la base indispensabile della propria esistenza.

I primi a incontrarlo sono stati i bambini di una scuola elementare e materna tenuta a Locri dalle Figlie di Nostri Signora al Monte Calvario. Con i loro canti e le loro preghiere hanno contrassegnato l'itinerario di tutta la giornata che ha visto subito dopo il Cardinale recarsi prima a visitare il Vescovo di Locri, Mons. Giuseppe Fiorini Morosini, e poi in seminario dove, nel corso della preghiera delle lodi, ha tenuto una meditazione sulla fedeltà di Dio e la fedeltà di Maria come modello della fedeltà sacerdotale. A tale riflessione ha fatto seguito una vivace conversazione con il clero sulle dimensioni della solidarietà.

Dopo l'incontro con la stampa e il pranzo con il Vescovo e il clero della diocesi, il porporato è stato a Marina di Gioiosa Jonica, dove ha visitato la sede dell'associazione Don Milani, che accoglie tantissimi bambini e ragazzi per aiutarli nel cammino formativo. Un gruppetto di loro ha suonato e ballato una tarantella e a tutti, ragazzi, genitori, volontari e autorità, il Cardinale Rodríguez Maradiaga ha rivolto il suo incoraggiamento a proseguire nell'opera educativa intrapresa.

Ritornato a Locri ha incontrato un nutrito gruppo di genitori della diocesi che, avendo perso tragicamente un figlio o per incidenti o per malattia, si ritrova sistematicamente sotto la guida del salesiano don Eugenio Fizzotti per condividere l'esperienza della sofferenza e trovare le strade per un sostegno reciproco.

Subito dopo è stata la volta dei partecipanti a un corso di crescita personale e di riscoperta esistenziale che è stato tenuto da don Eugenio Fizzotti e da due suoi collaboratori nell'orizzonte psicologico della logoterapia e analisi esistenziale di Viktor E. Frankl.

Avendo studiato psicologia ed essendo stato insignito del Gran Premio Ad honorem da parte della Fondazione Viktor E. Frankl del Comune di Vienna il Cardinale ha potuto sottolineare il valore scientifico e formativo dell'orientamento di Frankl e, consegnando l'attestato di partecipazione, ha invitato a proseguire nel cammino di formazione per essere capaci di trasmettere il gusto di impegnarsi nel trovare il senso della propria vita nel contesto relazionale.

Successivamente, dopo aver presieduto l'Eucaristia che ha visto la partecipazione di numerosi amici dell'opera salesiana, il Cardinale ha tenuto una conferenza sul tema "Globalizzare la solidarietà per dare senso alla vita" nel teatro del Centro Giovanile Salesiano. L'incontro è stato coordinato da Enzo Romeo, caporedattore del TG2 e autore di una biografia del Cardinale honduregno intitolata "L'Oscar color porpora" (Ancora, Milano, 2006), e da don Eugenio Fizzotti, salesiano, curatore del a sua volta di un volume "Il coraggio di prendere il largo" (Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2008) che raccoglie numerosi discorsi del porporato.

Ad una specifica domanda su cosa debba fare la Calabria per non restare intrappolata in certi meccanismi perversi, il Cardinale ha risposto con l'invito a "rendersi tutti cittadini attivi, partecipando alla vita politica per cambiarla", facendo capire che i sani principi "non possono essere acquistati o barattati con il voto", ma necessitano di un'etica robusta e condivisa.

Con la sua carica di entusiasmo il Cardinale ha conquistato, la mattina di martedì 16, le centinaia e centinaia di studenti delle scuole superiodi di Locri che, riuniti nell'Aula Magna del Liceo Scientifico, lo hanno accolto e ascoltato attentamente, soprattutto quando ha posto l'accento sull'importanza degli ideali e sul coraggio di abbandonare la strada perversa della cultura consumistica e inboccare quella della ricerca del bene, puntando a tre "satelliti" che orientano e danno senso alla vita: la parola di Dio, l'Eucaristia e la devozione alla Madonna.

Come risposta gli studenti hanno deciso di stipulare un "accordo solidale", contribuendo alla realizzazione di una scuola, magari denominata "Locri", ad Haiti, distrutta dal terremoto. Attratto dalla musica e dal coro degli studenti il Cardinale non si è tirato indietro quando gli è stato consegnato un sax e ha dato vita a una inaspettata performance musicale, suonando prima il pezzo "Strangers in the night" e poi cantando un inno a San Paolo da lui stesso composto.

Trasferitosi poi nel palazzo comunale, dove lo attendevano il Vescovo, molti cittadini, le autorità militari e un testimone di giustizia, il Cardinale ha avuto modo di riprendere il tema dell'etica nella politica e dell'impegno sistematico a favore dei poveri.

Più tardi, ha avuto luogo l'atteso incontro con i disabili e il personale dell'Unitalsi, animato dalla preghiera, dal canto alla Vergine di Lourdes e da una semplice e profonda vicinanza. A tutti, ma soprattutto ai numerosi disabili e malati, il Cardinale ha espresso il ringraziamento suo personale, dei bambini e delle famiglie di Tegucigalpa per il massiccio contributo offerto fin dal 2003 per la costruzione di una scuola materna nel barrio Nueva Capital.

Si è trattato, ovviamente, di un incontro particolarmente intenso e commovente, nel corso del quale più volte è stato rivolto l'invito al porporato a partecipare nei prossimi anni a uno dei pellegrinaggi a Lourdes che l'Unitalsi organizza.

Ultima tappa della permanenza a Locri è stata la visita alla sede della Caritas diocesana, dove ad accoglierlo c'erano la responsabile, Carmela Zavettieri, e un gruppo di volontari, che si sono sentiti incoraggiati a continuare nella loro opera a favore dei poveri e a dare vita a itinerari di formazione che consentano a più persone di manifestare la loro solidarietà e il loro servizio al prossimo.

Trasferitosi a Reggio Calabria, da dove è poi partito alla volta di Roma, il Cardinale ha fatto una sosta nella sede regionale dell'Unitalsi, dove lo attendevano il Consiglio regionale e della sotto-sezione, assieme a un nutrito gruppo di volontari.

A loro, dopo aver rinnovato i sentimenti di gratitudine della sua gente, ha consegnato un nuovo progetto di partecipazione solidale, sottolineando la preziosità di iniziative che favoriscano la sensibilità nei confronti di situazioni di povertà e di emergenza non solo locali ma anche internazionali.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


L'infinita ricerca della verità
Si è tenuto a Roma un convegno sul tema "Metodo e verità scientifica"

di Antonio Gaspari

ROMA, mercoledì, 17 marzo 2010 (ZENIT.org).- Si è svolto a Roma, il 16 marzo, presso l’Auditorium Parco della Musica, il convegno sul tema “Metodo e verità scientifica” organizzato dall’Ufficio per la pastorale universitaria in collaborazione con il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e con il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr).

L’iniziativa si inserisce nel programma della settimana culturale dedicata alla scienza e alla tecnologia (dal 14 al 21 marzo), organizzata dall’Ufficio per la pastorale universitaria con il coinvolgimento di tutti gli atenei della Capitale attraverso una serie di convegni e incontri.

A conclusione del convegno il prof. Piergiorgio Picozza, Ordinario di Istituzioni di Fisica Nucleare e Subnucleare dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, ha affermato che “la ricerca della verità è infinita” ed è “più preziosa del suo possesso”.

Al convegno è intervenuto il prof. John D. Barrow, del Center for Mathematical Sciences of Cambridge, il quale ha mostrato la forza delle immagini nell’esporre un’idea scientifica ed in particolare come l’arte può manifestare il pensiero dello spirito.

Il prof. Conrad Wolfram, della Wolfram Research statunitense, ha illustrato la forza della matematica, linguaggio che unisce la mente dell’uomo alla realtà della natura.

Secondo il prof. Picozza, “dopo un primo istante in cui domina l’emozione della scoperta arriva il momento della riflessione sul ruolo dell’uomo in questo universo in cui noi ci sentiamo soli o solitari guidati unicamente dalla nostra intelligenza”.

I professori Luciano Maiani, Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Paolo Blasi dell’Università degli Studi di Firenze e Giandomenico Boffi, dell’Università di Chieti-Pescara, hanno descritto, con accenti diversi, il lungo e difficile cammino compiuto dall’umanità per elaborare un metodo scientifico che le permettesse di avvicinarsi alla conoscenza della verità.

“Ma cosa è la conoscenza, cosa è la verità? - si è chiesto il prof. Picozza -. Come conosciamo ciò che noi conosciamo? Come comunica l’Uomo con l’universo? Il poeta, l’uomo di fede, il filosofo, il teologo, lo scienziato cercano di entrare in contatto con l’universo con l’arte, la religione, la filosofia, la scienza. Quale genere di conoscenza potranno produrre? Cosa significa il termine Verità Scientifica?”.

Una risposta l’ha data il fisico Stephen Weinberg, affermando che “lo sforzo di comprendere l’universo è una delle poche cose che solleva un poco la vita dell’uomo sopra il livello della farsa e dà ad essa qualcosa della bellezza della tragedia”.

“Lo scienziato comunica con l’universo mediante i 5 sensi - ha ricordato il prof. Picozza -, mediante gli strumenti che sono dei prolungamenti dei nostri sensi, mediante l’elaborazione teorica”.

“Ma procedendo in questo modo non si può affermare di conoscere direttamente il mondo esterno, come invece si può dire dei nostri pensieri, delle nostre sensazioni”, ha aggiunto.

Allora - ha chiesto il docente di Fisica - cosa ci comunica lo scienziato? E ancora, lo scienziato “procede per modelli sempre più raffinati o tende a scoprire la realtà?”.

Per il prof. Picozza una risposta la dà Albert Einstein quando scriveva: “La Scienza può essere creata solo da coloro che sono integralmente convinti delle aspirazioni verso la verità e la comprensione. Senza la convinzione che con le nostre costruzioni teoriche è possibile raggiungere la realtà, senza la convinzione nell’intima armonia del nostro mondo, non potrebbe esserci scienza”.

E l’astronomo ed astrofisico Edwin Hubble aggiunse “Alcune volte, attraverso una forte, irresistibile esperienza di mistico intuito, un uomo conosce, al di là dell’ombra del dubbio, che egli è stato al contatto con la realtà che si trova dietro il mero fenomeno. Egli ne è completamente convinto entro se stesso, ma egli non può comunicare questa certezza. E’ una rivelazione personale. Egli può essere nel giusto, ma a meno che noi non condividiamo la sua estasi, non lo possiamo sapere”.

Il ‘Metodo Scientifico’, che nella tradizione corrente vede Galileo come il primo ad averlo formulato nella sua completezza, per il prof. Picozza “sembra essere una delle vie più utili per estrarre la verità dall’errore”.

“La forza del metodo scientifico – ha sostenuto il docente di Fisica – sta proprio nella sua capacità di scoprire l’errore e di restringere così le possibilità dove la verità può essere trovata”.

“Forse – ha commentato il prof. Picozza – dobbiamo rassegnarci a che la nostra ricerca della verità non abbia mai fine, ma sempre con la certezza che la scienza continuerà inesorabilmente ad avanzare verso il mistero dell’esistenza del cosmo, il mistero dell’esistenza dell’uomo”.

“L’esperienza più bella che ci è dato di avere - ha scritto Einstein - è il mistero della vita; il sentimento profondo che troviamo alla radice della vera arte e della vera scienza. E’ il sapere che esiste qualcosa che ci è impenetrabile, è il conoscere le manifestazioni dell’intelligenza più profonda e della bellezza più sublime, accessibili alla nostra ragione unicamente nelle loro forme più primitive”.

“E’ forse questa la conoscenza che può essere prodotta dalla filosofia, dall’arte, dalla religione?”, ha concluso il prof. Picozza.





Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Segnalazioni


Tre giorni di preghiera sulla passione di Cristo e della Chiesa
Dal 19 al 21 marzo presso la Pontificia Università Lateranense
ROMA, mercoledì, 17 marzo 2010 (ZENIT.org).- Inizierà questo venerdì, 19 marzo, alle 10.30 presso la Pontificia Università Lateranense (PUL) di Roma la seconda edizione di "In Memoriam Martyrum", iniziativa di tre giorni dedicata alla passione di Cristo e della Chiesa promossa dall'Opera di diritto pontificio "Aiuto alla Chiesa che Soffre" (ACS).

Visto che ci si trova nell'Anno Sacerdotale, l'edizione di quest'anno è dedicata in modo particolare alla memoria dei sacerdoti martiri.

"Quella per il ministero sacerdotale è un'attenzione che ACS ha da sempre, fin dalla fondazione dell'Opera avvenuta nel 1947", ha affermato il direttore del Segretariato Italiano, Massimo Ilardo.

"Focalizzando su questo la tre giorni 2010, vogliamo sostenere, incoraggiare, consolare i sacerdoti che tuttora, nelle molte zone del mondo dove la Chiesa è perseguitata, rimangono fedeli al Vangelo, senza sottrarsi a rischi che potrebbero richiedere loro anche il sacrificio della vita per Cristo", ha sottolineato.

A questo tema sarà dedicata la Mostra-filmato sulla figura di 12 sacerdoti martiri che verrà proiettato alla PUL nelle mattinate del 19 e del 20 marzo.

Il programma include anche la Via Crucis, che si terrà nella basilica di San Crisogono venerdì 19, e una Veglia di preghiera per i missionari martiri, organizzata dalla Diocesi di Roma nella Basilica di San Lorenzo fuori le Mura la sera di domenica 21 marzo.

Alla Veglia parteciperà anche ACS, rappresentata da monsignor Joseph Coutts, Vescovo di Faisalabad (Pakistan).

Il presule pakistano sarà tra gli ospiti della Conferenza "Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani", che si svolgerà alla PUL alle 16.00 di sabato.

L'incontro sarà aperto da monsignor Rino Fisichella, rettore dell'Università, e vi parteciparanno monsignor Philip Najim, Procuratore per la Chiesa caldea presso la Santa Sede, e Jesús Colina, direttore dell'Agenzia ZENIT. Modererà monsignor Sante Babolin, presidente della Sezione italiana di "Aiuto alla Chiesa che Soffre".

Alle 16.00 di domenica verrà invece proiettato nell'Aula Paolo VI dell'Università il film "Jerzy Popieluszko", dedicato a questo sacerdote polacco.

Verrà introdotto dall'intervento del professor don Tone Presern, assistente ecclesiastico della Sezione italiana di ACS e docente della facoltà di Scienze della Comunicazione Sociale dell'Università Pontificia Salesiana.

Don Popieluszko venne ucciso nel 1984 dai Servizi segreti dopo essere stato rapito vicino la città di Toruń alla fine di un servizio pastorale nel quale aveva ribadito la propria opposizione al regime che allora governava la Polonia.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Via crucis vivente di Villaregia per i giovani africani
Appuntamento per sabato 27 marzo alle ore 19,00

ROMA, mercoledì, 17 marzo 2010 (ZENIT.org).- “Togliete la pietra!” è il titolo della 16° edizione della Via crucis vivente organizzata dalla Comunità Missionaria di Villaregia (CMV), associazione pubblica di fedeli fondata trent’anni fa da padre Luigi Prandin e Maria Luigia Corona.

L’evento che si svolgerà sabato 27 marzo, alle ore 19,00, nella sede della casa madre a Villaregia di Porto Viro (RO), prevede la partecipazione di circa 2.000 persone che, alla vigilia della settimana santa, desiderano prepararsi alla Pasqua, volgendo lo sguardo anche ai più poveri del mondo.

Protagonisti della Via crucis, infatti, sono anche i giovani della Costa d’Avorio, a favore dei quali è destinato un progetto di solidarietà. In questo Paese, infatti, dove la CMV opera dal 1991 e che di recente ha conosciuto una grave crisi politica, la maggior parte dei giovani non riesce a conseguire un titolo di studio a causa delle precarie condizioni economiche.

“È questa una delle ‘pietre’ di oggi che siamo invitati a rimuovere per restituire dignità ai giovani africani - spiega Elisabetta Onida, una delle missionarie alla guida dell’evento – .‘Togliete la pietra!’ è un titolo simbolico con il quale vogliamo ricordare all’uomo di oggi che il Cristo Risorto, con la potenza del suo amore e chiedendo la nostra collaborazione, può ridare vita ad ogni situazione di morte”.

“Accanto ai fatti che hanno caratterizzato gli ultimi istanti della vita di Gesù – continua Elisabetta –, portiamo in scena situazioni e problemi che toccano la nostra società: dal disagio giovanile alla droga, dall’ingiustizia verso i più deboli al dramma degli immigrati clandestini…”.

Gli interpreti, cinquanta in tutto, tra volontari e membri dei gruppi missionari di Villaregia, non sono professionisti, ma persone che si impegnano a trasmettere, anche con l’arte, un messaggio di fede.

L’evento si apre con una catechesi introduttiva, tenuta da padre Luigi Prandin, e continua con quattro scene, proposte attraverso la recitazione ed alcune danze eseguite dai giovani. Il tutto culminerà con un momento di preghiera comunitario, nel quale saranno coinvolti tutti i presenti.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Spiritualità


Giuseppe di Nazareth, un esempio da imitare

di don Marcello Stanzione*

ROMA, mercoledì, 17 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il mese di marzo è considerato dalla devozione cattolica come il mese consacrato a san Giuseppe. Proprio in questi giorni è uscito nelle librerie per i tipi dell’editrice Segno di Udine il libro di Alfonso Giusti: “Giuseppe, l’uomo che Dio chiamò papà”.

San Giuseppe, essendo stato scelto da Dio per essere la sua immagine verso il suo Figlio unigenito, non è stato stabilito per nessuna funzione pubblica nella Chiesa di Dio, ma solamente per esprimere la sua purezza e la sua santità incomparabile che lo separa da ogni creatura visibile; da ciò deriva che egli è il patrono delle Anime nascoste e sconosciute.

Altra è la funzione di San Pietro sulla Chiesa; altre sono le operazioni di San Giuseppe. San Pietro è stabilito esteriormente per la gerarchia e la dottrina, ed influisce sui prelati e sui ministri della Chiesa. San Giuseppe, al contrario, che è un Santo nascosto e senza funzioni esteriori, è stabilito per comunicare interiormente la vita insigne che riceve dal Padre e che scorre poi da Gesù su di noi.

L’influenza di San Giuseppe è una partecipazione di quella di Dio Padre in suo Figlio, nel mentre che quella di San Pietro e degli altri Santi è una partecipazione della grazia di Gesù Cristo che scorre sugli uomini e si distribuisce in variegata misura nei suoi membri.

Quella di San Giuseppe è una partecipazione della fonte senza regola e senza misura che si effonde da Dio Padre in suo Figlio; e Dio Padre che ci ama dello stesso amore con cui egli ama questo unico Figlio, ci dona da attingere, da gustare, da assaporare in San Giuseppe la grazia e l’amore con cui egli ama questo stesso Figlio.

Negli altri Santi, è una particella ed una misura che Egli ci comunica; qui è senza limiti e senza misura, a causa di quello che è San Giuseppe, e per quello che Dio Padre pone in lui come nella sua immagine universale. Questo Santo è il patrono delle Anime insigni elevate alla purezza ed alla santità di Dio, quanto di quelle che sono intimamente unite a Gesù e alle quali comunica la sua tenerezza per questo amabile Salvatore, come di quelle che sono applicate a Dio Padre, di cui San Giuseppe è raffigurazione.

E’ un Santo nascosto che Dio ha voluto tenere segreto durante la sua vita e di cui si è riservato a lui solo le occupazioni interiori senza condividerle con le cure esterne della Chiesa, un Santo che Dio ha manifestato in fondo ai cuori e di cui Lui stesso ha impresso la venerazione all’interno delle anime.

E come San Giuseppe si è dedicato a Dio solo durante la sua vita, Dio ha riservato a se stesso di manifestarlo e di imprimerne la stima, il culto e la venerazione.

Come immagine del Padreterno in cui giunge ogni preghiera e che è lo scopo ed il termine di tutta la nostra religione, San Giuseppe deve essere il tabernacolo universale della Chiesa ; è per questo che l’anima unita interiormente a Gesù e che entra nelle sue vie, nei suoi sentimenti, le sue inclinazioni e le sue disposizioni, quest’anima, finché sarà sulla terra, sarà piena di amore, di rispetto, di tenerezza per San Giuseppe ad imitazione di Gesù vivente sulla terra; poiché tali erano le inclinazioni e le disposizioni di Gesù Cristo: egli doveva amare con tenerezza Dio Padre in San Giuseppe, ed adorarlo sotto questa immagine vivente in cui egli abitava realmente.

Spetta a noi seguire questa condotta ed andare così a ricercare nostro Padre in questo Santo.

E’ in lui che noi dobbiamo andare a vedere, a contemplare, ad adorare tutte le perfezioni divine il cui assemblaggio ci renderà perfetti come nostro Padre celeste è perfetto. Noi impariamo da questo Santo che ci si può accostare a Dio Padre ed essere perfetto sulla terra come Egli lo è in cielo. E poiché in Dio Padre, San Giuseppe è fonte di ogni bene e di ogni misericordia, si dice di questo Santo che non gli si chieda nulla che non lo si ottenga.

Tocca ai sacerdoti soprattutto, nei quali Dio risiede nella sua pienezza e nella sua fecondità pura e vergine, comportarsi sul modello del grande San Giuseppe nei confronti dei figli che essi generano a Dio.

Questo grande Santo conduceva e dirigeva il Bambino Gesù nello spirito di suo Padre, la sua dolcezza, la sua sapienza, la sua prudenza: così dobbiamo fare per tutti i membri di Gesù Cristo che ci sono affidati e che sono altri “Cristi”, in modo che li trattiamo con la stessa riverenza che San Giuseppe aveva per il Bambino Gesù. Siamo dei superiori di Dio nei loro confronti, ma inferiori nelle persone, come San Giuseppe, che si vedeva infinitamente al di sotto di Gesù, benché ne fosse la guida e che fosse stabilito su di lui, in Nome e per conto del Padreterno.

Anche per questo abbiamo scelto San Giuseppe per uno dei Patroni della Milizia, come il Santo che Nostro Signore ha incaricato in cielo delle cure apposite dei sacerdoti come, secondo me, lo faceva per farci conoscere la sua bontà. La Santissima Vergine ci dona questo grande Santo per patrono, assicurandoci che egli lo era delle anime nascoste, ed aggiungendo di lui queste parole: Io non ho niente di più caro in cielo e sulla terra dopo mio Figlio.

Portando un giorno Nostro Signore ad un ammalato, io ripetevo interiormente queste parole che mi erano messe nello spirito : Dux Justi fuisti: esse mi facevano ricordare che San Giuseppe, essendo stato la guida del Giusto che è Nostro Signore, io dovevo rappresentarlo portando il Figlio di Dio negli stessi sentimenti coi quali egli lo aveva spesso portato durante la sua vita...

I nostri Lettori sanno che noi diffondiamo il retto culto cattolico ai Santi Angeli di Dio ed in modo particolare a San Michele Arcangelo ed a Maria SS.ma, Regina degli Angeli.

Essi sapranno anche che San Michele Arcangelo è considerato patrono e protettore della Chiesa Universale. San Michele è tale in quanto difende la Chiesa da Satana e da tutti i suoi accoliti e gli eserciti infernali.

E San Giuseppe è il patrono della Chiesa Universale. La sua missione è quella di ottenere immensi favori divini per Essa, poiché la sua intercessione presso Gesù e presso la Regina degli Angeli è più potente di chiunque altro, perché nessuno più di lui è mai stato tanto loro vicino.

San Giuseppe, in buona sostanza è il più grande santo tra tutti i santi e gli Angeli, e noi possiamo essere e sentirci orgogliosi di lui e chiamarlo, come fanno ed hanno fatto tanti santi, nostro padre e signore, per cui auguro a questo nuovo lavoro su San Giuseppe, del nostro Segretario Generale Alfonso Giusti, una più ampia diffusione per il bene della vita comune e spirituale di quanti ad esso si avvicineranno, cercando di imitare le virtù del più grande Santo della Storia della Salvezza, ad maiorem Dei gloriam.

-----------

* Don Marcello Stanzione è il Presidente dell'Associazione Milizia di San Michele Arcangelo.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Udienza del mercoledì


Il Papa mette a confronto San Bonaventura e San Tommaso d'Aquino
Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 17 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale in piazza San Pietro, dove ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sulla cultura cristiana nel Medioevo, ha parlato dei diversi approcci alla ricerca filosofica e teologica di San Bonaventura da Bagnoregio e San Tommaso d’Aquino.

 





* * *

Cari fratelli e sorelle,

questa mattina, continuando la riflessione di mercoledì scorso, vorrei approfondire con voi altri aspetti della dottrina di san Bonaventura da Bagnoregio. Egli è un eminente teologo, che merita di essere messo accanto ad un altro grandissimo pensatore, suo contemporaneo, san Tommaso d’Aquino. Entrambi hanno scrutato i misteri della Rivelazione, valorizzando le risorse della ragione umana, in quel fecondo dialogo tra fede e ragione che caratterizza il Medioevo cristiano, facendone un’epoca di grande vivacità intellettuale, oltre che di fede e di rinnovamento ecclesiale, spesso non sufficientemente evidenziata. Altre analogie li accomunano: sia Bonaventura, francescano, sia Tommaso, domenicano, appartenevano agli Ordini Mendicanti che, con la loro freschezza spirituale, come ho ricordato in precedenti catechesi, rinnovarono, nel secolo XIII, la Chiesa intera e attirarono tanti seguaci. Tutti e due servirono la Chiesa con diligenza, con passione e con amore, al punto che furono invitati a partecipare al Concilio Ecumenico di Lione nel 1274, lo stesso anno in cui morirono: Tommaso mentre si recava a Lione, Bonaventura durante lo svolgimento del medesimo Concilio. Anche in Piazza San Pietro le statue dei due Santi sono parallele, collocate proprio all’inizio del Colonnato partendo dalla facciata della Basilica Vaticana: una nel Braccio di sinistra e l’altra nel Braccio di destra. Nonostante tutti questi aspetti, possiamo cogliere nei due grandi Santi due diversi approcci alla ricerca filosofica e teologica, che mostrano l’originalità e la profondità di pensiero dell’uno e dell’altro. Vorrei accennare ad alcune di queste differenze.

Una prima differenza concerne il concetto di teologia. Ambedue i dottori si chiedono se la teologia sia una scienza pratica o una scienza teorica, speculativa. San Tommaso riflette su due possibili risposte contrastanti. La prima dice: la teologia è riflessione sulla fede e scopo della fede è che l’uomo diventi buono, viva secondo la volontà di Dio. Quindi, lo scopo della teologia dovrebbe essere quello di guidare sulla via giusta, buona; di conseguenza essa, in fondo, è una scienza pratica. L’altra posizione dice: la teologia cerca di conoscere Dio. Noi siamo opera di Dio; Dio sta al di sopra del nostro fare. Dio opera in noi l’agire giusto. Quindi si tratta sostanzialmente non del nostro fare, ma del conoscere Dio, non del nostro operare. La conclusione di san Tommaso è: la teologia implica ambedue gli aspetti: è teorica, cerca di conoscere Dio sempre di più, ed è pratica: cerca di orientare la nostra vita al bene. Ma c’è un primato della conoscenza: dobbiamo soprattutto conoscere Dio, poi segue l’agire secondo Dio (Summa Theologiae Ia, q. 1, art. 4). Questo primato della conoscenza in confronto con la prassi è significativo per l’orientamento fondamentale di san Tommaso.

La risposta di san Bonaventura è molto simile, ma gli accenti sono diversi. San Bonaventura conosce gli stessi argomenti nell’una e nell’altra direzione, come san Tommaso, ma per rispondere alla domanda se la teologia sia una scienza pratica o teorica, san Bonaventura fa una triplice distinzione – allarga, quindi, l’alternativa tra teorico (primato della conoscenza) e pratico (primato della prassi), aggiungendo un terzo atteggiamento, che chiama "sapienziale" e affermando che la sapienza abbraccia ambedue gli aspetti. E poi continua: la sapienza cerca la contemplazione (come la più alta forma della conoscenza) e ha come intenzione "ut boni fiamus" - che diventiamo buoni, soprattutto questo: divenire buoni (cfr Breviloquium, Prologus, 5). Poi aggiunge: "La fede è nell’intelletto, in modo tale che provoca l’affetto. Ad esempio: conoscere che Cristo è morto "per noi" non rimane conoscenza, ma diventa necessariamente affetto, amore" (Proemium in I Sent., q. 3).

Nella stessa linea si muove la sua difesa della teologia, cioè della riflessione razionale e metodica della fede. San Bonaventura elenca alcuni argomenti contro il fare teologia, forse diffusi anche in una parte dei frati francescani e presenti anche nel nostro tempo: la ragione svuoterebbe la fede, sarebbe un atteggiamento violento nei confronti della parola di Dio, dobbiamo ascoltare e non analizzare la parola di Dio (cfr Lettera di san Francesco d’Assisi a sant’Antonio di Padova). A questi argomenti contro la teologia, che dimostrano i pericoli esistenti nella teologia stessa, il Santo risponde: è vero che c’è un modo arrogante di fare teologia, una superbia della ragione, che si pone al di sopra della parola di Dio. Ma la vera teologia, il lavoro razionale della vera e della buona teologia ha un’altra origine, non la superbia della ragione. Chi ama vuol conoscere sempre meglio e sempre più l’amato; la vera teologia non impegna la ragione e la sua ricerca motivata dalla superbia, "sed propter amorem eius cui assentit" – "motivata dall’amore di Colui, al quale ha dato il suo consenso" (Proemium in I Sent., q. 2), e vuol meglio conoscere l’amato: questa è l’intenzione fondamentale della teologia. Per san Bonaventura è quindi determinante alla fine il primato dell’amore.

Di conseguenza, san Tommaso e san Bonaventura definiscono in modo diverso la destinazione ultima dell’uomo, la sua piena felicità: per san Tommaso il fine supremo, al quale si dirige il nostro desiderio è: vedere Dio. In questo semplice atto del vedere Dio trovano soluzione tutti i problemi: siamo felici, nient’altro è necessario.

Per san Bonaventura il destino ultimo dell’uomo è invece: amare Dio, l’incontrarsi ed unirsi del suo e del nostro amore. Questa è per lui la definizione più adeguata della nostra felicità.

In tale linea, potremmo anche dire che la categoria più alta per san Tommaso è il vero, mentre per san Bonaventura è il bene. Sarebbe sbagliato vedere in queste due risposte una contraddizione. Per ambedue il vero è anche il bene, ed il bene è anche il vero; vedere Dio è amare ed amare è vedere. Si tratta quindi di accenti diversi di una visione fondamentalmente comune. Ambedue gli accenti hanno formato tradizioni diverse e spiritualità diverse e così hanno mostrato la fecondità della fede, una nella diversità delle sue espressioni.

Ritorniamo a san Bonaventura. E’ evidente che l’accento specifico della sua teologia, del quale ho dato solo un esempio, si spiega a partire dal carisma francescano: il Poverello di Assisi, al di là dei dibattiti intellettuali del suo tempo, aveva mostrato con tutta la sua vita il primato dell’amore; era un’icona vivente e innamorata di Cristo e così ha reso presente, nel suo tempo, la figura del Signore – ha convinto i suoi contemporanei non con le parole, ma con la sua vita. In tutte le opere di san Bonaventura, proprio anche le opere scientifiche, di scuola, si vede e si trova questa ispirazione francescana; si nota, cioè, che egli pensa partendo dall’incontro col Poverello d’Assisi. Ma per capire l’elaborazione concreta del tema "primato dell’amore", dobbiamo tenere presente ancora un’altra fonte: gli scritti del cosiddetto Pseudo-Dionigi, un teologo siriaco del VI secolo, che si è nascosto sotto lo pseudonimo di Dionigi l’Areopagita, accennando, con questo nome, ad una figura degli Atti degli Apostoli (cfr 17,34). Questo teologo aveva creato una teologia liturgica e una teologia mistica, ed aveva ampiamente parlato dei diversi ordini degli angeli. I suoi scritti furono tradotti in latino nel IX secolo; al tempo di san Bonaventura – siamo nel XIII secolo – appariva una nuova tradizione, che provocò l’interesse del Santo e degli altri teologi del suo secolo. Due cose attiravano in modo particolare l’attenzione di san Bonaventura:

1. Lo Pseudo-Dionigi parla di nove ordini degli angeli, i cui nomi aveva trovato nella Scrittura e poi aveva sistemato a suo modo, dagli angeli semplici fino ai serafini. San Bonaventura interpreta questi ordini degli angeli come gradini nell’avvicinamento della creatura a Dio. Così essi possono rappresentare il cammino umano, la salita verso la comunione con Dio. Per san Bonaventura non c’è alcun dubbio: san Francesco d’Assisi apparteneva all’ordine serafico, al supremo ordine, al coro dei serafini, cioè: era puro fuoco di amore. E così avrebbero dovuto essere i francescani. Ma san Bonaventura sapeva bene che questo ultimo grado di avvicinamento a Dio non può essere inserito in un ordinamento giuridico, ma è sempre un dono particolare di Dio. Per questo la struttura dell’Ordine francescano è più modesta, più realista, ma deve, però, aiutare i membri ad avvicinarsi sempre più ad un’esistenza serafica di puro amore. Mercoledì scorso ho parlato su questa sintesi tra realismo sobrio e radicalità evangelica nel pensiero e nell’agire di san Bonaventura.

2. San Bonaventura, però, ha trovato negli scritti dello Pseudo-Dionigi un altro elemento, per lui ancora più importante. Mentre per sant’Agostino l’intellectus, il vedere con la ragione ed il cuore, è l’ultima categoria della conoscenza, lo Pseudo-Dionigi fa ancora un altro passo: nella salita verso Dio si può arrivare ad un punto in cui la ragione non vede più. Ma nella notte dell’intelletto l’amore vede ancora – vede quanto rimane inaccessibile per la ragione. L’amore si estende oltre la ragione, vede di più, entra più profondamente nel mistero di Dio. San Bonaventura fu affascinato da questa visione, che s’incontrava con la sua spiritualità francescana. Proprio nella notte oscura della Croce appare tutta la grandezza dell’amore divino; dove la ragione non vede più, vede l’amore. Le parole conclusive del suo "Itinerario della mente in Dio", ad una lettura superficiale, possono apparire come espressione esagerata di una devozione senza contenuto; lette, invece, alla luce della teologia della Croce di san Bonaventura, esse sono un’espressione limpida e realistica della spiritualità francescana: "Se ora brami sapere come ciò avvenga (cioè la salita verso Dio), interroga la grazia, non la dottrina; il desiderio, non l’intelletto; il gemito della preghiera, non lo studio della lettera; … non la luce, ma il fuoco che tutto infiamma e trasporta in Dio" (VII, 6). Tutto questo non è anti-intellettuale e non è anti-razionale: suppone il cammino della ragione, ma lo trascende nell’amore del Cristo crocifisso. Con questa trasformazione della mistica dello Pseudo-Dionigi, san Bonaventura si pone agli inizi di una grande corrente mistica, che ha molto elevato e purificato la mente umana: è un vertice nella storia dello spirito umano.

Questa teologia della Croce, nata dall’incontro tra la teologia dello Pseudo-Dionigi e la spiritualità francescana, non ci deve far dimenticare che san Bonaventura condivide con san Francesco d’Assisi anche l’amore per il creato, la gioia per la bellezza della creazione di Dio. Cito su questo punto una frase del primo capitolo dell’"Itinerario": "Colui… che non vede gli splendori innumerevoli delle creature, è cieco; colui che non si sveglia per le tante voci, è sordo; colui che per tutte queste meraviglie non loda Dio, è muto; colui che da tanti segni non si innalza al primo principio, è stolto" (I, 15). Tutta la creazione parla ad alta voce di Dio, del Dio buono e bello; del suo amore.

Tutta la nostra vita è quindi per san Bonaventura un "itinerario", un pellegrinaggio – una salita verso Dio. Ma con le nostre sole forze non possiamo salire verso l’altezza di Dio. Dio stesso deve aiutarci, deve "tirarci" in alto. Perciò è necessaria la preghiera. La preghiera - così dice il Santo - è la madre e l’origine della elevazione - "sursum actio", azione che ci porta in alto - dice Bonaventura. Concludo perciò con la preghiera, con la quale comincia il suo "Itinerario": "Preghiamo dunque e diciamo al Signore Dio nostro: ‘Conducimi, Signore, nella tua via e io camminerò nella tua verità. Si rallegri il mio cuore nel temere il tuo nome’ " (I, 1).


[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli della Diocesi di Ivrea con il loro Pastore Mons. Arrigo Miglio, qui convenuti per ricambiare la visita, che ho avuto la gioia di compiere nella loro terra nello scorso mese di luglio. Cari amici, ancora una volta vi ringrazio per l’affetto con cui mi avete accolto, ed auspico che da quel nostro incontro scaturisca per la vostra Comunità diocesana una rinnovata, fedele e generosa adesione a Cristo e alla sua Chiesa. Saluto Mons. Renato Boccardo, Arcivescovo di Norcia-Spoleto, con la delegazione reduce dalla diocesi americana di Trenton ove è stata accesa la "Fiaccola Benedettina per la pace". Possa tale impresa contribuire alla formazione di una coscienza attenta alla solidarietà ed alla cultura della pace, seguendo l'esempio di San Benedetto, apostolo infaticabile tra i popoli dell'Europa. Saluto le rappresentati dell’Associazione Donneuropee-Federcasalinghe e quelle della Fondazione Hruby, nel ringraziarvi per la vostra presenza, auspico che il tempo quaresimale, che stiamo vivendo, confermi la vostra fede e il vostro impegno di testimonianza evangelica.

Ed ora il mio saluto va ai giovani. Cari giovani, incontrarvi è sempre per me motivo di consolazione e di speranza, perché la vostra età è la primavera della vita. Siate sempre fedeli all'amore che Dio ha per voi. Rivolgo ora un pensiero affettuoso a voi, cari ammalati. Quando si soffre, tutta la realtà in noi e attorno a noi sembra rabbuiarsi, ma, nell'intimo del nostro cuore, questo non deve spegnere la luce consolante della fede. Cristo con la sua croce ci sostiene nella prova. E voi, cari sposi novelli, che saluto cordialmente, siate grati a Dio per il dono della famiglia. Contando sempre sul suo aiuto, fate della vostra esistenza una missione di amore fedele e generoso.


[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Documenti


Omelia del Papa nella Chiesa Evangelica Luterana di Roma
ROMA, mercoledì, 17 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo la traduzione dell'omelia pronunciata da Benedetto XVI a braccio in tedesco nel pomeriggio di domenica 14 marzo, durante la visita  alla comunità luterana di Roma.




* * *

Care Sorelle e cari Fratelli,

desidero ringraziare di cuore tutta la comunità, i vostri responsabili, in particolare il parroco Kruse, per avermi invitato a celebrare con voi questa domenica Laetare, questo giorno in cui l’elemento determinante è speranza, che guarda alla luce che dalla resurrezione di Cristo irrompe nelle tenebre della nostra quotidianità, nelle questioni irrisolte della nostra vita. Ella, caro parroco Kruse, ci ha esposto il messaggio di speranza  di san Paolo. Il Vangelo, dal dodicesimo capitolo di Giovanni, che io vorrei cercare di spiegare, è anche un Vangelo della speranza e, nello stesso tempo, è un Vangelo della Croce. Queste due dimensioni vanno insieme: poiché il Vangelo si riferisce alla Croce, parla della speranza, e poiché dona speranza, deve parlare della Croce.

Giovanni ci narra che Gesù era salito a Gerusalemme per celebrare la Pasqua e poi dice: “C'erano anche alcuni greci che erano saliti per il culto”. Erano sicuramente uomini del gruppo dei cosiddetti phoboumenoi ton Theon, i “timorati di Dio”, che, al di là del politeismo del loro mondo, erano alla ricerca del Dio autentico che è veramente Dio, alla ricerca dell’unico Dio, al quale appartiene il mondo intero e che è il Dio di tutti gli uomini. E avevano trovato quel Dio, che chiedevano e cercavano, al quale ogni uomo anela in silenzio, nella Bibbia di Israele, riconoscendovi quel Dio che ha creato il mondo. Egli è il Dio di tutti gli uomini e, allo stesso tempo, ha scelto un popolo concreto e un luogo per essere da lì presente tra noi. Sono cercatori di Dio, e sono venuti a Gerusalemme per adorare l'unico Dio, per sapere qualcosa del suo mistero. Inoltre, l'evangelista ci narra che queste persone sentono parlare di Gesù, vanno da Filippo, l'apostolo proveniente da Betsaida, in cui per metà si parlava in greco, e dicono: “Vogliamo vedere Gesù”. Il loro desiderio di conoscere Dio li spinge a voler vedere Gesù e attraverso di lui conoscere più da vicino Dio. “Vogliamo vedere Gesù”: un’espressione che ci commuove, poiché noi tutti vorremmo sempre più veramente vederlo e conoscerlo. Penso che quei greci ci interessano per due motivi: da una parte, la loro situazione è anche la nostra, anche noi siamo pellegrini con la domanda su Dio, alla ricerca di Dio. E anche noi vorremmo conoscere Gesù più da vicino, vederlo veramente. Tuttavia  è anche vero che, come Filippo e Andrea, dovremmo essere amici di Gesù, amici che lo conoscono e possono aprire agli altri il cammino che porta a lui. E perciò penso che in quest’ora dovremmo pregare così: Signore, aiutaci a essere uomini in cammino verso di te. Signore, donaci di poterti vedere sempre di più. Aiutaci a essere tuoi amici, che aprono  agli altri la porta verso di te. Se ciò portò effettivamente ad un incontro fra Gesù e quei greci, san Giovanni non lo narra. La risposta di Gesù, che egli ci riferisce, va molto al di là di quel momento contingente. Si tratta di una doppia risposta: parla della glorificazione di Gesù che ora iniziava: “È venuta l’ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato” (Gv 12,23). Il Signore spiega questo concetto della glorificazione con la parabola del chicco di grano: “In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto” (v. 24). In effetti, il chicco di grano deve morire, in certo qual modo spezzarsi nel terreno, per assorbire in sé le forze della terra e così divenire stelo  e frutto. Per quanto riguarda il Signore, questa è la parabola del suo proprio mistero. Egli stesso è il chicco di grano venuto da Dio, il chicco di grano divino, che si lascia cadere sulla terra, che si lascia spezzare, rompere nella morte e, proprio attraverso questo, si apre e può così portare frutto nella vastità del mondo. Non si tratta più solo di un incontro con questa o quella persona per un momento. Ora, in quanto risorto, è “nuovo” e oltrepassa i limiti spaziali e temporali. Adesso raggiunge veramente i greci. Ora si mostra a loro e parla con loro, ed essi parlano con lui e in tal modo nasce la fede, cresce la Chiesa a partire da tutti i popoli, la comunità di Gesù Cristo risorto, che diventerà il suo corpo vivo, frutto del chicco di grano. In questa parabola possiamo trovare anche un riferimento al mistero dell'Eucaristia: Egli, che è il chicco di grano, cade nella terra e muore.

Così nasce la santa moltiplicazione del pane dell'Eucaristia, nella quale egli diviene pane per gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

Ciò, che qui, in questa parabola cristologica, il Signore dice di sé, lo applica a noi in due altri versetti: “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (v. 25). Penso che quando ascoltiamo ciò, in un primo momento, non ci piace. Vorremmo dire al Signore: Ma cosa ci stai dicendo, Signore? Dobbiamo odiare la nostra vita, noi stessi? La nostra vita non è forse un dono di Dio? Non siamo stati creati a tua immagine? Non dovremmo essere grati e lieti perché ci ha donato la vita? Ma la parola di Gesù ha un altro significato. Naturalmente il Signore ci ha donato la vita, e di questo siamo grati. Gratitudine e gioia sono atteggiamenti fondamentali dell’esistenza cristiana. Sì, possiamo essere lieti perché sappiamo che questa mia vita è da Dio. Non è un caso privo di senso. Io sono voluto e sono amato. Quando Gesù dice che dovremmo odiare la nostra propria vita, intende dire tutt’altro. Pensa qui a due atteggiamenti fondamentali. Uno è quello per cui io vorrei tenere per me la mia vita, per cui considero la mia vita come mia proprietà, considero me stesso come mia proprietà, per cui vorrei sfruttare il più possibile questa vita presente, così da aver vissuto molto vivendo per me stesso. Chi lo fa, chi vive per se stesso e considera e vuole solo se stesso, non si trova, si perde. È proprio il contrario: non prendere la vita, ma darla. Questo ci dice il Signore. E non è che prendendo la vita per noi, noi la riceviamo, ma è donandola, andando oltre noi stessi, non guardando a noi, ma dandosi all’altro nell’umiltà dell’amore, donando la nostra vita a lui e agli altri. Così diveniamo ricchi allontanandoci da noi stessi, liberandoci da noi stessi. Donando la vita, e non prendendola, riceviamo veramente vita.

Il Signore prosegue e afferma, in un secondo versetto: “Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà” (v. 26). Questo donarsi, che in realtà è l’essenza dell’amore, è identico alla Croce. Infatti, la Croce non è altro che questa legge fondamentale del chicco di grano morto, la legge fondamentale dell’amore: che noi diveniamo noi stessi solo quando ci doniamo. Ma il Signore aggiunge che questo donarsi, questo accettare la Croce, questo allontanarsi da sé, è un andare con lui, in quanto noi, andando dietro a lui e seguendo la via del chicco di grano, troviamo la via dell’amore, che subito sembra una via di tribolazione e di fatica, ma proprio per questo è la via della salvezza. Della via della Croce, che è la via dell’amore, del perdersi e del donarsi, fa parte la sequela, l’andare con lui, che è, Egli stesso, la via, la verità e la vita. Questo concetto include anche il fatto che questa sequela si realizza nel “noi”, che nessuno di noi ha il proprio Cristo, il proprio Gesù, che lo possiamo seguire soltanto se camminiamo tutti insieme con lui, entrando in questo “noi” e imparando con lui il suo amore che dona. La sequela si realizza in questo “noi”. Fa parte dell’essere cristiani l’ “essere noi” nella comunità dei suoi discepoli. E questo ci pone la questione dell’ecumenismo: la tristezza per aver spezzato questo “noi”, per aver suddiviso l’unica via in tante vie, e così viene offuscata la testimonianza che dovremmo dare in tal modo, e l’amore non può trovare la sua piena espressione. Che cosa dovremmo dire al riguardo? Oggi ascoltiamo molte lamentele sul fatto che l’ecumenismo sarebbe giunto a un punto di stallo, accuse vicendevoli; tuttavia penso che dovremmo anzitutto essere grati che vi sia già tanta unità. È bello che oggi, domenica Laetare, noi possiamo pregare insieme, intonare gli stessi inni, ascoltare la stessa parola di Dio, insieme spiegarla e cercare di capirla; che noi guardiamo all’unico Cristo che vediamo e al quale vogliamo appartenere, e che, in questo modo, già rendiamo testimonianza che Egli è l’Unico, colui che ci ha chiamati tutti e al quale, nel più profondo, noi tutti apparteniamo. Credo che dovremmo mostrare al mondo soprattutto questo: non liti e conflitti di ogni sorta, ma gioia e gratitudine per il fatto che il Signore ci dona questo e perché esiste una reale unità, che può diventare sempre più profonda e che deve divenire sempre più una testimonianza della parola di Cristo, della via di Cristo in questo mondo. Naturalmente non ci dobbiamo accontentare di ciò, anche se dobbiamo essere pieni di gratitudine per questa comunanza. Tuttavia, il fatto che in cose essenziali, nella celebrazione della santa Eucaristia non possiamo bere allo stesso calice, non possiamo stare intorno allo stesso altare, ci deve riempire di tristezza perché portiamo questa colpa, perché offuschiamo questa testimonianza. Ci deve rendere interiormente inquieti, nel cammino verso una maggiore unità, nella consapevolezza che, in fondo, solo il Signore può donarcela perché un’unità concordata da noi sarebbe opera umana e quindi fragile, come tutto ciò che gli uomini realizzano. Noi ci doniamo a lui, cerchiamo sempre più di conoscerlo e di amarlo, di vederlo, e lasciamo a lui che ci conduca così, veramente, all’unità piena, per la quale lo preghiamo con ogni urgenza in questo momento.

Cari amici, ancora una volta desidero ringraziarvi per questo invito, che mi avete rivolto, per la cordialità, con la quale mi avete accolto – anche per le sue parole, gentile signora Esch. Ringraziamo per aver potuto pregare e cantare insieme. Preghiamo gli uni per gli altri, preghiamo insieme affinché il Signore ci doni l’unità e aiuti il mondo affinché creda. Amen.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Benedetto XVI riceve la cittadinanza onoraria di Romano Canavese
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 17 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso pronunciato questo mercoledì mattina da Papa Benedetto XVI ricevendo la cittadinanza onoraria di Romano Canavese.



* * *



Signor Cardinale,

Cari Fratelli nell'Episcopato e cari fratelli nel Sacerdozio,

Signor Sindaco e Consiglieri comunali,

Signore e Signori!

Sono molto contento di ricevere la cittadinanza onoraria del Comune di Romano Canavese, a cui sono legato da vincoli di affetto. Anzitutto perché è il luogo che ha dato i natali al mio carissimo Segretario di Stato, il Cardinale Tarcisio Bertone, che conosco e stimo da tanti anni, specialmente da quando ero Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. A lui desidero rinnovare la mia viva riconoscenza per il prezioso servizio alla Santa Sede. Poi, perché io stesso, il 19 luglio dello scorso anno, ho avuto la gioia di visitare il vostro paese e di incontrare la gente laboriosa del Canavese. Rivolgo a ciascuno di voi il mio cordiale saluto, in particolare al Vescovo di Ivrea, Mons. Arrigo Miglio e al Sindaco, Sig. Oscar Ferrero: grazie per le parole, grazie per i pensieri e per le preghiere.

Il conferimento della cittadinanza onoraria attesta la stima, la vicinanza e l'affetto che nutrite nei miei confronti; con tale gesto, in un certo senso, avete voluto accogliermi nella grande famiglia di Romano Canavese, anche se la mia presenza non potrà essere fisica, ma certamente cordiale e paterna. Mi sentirò in qualche modo parte della vostra gloriosa storia, che affonda le radici nel secondo secolo avanti la nascita di Cristo e ha avuto momenti di particolare rilievo, specie nell'Alto Medioevo e nel diciannovesimo secolo. Ma ciò che caratterizza Romano Canavese è soprattutto una lunga storia di fede, che inizia dal sangue dei martiri, tra i quali san Solutore, e giunge fino ai nostri giorni. In questa occasione vi rinnovo l'invito a custodire e coltivare i genuini valori della vostra tradizione e della vostra cultura, che si radicano nel Vangelo. In particolare a testimoniare con impegno sempre nuovo la fede nel Signore crocifisso e risorto, l'attaccamento alla famiglia, lo spirito di solidarietà. Abbiate sempre fiducia nell'aiuto di Dio, che non abbandona mai i suoi figli ed è vicino con la sua amorosa premura a quanti si adoperano per il bene, la pace e la giustizia.

Cari amici, nel rinnovarvi i miei sentimenti di gratitudine, invoco su ciascuno di voi, sulle vostre famiglie e su tutti i cittadini l'intercessione della Beata Vergine Maria e dei Santi Patroni, perché continuino a proteggere e a guidare la vostra Comunità. Con affetto, imparto a ciascuno di voi e ai vostri concittadini, miei concittadini adesso, una speciale Benedizione Apostolica.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su



Nessun commento:

Related Posts with Thumbnails